Socialmente, il ruolo di Amministratore Delegato di una grande azienda mi rassicura molto sulle mie condizioni anche per il futuro.
Sul piano delle emozioni, dopo l’errore commesso di rimanere incinta e partorire a 18 anni per ingenuità di ragazza, credo di essermi presa molte soddisfazioni nella vita.
Sul piano familiare, mia figlia Nicla, a 24 anni, è brillantemente avviata ad una buona professione nonostante i grandi capricci e la volubilità che la portano a cambiare spesso partner con la massima indifferenza: i motivi di dibattito tra noi sono questo suo sfarfalleggiare tra un amorazzo e l’altro e l’ostinazione con cui, in pubblico e in privato, ha deciso di chiamarmi Tina (il mio vero nome è Concetta) perché secondo lei ‘mamma’ è deleterio per me perché affossa la mia bellezza e la mia eleganza ed è ingombrante per lei che deve spiegare come mai ha una mamma così giovane e brillante.
Francesco, l’altro mio figlio, ha 21 anni ed è anche lui un promettente laureando; è più tenero e coccolone: i miei figli confermano che è vera l’ipotesi che i maschi prendano dalle madri e le femmine dai padri.
Il mio piccolo rammarico è infatti mio marito Pasquale che, ormai al di là dei cinquanta, continua a correre dietro alle gonnelle delle ragazzine e spesso si impegna a sperperare quello che io guadagno.
Le litigate tra me e Nicla vertono proprio sul perché non mi decido a chiedere la separazione, assegnargli un vitalizio e liberare da un’ingombrante palla al piede la mia bravura, la mia intelligenza e la mia bellezza.
In altri termini, Nicla vorrebbe che mi amassi un poco di più e che liberassi un poco la mia interiorità, intesa anche come sessualità, per uscire dalle ragnatele della concezione ormai morta della moglie fedele in eterno; non riesce assolutamente ad accettare l’idea che si possa rimanere legati ad una zavorra perché lo richiede la propria formazione.
Di fatto, poi, si comporta in realtà proprio come suo padre, con l’intelligenza di non aver mai preso e di non voler prendere, almeno in tempi brevi, decisioni che impegnino per la vita.
Naturalmente, poiché mi vuole molto bene, non esita a denunciare le malefatte di suo padre, specialmente quando rischiano di ricadere sulla mia persona.
Tra le altre cose, abbiamo acquistato da molti anni una casetta al mare, una costruzione in stile antico, ma ristrutturata in maniera rispettosa del territorio, ma di gusto moderno, in un punto molto panoramico con accesso privato alla spiaggia, nell’immediata vicinanza di uno stabilimento balneare di lusso, che è diventato il bengodi di mio marito e della sua caccia alle ninfette affamate di libertà e di nuove esperienze; ma anche il luogo preferito dei figli, che trovano ampio spazio per il loro desiderio di conoscenza e di relazioni.
Sono distesa sotto l’ombrellone al riparo del sole cocente del sud, chiusa (‘mummificata’ per Nicla) nel mio costume intero di sapore vagamente vintage, quando vibra il telefonino e leggo che mia figlia mi sta chiamando; allarmata, le chiedo dove sia e perché chiama.
Mi avverte che il mio ineffabile Pasquale si è messo ad offrire al bar a destra a e manca evidentemente con una mia carta di credito, visto che lui non ne possiede; guardo il portafogli e mi accorgo che effettivamente una carta non è al suo posto.
Vado in direzione e avverto che mio marito sta pagando con una carta abusiva, per la quale potrebbero avere problemi sia lui che lo stabilimento: il direttore si precipita ad avvisare il barman di non accettare più ordini ed io vado da mio marito, lo prendo in disparte e gli impongo di restituire la carta se non vuole finire in galera: borbotta qualcosa di incomprensibile e va via, a coda ritta, fingendosi offeso.
Ovviamente, Nicla con perde l’occasione per tornare ad inveire contro suo padre e contro di me che sono troppo tenera con lui; la prego di sedersi accanto a me e cerco di spiegarle che per quelli della mia generazione certi valori sono assoluti e indiscutibili; mi ribatte solo che la schiavitù è stata abolita, prima per civiltà e poi per legge.
Mi sfida allora a passare qualche giorno insieme e a vivere almeno alcune ore secondo i suoi principi, che non sono altamente morali ma sono più logici di quello che io voglio ammettere.
Ho in programma un viaggio a Parigi di tre giorni, per un convegno ad alto tasso di interesse per il lavoro; le chiedo se è disposta a venire con me nella Ville Lumière e sperimentare su un terreno neutrale le sue convinzioni; accetta ad un solo patto: tutto il tempo ufficiale, convegno, colloqui, trattative e altro, sarà nel mio stile; tutto il tempo libero, compresi i pranzi e le cene, saranno gestiti da lei e la seguirò anche nel look: mi dichiaro d’accordo.
Partiamo in aereo un giovedì mattina e in poche ore siamo sul posto; vengo travolta dagli adempimenti obbligatori e ci ritroviamo libere solo verso l’imbrunire; è presto, per andare a cena; ce ne andiamo a passeggio: ho indossato, sotto la guida di Nicla, una camicetta leggera che fa trasparire il reggiseno con le mie tette piene, carnali, da donna matura con due figli, eppure straordinariamente eccitanti (me ne accorgo ogni volta che ho a che fare con uomini il cui sguardo, normalmente, riesce a bucare anche le giacche rigorose, che indosso abitualmente, ogni volta che, per un qualsiasi motivo, si aprono un poco); la gonna l’ha scelta lei: non è una mini, ma si ferma almeno dieci centimetri oltre il ginocchio (le mie, in genere, arrivano sotto il ginocchio); ai piedi, ho deciso di indossare ballerine senza tacco che non sollevano più di tanto il mio sedere, per sua natura già molto alto e tondo; Nicla proclama che sono particolarmente sexi ed appetibile: per dimostrarlo, mi invita ad osservare gli sguardi assassini di tutti gli uomini che incrociamo e le occhiate feroci delle compagne che li rimproverano.
“Non puoi capire quanto sono orgogliosa di passeggiare con una donna così bella ed affascinante come te!”
Mia figlia mi spiazza, ma sento il suo affetto e lo ricambio con una stretta di mano; siamo davanti ad una libreria ed è annunciata la presentazione di un volume di poesie di un giovane, Francois Rouen, che avevo già deciso di comprare per aver letto alcune cose qui e là; lo dico a mia figlia e, naturalmente, mi spinge immediatamente dentro, dove, ad un tavolino, è seduto l’autore circondato da giovani che parlano con lui che firma le copie; Nicla prende un libro e si rivolge al poeta in perfetto francese dicendo che siamo italiane, che Tina conosce la sua poesia e che amerebbe una copia autografata.
Lui lascia il tavolo e viene diretto da noi, mi chiede in perfetto italiano delle poesie che ho letto e cominciamo a parlarne; la nostra entrata ha interrotto il lavoro di presentazione e il gruppo di ragazzi protesta; Nicla parte in quarta.
“Senti, Franco, innanzitutto, perché non ti faccia illusioni, Tina non è una mia amica o mia sorella: è mia madre, legittima e naturale.”
Lui la interrompe e riesce a zittirla.
“No, non è possibile: così giovane, così sensibile, così bella e così affascinante, già mamma di una donna altrettanto meravigliosa?! Permettimi di dire che sei un vero miracolo della natura!”
“Bello, non stare a fare il lumacone, che con noi non attacca; se proprio vuoi corteggiarla, sappi che siamo in giro per andare a cena. Indicaci un posto giusto, molto francese e molto romantico, dove potete farvi gli occhi dolci quanto volete e intanto ceniamo. Visto che i poeti sono sempre poveri, dal momento che Tina, oltre a tutte le qualità che vedi e tante altre che non si vedono, è anche un’alta dirigente d’industria e si può permettere qualche piccolo lusso, sei ospite suo: basta che ci porti a cenare in un bel posto e la fai sentire soddisfatta di aver dialogato, ma io direi amoreggiato, per una sera con un poeta che ammirava già prima di conoscerlo. Ci stai?”
“Tua madre mi innamora, non ho problemi ad ammetterlo; ma anche tu mi affascini con questo falso cinismo che nasconde un amore viscerale per tua madre e per la sua sensibilità. C’è un posto qui a fianco che io non potrei permettermi; ma se dici che potete farvi passare il gusto di una bella serata, vi ci accompagno volentieri; dovete aspettare solo dieci minuti che sbrigo la firma dei volumi.”
“Firmane tanti, tantissimi; ti aspettiamo.”
In tutto il loro dialogo non ho avuto la forza né l’occasione per inserirmi con una sola frase; adesso però ho quasi paura dell’impegno che Nicla ha assunto per me: parlare di poesia e d’amore era l’unica cosa che poteva spiazzarmi e questa benedetta ragazza mi ci ha catapultato al centro senza che me ne accorgessi.
“Nicla, ma ti rendi conto che accosti la fiamma alla paglia. E se perdessi la testa, stasera?”
“Mamma, adesso devo rivolgermi a mamma perché tutto sia più chiaro, perché per una volta non accetti un mio punto di vista? Io ho paura dell’amore: per questo cerco di non innamorarmi; tu invece hai bisogno di amore e soprattutto di fare l’amore. Ti ordino allora di innamorarti solo per una sera, anzi per una notte, di abbandonarti all’onda di questo piacere che ti si legge negli occhi, nel viso, nei capezzoli che si sono induriti e, se ti mettessi la mano fra le cosce, nella vulva che ti sta allagando le mutande, che porti invece degli slip o delle brasiliane. Tu stasera mi stai a sentire: ti innamori pazzamente, ti concedi a te stessa e a lui, fai l’amore per tutta la notte, fino a svenire, ti fai riempire di sperma o d’amore, come preferisci chiamarlo, tanto so che prendi la pillola. Domattina, sotto la doccia, ti lavi di tutte le scorie, chiudi nei ricordi e nel cuore questa notte e torniamo a casa più felici, più ricche, più umane, anche io che sto solo facendo la ruffiana. Mentre lui ti conquista, se ce ne fosse bisogno, io sparirò ed andrò a concupire qualcuno per me. Domani mattina, ti prego, raccontami che hai fatto l’amore alla grande e portiamoci questo segreto con noi in Italia.”
Vorrei obiettare qualcosa, ma Francois è già con noi e ci guida deciso all’uscita.
E’ una cena fantastica: lui è conosciuto nel giro ed è anche benvoluto; i camerieri si fanno in quattro per metterci nelle condizioni ideali e, durante la cena, non facciamo che guardarci negli occhi da veri innamorati; Nicla gongola; in un momento in cui lui va in bagno, trovo la forza di confessarle.
“Mi sento come al primo appuntamento, anzi come la sera delle nozze, come se stessi per partire per la luna di miele.”
“Mamma, ti voglio tanto, tanto, ma tanto bene. Io vado via; siete troppo belli così innamorati. Ci penserò io, domani, a riportarti sulla terra. Tu abbandonati e galleggia.”
Quando Francois ritorna e si siede, mia figlia ha già elaborato la sua strategia.
“Senti, poeta, io sono stata felicissima di averti incontrato; spero che farai felice Tina almeno per una notte; se non ci vedremo più, ti saluto qui e vado a concupire quel bel fusto all’angolo. Ciao.”
Rimasti soli, Francois mi prende le mani sopra al tavolo e sembra accarezzarmi tutta con lo sguardo; mi sporgo verso di lui e, attraverso il tavolo, ci scambiamo un bacio leggero, che mi fa fremere fin dentro le ossa.
Mi chiede dove alloggio e se preferisco andare in hotel o a casa sua.
Gli dico che domani il convegno comincia presto e che devo dormire abbastanza perché sarà una faccenda faticosa.
“Vuoi che ci salutiamo qui?”
Trovo il coraggio di dire.
“No, voglio che facciamo l’amore. E non ti meravigliare: non ho mai tradito mio marito, nemmeno col pensiero; non so cosa sia il corpo di un altro uomo: ma questa sera la poesia, l’amore e la filosofia di Nicla mi dicono che devo farlo, per me soprattutto; devo prendermi tutto l’amore di cui sono capace e che tu saprai darmi. Domani ti potrò anche dimenticare, ma stasera voglio galleggiare sulle nuvole.”
“Posso dirti che Nicla è una donna assai più saggia di quello che sembra?”
“Io non riesco a dirlo: guarda, sta già limonando con quel ragazzo e noi non ci siamo ancora dati un bacio vero.”
“Dartelo qui non serve più: ho voglia del tuo amore e di offrirti il mio.”
L’albergo non è lontano; recupero la chiave della camera e andiamo su; mi sento veramente come la sposina in viaggio di nozze; anzi, l’emozione è maggiore, perché adesso so con chiarezza che cosa sto facendo e perché lo voglio: non ho verginità da sacrificare, fisicamente, ma quella mentale è assai più pesante da portare.
Penso a mia figlia, mentre mi sento avvolgere dal suo abbraccio passionale e intenso; scioccamente, penso che dovrei fare l’amore davanti a lei per poter fare bene le cose, per farmi consigliare; poi mi sento stupida e mi concentro sulle mani di lui che mi accarezzano tutta e quasi non osano aprire i vestiti per arrivare alla carne viva; e penso al sesso che mi preme sul ventre, da sopra i vestiti e mi procura già emozioni vicine all’orgasmo.
Poi prendo l’iniziativa e comincio a spogliarlo io; tutte le mie fisime spariscono, la bestia della libidine che era nascosta in me emerge di colpo e mi scateno su di lui: lo bacio in rapidissima successione su tutto il viso, sugli occhi, sulle guance, sulla bocca e mi impossesso come una furia della sua lingua che succhio avidamente; si scatena anche lui, come se avesse abbandonato le riserve, e sento che mi bacia quasi con furore, che mi succhia dappertutto, mi lecca fin dentro le orecchie scatenandomi un inferno nella vulva; mi palpa i seni e lo aiuto a sfilare camicetta e reggiseno per offrire alla sua bocca i capezzoli duri e grossi come nocciole, che attendono solo di essere succhiati, serrati, tirati, morsi fino a far male.
Slaccio la cintura e abbasso insieme pantaloni e mutande: ha un pene bellissimo, molto grande, molto nodoso, che dà piacere alla mano che lo manipola, che promette gioia in bocca, in vagina e forse anche nel didietro: non ho esitato, quando Pasquale me l’ha chiesto; ho provato piacere e so che questa sera voglio darglielo, come gesto d’amore; fibrillo in tutto il corpo e sento che la vulva mi cola per la serie di orgasmi che anche solo accarezzandomi riesce a procurarmi; ha ragione, Nicla: non so che cosa mi sono perduta, attaccandomi ad un parassita che mi succhia anima e corpo; ma ora, anche solo per una notte, ho bisogno di riscattarmi.
Mi abbasso sui talloni e prendo il membro in bocca: mi viene da piangere, tanta è l’emozione di sentire la cappella sotto la lingua e sto ferma un tempo che mi pare infinito ad assaporarne il gusto, a trasmettere la lussuria alla vulva per farla sbrodolare ancora; poi comincio a pompare; non so quanto sono brava a succhiare, perché l’ho fatto solo con mio marito, ma Francois sembra impazzire: strabuzza gli occhi, freme e si tende tutto, non so se sta per eiaculare e, nel dubbio, mi fermo perché non voglio finire presto.
E’ vero che devo dormire e gliel’ho detto, ma solo per prevenire che non avremmo dormito insieme; però possiamo fare l’amore quanto vogliamo: e questo l’ho detto, fammi fare l’amore fino a svenire; mi prende per le ascelle e mi solleva; si è già tolto giacca e camicia; si libera dei pantaloni e delle mutande che aveva ai piedi e, intanto, mi sfila gonna e mutandoni (in quel momento, un poco mi vergogno e mi riprometto che adeguerò il mio intimo); mi sfila anche le autoreggenti e, nuda, mi rovescia sul bordo del letto; si accoscia davanti a me, accarezza le gambe e le cosce fino all’inguine, sposta i peli che porto molto lunghi, incolti e folti, apre con le dita le grandi labbra e piomba con la bocca sul mio clitoride che, in un attimo, è gonfio da farmi male, ma il dolore si attenua nella sua bocca, quando comincia a succhiarmelo fino a strapparmi un orgasmo che non ricordo uguale a nessun altro; sta lì a succhiare, leccare, mordere, martirizzare per una decina di minuti, lasciandomi a desiderare ardentemente il sesso nella vagina, finché devo dirglielo.
“Ti voglio dentro, ti voglio tutto dentro, ti prego!”
Mi fa spostare al centro del letto, monta su in ginocchio e continua a carezzarmi il monte di venere peloso e la vulva che stringe tutta in una mano; infila il dito medio per far emergere la fessura, si accosta tra le cosce, appoggia la cappella alla vulva e spinge dentro: sento la sua mazza percorrere il canale vaginale tutto intero, fino all’utero che tocca con un leggero dolore per me, abituata ad un solo membro, meno grosso; si stende sopra di me, mi bacia sulla bocca e mi sussurra frasi dolcissime: mi sembra di galleggiare su una nuvola, proprio come avevo detto io; e ogni volta che lui, cavalcandomi, sprofonda dentro di me, la mia nuvola scende verso il basso per riportarsi in alto subito dopo insieme al membro che esce dalla vagina per ripiombare dentro con nuovi orgasmi; quando sento che il suo corpo si tende un poco, per l’orgasmo in arrivo, alzo le gambe e imprigiono la sua vita intrecciando le caviglie sulla schiena: la mazza sprofonda in me fino al dolore; stringo i muscoli vaginali e lo trattengo dentro il più a lungo possibile: gemendo, mi esplode dentro una eiaculazione lunga, piena, intensa; rispondo urlando i miei orgasmi, forti, passionali, decisi, da fargli sentire tutto il mio amore.
Se ne sta su di me a rilassarsi; ci accarezziamo il viso, il petto, le spalle: lui mi titilla a lungo i capezzoli e devo pregarlo di fermarsi perché mi provocano il solletico, mentre mi rilasso; accarezzo le sue natiche sode, dure, tese e le stringo al mio ventre quasi per farmi penetrare ancora più dentro, anche col pene che si è decisamente ridotto; non avrei voglia di andarmi a lavare ma, se lascio che lo sperma mi coli dalla vulva, sporco tutte le lenzuola; intanto, ho ancora voglia di sentirmi penetrata; e questa volta sento l’ano che freme, quasi geloso di essere stato trascurato; mi sfilo per un momento, raccolgo gli abiti, miei e suoi, e li deposito sulle sedie (riflesso condizionato di massaia); vado in bagno a scaricare la vescica e a sciacquarmi la vulva; torno sul letto e, accarezzandolo, gli chiedo.
“Ci fermiamo qui?”
“Per me, assolutamente no; tu cosa desideri?”
Prendo la sua mano, me la porto dietro e guido il dito medio nell’ano,
“E’ esattamente quello che avrei desiderato!”
Un momento dopo sono carponi sul letto; lui, dietro di me, lecca la zona con devozione religiosa: naturalmente, privilegia l’ano che percorre in tutte le pieghette che lo chiudono e nel quale si insinua prima con la lingua poi con le dita: dopo averci giocato un poco con il medio, si ferma perplesso: mi rendo conto anche io che il suo membro, in un sedere abituato a volumi meno impegnativi, rischia di fare danno, se non è lubrificato; mi ricordo che tra le creme ce n’è una alla vaselina che forse dovrebbe avere una funzione analoga; la vado a prendere in bagno e gliela consegno; mi unge accuratamente l’ano e il canale rettale, inserendo facilmente prima due poi tre dita e ruotandole dentro; a quel punto, mi prende la testa, mi fa girare verso di lui e mi guarda con amore; faccio segno di si con la testa e sento la cappella che si accosta all’ano.
Entra delicatamente, ma sicuramente e fino in fondo; qualche leggero dolorino è assorbito dal piacere di sentirlo nel corpo.
Stupidamente, mentre mi sprofonda nel retto, sussurro.
“Ti amo. Questa notte ti amo e sono tutta tua.”
“Questo è amore; ti amo anch’io, non solo per questa notte. Faremo l’amore forse solo stanotte; ma questo amore improbabile è un regalo divino.”
Comincia a cavalcarmi nel retto con una foga eccezionale; lo sento fin dentro lo stomaco, tanto si spinge; e veramente annetto a quella penetrazione il valore di un amore piovuto da chissà dove e che è destinato a finire, forse, subito dopo.
Quando sento lo sperma invadermi le budella, non riesco a trattenere un urlo bestiale: la più bella esplosione della mia vita.
Andiamo avanti così, per una parte della notte; trova il tempo e la forza di eiaculare ancora una volta, in bocca stavolta, e montarmi di nuovo in vagina e nel retto, riuscendo ad eiaculare solo la seconda volta: quando leggo sulla sveglia le quattro, lo avverto che devo dormire, almeno un paio d’ore.
Si riveste ed esce, non sappiamo se solo dalla camera o dalla mia vita.
Ma non ho voglia di indagare o di pormi quesiti.
Mi addormento di pacca, sfinita forse anche dal sesso.
Al mattino, trovo Nicla in sala per la colazione; mi sembra alquanto provata.
“Stai male? Hai una cera!”
“Tu quante volte e fino a quando?”
“Alle quattro l’ho spedito via per dormire almeno un po’; tra sedere, vagina e bocca, diciamo sei, due per parte.”
“All’anima della borghese bigotta. Bravissima! Ti è piaciuto?”
“La mia faccia che ti dice?”
“Che hai attraversato il paradiso!”
“Su una leggera nuvola rosa. Adesso però, devo cancellare. Tu cosa hai combinato?”
“Ho fatto sesso, fino alle sette di stamane quando sono tornata in albergo.”
“E dove sei andata?”
“Nel suo albergo che è a fianco del ristorante.”
“Adesso io vado al lavoro; poi staremo insieme.”
“Io tu e Francois.”
“No, perché? Non hai detto tu stessa che stamattina dovevo cancellarlo?”
“Non ho detto stamattina come tempo reale, stamattina è quando torniamo in Italia. Io, se uno mi dà voglia di farmene sei la prima volta, almeno la tre giorni la sfrutto.”
“Ma se non so neppure dove rintracciarlo!”
“Tu? Ma la tua amica Nicla pensa sempre a tutto. E’ inutile: a dirigere un’azienda, sei impareggiabile; sul sesso e sull’amore, se non c’è la tua Nicletta, neanche un poeta imbranato riesci a rimorchiare. Ciao, mamma, ci vediamo a pranzo … con il tuo tenerissimo Francois.”
Il week end parigino con Nicla (ma anche e soprattutto con Francois) è stato forse il periodo più bello della mia maturità: per tre giorni e tre notti non ho fatto che vivere in un sogno, cullandomi sulla nuvola rosa di un amore provvisorio ed impossibile come se fosse la realtà di ogni giorno, abbarbicandomi alla poesia ed all’amore per dare un senso alla lussuria che scatenano in me mia figlia, coi suoi discorsi libertari e provocatori, e il giovane poeta francese che mi riempie di attenzioni ed ha sempre pronta una bella frase per sollevarmi lo spirito.
A letto, invece, mi solleva ben altro e per tutto il tempo non ho fatto che scoprire e riscoprire la mia sessualità, il mio corpo, forse il mio bisogno d’amore: mi impossesso del suo sesso come di una protesi esterna del mio corpo che continuamente spingo dentro il mio strappandone umori e scatenando il mio piacere; mi faccio penetrare più e più volte in tutti i buchi, ogni volta accogliendo il membro come le belle frasi che entrano nelle orecchie e nella testa, con amore infinito.
Poi, come tutte le cose belle, anche la vacanza (o piuttosto la fuga dalla realtà) ha avuto una sua naturale conclusione e mi ritrovo sull’aereo diretta a casa, con tutti i problemi che la mia vita pone e che ho depositato sotto un tappeto, al momento della partenza; non nascondo che il momento più difficile è affrontare Pasquale, mio marito, che, appena mi vede, mi salta addosso e vuole possedermi seduta stante: il confronto inevitabile non gli è favorevole e scava ancora l’abisso che ci separa; ma la mia formazione profondamente radicata mi impone di nascondere nei ricordi l’esperienza parigina e tornare ad essere la moglie paziente di sempre.
Passa l’estate e rientriamo a Milano; trascorrono anche alcuni grigi mesi autunnali e la nuvola rosa è ormai un vago ricordo sbiadito che riaffiora di tanto in tanto, specialmente quando, stressata dal lavoro, mi concedo delle lunghe e defatiganti sedute di masturbazione, sollecitando gli orgasmi col ricordo di un pene che amorevolmente mi sfonda il didietro in un hotel parigino; in quei casi, frequentemente mi sdraio sul letto, quasi avessi tra le mie cosce Francois che mi possiede, e il martellamento sulla vulva si fa quasi maniacale.
Nicla viene a trovarmi una mattina, per portarmi qualcosa che ha ricevuto per posta: un volume di piccolissimo formato che contiene un poemetto in francese di un centinaio di versi; insiste perché lo legga davanti a lei e mi chiede cosa ne pensi: lo giudico caruccio ed ho la sensazione che qualcosa mi sfugga, tra le righe della poesia.
“Come mai ti occupi anche di poesia, adesso?”
Mi risponde un sorriso mefistofelico che non riesco ad interpretare; poi tira fuori dalla busta la copertina che aveva preventivamente staccato: leggo il nome di Francois e il titolo che allude decisamente alla nostre tre notti a Parigi; e capisco che cosa mi ha stimolato i precordi: la coscienza che si tratta di un deja vu, di una tranche de vie che appartengono alla mia propria esistenza.
Mi dice che l’ha ricevuto direttamente da Francois, col quale è rimasta in collegamento, epistolare e telefonico, e che per espressa richiesta me lo ha portato: è la prima copia stampata del libretto che presto sarà tradotto e pubblicato in Italia; per un attimo, sento un groppo alla gola per il magone; poi mi riprendo e ricordo a mia figlia che quella storia sta bene nell’album dei ricordi; mi risponde solo che secondo lei avevo bisogno di arricchire quell’album e chiudiamo lì la faccenda; ad ogni buon conto, mi tengo il volumetto e lo conservo tra le cose care.
Passano ancora dei mesi, cinque o sei, ed io sono travolta dal ritmo del mio lavoro che diventa sempre più intenso e più impegnativo; in primavera avanzata, quando già si guarda alla prossima estate, sono sorpresa da un messaggino di Nicla sullo smartphone (assai raramente usa con me questo tipo di comunicazione): indica il giornale del mattino ed una pagina di cronaca cittadina; apro il giornale e trovo che in una libreria del centro si presenta il volume di poesie di Francois che contiene il poemetto tradotto; con una certa emozione, chiamo Nicla.
“Ciao. Perché un sms?”
“Non è piacevole quello che devo dirti.”
“La presentazione del libro?”
“No; chi accompagna lui … la moglie.”
“Va bene; e allora? E’ nell’umano ordine delle cose.”
“Vuoi farmi credere che ti è indifferente la cosa?”
“No. Ci sto male, se è questo che vuoi sentire. La risposta è in una vecchia canzone spagnola. Te la cerco e te la mando. Forse capirai cosa può provare una donna nel pieno della maturità che perde la testa per un giovane.”
“Cosa dice la canzone?”
“Dice: solo una notte ancora, poi vai per la tua strada, ma per una notte ingannami ancora.”
“Tina, non è il tuo caso. Quando lo vedrai, saprai che neanche una notte elemosineresti da lui; e, per di più, non hai bisogno di elemosinare per avere amore, te lo garantisco io. Ci sono molti che te ne danno a iosa, se lo chiedi.”
Quando ci incontriamo davanti alla libreria e vedo il comportamento della moglie di Francois, ma soprattutto la supinità di lui alla presunzione di lei mi casca dal cuore e dalla memoria; ma Nicla non è donna da lasciare qualcosa a metà; mi spinge avanti finché incontro lo sguardo di lui che abbassa gli occhi come un reo; mia figlia si limita a commentare.
“Chiacchiere per vendere!”
La moglie si sente colpita e risponde piccata.
“Lei non ha nessuna idea della storia d’amore che qui viene raccontata.”
Nicla si sporge verso di lui.
“Bello, dillo a questa sciacquetta che io e te sappiamo benissimo chi è la donna della storia e che solo la sua presunzione può consentirle di credere diversamente. Senti, sciacquetta, quando tu proverai un millesimo di quello che la donna di questa vicenda ha vissuto con tuo marito, chiederai di morire per fermare quell’attimo; fino ad allora, sguazza nella tua imbecillità; alle donne vere un’anima morta come è ridotto oggi Francois non serve a niente, vero poeta?”
Lui non ha il coraggio di obiettare, abbassa la testa e pare che pianga.
Nicla sa essere spietata e tenerissima.
“Stai male? Hai voglia di piangere?”
“Non sto male; ho voglia di piangere, ma qui non posso.”
“Vieni a casa mia, siamo a due passi.”
La seguo come un cagnolino bastonato, limitandomi a ripassare in mente i fotogrammi più belli di una storia scioltasi come neve al sole: ma non sono triste, anzi mi sento quasi più forte e abbraccio in vita mia figlia, che mi sta trascinando in una pizzeria popolare affollata di giovani dove il mio abbigliamento, esattamente quello di Parigi, mi fa passare più facilmente per universitaria fuori corso con l’amica del cuore; per questo, sono oggetto di avances anche spinte e di commenti salaci, diretti a tutte e due.
“Sono sempre così diretti i ragazzi, qui?”
“Stasera si stanno contenendo: sanno essere peggiori.”
Mentre mangiamo in piedi, appoggiati a una mensola lungo il muro, si fanno avanti due maschi, decisamente meno giovani della media, dei quali uno abbraccia Nicla con grandi effusioni.
“Tina, questo è Luigi, un mio ex spasimante.”
“Divento ex solo quando a fianco a te c’è una donna così bella come la tua amica … “
Abile, il ragazzo, almeno con le parole; Nicla mi sussurra.
“Che ne dici di chiodo che schiaccia il chiodo?”
“Che vuoi dire?”
“Io nelle tue condizioni mi cercherei un sesso come antidoto. Se ti va … “
“Sei pazza? Vuoi proprio che faccia la troia?”
“No, voglio che faccia sesso e che, dentro di te, lo viva come amore. Ci facciamo una bella orgetta a quattro e puoi star certa che dovrai copulare anche con me, perché io ti desidero da sempre: se gli stronzetti non ti vanno, andiamo a letto io e te.”
“Confessione per confessione, a Parigi, mentre mi facevo penetrare analmente da Francois, pensavo che mi sarebbe piaciuto farlo davanti a te che mi davi consigli. Può darsi che anch’io voglia fare l’amore con te.”
“Se andiamo in quattro, mi dispiace solo per Francesco.”
“Che c’entra?”
“Mamma, ma sei proprio lenta su certe cose. Francesco avrà versato qualche ettolitro di sperma sulla tua vulva, sul tuo sedere, sulle tue tette; non sai quante volte ho dovuto farmi possedere fingendo di essere te, per farlo contento. Se copuli con questi stronzetti, per lui sarebbe la fine. Quanto meno, spera di essere il primo ad assaggiare la sua mamma troia.”
“Cavolo, sai che significa?”
“Significa che puoi surrogare un amore deluso con quello per una persona cara, che da quella vulva è uscito e a quella torna, se tu lo ami con tutto il corpo: guarda che la filosofia romantica da bancone la so fare pure io. Invito questi due o telefono a Francesco e ti possediamo noi figli?
“Hai bisogno di chiederlo? Adesso voglio voi; e mi sa che con questo risolvo anche i problemi futuri.”
Francesco non risponde; la segreteria telefonica avverte che è fuori città e che tornerà a fine settimana.
“E adesso che facciamo? Io ho già il perizoma che è da strizzare, con questi tuoi maledetti discorsi.”
“Adesso copuliamo coi ragazzi, dopo ci scateniamo io e te.”
Non ha mezzi termini , Nicla; comincia a muoversi sensualmente davanti ai due e li provoca finché il più deciso dei due, quello che mi aveva presentato come ex spasimante, l’abbraccia e la bacia; quasi per conseguenza, l’altro mi prende in vita, mi afferra la bocca nella sua e comincia a perlustrarmela leccandomi tutto l’interno; sento il sesso gonfiarsi contro il ventre e, quasi d’istinto, mi struscio alla ricerca del contatto con il clitoride che esplode non appena incontra la mazza ancora chiusa negli abiti.
Si accorge che sono venuta e chiede a Nicla di andare; lei, che si è accorta della cosa ed ha capito il mio bisogno di sesso, paga, ci prende tutti e tre e quasi ci trascina al portone di casa sua; in ascensore, diamo vita ad uno spettacolo decisamente porno, con Carlo che mi infila le mani dappertutto, dal reggiseno al perizoma, e mi stimola con tanta sapienza da farmi esplodere almeno tre volte nei tre piani da percorrere; Luigi si è letteralmente perso tra le tette di Nicla e le succhia come un poppante in astinenza.
L’appartamento è grande e ben arredato (mi è costato un occhio della testa) e soprattutto è dotato di un letto grande, segno che Nicla spesso si trova in occasioni multiple; mi trovo nuda di fronte a loro perché hanno fatto a gara a spogliarmi in tre, Nicla con maggiore passione dei due maschi, perché non ha mai smesso di succhiarmi la bocca, il viso, le tette, mentre mi sfilavano camicia e reggiseno; quando poi mi hanno tolto la gonna e il perizoma così fradicio da doversi quasi buttare (ma Carlo se lo è passato su tutto il viso aspirando il profumo dei miei umori): quando, insomma, è venuta in luce la mia vulva, è stata la prima a lanciarsi su di me, facendomi sdraiare sul letto, coi piedi ancora a terra, per leccarmela e scatenarsi sul clitoride che ha succhiato come un piccolo pene facendomi urlare dal piacere; ha dovuto quasi lottare coi due che miravano ad impossessarsene e l’hanno costretta a sdraiarsi accanto a me per riservarle lo stesso piacere.
Mentre Luigi si fionda sulla vulva di Nicla, totalmente depilata, carnosa, piena, con un clitoride che sporge superbo, Carlo mi scivola addosso e si sistema su di me in modo da titillarmi entrambi i capezzoli mentre fa scivolare verso la vulva un membro di notevoli dimensioni, per grossezza e per lunghezza, e comincia a penetrarmi con sensazioni in bilico tra la forzatura di una vagina non molto abituata al coito (almeno, non con membri di quella fatta) e i brividi di piacere che si susseguono ininterrotti bruciandomi il cervello col massimo godimento che arriva anche dalle pulsioni dell’utero sconvolto dalla cappella che urta la cervice; mi possiede alla grande, per molti minuti, poi esplode all’improvviso, inondandomi la vagina; lo catturo dentro di me e gli stringo le gambe intorno alla vita mentre mi godo la penetrazione ed una successione quasi infinita di piccoli e grandi orgasmi che mi scuotono dalla testa al cuore.
“Perdonami, non ho saputo resistere. E’ la prima volta che una femmina mi prende a tradimento e mi procura un orgasmo rapido. Sei veramente immensa, meravigliosa, irresistibile; hai la vagina più bella, più, fresca, più affascinante che abbia mai posseduto. Eppure, ne ho assaggiato tante, di vulve; ma, come la tua, è la prima volta.”
Guardo verso Nicla che si sta godendo la copula lenta e quasi studiata di Luigi, determinato a godere a lungo e a farla godere allo spasimo; guardo Carlo con l’aria di chiedere cosa intende fare; comincia a pomiciare con me come un ragazzino ed io mi abbandono al piacere di tornare ragazzina e ricambiare le carezze intime: scendo sul suo corpo leccandolo in ogni punto e arrivo al membro che prendo tra le labbra e comincio a succhiare con tutto il desiderio che mi ispira: una fellatio eccezionale, nuova; sento che vibra e si contorce, ma stavolta non arriva all’orgasmo; mi lecca e mi succhia dappertutto, dalle tette alla bocca, dal ventre alla fronte: sembra quasi adorare una divinità e percorrerla in tutte le fibre per ottenerne i favori.
Mi stacco dall’asta, per non farlo eiaculare, lo rovescio sulla schiena, mi impalo, facendomelo spingere profondamente fin dentro l’utero; quasi non mi accorgo che Nicla si è sganciata dal suo maschio e mi è venuta ad accarezzare la schiena e le natiche, fino a leccarmi l’ano; mi spinge il busto in avanti, verso la bocca di Carlo; sento qualcosa di fresco scorrermi tra le natiche e intuisco che stanno per sodomizzarmi, ma non capisco come: poi mi rendo conto che sta spingendomi il membro di Luigi nel retto: non è una mazza sottile e delicata, ma un bastone grosso, nodoso e lungo; penetra nell’intestino senza provocarmi dolore, anche se il canale rettale, con l’ingombro dell’altro membro nella vagina, rende difficile la penetrazione; alla fine sento il ventre picchiare sulle natiche, segno che è entrato fino in fondo.
“Che sedere straordinario; mai penetrata analmente una donna più ricettiva e più sensuale; ispira lussuria da ogni poro: questo non è un sedere, è il paradiso del sesso. Carlo, devi provarlo. E’ semplicemente immenso!”
Detto fatto, si scambiano di posto e mi trovo impalata sulla mazza di Luigi mentre Carlo provvede a penetrarmi nel retto con dolce violenza; trovano la sintonia e mi possiedono alla grande; esplodiamo insieme, con un triplice urlo simultaneo; subito dopo, Nicla mi viene sopra e si struscia sulla mia vulva con la sua, mi schiaccia le tette con le sue che sono quasi più grosse delle mie; e mi bacia con un amore che non ho mai provato; mi fa girare la testa l’idea di copulare con mia figlia e mi esalta la sensazione fisica che sa darmi sull’epidermide, senza penetrazione; andiamo avanti per un paio d’ore, scambiandoci continuamente i partner ed io godo senza interruzione, soprattutto quando ho a che fare con Nicla.
Amo tutto di lei; ed è la prima volta che mi accorgo di quanta passione fisica ci possa essere tra madre e figlia; non l’avevo mai vista dalla prospettiva del piacere fisico; ed ora mi trovo ad ammirare la vagina evidentemente abituata a ricevere dentro mazze anche di grandi dimensioni, eppure calda, dolce, morbida, carnosa, sensuale; mi sembra quasi di vedere per la prima volta il suo didietro tondo come disegnato col compasso, nervoso e saldo piantato sui lombi quasi in esposizione permanente, con uno spacco centrale che disegna perfettamente le due natiche in cui si divide; al centro, l’ano decisamente spanato (deve amare molto la penetrazione anale e non arretra, evidentemente, davanti a dimensioni ciclopiche); la bocca dolce e sensuale, dal disegno perfetto, con la quale appena può mi divora tutta; le tette naturali, senza ritocchi, ricche, carnose, quasi enormi che invitano a leccare e nelle quali affogo volentieri: in cima, due aureole leggermente brune, ancora verginali, nonostante tutto, e due capezzoli prepotenti, ritti per l‘eccitazione, desiderosi di essere succhiati, leccati, mordicchiati.
(continua)
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Aggiunto: 4 anni fa
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Tradimenti