Mi perdoni se da ora in poi smetterò di darle dal lei, ma sa…mi viene un po’ difficile dare del lei ad una cagna..”, disse l’esaminatore guardandola dopo essersi posizionato davanti a lei con fare che a Martina parve decisamente minaccioso.
La ragazza abbassò lo sguardo verso terra mentre l’esaminatore piegò le ginocchia chinandosi vicino a lei.
“Perché è questo che sei…una cagna…non è vero?”, disse accarezzandole i capelli.
Martina restò un attimo incerta su cosa rispondere; quel minimo di dignità e orgoglio che le restava ancora dentro le diceva di alzarsi, dare uno schiaffo alla persona che aveva davanti e di andarsene via.
Come poteva quell’uomo rivolgersi a lei in quel modo e giudicarla soltanto in base al suo aspetto esteriore e al fatto che si era vestita in maniera così provocante?
Dall’altro lato però ripensò all’esame, a quanto le sarebbe piaciuto ottenere il massimo dei voti a costo di farsi umiliare in quel modo; si rese però immediatamente anche conto che il voto dell’esame era ora diventata forse una cosa marginale, la meno importante.
Martina stava provando infatti qualcosa che la eccitava parecchio; il farsi umiliare e trattare come quello che lei in fondo sentiva realmente di essere. Era come un mettersi a nudo di fronte a se stessa, spogliarsi di ogni pudore per fare i conti con quello che realmente era.
“Sono una cagna bastarda”, rispose quindi la ragazza accettando le regole del gioco ed abbassando nuovamente lo sguardo provando eccitazione e vergogna allo stesso tempo.
Il suo interlocutore però non prese del tutto bene la risposta di Martina battendo debolmente il pugno sulla testa della ragazza; “non credevo che le cagne parlassero”, la rimproverò.
“Bau”, replicò quindi Martina con aria avvilita; “così va meglio”, concluse l’esaminatore alzandosi in piedi ed aprendo un cassetto della scrivania.
“Voglio che tu faccia il giro della stanza a quattro zampe, avanti”, disse l’uomo appoggiando un piede sul sedere di Martina e dandole una leggera spinta in avanti; “e striscia bene per terra le zampe posteriori”, aggiunse poi raccogliendo dal cassetto una bottiglietta d’acqua.
Martina ubbidì e senza fiatare cominciò a fare il giro della stanza sotto gli occhi divertiti dell’esaminatore; l’uomo ad un certo punto prese dal cassetto un mazzo di piccole chiavi che utilizzò per aprire uno sportello posto sul muro alle spalle della scrivania.
Tirò quindi fuori una ciotola rossa di medie dimensioni, una classica ciotola per cani che posizionò per terra davanti ai suoi piedi.
Martina a metà del tragitto voltò la testa in direzione dell’uomo intento a versare l’acqua nella ciotola; le era abbastanza chiaro quello che l’esaminatore volesse da lei.
Doveva arrivare fino alla ciotola, l’acqua era la sua ricompensa.
Martina rivolse nuovamente lo sguardo verso terra e completò il lato della stanza che le mancava per tornare al punto di partenza, ovvero davanti alla ciotola.
Chinò quindi la testa e cominciò a bere dando dei rapidi colpi di lingua dimostrando di interpretare il ruolo della cagna come una vera attrice professionista.
L’uomo però, tirandola debolmente per i capelli, le sollevò il capo.
“Premesso che non ti avevo dato il permesso di bere”, cominciò a dire; “fai troppo poco rumore per la sporca cagna che sei”, aggiunse spingendole nuovamente il capo verso la ciotola.
Martina cambiò quindi modo di bere e risucchiò l’acqua cercando di fare più rumore possibile; cercò di ridurre il rumore soltanto al pensiero che qualcuno potesse entrare nella stanza e vedere ciò che stava accadendo.
Rifletté anche su come aveva fatto a non pensare prima che qualcuno potesse entrare, arrivando alla conclusione che era talmente eccitata da ignorare questa opzione; probabilmente, se qualcuno fosse entrato e avesse visto ciò che stava accadendo, si sarebbe eccitata ancora di più prima di sprofondare nella vergogna più totale.
Martina risollevò il capo dopo aver succhiato anche l’ultima goccia d’acqua.
L’esaminatore rovesciò anche l’ultima metà della bottiglietta nella ciotola; Martina abbassò il capo per bere ma l’uomo spinse leggermente in là la ciotola facendone traboccare per terra parte del contenuto.
“Un altro giro prima”, le ordinò l’uomo; “continui ad essere una cagna disobbediente”, aggiunse.
Martina fece per avviarsi nuovamente quando l’uomo la fermò; “aspetta, ti accompagno”, le disse.
Si portò quindi una mano ai pantaloni slacciandosi la cintura e dopo essersela sfilata di dosso la passò attorno al collo della ragazza, la annodò e tenendo Martina come fosse al guinzaglio cominciò a muoversi lentamente per la stanza; ad un certo punto si accese anche una sigaretta proprio come se stesse facendo una passeggiata al parco con la propria cagnetta.
Ogni tanto non disdegnava di dare alla cintura qualche leggero strattone e di incitare Martina a muoversi ricordandole che tra qualche ora avrebbe dovuto sostenere un importante esame.
I due completarono il giro della stanza quando Martina si trovò nuovamente davanti alla ciotola piena d’acqua.
Questa volta attese prima di bere, alzando lo sguardo per cercare il consenso del proprio “padrone”.
L’uomo fece cenno di sì con la testa e le accarezzò i capelli.
Martina abbassò per l’ennesima volta il capo e cominciò a bere rumorosamente come aveva fatto poco prima.
“Siamo diventate ubbidienti”, disse l’esaminatore congratulandosi con lei; Martina succhiò di nuovo l’acqua dalla ciotola fino all’ultima goccia e sollevò soddisfatta lo sguardo verso di lui.
“Non hai finito”, disse l’uomo con tono severo avvicinando un piede a tre piccole pozzette d’acqua per terra che si erano formate quando lui aveva scostato la ciotola.
Martina rimase per un attimo interdetta; davvero avrebbe leccato il pavimento soltanto per ottenere qualche misero voto in più all’esame?
Il suo indugiare non passò inosservato all’uomo che si abbassò nuovamente vicino a lei e avvicinò la bocca al suo orecchio. “Che c’é…”, le disse; “tutto a un tratto ti sei ricordata di avere una dignità?”, aggiunse.
“Bevi puttana”, la incalzò nuovamente l’uomo alzandosi in piedi; “e questa volta voglio vederti farlo con la lingua”, concluse.
Martina si prese ancora qualche istante per riflettere, arrivando al punto di pensare che quell’uomo aveva ragione; si era fatta trattare come una cagna fino a quel punto, e l’eccitazione era la seconda cosa più grande che stava provando seconda solo alla vergogna.
Sentiva che tirarsi indietro ora non aveva senso; la dignità l’aveva già persa nel momento in cui aveva pensato di incontrare quell’uomo in cambio di qualche misero voto in più.
Martina abbassò quindi la testa, tirò fuori la lingua e la passò sul pavimento fino a che non lo ebbe ripulito dall’acqua.
L’uomo la prese quindi nuovamente per la cintura e la accompagnò alla scrivania per poi prendere posto sulla sedia mentre Martina restò inginocchiata di fronte a lui.
La ragazza sapeva bene cosa stava per accadere; era infatti arrivato il momento di praticargli del sesso orale.
Prima però l’uomo tirò fuori dal cassetto una banana e la avvicinò al viso della ragazza.
“Sai…non sono del tutto sicuro che tu sia una cagna..”, le disse con aria dubbiosa; “per quanto ne so, potresti anche essere…boh…una scimmietta?”, disse agitandole la banana davanti al viso.
Martina seguì con gli occhi l’ondeggiare del frutto davanti a lei; “ti piacciono le banane, vero?”, le chiese l’uomo.
La ragazza restò titubante riguardo a cosa rispondere; avrebbe dovuto parlare? Oppure abbaiare? O fare altro ancora?; si limitò quindi a fare cenno di sì con la testa.
“Rispondi puttanella”, la incalzò però l’uomo facendole capire che si attendeva una risposta ben diversa.
“Uh uh”, si decise a rispondere Martina abbassando lo sguardo, cercando di emulare senza troppo successo il verso di una scimmietta.
“Come hai detto?”, replicò l’uomo sorridendo, impaziente di sentirglielo fare nuovamente; “uh uh uh”, replicò Martina.
“Guardami puttana”, disse ancora l’uomo mettendole una mano sotto il mento ed alzandole la testa; “la vuoi questa banana?”, aggiunse.
Martina, sentendosi sempre più umiliata ed eccitata, fece il verso della scimmietta per un’ultima volta che venne interpretato dall’uomo come una risposta affermativa alla sua domanda.
“Apri”, le ordinò lui avvicinando la banana alle labbra della ragazza ; Martina spalancò la bocca e l’esaminatore le appoggiò il frutto in bocca cominciando a spingerglielo avanti e indietro simulando una fellatio.
Mentre faceva ciò, l’uomo portò la mano libera sotto i suoi pantaloni, prese in pugno il suo membro e cominciò a masturbarsi.
Dopo averle tirato fuori il frutto di bocca, con la stessa mano con cui si stava toccando sbucciò la banana, ne staccò un pezzo e, dopo averlo strofinato sul viso di Martina, glielo spinse in bocca.
Martina non fece in tempo a masticarlo ed ingoiarlo che subito l’uomo cercò di mettergliene in bocca una seconda parte e poi una terza, finché i pezzi di banana non strabordarono dalla bocca della ragazza cadendo inevitabilmente per terra.
Martina ingoiò la parte che le era rimasta in bocca e poi, senza che l’uomo le chiedesse nulla, abbassò la testa, raccolse con la bocca i pezzi caduti a terra e li ingoiò, quindi guardò soddisfatta negli occhi l’esaminatore.
“Sai, ci ho ripensato”, le disse quindi l’uomo appoggiandole la buccia di banana sulla testa; “sei troppo stupida per essere una scimmia”, aggiunse.
Quindi dopo essersi portato nuovamente una mano ai pantaloni la infilò sotto gli slip e ne estrasse sotto gli occhi della ragazza un membro di medio\piccole dimensioni, abbastanza flaccido nonostante la situazione di eccitante degrado in cui la ragazza si presentava di fronte a lui.
L’uomo riprese a masturbarsi cercando di rendere il suo cazzo più duro; Martina avvicinò il volto al membro dell’uomo che lasciò la presa si di esso.
La ragazza lo prese in mano e cominciò a segarlo lentamente spostando continuamente lo sguardo dal membro agli occhi dell’uomo; chiuse quindi i suoi occhi e lo prese in bocca.
Iniziò a succhiarlo dolcemente per poi aumentare sempre più il ritmo finché la buccia di banana non le cadde da sopra la testa; non aveva alcun tipo di problema a prenderlo in bocca fino in fondo viste le scarse dimensioni, decisamente al di sotto dei suoi standard.
Ne aveva succhiati di cazzi Martina, ma quello era decisamente uno dei più piccoli con cui aveva mai avuto a che fare.
Andò avanti per diversi minuti a succhiare e segare, passando più volte la lingua sullo scroto dell’esaminatore.
Ad un certo punto l’uomo batté la mano sul suo ginocchio e strinse le gambe; Martina capì perfettamente il segnale, si alzò in piedi ed allargò le gambe sopra di lui.
“Siediti”, le chiese quindi l’uomo battendo nuovamente una mano sul suo ginocchio; “alza le braccia”, le disse dopo che la ragazza si fu seduta a gambe spalancate sopra le sue gambe.
Martina alzò le braccia e l’esaminatore le sfilò la maglietta di dosso buttandola per terra per poi metterle entrambe le mani sul suo abbondante seno iniziando a palparglielo con decisione.
L’uomo tirò poi il reggiseno della ragazza verso il basso scoprendo il seno davanti a lui, avvicinò il capo e cominciò a leccarle le tette.
Le slacciò quindi il reggiseno e lo ripose all’interno del cassetto della scrivania, poi le chiese di alzarsi.
Martina si alzò in piedi tenendo le gambe spalancate sopra l’uomo; lui portò una mano sotto la minigonna della ragazza e le abbassò lentamente le mutandine fino a che non furono talmente tirate tra le gambe aperte di Martina che bastò un leggero strattone per strappargliele di dosso; scoprendole fradice, se le passò eccitato sul viso prima di riporre anch’esse nel cassetto insieme al reggiseno.
L’uomo alzò quindi la minigonna di Martina e dopo aver scoperto davanti a suoi occhi una splendida vagina depilata, bagnata e ben curata cominciò a leccarla senza sosta per diversi minuti.
“Ti va di farti fottere un po’ questa bella fichetta da troia?”, disse poi l’uomo accarezzandogliela ed arrivando quasi a penetrarla con un dito.
Martina, ben sapendo quanto retorica fosse la domanda, si abbassò per accogliere il membro dell’uomo dentro di lei quando lui la fermò mettendole una mano sul braccio.
“Aspetta”, le disse frugando nuovamente con una mano del cassetto; “non scopo con una puttana senza prendere precauzioni”, aggiunse estraendone un profilattico.
“A te l’onore”, disse poi consegnandolo tra le mani della ragazza.
Martina aprì il preservativo strappando la carta con i denti e fece per rivestire con esso il membro dell’uomo che però la bloccò nuovamente; “fallo con la bocca, sgualdrina”, le disse.
Martina si infilò il preservativo tra le labbra e abbassò la testa verso il membro dell’uomo; in passato le era già capitato che un ragazzo le chiedesse di infilargli il preservativo con la bocca.
Quella volta però si trattava di un membro di ben più grandi dimensioni e Martina non fece molta fatica; questa volta invece dovette scendere parecchio con la testa ed aiutarsi con le mani prima di riuscire nell’arduo compito.
Una volta riuscita ad incappucciare il membro Martina si alzò in piedi, allargò nuovamente le gambe di fronte all’uomo e cominciò lentamente ad abbassarsi.
Prese il cazzo con la mano destra e lo accompagnò nella sua vagina; iniziò a muoversi pian piano su e giù portando le braccia attorno al collo dell’uomo fino ad aumentare la consistenza del movimento.
Dopo qualche minuto Martina stava letteralmente saltando sul cazzo dell’uomo sempre più sudato ed ansimante.
Martina invece si limitava a fingere; non riusciva proprio a provare piacere con un membro di cosi piccole dimensioni, le sembrava quasi di non sentirlo.
Ogni tanto cacciava un piccolo urlo per compiacere l’uomo e per arrivare ad ottenere ciò che voleva.
“Fammi venire puttana”, disse l’uomo dopo una decina di minuti scarsi; quindi, emettendo dei suoni quasi animaleschi venne, liberando il suo seme nel preservativo.
Martina, ben lontana dall’orgasmo, smontò come una cavallerizza dalle gambe dell’uomo; poco importava all’esaminatore se Martina avesse goduto o meno, tutto ciò che voleva era che lei gli svuotasse le palle.
Proprio quando Martina credeva fosse tutto finito dovette però ricredersi; l’uomo infatti, dopo essersi sfilato il preservativo, si alzò in piedi e lo fece penzolare davanti alla ragazza.
“Seduta”, le ordinò; Martina si mise nuovamente in ginocchio ben sapendo che le era richiesto un ultimo sforzo, anche se forse era il peggiore.
L’esaminatore cominciò a far scendere lentamente il preservativo verso il viso della ragazza; poco prima di raggiungere l’altezza delle labbra Martina spalancò la bocca lasciando che l’uomo, dopo averglielo appoggiato in bocca, cominciasse a strofinarglielo avanti e indietro sopra la lingua fino a che non le chiese di romperlo con i denti.
La ragazza cominciò a digrignare i denti tenendo il preservativo ben stretto tra di essi finché non si ruppe facendole scivolare il contenuto direttamente in gola.
“Brava troietta…con questo ti sei guadagnata anche la lode!”, ironizzò l’uomo lasciando cadere il preservativo nella bocca della ragazza; “adesso voglio che ci giochi un po’”, le disse.
Martina tenne in bocca il preservativo facendoselo passare da una parte all’altra mentre l’uomo si accinse a sfilarle gli stivaletti dai piedi; cos’altro aveva in mente?
L’esaminatore portò gli stivaletti dall’altro lato della stanza e li appoggiò a terra.
“Che ne dici di un ultimo giretto, cagna bastarda?”, le disse riposizionandosi di fronte a lei.
La prese nuovamente per la fibbia della cintura che nel frattempo era sempre stata ben stretta al suo collo e si avviarono per un’ultima volta seguendo il perimetro della stanza.
L’uomo si fermò dapprima di fronte alla maglietta di Martina che giaceva per terra; chiese alla ragazza di raccoglierla con la bocca ed i due proseguirono il giro per soffermarsi poi di fronte agli stivaletti di Martina. “Guarda guarda”, disse l’uomo fingendosi sorpreso di trovarli lì; “di chi sono questi begli stivaletti?”, aggiunse dando una leggera strattonata alla cintura.
Martina mugugnò facendone intendere la proprietà; “sono tuoi, piccola cagna?”, disse l’uomo abbassandosi sulle ginocchia e accarezzandole la testa.
Martina annuì tenendo sempre ben stretta la sua magliettina tra i denti e il preservativo in bocca.
“Lo sai cosa fanno le cagne come te per segnare il territorio e tutto ciò che credono di loro proprietà?”, aggiunse l’esaminatore alzandosi nuovamente in piedi.
Martina annuì di nuovo; adesso le era chiaro perché l’uomo le avesse fatto bere tutta quell’acqua, non era soltanto uno stupido premio per aver completato il giro della stanza.
La ragazza restò momentaneamente pietrificata.
Non voleva farlo, le veniva da piangere al solo pensiero di rovinare i suoi adorati stivaletti; erano in assoluto i suoi preferiti e, oltre ad averli pagati a caro prezzo, li considerava anche un portafortuna.
“Dimostrami di saperlo”, disse l’uomo con tono severo; Martina esitò ancora qualche secondo prima di decidersi.
Era arrivata alla fine, aveva fatto le peggiori cose; non poteva tirarsi indietro proprio ora che l’obiettivo era raggiunto.
Martina gattonò quindi in prossimità degli stivaletti e, sollevata la gamba sinistra, cominciò ad orinare sopra uno di essi fermando il getto dopo pochi secondi.
“Mi prendi per il culo, puttana?”, disse l’uomo chinandosi verso di lei; “falla tutta”, aggiunse.
Martina sollevò di nuovo la gamba e riprese ad orinare spostando il getto da uno stivaletto all’altro; l’uomo spinse quindi gli stivaletti facendoli cadere a terra in modo che Martina potesse bagnarli anche dall’altro lato.
Un ultimo getto di piscio ricadde sulla coscia di Martina; l’uomo sfilò quindi la magliettina dalla bocca della ragazza e la utilizzò per ripulirle la gamba.
“Guarda che casino hai combinato, stupida cagna!”, le disse passando poi la maglietta per terra come fosse uno straccio ripulendo il pavimento da quel poco di orina che non aveva colpito gli stivaletti.
Dopo aver lasciato la maglietta a terra l’uomo sollevò quindi uno degli stivaletti e lo avvicinò alla bocca di Martina; “sputa fuori”, le disse.
Martina si lasciò quindi uscire di bocca il preservativo facendolo cadere nello stivaletto.
L’uomo, dopo aver riappoggiato lo stivale a terra, sputò con decisione nello stesso; “tocca a te”, disse poi alla ragazza che a sua volta chinò il capo e ci sputò dentro.
Dopo aver chiesto alla ragazza di sputarci dentro almeno altre cinque volte e dopo aver lui stesso fatto la medesima cosa, l’uomo si alzò in piedi. “Se ne vada”, disse dirigendosi verso la scrivania; “le scriverò sopra un foglio le domande che le porrò tra poche ore in sede d’esame”, aggiunse.
Martina si alzò in piedi, recuperò da terra la maglietta e se la rimise velocemente addosso, poi si guardò le ginocchia; fare il giro della stanza come una cagnolina le aveva lasciato degli evidenti segni neri sopra di esse.
“C’è un cesso qui a fianco, vada a darsi una sistemata…e cerchi di non farsi vedere da nessuno”, disse l’uomo cominciando a scrivere le domande sopra il foglio di carta.
Martina prese la sua borsetta e raccolse per i lembi gli stivaletti; fece per uscire quando la voce dell’uomo la fermò per l’ennesima volta.
“Un attimo, signorina”, disse con tono perentorio; “il gioco prevede ancora alcune regole da rispettare se vuole ottenere il suo 30”.
Martina deglutì; cos’altro poteva volere quell’uomo da lei che già non avesse ottenuto?
L’aveva insultata, umiliata, fottuta ed in ultimo le aveva rovinato la maglietta e gli stivali con cui si sarebbe dovuta presentare all’esame tra poco meno di 2 ore.
“Gli stivali devono rimanere così, non si azzardi a pulirli”, proseguì l’uomo accendendosi una sigaretta.
“Li indossi subito”, le ordinò.
Martina si infilò gli stivali senza fiatare; il preservativo le dava fastidio sotto la pianta del piede ma sapeva bene che le sarebbe stata negata la richiesta di poterlo togliere; sapeva anche che non le sarebbero stati restituiti ne reggiseno ne mutandine, perciò decise che non valeva nemmeno la pena chiedere il suo intimo indietro, anche perché le mutandine erano ormai fuori uso.
“Stesso discorso per le ginocchia”, tuonò ancora la voce dell’uomo; “c-cosa?”, replicò Martina incredula.
“Non le è consentito lavarle”, disse l’esaminatore con tono minaccioso; “le è permesso soltanto darsi una sciacquata e una ripulita al viso”, aggiunse.
“E per la maglietta…non le è concesso cambiarla, ma può sempre provare a pulirla…”, disse in conclusione ridendo ben sapendo che si trattava di un’impresa impossibile visto il poco tempo che mancava all’esame.
Martina stava quasi per piangere, aprì di scatto la porta ed uscì.
Fortunatamente nessuno era presente nel corridoio in quel momento; la ragazza entrò quindi in bagno e dopo essersi guardata allo specchio cominciò a darsi una sciacquata al viso e a sistemarsi il trucco, domandandosi dove avrebbe trovato il coraggio per presentarsi in aula davanti a tutti conciata in quella maniera.


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