La mia storia con Cristiano era cominciata nella maniera più semplice e banale possibile: per un breve periodo mi aveva corteggiata facendo in modo da trovarsi dovunque io andassi, mi aveva tampinata facendosi notare sempre con piccole cortesie, regali e coccole di varia natura, finché avevo accettato di uscire con lui e, al culmine di un processo di adeguamento reciproco, mi ero concessa completamente e gli aveva dato la verginità difesa fino a quel momento a spada tratta: frequentavo ancora l’università, al limite della laurea, mentre lui aveva già avviato la sua piccola azienda di recupero navale e di ristrutturazioni che progressivamente si affermava sul mercato.
Non fu facile persuadermi che, per il suo lavoro, lo spazio utile non poteva essere la piccola città di centro Italia dove abitavano i miei e dove lui aveva comprato un piccolo appartamento con la speranza di andarlo ad abitare con me dopo il matrimonio: il mutuo pesava molto, ma lui era in grado, per il momento, di fare fronte alla spesa abbastanza agevolmente; l’unico problema vero era costituito dal fatto che, per lavoro, era costretto a passare mesi interi a Genova, dove la sua attività aveva senso, spazio e margine di crescita.
Ma io non ero affatto disposta a rinunciare alla mia attività: mi ero laureata per insegnare e avrei fatto la professoressa ad ogni costo; non era neanche in discussione l’opportunità della mia scelta e Cristiano fu il primo a convenire che dovevo fare la trafila per arrivare ad insegnare in un Liceo; naturalmente, sperava che scegliessi come destinazione Genova e che, col matrimonio, avessi maggiori opportunità di farmi destinare ad una sede di quella città; ma io non ci tenevo affatto a legarmi al suo lavoro: il richiamo della famiglia di origine era troppo forte e tutte le mie energie furono spese per arrivare ad insegnare nella mia città, dove mio padre aveva già il suo spazio di prestigio nell’elite cittadina.
Naturalmente, i rapporti con Cristiano divennero rapidamente tesi, visto che ci si poteva incontrare per poche ore ogni mese, quando riusciva a ritagliarsi un fine settimana per venire a trovarmi: questo comportava pochissime opportunità per i nostri rapporti, anche sessuali, ed un’infinità di dubbi che si accampavano sulla tenuta della reciproca fedeltà; espressi apertamente e convintamente la mia opinione: più volte si era detto tra noi che una eventuale ‘trasgressione’, se vissuta in una logica di lealtà e di chiarezza, non andava neppure incasellata nella tabella delle ‘corna’ come volgarmente di definiva l’adulterio; nessuno dei due poteva dare garanzie di passare i mesi senza potenziali ‘pruriti’ e quindi l’unica ipotesi praticabile era decidere convintamente che l’amore era un obbligo reciproco da rispettare ad ogni costo; il sesso, se vissuto in lealtà e chiarezza, poteva essere considerato un ‘accessorio’ variabile a cui ciascuno poteva fare ricorso, a patto che non avesse conseguenze e che se ne potessero lavare le tracce, subito dopo, con un semplice risciacquo.
Su queste convinzioni, decidemmo stupidamente persino di sposarci e per un paio di settimane fummo anche una coppia di sposi felici; subito dopo, però, Cristiano dovette correre a Genova per problemi di lavoro e per un mese dovemmo limitarci a sentirci per telefono o per skype più o meno ogni sera, con telefonate al limite del surreale, lunghe, banali e piene di coccole parlate che alla fine servivano solo ad aizzare la voglia di sesso che ci possedeva comunque; quasi inevitabilmente, il ‘prurito di patata’ mi prese di colpo una mattina che, in classe, mi trovai di fronte a Francesco, il mio alunno più anziano (da lui mi dividevano meno di dieci anni) che involontariamente mi fece notare la sua erezione dalla quale si deduceva un sesso forse superiore a quello di mio marito e del quale non avevo manipolato simili nella mia breve esperienza.
Per un poco cercai di resistere alla tentazione rifugiandomi molto spesso anche nell’autoerotismo, masturbandomi fino a farmi dolere l’inguine; poi, al limite ormai della resistenza, decisi che ‘un passaggio’ potevo prendermelo senza che ne venisse messo in dubbio il mio amore per mio marito: in fondo, ne avevamo parlato e avevamo detto espressamente che, nel caso di pressioni particolarmente urgenti, parlandone prima, poteva neanche ipotizzarsi un rapporto che non suonasse come tradimento; l’unica cosa era che dovevo parlargliene prima, anzi immediatamente, per non far incancrenire una situazione già al limite; decisi che la sera stessa glielo avrei comunicato; ma all’ultimo momento non ne ebbi né il coraggio né la voglia, soprattutto perché ritenevo che, in tal modo, la mia sessualità venisse asservita al maschio dominante: lui aveva il mio amore, intatto, e di quello doveva accontentarsi.
“Francesca, che hai stasera: sei quasi pallida!”
“Sarà il tuo monitor che ti fa vedere male; sto benissimo, non ti preoccupare.”
“Sembra quasi che mi voglia dire qualcosa e non lo fai!”
“Tieni per te le tue fisime; non ho niente e sto benissimo. Prima che la discussione degeneri, smettiamola. Buonanotte”
Sapevo con certezza che stavo commettendo un gravissimo errore e temevo anche che l’avrei pagato; ma davvero non accettavo più di sentirmi controllata e dominata dal maschio Alfa; ma l’errore più grave, in quella follia, fu non ricordarmi che avevo concordato e deciso con Cristiano di dotare la casa di un delicato e complesso sistema di protezione che prevedeva, tra le altre cose, un controllo televisivo di tutti gli ambienti dell’appartamento, con la registrazione immediata degli eventi ripresi e la conservazione in una memoria collegata al suo computer personale: se avessi avuto il buonsenso di fare le cose fuori casa, non avrei rischiato niente o molto poco; facendole in casa, lui ne sarebbe venuto sicuramente a conoscenza in tempo reale: nella mia presunzione di onnipotenza, certa di non dover rendere conto a nessuno delle mie azioni, decisi che mi sarei portato Francesco nel talamo nuziale e lì avrei fatto sesso con la sua verga meravigliosa.
Cominciai quello stesso sabato, invitandolo a venirmi a trovare a casa con la scusa della revisione di un suo elaborato: capì immediatamente che volevo concupirlo e lui aveva tante volte espresso il suo desiderio di copulare con me; sicchè, non ci fu bisogno di convincersi: poiché non aveva ancora compiuto i diciotto anni e comunque era ‘figlio di famiglia’ non era pensabile un incontro serale o notturno, visto che doveva tornare presto a casa; gli dissi di passare intorno alle quattro del pomeriggio e mi preparai alla copula: scelsi un intimo particolarmente provocatorio che avevo acquistato proprio per una occasione del genere; il reggiseno era costituito da due strisce che inquadravano le mie tette carnose, sode e gonfie che sfidavano tutte le leggi della natura per ergersi prepotenti con i capezzoli puntati in avanti; il perizoma aveva solo un triangolino di stoffa che a malapena copriva la vulva totalmente depilata e per il resto era una lunga striscia di stoffa che spariva tra le natiche ampie e matronali, fatte per essere maltrattate e usate a lungo; alle calze rinunciai, perché non indossai abiti ma solo una vestaglia.
Mi lavai accuratamente e, visto che non potevo fare previsioni, mi pulii anche l’intestino con un accurato clistere: avevo fatto sesso nel retto con Cristiano, mi era piaciuto ed ero decisa a farlo anche con Francesco, anche se la dimensione intravista non era rassicurante, al confronto col mio ano piccolo e stretto, che non era stato poi tanto maltrattato, con poche penetrazioni sempre di mio marito; mi depilai accuratamente e mi passai qualche goccia di profumo su tutto il corpo: mano a mano che procedevo nella preparazione, mi rendevo sempre più conto di essere una perfetta troia che si apprestava a tradire volgarmente e immeritatamente il suo uomo; ma il desiderio di imporre la mia libertà, a quel punto, diventava addirittura ossessivo.
Quando Francesco bussò al mio appartamento, ero ansiosa e fibrillavo come al mio primo appuntamento, non molti anni prima; mi apprestai ad incontrarlo con la stessa ansia, la stessa voglia e la stessa ansiosa curiosità con cui affrontai il primo ragazzo che avrebbe baciato con la lingua; aprii la porta con il cuore in gola; mi presentai con la vestaglia già mezza aperta che gli faceva vedere il mio corpo in pieno splendore; lo invitai ad entrare e, appena ebbi chiuso, lo avvolsi in un bacio così appassionato che non ricordavo di averne dato mai uno simile: le mie labbra si strinsero sulle sue come una ventosa e lo risucchiai tutto nella bocca, poi la lingua si insinuò con forza e perlustrai i denti, le gengive, il palato, portando in lui tutta la saliva che la libidine mi faceva produrre a iosa e prendendomi tutta quella che lui sbavava per il piacere; sentii il suo fallo gonfiarsi nel pantalone, contro il mio inguine, e per la prima volta ne assaporai la meravigliosa consistenza mentre mi strofinava la vulva procurandomi fitte di piacere che mi portarono rapidamente ad un primo piccolo orgasmo.
Mentre godevo della sua mazza che mi titillava, non mi resi conto che avevo fatto scattare, con la violenza della mia spinta, il sistema di allarme che metteva in azione anche la videoripresa; fermai immediatamente il suono lancinante che si era avviato, ma non mi resi conto della spia luminosa accesa che dava il segnale della videocamera in azione; in automatico, scattò il segnale di skype e mi apparve Cristiano che mi chiese cosa capitasse; maledicendolo in cuor mio, gli dissi che non succedeva proprio un bel niente e che non mi rompesse l’anima; sembrò accontentarsi e chiuse il collegamento: con una stupidità senza pari, non mi resi conto che la video ripresa non si era interrotta e che qualcuno, da remoto, stava guardando la scena direttamente; ripresi a limonare con Francesco come non fosse successo niente e lui commentò.
“Che voleva il cornuto?”
“Ti prego, è mio marito si chiama Cristiano e non ti permetto di apostrofarlo con quel termine; io non intendo fargli le corna, assolutamente; voglio copulare con te, ma un po’ di sesso non significa tradire un amore come quello che viviamo noi; a te posso dare e darò sempre e solo sesso.”
“Come vuoi. Ma dalle mie parti se una moglie copula con un altro che non sia suo marito, sono corna, comunque tu le definisci.”
“Sarà anche così; ma non ti permetto di usare quel termine.”
Il problema era che in realtà prendevo coscienza chiara, solo in quel momento, dell’imbecillità che stavo commettendo; ma, ancora una volta, l’idea di calpestare lo strapotere del maschio e di regalarmi una copula sazia e piena mi faceva godere assai più della mazza che mi stimolava l’inguine; abbassai la mano tra di noi; e la presi tutta, da sopra i vestiti; mi sentii sciogliere quando mi accorsi della sua consistenza che quasi non mi consentiva di tenerne la circonferenza tra pollice ed indice e che con una mano riuscivo a coprirla solo per un terzo; quasi con frenesia lo trascinai verso la camera da letto, lasciai cadere a terra la vestaglia, mi presentai a lui con l’intimo striminzito e con gesti frenetici presi a spogliare anche lui: sfilata la maglietta, mi fiondai sui suoi pettorali curati e tenuti in esercizio con tanto sport, afferrai con le labbra i capezzoli, li succhiai uno alla volta e sentii l’asta che vibrava nella mano; strappai giù, insieme, pantaloni e slip e finalmente mi apparve il sogno di quell’incontro, un fallo che mi apparve immenso, anche se in realtà era solo di qualche centimetro più grosso di quello di mio marito: ma questo si caricava dell’ansia della trasgressione, della voglia non di farmi possedere ma di violentarlo a modo mio.
Francesco era in fondo solo un ragazzo appena cresciuto; probabilmente non aveva nessuna esperienza di rapporti sessuali; gli chiesi per curiosità se era la prima volta per lui; mi disse che era la prima volta che aveva una donna tutta per lui nuda, in una camera da letto, e che soprattutto quella donna era da tempo il suo mito sessuale, che si era masturbato moltissimo, e assai volentieri, su di me; gli dissi che se non faceva stupidaggini e la cosa passava sotto il massimo silenzio, avevo anche io voglia di fare molto sesso con lui, di insegnargli e di imparare tutti i modi di copulare.
“Non ti soddisfa tuo marito?”
“No, mi soddisfa; ed anche molto! Lui è un grande amante, ma per un mese se ne sta lontano dietro a quel suo maledetto cantiere; ed io sono qua da sola a cercare piacere dove posso trovarne. Se sarai quello giusto, sarà a te che chiederò il piacere di cui ho bisogno.”
Quasi in risposta, mi spinse supina sul letto, coi piedi ancora sul pavimento, si inginocchiò tra le mie cosce e prese a ‘mangiarmi’ con voluttà la vulva, leccandomi a lungo le grandi labbra e quelle piccole fino a raggiungere il clitoride che chiuse nelle labbra e cominciò a succhiare con voluttà; sentivo che, nonostante l’inesperienza per la giovane età, riusciva a strapparmi un piacere immenso dal sesso e cominciai a lamentarmi della goduria che mi procurava finché il mio gemito si trasformò in un urlo che poche volte avevo lanciato nei miei incontri sessuali con Cristiano; mi abbattei sul letto sfinita e lui mi venne a baciare sulla bocca con libidine mentre le mani percorrevano i seni e strizzavano i capezzoli; la sua bestia meravigliosa si assestava fra le mie cosce e sentivo che mi strusciava tutta sulla vulva strappandomi ancora altri gemiti di piacere.
Decisi di farmelo io: lo spinsi supino al centro del letto, gli saltai sul ventre e mi impossessai del suo manganello di carne: a malapena riuscivo a tenerne i due terzi, con ambedue le mani; la cappella viola, grossa come un fungo, sembrava ammiccarmi complice; la cominciai a leccare delicatamente e metodicamente, dalla circonferenza di base alla punta, infilando la lingua nel meato urinario e passandola sul frenulo da cui strappavo urletti di piacere; quando la feci entrare tutta in bocca e la spinsi fino all’ugola, per un attimo dovetti fermare un conato di vomito, poi la adattai lentamente, gustando la sericità della cappella, la consistenza dell’asta e il piacere di scappellarla mentre la succhiavo; pompò un paio di volte nella mia bocca.
Spinsi la punta contro la guancia mentre lui copulava e non riuscii a frenarlo quando spinse con sempre maggiore violenza ed alla fine esplose in un orgasmo che mi mise in difficoltà: dovetti frenare con la lingua lo sperma che spruzzava e raccoglierlo adagio nella cavità, ingoiandone poco per volta per non soffocare; ma lo bevvi tutta, perché mi era sempre piaciuto farmi godere in bocca e ingoiare lo sperma per impossessarmi del sapore di lui; il ragazzo ne sembrò spaventato: forse conservava ancora qualche retaggio di prevenzione contro l’anti-igienicità del gesto; mi limitai invece a muovergli il rimprovero che mi interessava di più.
“Devi cercare di resistere; se vieni troppo presto, poi non ci resta margine per godere!”
“Tu credi? … “
Sembrava deridermi e sentii che la mazza già si gonfiava nella mano dove la tenevo: sentire quel sesso giovane e pulsante gonfiarsi a contatto con la mia mano fino a farmi delirare di voglia, mi riempì ancor più di voluttà a di desiderio; mi stesi sul letto, me lo tirai addosso, aprii le cosce e mi feci penetrare in vagina; non fu un percorso semplice: anche perché era da quasi un mese che non avevo rapporti, quel randello sembrava trovare mille difficoltà ad entrare in una utero che giovane non era: sentivo l’asta forzare le pareti del condotto e godevo ad ogni spinta, ad ogni cedimento, ad ogni sfregatura contro le pareti della mazza che avanzava; quando la punta spinse contro la testa dell’utero, urlai con tutto il fiato che avevo in gola e scoppiai in un orgasmo che non aveva niente di umano; squirtai sicuramente, e non poco, vista la condizione in cui poi avrei trovato le lenzuola; Francesco divenne quasi violento mentre mi montava come un autentico stallone.
“Ti piace la mia mazza, troia? … La volevi, eh? … la vuoi dappertutto, no? … Non ti preoccupare … adesso ti sfondo l’utero, ti spano la vagina, ti squarto tutta, poi toccherà al tuo didietro: ti straccerò l’ano, ti romperò l’intestino, non ti farò sedere per una settimana … Tieni … Tieni … ancora … godi … godi, troia … Aaaahhhhhh godo … vengo … ti allago .. ti inondo. Cristo, nemmeno ti ho chiesto se sei protetta. Ho fatto un guaio?”
“No, stallone mio, no, sbattimi, non avere esitazione: questo voglio da te, che mi spacchi, che mi sventri, che mi tratti come un tappetino e mi fai godere tanto tanto tanto.”
E’ troppo, anche per la sua resistenza; crolla sopra di me e devo spostarlo a forza di lato per alzarmi dal letto e andare in bagno; mi lavo e sfilo perizoma e reggiseno inutili, mi passo un poco di crema emolliente sulle grandi labbra maltrattate, prendo il tubetto del lubrificante anale e torno sul letto; mi da solo il tempo di sdraiarmi e mi è sopra; prima si lancia in un meraviglioso 69 e mi viene a brucare la vulva, spazzolandomela con la lingua aperta e morbida; poiché sono sopra di lui, allunga la leccata fino all’ano e lo ammorbidisce in parte, mentre io mi dedico alla sua mazza meravigliosa e me la faccio scivolare su tutto il corpo, specialmente sui seni e tra le mammelle, in una spagnola anomala; poi lo prendo in bocca e, mentre lo succhio, cerco di farmene entrare in gola quanto più posso, in una sorta di strana sfida tra me e lui, finché quasi tocco con le labbra il pelo pubico e capisco che di più non posso.
Francesco ha visto il tubetto del lubrificante, ha capito la mia intenzione, e provvede immediatamente ad ungere l’ano e il canale rettale, infilandoci prima un dito e poi progressivamente altri due finché ruotano liberamente; mi fa sistemare carponi sul letto col sedere alzato al massimo, mi viene alle spalle e comincia a spingere dentro il suo mostro; gli raccomando di fare piano, mi rassicura e spinge lentamente; dopo qualche sosta per doloretti miei, spinge fino in fondo, sento i testicoli sulla vulva, il ventre sulle natiche e capisco che il mio sedere è suo, ma anche che la sua mazza è completamente mia; mi monta come un cavallo selvaggio, senza rispetto, senza requie, senza esitazione; ed io godo da morire, ogni tanto vedo rosso e perdo il senso del tempo, dello spazio e delle persone: non so più dove sono, con chi, perché e che cosa sto facendo; semplicemente godo fino a perdere i sensi; quando mi risveglio dalla trance in cui sono piombata, lui è in bagno che si lava ed io sono in una sauna di sudore, di umori, di sperma; corro in bagno anche io e mi ficco sotto la doccia; anche sotto il getto non smettiamo di baciarci, di toccarci, di titillarci e lui mi fa godere ancora due volte.
“Non ho mai copulato con tanto gusto, con tanta gioia … “
Mi dice quasi estasiato.
“Non credere: neppure io avevo mai goduto tanto; è stato bellissimo!”
Ritorniamo a letto e riprendiamo; riesce ad eiaculare cinque volte quel pomeriggio, ancor una volta in bocca e in vagina, dopo la prima serie; io non conto più gli orgasmi raggiunti, ma sono disfatta quando lui si riveste e torna a casa; per fortuna l’indomani è domenica e posso poltrire a letto, gustando il ricordo di queste copule indimenticabili e meravigliose; la sera, quando mi connetto in skype con Cristiano, lo trovo con una faccia da funerale, torvo da fare paura; io invece sono felice come una pasqua; addirittura sono ancora più innamorata, dopo aver sfogato la mia voglia di sesso e di goduria; mi chiede se ho qualcosa da dirgli; gli rispondo che ho da riferire solo le solite cose di casa; mi chiede di nuovo se c’è qualcosa di cui dovrei parlargli e che non ho detto; ripeto che non ho niente da dire.
“Allora non potremo più dirci niente; questo mese non vengo a casa e non so quando ci tornerò!”
Interrompe così la conversazione; ho la sensazione che abbia capito o sappia qualcosa e voglia che io gliene parli per quel teorema della lealtà che io non intendo rispettare; cerco di riconnettermi, ma risulta respinta la mia chiamata: ha attivato l’app che colloca il mio numero tra quelli fastidiosi; cerco di chiamarlo al telefonino ma ottengo lo stesso risultato: evidentemente, mi ha cancellato dalla sua vita e posso provare solo sul telefono di ufficio, ma devo aspettare fino a lunedì e devo sperare che le segretarie non abbiano ordine di ignorarmi; ma è esattamente così e per un’intera settimana cerco inutilmente di trovare uno spiraglio che mi consenta di parlare con mio marito al quale vorrei ricordare che comunque lo amo più di qualunque cosa al mondo.
Il sabato pomeriggio, però, quando Francesco arriva al nostro appuntamento, mio sono dimenticata di Cristiano e della sua telefonata, per ricordarmene solo il lunedì successivo; passa un mese, in questo andazzo nel quale io gli pianto decisamente corna facendomi sfondare in tutti i buchi dal mio giovane amante e percorrendo con lui tutti i sentieri, leciti e illeciti, del sesso; lui, da parte sua, elude metodicamente ogni mio possibile contatto; quando mi rendo conto che non ha versato nessun contributo per le spese di casa, come abitualmente fa, parlo con la sua segretaria e le spiego che non ho soldi per la casa e che ho urgenza di chiarire con mio marito; la risposta mi gela.
“Per questi quesito, deve rivolgersi a Mariano …, l’avvocato amico di suo marito: ha lui la delega per tutto.”
Telefono a Mariano e gli chiedo conto; mi avverte che non può parlare per telefono di queste cose e mi dà appuntamento nel suo ufficio; ci vado una mattina che sono libera dall’insegnamento; mi siedo alla sua scrivania; lui è stranamente assai silenzioso; mi mette davanti una busta con dei fogli, li apro e leggo: c’è una richiesta di separazione, consensuale e senza rivendicazioni, già firmata da Cristiano, con uno spazio per la mia firma.
“Che vuol dire?”
“Cristiano intende divorziare e intanto chiede la separazione pregiudiziale; se firmi per la consensualità, tra qualche giorno vai dal giudice Rossi e in mezz’ora sarai una donna libera.”
“Il tuo amico si deve essere bevuto il cervello per fare questa richiesta!”
Non risponde, tira fuori una foto, la poggia sulla scrivania.
“Francesca, questo è un fermo immagine di una serie di video che Cristiano tiene gelosamente custoditi; il ragazzo che sta con te è un minorenne tuo alunno; se non vuoi firmare, tuo marito rende pubblici quei filmati, ottiene il divorzio per direttissima e tu non solo perdi il lavoro ma finisci in tribunale con l’accusa di violenza su minore. Cosa decidi di fare?”
“Posso parlarne con Cristiano?”
“Cosa vorresti dirgli?”
“Che lo amo come l’ho sempre amato e come lo amerò sempre, che ho sbagliato a fare certe cose alle sue spalle: lui mi aveva detto che se ero leale non avrebbero inciso sul nostro matrimonio; ma è solo questa la colpa, non aver parlato prima; la violenza e le altre cose le aggiungete voi.”
“Io posso anche chiedere a Cristiano di parlarti, ma ci sono falle enormi in quello che dici: il tuo è tradimento non sessuale ma morale, tu sei venuta meno a un impegno preso in due; hai negato l’evidenza. Forse non ricordi che la tua casa ha un sistema video; l’hai fatto scattare tu stessa e da quel momento tuo marito è stato in grado di registrare tutte le tue bugie: anche Skype si può registrare e tu hai sempre negato quello di cui lui aveva i documenti. Pensi ancora che sia possibile parlare e sistemare questa cosa che tu consideri banale e che per la legge è un reato di pedofilia?”
“Ti chiedo di nuovo: credi che Cristiano voglia almeno parlarmi?”
“Amica mia, non ti accorgi che anche adesso che io sono solo un portavoce e che sono in collegamento diretto con lui che ti sta dicendo queste cose?”
“Ah, l’avete studiata bene … “
“Ci sei o ci fai? Tu gli hai fatto le corna. LE CORNA … capisci questa parola, professoressa? Non hai nessun diritto, meno che mai al contributo per una casa che lui ha comprato, che lui continua a pagare e che tu usi come tua privata garconniere per ricevere il tuo amante. Allora?!?!?”
“Va bene, firmo; quando ci dobbiamo vedere davanti al giudice?”
“Ti farò sapere. Buongiorno, cara amica; e buona fortuna.”
”Visto che sei in contatto diretto, puoi farmi sapere se almeno per questo mese mi aiuta come sempre? Dal prossimo saremo separati; ma per questo mese sono ancora sua moglie ed ho davvero bisogno dei soldi di mio marito.”
“Non è possibile capire chi sei diventata e che diavolo ti capita; sembra che tu stia facendo la guerra ad un tiranno, ma sei stata tu ad imporre la tua volontà; quando potevi chiedere il trasferimento, non volesti andare a Genova ed imponesti la separazione di fatto, perché volevi stare nel tuo paesetto accanto a papà e mamma; poi però pretendi e prendi i soldi che quell’attività produce; hai creduto di combattere un tiranno e lo tiranneggiavi, sfruttandolo, rifiutandoti di seguirlo nella sede del suo lavoro e facendoti sbattere come uno straccio sporco da un ragazzino imbranato: se avessi un minimo di vera dignità umana, dovresti per lo meno rifiutarti di sfruttare parassitariamente la ricchezza di tuo marito, quella per la quale speravi di umiliarlo; ma tu quel minimo di dignità sembri non averlo: comunque, non avere paura; Cristiano ha anche tanta umanità oltre al resto e capisce che ti eri crogiolata nel ruolo della moglie parassita e inutile e non sei in grado di provvedere da sola a te stessa; per questo mese tutto sarà come sempre; dalla convocazione del giudice, sarete due entità separate e dovrai imparare ad arrangiarti. Addio.”
Impiega poco, Mariano, ad ottenere la convocazione dal giudice; nel giro di una settimana, ci troviamo, io e lui, in tribunale e, dopo una mezz’oretta, senza problemi, sono di nuovo una donna libera con un magone infinito per un grande amore che ho, scientemente, lucidamente, criminalmente, sprecato, umiliato, straziato e distrutto; mi piacerebbe sapere come ha vissuto questa vicenda Cristiano, che, a questo punto, mi rendo conto che ha sofferto anche più di me; ma non c’è modo di ottenere un colloquio, nemmeno per telefono; e mi devo rassegnare.
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