E’ quasi un anno che ci siamo trasferiti a Lugano e la nostra vita ha imboccato un percorso che alla fine risulta strano, forse lontano dalle previsioni e dai desideri.
Tina è riuscita ad avviare la sua fabbrica dove si producono strumenti di precisione dalla destinazione assai segreta: il mio sospetto è che siano particolari pezzi di qualche arma, visto che sono sotto il controllo dell’autorità militare; ma la denominazione ufficiale parla genericamente di “meccanismi per calibri” e non conviene a nessuno fare domande.
La sua vita è dedicata tutta al lavoro: e la cosa non meraviglia nessuno, visto che da sempre è stato così; ma quando ci si vedeva per poche ore, dopo attese di giorni, l’amore esplodeva quasi inevitabile; adesso, averla tutte le sere a casa e tutte le notti nel letto con la testa ai calcoli di fabbrica, rende assai più difficile avere autentici slanci; insomma, l’amore si va acquietando nella routine e trova sempre meno spazio nelle preoccupazioni del lavoro.
Paradossalmente, lei sembra avere sempre più vivaci e importanti interessi in comune con qualcuno dei collaboratori (soprattutto tra quelli che insieme a lei hanno contribuito alla crescita, dolorosa, della fabbrica) che non con me che, lavorando in un’altra azienda, non sono neppure in grado di condividere le sue ansie; decisamente, la vita a Lugano, nella bellissima villa sul lago attaccata alla fabbrica, ci allontana assai più di quanto avessi potuto immaginare.
Le visite al cimitero a Milano, sulla tomba di mia madre, sono per me un appuntamento settimanale irrinunciabile: ogni sabato, tormenta o sole a picco, sono davanti al marmo a deporre anche solo un fiore e a parlare con lei per qualche minuto.
Per i primi due mesi, Tina ha fatto sempre in modo da tenersi libera per accompagnarmi: molto spesso ne approfittavamo per fare un giro spensierato, per goderci la nostra vita; subito dopo, il lavoro ha cominciato ad essere più pressante ed importante di tutto, sicché ho imparato presto che la mamma è mia e che mi tocca gestirmi da solo il viaggio di andata e ritorno, che faccio con gioia, per mia madre.
Capisco che è sempre meno valido il legame tra noi e che, prima o poi, qualcosa ci separerà; ma non voglio che avvenga e cerco di cancellare cattivi pensieri; intanto, studio con l’ufficio dove lavoro un progetto pazzo per una nuova tecnica di produzione e i risultati sembrano incoraggianti, al punto che si prospetta l’ipotesi di aprire nell’hinterland di Milano una fabbrica apposita che funzioni di supporto a quella svizzera; in questo caso, mi hanno già ventilato l’ipotesi di andarla a dirigere ma mi sono riservato di rispondere; in una delle visite al cimitero, al cancello d’ingresso, mi scontro quasi fisicamente con Nicla che mi appare come una visione.
“Nicla, come mai sei qui, hai morti da visitare?”
“No, aspettavo un vivo; aspettavo te.”
La guardo meravigliato e quasi non riconosco nella donna vestita modestamente, senza trucco, con l’aria mesta, la meravigliosa ragazza che è ancora certamente, se curata opportunamente; le chiedo conto, naturalmente, e con una umiltà che mai le avrei attribuito mi dice che versa in acque molto cattive, la fabbrica dove lavorava ha cambiato proprietà e si trova senza lavoro, con pigioni arretrate e debiti a cui fare fronte; le chiedo perché non ne ha parlato con la madre; ha cercato di farlo, ma è stata respinta in molti modi: chiamate rifiutate, deviazioni alle segretarie; insomma, Tina le ha risposto solo per dirle che non vuole più avere a che fare con una troia.
Ci resto basito; telefono a Tina, per capire; quando accenno all’incontro con Nicla, effettivamente mi sbatte in faccia seccamente che di quella troia non vuole saperne più e che stavolta non si farà smuovere dal mio buonismo; per non sbagliare decisione, chiedo a Nicla di dirmi se veramente sua madre ha motivo per essere tanto risentita nei suoi confronti; mi suggerisce di chiamare Francesco, se voglio avere la coscienza a posto; lo faccio e Francesco mi conferma che la rigidezza della madre è inspiegabile, visto che Nicla è profondamente cambiata in quei mesi; lui, purtroppo, non può esserle d’aiuto perché stenta a tirare avanti, con la compagna che non lavora, col suo solo stipendio e col figlio in arrivo; ma neanche con lui sua madre fa niente per alleviare i problemi.
Con lo smartphone, mi faccio dirottare dal conto comune con Tina alcune migliaia di euro e chiedo a Nicla di indicarmi il percorso per saldare le sue pendenze e per sanare la situazione dell’affitto; si schernisce con forza, ma le ricordo che le sono debitore almeno dell’incontro con Tina, che non ho dimenticato l’amore che ho provato per lei e che ancora mi è molto più cara di quanto possa credere, specialmente se, come ha detto suo fratello, è profondamente cambiata; mi invita a casa sua: quando sono a Milano, posso andare a trovarla, le farebbe solo piacere anche sapere come sta sua madre; non me la sento di mentire e le confesso le mie perplessità; quasi a confermarle, mi arriva una telefonata proprio di Tina che è stata avvertita, per prassi, dell’attività sul conto e chiede cosa ho fatto; rispondo che ho dirottato dei fondi per aiutare una persona: comincia ad indagare e sono costretto ad essere duro.
“Ti fidi dei tuoi dipendenti? E allora perché non ti fidi di me? Se avessi giocato al casinò dovrei rendertene conto?”
Il tono della mia risposta deve allarmarla perché immediatamente si rabbonisce e mi avverte che non sarebbe stata in casa forse fino a lunedì perché è fuori per il week end.
Divento perfido.
“Col Bellarmini?”
Stacca la comunicazione e capisco che il nostro idillio è finito.
“Mi spiace, Nicla, ma tua madre mi ha iscritto nel libro nero.
“Porto male a tutti quelli a cui voglio bene, io.”
“Puoi ripetere, per favore? A chi porti male? A chi vuoi bene? Allora mi vuoi bene?”
“Stupido, conosci quali vette raggiunge il mio orgoglio? Se non fossi ancora tanto innamorata di te, se tu non fossi la persona più cara per me, credi che sarei qui a chiederti aiuto?”
“Ti piace camminare sul ciglio dei burroni?”
“E’ una delle esperienze che mi affascinano di più, specialmente se mi accompagna una persona cara!”
“Nicla, stiamo cadendo nel baratro, lo capisci?”
“Da quanto non fai l’amore, quello vero?”
“Da più di una settimana. E tu?”
“Non so se l’ho mai fatto; per certo so che da quattro mesi non copulo e che non ne sento la necessità; però adesso, accanto a te, con queste stupidaggini, mi sta montando la voglia di amore: non di fare l’amore o di fare sesso; di amarti e di essere amata da te.”
“Questa non l’avrei mai prevista. Hai da mangiare in casa?”
“Quasi niente; se vuoi, posso prepararti qualcosa ma mi devi fare la spesa; non ho un centesimo.
“Andiamo a pranzo fuori. Puoi farti bella per me?
“Con quel poco che ho … “
“…. E con quel tantissimo che sei.”
Stiamo andando a casa sua; per ironia della sorte, abita vicino a dove ho vissuto per anni e dove è morta mia madre; la guardo negli occhi e ci intendiamo: io che ho vissuto quella vita, non trovo giusto che si vergogni, come sembra che faccia, anche se l’ambiente è certamente povero; si lava in un catino e cerca tra povere cose le meno maltrattate; chiede in prestito a un vicina una trousse per il trucco ed io sorrido ricordando le ragazze della mia infanzia; mi intende al volo, sorride ed è come si illuminasse: dopo dieci minuti è bella come la ricordavo e i suoi vestiti sembrano tanto casual, per l’innato senso dell’eleganza con cui li indossa.
Andiamo in una trattoria là vicino e ci sediamo a mangiare; il telefono mi perseguita, anche di sabato; è il proprietario della fabbrica in cui lavoro che mi sollecita un risposta perché ha appena concluso un contratto e la sede di Milano lunedì deve essere attiva; gli dico che sono a Milano e che se mi dice come muovermi posso restarci; mi dà le indicazioni per assumere il comando e farmi consegnare l’appartamento che mi spetta, mi dice che lunedì mi assegneranno una segretaria; guardo Nicla e mi viene un lampo.
“Quella ce l’ho io; è laureata, esperta, bellissima e posso assumerla qui, seduta stante.”
“Ma offre garanzie?”
“Ti basta sapere che è la figlia di Tina?”
“Non te la fare scappare, riempila d’oro, se è necessario. Sai che soddisfazione? Allora mando in sede i contratti e voi li firmate.”
“Tra meno di un’ora sarà tutto definito.”
“Sei un grande; vieni da me appena hai sistemato tutto … e portati la tua segretaria.”
“Nicla, da questo momento non sei più disoccupata, se accetti di lavorare come mia segretaria.”
“A Lugano?”
“No, da lunedì il mio ufficio è qui a Milano e, insieme, ho anche un appartamento che, se ti sta bene, puoi dividere con me.”
“A patto che qualche volta mi fai dividere anche il letto e un poco del tuo amore.”
“Non ci vai mica leggera: ti piace fare le corna a tua madre!”
“No; sono sempre più convintamente innamorata di te; e sono disposta a fare l’amante nell’armadio, se me lo chiedi.”
Finiamo di mangiare e corro alla nuova sede, dove il custode mi apre l’ufficio e mi indica l’appartamento nella stessa area; chiedo a Nicla di visionarlo mentre io prendo coscienza dei lavori da fare; tra le altre cose, trovo una carta di credito aziendale; telefono in banca; una segreteria telefonica mi assicura che la carta ha valore illimitato ed è disponibile da subito; raggiungo Nicla e visito l’appartamento che è assai carino ed ha un letto matrimoniale; lei mi guarda ammiccante.
“Stasera … Intanto prendi la macchina, va al centro commerciale che abbiamo visto venendo qui, compra tutto quello che può servirci, senza guardare i cartellini del prezzo; questa carta ci rende onnipotenti. Torna con tutto quello che ci permetta di essere due innamorati nella loro prima casa, la prima sera. Ho voglia di cominciare questa nuova vita con te.”
“E Tina?”
“Si sta già consolando con Bellarmini: devo solo ricambiarle la cortesia e prepararmi ad una lotta feroce.”
“Lo sai che da oggi sarò sempre al tuo fianco?”
“Una segretaria deve possedere tutti i segreti del capo …. E condividerli.”
“Posso dirti una sola parola? … Ti amo.”
“Ti credo; io non ti amo ancora come voglio, come posso e come devo; ma sento che ci vorrà poco per arrivarci.”
Quando Nicla ritorna, organizziamo in casa quello che ha comprato poi la lascio per tornare a scartabellare tra i faldoni per impadronirmi dei sistemi di lavoro; passo quasi l’intero pomeriggio tra le scartoffie e, all’imbrunire, torno in casa e sento un buon profumo provenire dalla cucina; mi affaccio e la trovo a spadellare.
“Sto preparando due bistecche, il minimo per cenare e poi fare l’amore. Sei d’accordo?”
“Tutto quello che decidi va bene per me, soprattutto quando si tratta di fare l’amore.”
Ceniamo al tavolo di cucina, con il minimo indispensabile; per accentuare l’atmosfera, accendo una candela e spengo le luci: sembra di essere due innamorati senza un soldo che vivono d’amore; vedo che piange, l’accolgo tra le braccia, appoggio la testa sulla mia spalla e l’accarezzo.
“Nicla, al di là dell’amore, che non è un obbligo per nessuno, sono felice di vederti tornare a splendere.”
“Scemo, senza l’amore, senza il tuo amore, senza il nostro amore, tutto questo non vale niente. Come te lo spiego che se non c’è fusione anche fisica, tutto resta solo parole? Sono felice di stare con te, ma voglio anche sentirmi viva e sentirti vivo dentro di me. Facciamo l’amore, poi tutto andrà per il verso giusto.”
La sollevo da terra quanto basta per spostarla sul letto e sdraiarla; salgo sopra di lei mi ci distendo addosso, cerco di sentirla con tutto il corpo facendo aderire le membra alle sue; ci spogliamo con mille acrobazie, senza sollevarci dal letto; scopro come nuovo il suo corpo che conosco ma che mi appare stupidamente verginale in quella situazione quasi irreale; e sento che mi monta una voglia irrefrenabile: il sesso duro preme contro il suo ventre; lo libero da pantaloni e mutande, sfilo i suoi vestiti e adagio il membro tra le cosce, muovendomi come a possederla; mi guarda sorpresa e mi chiede se intendo farlo così.
“Sarebbe molto affascinante fare l’amore da ragazzini; ma io ti voglio sentire viva, come tu hai detto.”
E il sesso si gonfia, per il sangue che affluisce, sfiora la vulva e comincia a penetrarla; geme dolcemente, mentre la cappella carezza l’interno della vagina e si spinge sempre più su, sempre più avanti; con un colpo di reni faccio sbattere la punta contro l’utero; trattiene per un attimo il respiro, poi sento colare umori d’orgasmo e avverto le contrazioni che si scaricano in continuazione; sollevo la testa e guardo le strane smorfie che fa seguendo il ritmo del godimento che si accentua continuamente finché, ad una spinta più decisa, mi esplode sul membro un orgasmo decisivo, mentre mi urla nell’orecchio un “ti amo” infinito; mi adagio su di lei e lascio che il membro le spruzzi dentro la mia eiaculazione dolce, sensuale, intensa.
Ce ne stiamo un poco così, abbracciati e teneri; si vorrebbe muovere, forse per fare sesso con più intensità; ma non voglio, non mi va di esercitare la nostra esperienza sessuale in un amore che sta nascendo così tenero; siamo due perversi e lo sappiamo, ma per la prima volta, insieme, contemporaneamente e con la stessa voglia stiamo facendoci un amore delicato, infantile, che riempie di gioia i nostri occhi e non se ne frega delle grandi esplosioni o delle violente cavalcate; ci deliziamo con la dolcezza del nostro amore e dei baci.
“Non vuoi vedere i vestiti che ho comprato? Ci sono gonne e camicette bellissime, provocanti, ho comprato tanga e perizomi da farti strabuzzare gli occhi. … ti amo e voglio essere bellissima, solo per te, voglio sentirmi sempre felice come in questo momento; vorrei cristallizzare quest’attimo e, forse, morire qui per non perderlo più.”
“Io invece te l’ho già detto che non sono certo di averti dato tutto l’amore che posso, ma so di amarti e voglio farlo ogni giorno di più; non mi accontento di quello che ho, voglio quello che ancora possiamo darci. Abbiamo un giorno pieno (e due notti) da vivere da ragazzini che scoprono l’amore. Cosa vuoi farne?”
“Stanotte mi ami allo sfinimento; cerco di restituirti in parte quello che ti ho sottratto per anni e cerco di riappropriarmi di quel che poteva essere mio e che ho ceduto a lei. Domani mi porti alle giostre, come tutte le ragazze al primo appuntamento; poi la notte mi fai tante coccole e tanto amore. Lunedì ti garantisco che avrai a fianco l’efficienza fatta persona.”
“Va bene. Hai comprato un pigiama anche per me?”
“Certamente, con gli orsetti, per te; con gli elefantini, per me.”
“Sei semplicemente adorabile!”
La serata passa così, tra coccole e svenevolezze, carezze e baci, giochetti stupidi e paroline dolci; solo una volta passa il custode a chiedere se tutto è in ordine e se abbiamo bisogno di qualche cosa; passano anche gli uomini della sorveglianza, a presentarsi al nuovo direttore e ad assicurare che tutto va bene; visto che l’aria è gradevolmente primaverile, ci sediamo alla tele a non guardare niente e beviamo due dita di cognac; poi torniamo a fare l’amore: e questa volta ci scateniamo con le nostre abilità.
La domenica mattina la passiamo veramente alle giostre, come aveva chiesto Nicla, e andiamo a pranzo in un ristorantino sui navigli, per continuare a vivere (non a recitare, ma a vivere intensamente) il ruolo di innamorati giovani e impacciati che in questo momento siamo; andiamo anche a cinema e approfittiamo del buio per pomiciare seduti agli ultimi posti: è paradossale, per noi che sempre abbiamo avuto a disposizione letti dove rotolarci a fare sesso spesso in ammucchiate giganti, trovarci qui nel parziale buio della sala, a scambiarci effusioni, carezze intime e baci appassionati come tutti i ragazzi del mondo: ma questa è forse la vera cifra del nostro amore.
Ceniamo ancora fuori e rientriamo a casa dove ci aspetta il letto del nostro primo giorno di vita comune e dove ci scateniamo ancora a dare saggio della nostra lussuria nei modi più svariati: prima di prendere sonno, facendo appello a tutta l’esperienza maturata in anni di sfrenata libertà sessuale, Nicla mi stende supino sul letto, mi spoglia a morsi e baci aprendomi con le labbra e coi denti ogni singolo bottone, sfilandomi, sempre con la bocca e coi denti e con poco aiuto delle mani, maglietta, calzini e pantaloni finché mi inchioda, letteralmente, nudo al centro del letto e mi chiede di non muovermi finché non mi ha assaggiato tutto: effettivamente, dalla linea dei capelli sulla fronte, attraverso il viso e il torace, mi lecca, mi bacia e mi mordicchia su tutto il corpo provocandomi una serie infinita di brividi che per tutta la pelle si trasmettono al sesso e mi provocano una voglia irresistibile di penetrarla, di farla mia, si sentirla fremere altrettanto; ma non si ferma finché non arriva ai piedi e, tornando indietro, mi afferra l’asta tra le labbra e dà il via ad una fellatio decisamente artistica: vorrebbe sentire in bocca il sapore dello sperma e l’urto degli spruzzi sul palato, ma glielo impedisco per non arrendermi troppo presto; la rovescio e la costringo supina sul letto, come aveva fatto con me.
Parto io per una esplorazione metodica del suo corpo, che denudo lentamente, anch’io attivando solo bocca e denti, con pochi aiuti delle mani, tiro via progressivamente il vestitino, il reggiseno e il perizoma; non porta calze e me la trovo nuda in tutta la sua bellezza non solo immutata nel tempo ma anche rinata dopo il nostro incontro al cimitero; la bacio tutta, dai capelli ai piedi e mi soffermo su ogni particolare amandola con tutto il mio essere; specialmente sulle tette e sui capezzoli, mi soffermo a lungo, riuscendo a provocarle intensi brividi ed un grande orgasmo che quasi la debilita; la stessa cosa succede quando scendo a leccarla tra le cosce e mi impossesso della vulva per martoriarla con leccate che la fanno urlare di piacere; solo quando non resiste e mi implora di possederla, mi accorgo di non farcela ancora neppure io, le salgo addosso e la penetro di colpo in vagina con una lussuria che ci travolge: pochi colpi e mi trovo ad eiaculare, accompagnato dal suo orgasmo più lungo e più sofferto del mio.
Mentre ancora sono dentro di lei e il mio membro ormai barzotto tende a scivolare fuori, mi supplica quasi.
“Prendimi nel retto, per favore; voglio sentirti nello stomaco, se necessario.”
Non mi sposto di molto e lascio che la sua mano, accompagnando fuori il membro, gli ridia vita con la sua carezza; quando lo sente abbastanza duro per il suo piacere, mi chiede di non fare niente, abbassa lentamente la cappella verso l’ano, e riesce a farsi penetrare con mille contorsioni che portano il suo didietro all’altezza del membro, a farlo entrare, stringendo i denti per la posizione dolorosa, e a stare ferma guardandomi diretto negli occhi: muovendomi prima lentamente poi con sempre più foga, riesco ad eiaculare nel retto e a sentire il suo orgasmo anale che mi inonda il ventre; quando ci siamo un poco rilassati, riprende a baciarmi, senza sfilare il sesso, e vuole farmi ritornare duro per copulare ancora; la prego di rinunciare perché domani si comincia a lavorare, lei non sa ancora come lavorano gli svizzeri; ed io ho delicate pratiche da risolvere all’alba.
Sembra arrendersi malvolentieri e si sfila di colpo ribaltandomi e riprendendomi a baciare su tutto il corpo mentre i suoi “ti amo” echeggiano ogni momento nella camera; finalmente va in bagno; io cado addormentato e non mi accorgo più di niente.
Il primo compito per me è incaricare l’avvocato dell’azienda di saldare le pendenze e sistemare le condizioni di Nicla col vecchio appartamento che ovviamente lei lascia per trasferirsi con me; subito dopo, contatto a Lugano la banca dove sono i conti, sia quelli individuali sia quelli comuni, per chiedere di trasferire sul mio le competenze presenti nel conto comune, che non sono poca cosa; non appena la banca compie l’operazione e mi avvisa con un messaggino sul telefono, so che si sono aperte le ostilità con Tina e la sua telefonata tarda solo pochi secondi.
“Allora, mi spieghi cosa sta succedendo?”
“Se tu in passato mi avessi spiegato quello che stava succedendo a te, oggi non saremmo a questo punto.”
“Touchè. Dove sei, possiamo parlarci faccia a faccia?”
“Sono a Milano; quindi, solo in teleconferenza, se vuoi.”
“Che ci fai a Milano?”
“Dirigo la nuova sede della fabbrica per cui lavoro.”
“Ah, l’hanno realizzata?”
“Si; e la dirigo io.”
“Ti sei trasferito?”
“Fifty fifty; la sede primaria è Lugano, ma io lavoro qui prevalentemente. Se apri la teleconferenza ti faccio conoscere la mia segretaria.”
Mi accorgo che è perplessa, poi sento il segnale del collegamento e mi connetto; mi appare Tina in tutto il suo splendore.
“Complimenti; ti fanno bene le gite in campagna.”
“Beh, qui non abbiamo il vostro smog. Allora quando ci si vede?”
“Mia madre venivo a trovarla una volta alla settimana; potrei fare lo stesso con te, Bellarmini permettendo, naturalmente.”
“Cosa hai contro Bellarmini?”
“Io niente, assolutamente; sei tu che forse qualche volta condividi il letto.”
“E allora? Trovati anche tu una Bellarmini e saremo pari.”
“Tina, questa è Nicla, la mia segretaria personale ed anche la mia Bellarmini, per intenderci.”
“Ciao, Tina, complimenti, sei sempre molto in forma.”
“Ah, quindi hai assunto la troia!”
“Troia non so; figlia di troia è garantito e dimostrato.”
Stacca rabbiosa la conversazione; ma non è donna da arrendersi facilmente; squilla il telefonino di Nicla che mi fa leggere il mittente, Tina; le suggerisco di lasciarla sfogare e di non istigarla, per favore; apre il vivavoce.
“I soldi che ha preso sabato erano per te? Devo dedurre che stai rinnegando tua madre?”
“Mia madre quando le ho telefonato per dire che ero nella cacca mi ha tirato un calcio in faccia e mi ha mandato sotto, ho chiesto aiuto alla persona che mi fosse sentimentalmente più vicina. No, non ho rinnegato quella troia di mia madre; l’hai sentito Carlo; mi sento profondamente troia e figlia di troia. Però tu non solo mi hai respinto quando ho chiesto aiuto ma non hai mai mosso un dito per sapere come stavo; ed io per mesi sono stata male. Tu non chiedi notizie di Francesco e quindi non sai che ha problemi economici e che aspetta un figlio. Non ti rinnego; mi sono ripresa il mio amore, perché, è vero, sono una troia, ma dopo aver disprezzato quello che avevo e averlo concesso ad un’altra quasi come uno scarto, sono andata a mendicare per riaverlo, perché ho capito il mio errore. Se lui ora mi vuole, sono pronta anche a condividerlo con altre o a fare l’amante clandestina, ma voglio il suo amore e gli darò tutto l’amore di cui sono capace che, grazie a te, ho scoperto essere tanto, tanto, quanto non puoi immaginare. Soddisfatta?”
“Quindi ho perso irrimediabilmente Carlo?”
“Per favore, non recitare la Giulietta con me; non ti ammazzerai. Sei un’industriale e guardi il prodotto; hai quasi quarantacinque anni e lui meno di trenta; hai temuto che fra poco si sarebbe reso conto che sei vecchia e avrebbe potuto pentirsi: non Carlo, non lui che è troppo rigoroso con se stesso, prima che con gli altri; ma tu hai avuto paura e ti sei costruita l’alternativa con l’anziano che ha lavorato con te in Svizzera da sempre; quando sarete vecchi, vi farete compagnia, se non gli farai tante di quelle corna che scapperà; hai fatto un’operazione di marketing e hai scoperto che l’amore non è marketing. Adesso, per favore, lasciaci lavorare. Se e quando vuoi, possiamo anche accettare una rimpatriata, sperando che non scada in rissa familiare. Ciao, buona giornata e arrivederci.”
“Sei spietata e, come sempre, dici cose vere mescolandole ad opinioni con la presunzione della verità. Ma ti voglio bene lo stesso; ed amo più di quello che tu immagini il tuo uomo, che non è più mio. Ciao.”
“Non ci sei andata leggera, però. Ha ragione anche lei: hai detto grandi verità, ma alcune interpretazioni possono anche essere discutibili. Sei diventata assai più meditativa e razionale. Mi piaci, al di là del’amore. Ora lavoriamo davvero!”
Mi ci vogliono alcuni giorni prima che la fabbrica cominci a diventare operativa; ma prima del week end le maestranze sono in grado di avviare la produzione; nel giro di pochi mesi, la fabbrica produce a pieno regime ed io sono ancora in condizioni di massima precarietà; Nicla mi dà una grandissima mano, ma la sua posizione è ibrida, non formalizzata: non può considerarsi segretaria perché per quel posto c’è la ragazza che già c’era e che è molto capace; lei opera da jolly, vale a dire come figura non totalmente subalterna, di rappresentanza, in qualche modo, ed è molto brava, in quel ruolo; quando mi sembra che tutto sia avviato, avverto il proprietario, Mario Brambilla, e ci accordiamo per andare a trovarlo il fine settimana; naturalmente, chiede che ci sia anche Nicla la cui collaborazione è stata veramente di grande aiuto; partiamo in macchina un venerdì, nel primo pomeriggio, e solo durante il tragitto mi viene in mente che forse è opportuno parlare con Tina per sapere se posso tornare nella casa che ancora, teoricamente, è nostra o se devo cercare altre soluzioni; attivo il vivavoce e la chiamo; si sentono rumori ambigui e mi risponde con voce impastata.
“Senti, Tina, io sto venendo a Lugano con Nicla per parlare col padrone della fabbrica: possiamo alloggiare da te o dobbiamo cercarci soluzioni?”
Si sente che manovra per sistemare qualcosa e alla fine mi risponde ansiosa.
“No, no, venite a casa: in fondo sei ancora il mio amore e lei è pur sempre la figlia che amo ed odio.”
“Perfetto: dieci minuti e siamo da te.”
Mentre parcheggio nel cortile, noto la macchina di Bellarmini che esce; glissando la specifica situazione, entro disinvoltamente con le chiavi che posseggo e che forse oggi lascerò definitivamente; Tina si precipita giù dalle camere con indosso solo una vestaglia; va ad abbracciare Nicla che la bacia affettuosamente su una guancia.
“Mi avete colto di sorpresa: stavo riposando.”
Sorrido sornione: riposare in vestaglia il venerdì pomeriggio, dopo la chiusura della fabbrica, non è nel suo stile: molto più probabile che si preparasse ad una notte brava col suo nuovo amante; ma Tina è determinata a riconquistare quello che sente che le sta sfuggendo; si struscia come una gatta ed emana un fortissimo odore di sesso che inevitabilmente ci travolge: quando bacia Nicla sulla bocca, la figlia non si sa sottrarre e ricambia con molta passione; infine, ci trascina quasi a forza verso la sua camera, dove il letto appare disfatto non da un riposino ma da una battaglia: la guardo negli occhi e sembra rispondermi che non sono affari miei; mi giro dall’altra parte, nauseato, e lascio che mi apra la patta e prenda in mano il sesso sperando di farlo indurire.
Sono così tanto arrabbiato con lei che non mi riesce proprio di farlo rizzare, anche se il suo odore, l’ambiente, la situazione tutta mi ispira grande voglia di fare l’amore; ma non con lei; le viene involontariamente in soccorso Nicla, che non si è resa completamente conto della situazione e si comporta secondo le nostre abitudini amorose; lo prende in mano alla radice e comincia a masturbarmi come mi piace: il membro si erge superbo e la figlia imbocca la madre che lo ingoia fino alle tonsille; Nicla le infila una mano nella vulva e mi guarda spaventata, di fronte alla voragine che trova nella vagina; le faccio segno di tacere mentre la troia continua ad affannarsi con la fellatio che mi provoca sensazioni estreme di piacere ma mi lascia in gola il senso di rabbia di una tecnica molto poco amorosa: mi rifaccio baciando Nicla e la sua bocca mi dà tutte quelle sensazioni che cerco; Tina non si accorge che sta cercando di stuprarmi mente io sto amando sua figlia; ha troppa voglia di rimpossessarsi di me, non lo nasconde e mette in campo tutte le sue conoscenze per abbattere la mia ostinazione; guardo negli occhi, intensamente, Nicla e dico con precisa intenzione.
“Due vecchie troie come noi non cedono le armi di fronte a nessuno.”
“Sarò anche una vecchia troia, ma con te sono solo una donna innamorata e mi basta guardarti per godere.”
Tina è davvero fuori di se: per lei è uno scontro da vincere, una gara in cui arrivare prima di Nicla, costi quello che costi; stiamo al suo gioco e ci spogliamo a vicenda, con molto amore, accarezzandoci continuamente: come in quasi tutto quello che riguarda Tina, la situazione è surreale, con una donna che cerca ad ogni costo di riconquistare l’amore perduto e due giovani amanti che se lo dicono in tutti i modi davanti a lei che sfodera la tecnica per affascinarmi.
“Ti offendi se ti dico che sembri proprio la protagonista di ‘una noche mas’, adesso?”
Nicla guarda sorpresa; Tina è interdetta e fa segno di si con la testa.
“No, mamma, ti prego: l’elemosina no! Sarebbe indegno. Carlo, ti prego, non infierire; fallo per me.”
“Ma non hai capito che è tutta slabbrata perché stava scopando con l’altro quando siamo arrivati?”
Nicla mi guarda feroce.
“Non mi interessa quanto e con chi fa sesso. Voglio l’amore di mia madre e se lo prendi insieme a me sono ancora più felice.”
“Lasciate che vi ami insieme, contemporaneamente: forse riesco a recuperare.”
Tina sembra comunque non rendersi conto, mentre la sdraio supina sul letto e mi inginocchio tra le sue cosce; Nicla si va a sedere sulla sua faccia e le dà la vulva da baciare e da leccare; lei si lancia a succhiare come un’affamata: forse è dalla prima volta che copulammo, che non assaggia la vulva di sua figlia o di una qualsiasi donna: sembra essere più attenta al piacere che dà a Nicla (e gliene dà tantissimo, a giudicare dai gemiti dell’altra) che non a quello che può procurarle in vagina il mio membro, forse perché è appena reduce da una copula e il mio membro per lei è quasi consuetudine; si lancia comunque in ardite evoluzioni e rovescia le situazioni mettendosi carponi sul letto e affondando la testa tra le cosce della figlia, mentre cerca di impalarsi sul mio membro con l’ano che trovo fin troppo disponibile (il Bellarmini si occupa di tutti i fori, evidentemente). Nicla esplode in una goduria enorme e Tina si solleva a sedere sul letto soddisfatta.
“Tu, come al solito, resisti all’infinito.”
“Una vulva slabbrata e un ano spanato non mi attizzano più!”
“Come ti permetti?!?!?”
“Beh, mamma, non c’è niente di male: anch’io ho sentito la vulva molto rilassata; forse è per l’età.”
“Ma che dici? L’età? La mia vagina è sempre stata più giovane della tua!!!”
“Non quando hai appena finito di farti sbattere dall’ultimo tuo amante e ci fai entrare il penultimo: chiaro che vagina e ano hanno risentito delle botte che sono state interrotte mentre arrivavamo; ho visto la macchina del tuo ganzo andare via. Neanche con Pasquale eri stata così troia. Hai tradito il principio fondamentale del nostro rapporto, la lealtà; e questo mi suggerisce che tra noi l’idillio è finito: posso continuare a montarti, specialmente se me lo chiede Nicla; ma l’amore ormai appartiene ai ricordi.”
“Va bene; si, avevo appena copulato con Mario; lui mi garantisce la vecchiaia; se ti va, possiedimi, altrimenti mi arrangio. Quello che per me è certo e stabile, è il mio lavoro; e su quello tu non conti un bel niente.”
Nicla è quasi sul punto di piangere.
“Carlo, per favore, sii ancora più buono di quello che sei di solito; io voglio l’amore di mia madre, a qualunque costo, al di là di qualunque cosa; e voglio l’amore del mio uomo anche se non mi ami abbastanza, secondo te. Ti prego, per amor mio dimentica tutto, ama il tuo grande amore di ieri ed ama il tuo piccolo amore di oggi; facci fare l’amore con te e tra di noi; facci trovare per un’ora l’armonia, la gioia di stare abbracciate, il piacere della vita, del sesso. Come vedi, non ti chiedo una notte d’amore e di bugie; ti chiedo per un’ora di essere quello che sei stato sempre per noi, innamorato di tutte e due, desideroso di darci sesso e amore a tutte e due. Posso contare sul mio pilastro?”
“Te ne approfitti perché sai che non ti dico mai di no; però, Tina, ti prego di parlare il meno possibile e, se ti riesce, di non dire imbecillità. Amaci e fatti amare per questo momento felice. Poi tornerai a farmi la guerra, visto che ti diverte.”
“Imbecille!!!!” mi sussurra; ed intanto mi abbraccia con forza “è paradossale ma io ti amo come la prima volta.”
E’ davvero una maledetta, sa il fatto suo e, se decide di prendersi qualcosa, trova il percorso giusto per ottenerla: sono estremamente eccitato perché ho visto quanto piacere ha dato a Nicla; sono stimolato da tutte e due, perché alla fine ne sono stato e ne sono ancora innamorato, in maniera certamente ambigua ma esaltante; so che la figlia vuole l’amore della madre e che, se voglio farla felice (ed io lo voglio e so di volerlo) devo creare una situazione d’amore per tutte e tre; so che non siamo di primo pelo e che possiamo veramente darci tanto piacere, se non amore vero; e allora decido di disarmare e di amarle col cuore, sinceramente, come se fossimo veramente ingenui e puri.
Le rovescio sul letto e comincio a baciarle alternandomi tra l’una e l’altra; Nicla mi obbliga a stendermi supino sul letto e mi monta sul viso, schiacciandomi la vulva sulla bocca: istintivamente comincio a leccare e succhiare gli umori che abbondanti le colano; intanto sento che Tina mi è montata sopra e si sta impalando: in condizioni normali sarebbe la vulva, ma in questo momento può darsi anche che si sia penetrata nell’ano, non mi interessa: comunque picchio dal basso in alto; giro gli occhi all’armadio e, nello specchio, vedo che si stanno leccando e succhiando: avverto l’orgasmo di Nicla dalla massa degli umori che mi inondano il viso; e non credo di essere stato solo io con la lingua a stimolarli; colgo l’esplosione di Tina dalle contrazioni, della vagina o del retto, sul mio sesso; eiacula dal sedere senza domandarmelo e sento che ogni spruzzo è orgasmo per tutte e due perché il piacere si dipana dalla vulva alla bocca di Tina che lo trasmette al seno di Nicla che mi esplode più volte in bocca; vanno avanti così per un bel poco e qualche volta mi sento tanto giocattolo in mano ad Erinni che si prendono e mi posseggono alla grande; alla fine, in maniera quasi ridicola, mentre loro si alternano in bagno, chiedo.
“C’è in casa qualcosa da mangiare?”
“No, il personale è in libertà; bisogna andare fuori.”
Telefono al Brambilla, gli dico che siamo arrivati, che siamo a casa di Tina e che ci prepariamo ad andare a cena; mi suggerisce un locale dove anche lui sta per andare a cenare; accendo il vivavoce e faccio ascoltare anche le due.
“Ti infastidisce se a tavola c’è anche Tina?”
“E perché mai? Siamo concorrenti, ma ci frequentiamo e ci stimiamo!”
Tina fa cenno che è d’accordo; a Nicla non lo devo quasi chiedere: basta che stia con me, viene volentieri; solo, mentre siamo un poco più vicini, mi provoca.
“Ti rendi conto che questa è una delle odiose cene di lavoro?”
“Amore, se vuoi mando tutto all’aria e ci rifugiamo in una trattoria io e te.”
“No; ho ricucito un poco con mia madre; meglio se le sto vicina.”
Il tavolo è da VIP, la cena è offerta dal Brambilla ed è decisamente buona; dopo i primi impacciati discorsi formali, Brambilla accenna vagamente al lavoro e gli propongo di vederci domani mattina in ufficio per approfondire; Tina invece ne approfitta per provocarlo su una questione pendente tra loro: lui possiede il quaranta per cento della sua azienda, Tina ha rilevato il venti, il figlio del Brambilla ha un altro venti e resta un venti per cento che non si sa a chi appartenga; io e Brambilla sappiamo che quelle azioni sono state il compenso a me per il progetto milanese, insieme alla proprietà di una villa nei pressi che quasi non conosco; a Tina non ho avuto il tempo materiale di dirlo; adesso mi rendo conto che è meglio se sto zitto; Brambilla mi guarda interrogativo; faccio cenno di glissare; Nicla chiede di che si parla, Tina, con un gesto della mano, sembra quasi scacciare con fastidio la domanda.
“Tu pensa all’amore; queste sono questioni da grandi, che non puoi capire.”
Senza neppure rendermene conto, scatto piccato e offeso.
“Sai Tina, ti ho sentito più volte accusare Nicla di arroganza e qualche volta hai avuto ragione; ma adesso so che anche in questo è il tuo sangue che scorre nelle sue vene, perché sei arrogante e offensiva: io e Nicla gestiamo una fabbrica a Milano con grandi risultati, ma per te siamo dei cretini; nel tuo delirio di onnipotenza, tutti sono cretini. Congratulazioni!”
Colpita e affondata; non me lo aspettavo: prende la mano della figlia e le chiede scusa.
“Tua madre, nel suo delirio di onnipotenza, che io non avevo mai visto perché non lo volevo vedere, ha deciso di acquisire la fabbrica di Brambilla e va a caccia delle azioni che glielo consentano: con la ripartizione che hai sentito deve allearsi col figlio di Brambilla, inserendosi in una normale difficoltà di rapporti tra padre e figlio; ma le manca l’altro venti per cento che è nelle mani di un mio amico, uno al quale con una sola telefonata posso chiedere ed ottenere di cedere il suo pacchetto.”
“Tu puoi fare questo? E non me l’hai mai detto? Perché?”
“Tina, ricorda bene: è la prima volta che parli davanti a me di questo problema, perché io secondo te sono cretino come tua figlia e non mi hai mai messo a parte dei tuoi problemi di lavoro. Non è così?”
“Volevo solo evitarti rogne che non ti toccavano.”
“Così eri tu a starci male e, per rilassarti, ti facevi sbattere da chi ti capiva e mi lasciavi a stecchetto. Perché? Per caso sapevi che poi avrei ritrovato Nicla sulla mia strada e volevi risparmiarmi per lei? Per quanto tempo mi ti sei negata?”
E’ annichilita.
“Temo che si sia fatto tardi; vorrei andare a letto.
“Da sola? Peccato! E niente niente, nella camera a fianco tua figlia e il tuo giovane amante copulano alla grande!”
“Hai deciso di umiliarmi fino in fondo?”
“No, ma se vuoi posso farlo.”
“Provaci!”
Mi sfida; guardo un attimo negli occhi Nicla che è sospesa tra la curiosità di vedere la fine del duello e la paura che uno dei due possa farsi male.
“Nicla, tra l’amore povero di un funzionario con uno stipendio medio, in un appartamentino carino ma non di lusso e la gestione di un’azienda che ti renda simile a tua madre, cosa sceglieresti?”
“Non potrei scegliere la gestione di un’azienda insieme al mio amore in un appartamento che sia un nido d’amore?”
“Amore, non ti sto ponendo un quesito astratto e teorico: ti parlo di ipotesi vive e concrete.”
Tina, rivolta al Brambilla, che sembra gongolare della battaglia in atto, esplode.
“Ma li senti questi imbecilli come parlano per ipotesi di cose che costano lacrime e sangue?”
“Signora industriale, tu come hai cominciato?”
“Ho ereditato da mio padre un’officina e l’ho fatta diventare un impero.”
“Tu c’eri al funerale di mia madre: è stato proprio lì che mi hai preso nel momento del dolore e trascinato in Svizzera per farmi solo male; mia madre mi ha lasciato solo la testa per pensare, il sesso per copulare e gli occhi per piangere: tutto il resto me lo sono costruito pezzetto per pezzetto, con il mio talento non perché mi sbattevo la padrona, come mi dissero una volta. Il mio percorso è lastricato delle mie lacrime e del mio sangue; il tuo anche di colpi di fortuna. Ma stavolta picchio io, e picchio duro. L’hai capito o no che con una telefonata il mio amico decide a chi va il pacchetto?”
Tina guarda il Brambilla a chiedere conferma.
“Tu sai la verità. Devo credere a quello che dice?”
“Tina, io non ho capito se Carlo è l’uomo tuo, se è quello di tua figlia o se è quello di tutte e due; non capisco perché lo hai trascurato e hai copulato con un verme; non capisco perché offendi queste due persone squisite. Io so che Carlo mi ha sollevato una fabbrica che era sull’orlo di un baratro, che dirige oggi una fabbrica fondamentale e che la sua segretaria (non mi interessa se è tua figlia o la tua concubina o quel diavolo che vuoi) è la persona più affidabile, apprezzabile e squisita che i miei clienti abbiano incontrato. Io so chi possiede il pacchetto e so che Carlo ne può disporre. Forse ti conviene abbassare la cresta. Ragazzi, vi aspetto domani in ufficio. L’offerta e viva e valida: decidi anche per questo. Adesso vado perché ho ancora appuntamenti.”
“Nicla, ti ho posto un quesito e gradirei una risposta.”
“Carlo, credevo di averti risposto. Non possiamo fare in modo da acquisire la fabbrica e gestirla insieme? Non conosco i fatti, ma credo di capire che hai un piccolo, enorme segreto che può cambiare le nostre vite. Non voglio diventare mia madre come ho capito che non potevo essere peggio di mio padre. Voglio essere la tua compagna, nella vita e nel lavoro; ma preferisco che lo stile di questa vita lo decida tu: ti avevo avvertito che questo era l’anticipo delle cene di lavoro. Io me la sento; e tu?”
“Ma si può sapere di che parlate? Segreti … acquisti … fabbriche: ma credete di giocare a monopoli?
“No, mamma; stiamo lavorando, ma tu non sai distinguere! Carlo, posso svelare il tuo segreto?”
“La vuoi uccidere? Fa’ pure!”
“Mamma. Io ho capito che il pacchetto non ce l’ha un suo amico ma che Carlo l’ha ricevuto a pagamento del suo progetto per la nuova fabbrica. Ora Brambilla gli offre non più la direzione ma la proprietà della fabbrica; e Carlo non vuole cambiare il suo stile di vita col tuo. Se tu non lo avessi trattato da sex toy, ragazzo da sesso se non lo capisci, se avessi avuto fiducia nel tuo compagno, oggi quel pacchetto sarebbe già tuo, perché lui l’avrebbe dato a te. Ora mi mette di fronte alla scelta: essere sempre la moglie del direttore, con stipendio fisso, piccolo appartamento e tanto amore; oppure diventare una capitana d’industria e percorrere la tua stessa strada col pericolo di perderci. Io non voglio rischiare di perderti, Carlo; restiamo nell’ombra, anzi restiamo all’ombra del nostro amore, se il tuo è pienamente convinto.”
Tina ansima, non riesce a respirare: ci spaventiamo e sto per chiedere aiuto;mi ferma con un gesto, beve un po’ acqua.
“Aspetta, lasciami riprendere; devo fare chiarezza. Ha visto giusto Nicla?”
“E’ arrivata alla verità: due mesi fa, se non fossi stata distratta dal tuo lavoro e dal nuovo amore, avresti saputo del mio successo nella ricerca, perché te ne avrei parlato, ti avrei detto che mi pagavano in azioni; e a quel punto la iena che c’è in te avrebbe elaborato il piano giusto per uccidere Brambilla. Tu hai rinunciato persino ad accompagnarmi al cimitero; ho saputo (non capito, saputo) che ero solo, in un oceano infinito, senza un appiglio; quando è apparsa la zattera, ci sono salito, mi ci sono trovato bene ed ho dimenticato la nave di lusso da cui sono caduto; adesso devo scegliere tra una barchetta coi suoi disagi e un Racer con tutte le sue incognite.”
“Se uno di voi due fosse un imprenditore, scegliereste il Racer che dà entusiasmo e grinta; visto che siete dei poveri borghesi, sceglierete la barchetta.
“Nicla, scegli col tuo cervello, non ti fare istigare dalle insinuazioni di questa signora che vuole vendicarsi di essere stata indotta a scoprire la sua sessualità quando era una macchina da soldi.”
“Carlo, visto che giochiamo tutti sporco, posso metterti una pulce nell’orecchio? … Cosa pensa tua madre, dall’al di là,di questa scelta? Cosa ti consiglierebbe se fosse viva?”
“Sei una maledetta; questa è troppo sleale. Hai ragione: con il suo equilibrio mi direbbe che devo fare il salto cercando di proteggermi al massimo, ma di non rinunciare. Come hai detto? Compra la fabbrica e gestiamola insieme? Vuoi che mi fidi della figlia di tua madre o della Nicla in cui credo oggi?”
“Non puoi avere garanzie, solo la mia promessa. D’altronde, se dovessi venir meno, ti resterebbe la fabbrica.”
“No, quella resterebbe a te. Come hai detto? Due mesi fa l’avrei ceduta a Tina, per amore; oggi la cedo a te, per amore. E se sbaglio, come nella canzone che a quanto pare conosci, mendicherò un’altra notte di amore e di menzogne.”
“Io mendicherò ogni sera una notte d’amore, senza menzogne. Carlo, ma è certo questo acquisto?”
“Domattina lo formalizziamo; poi avrai le sorprese. Ma adesso zitta, davanti al nemico.”
“Stanotte mi fate fare l’amore con voi?”
“Se non chiedi di aggregare il tuo amante, se vuoi amore e non sesso a gara, se Nicla è disponibile, io ci sto.”
“Perché parli di sesso a gara?”
“Ancora fai finta di non capire? Eppure, è stato amore quello che mi hai chiesto quella volta che ci siamo incontrati da soli; e mi pareva di averne fatto tanto di amore, con te. Hai una memoria così labile che dimentichi quanto ti ha fatto soffrire il sesso tecnico e freddo, senza amore, quello che stamane tu volevi rifilare a me?”
(continua)
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