“Imbecille, prega dio che riusciamo a risolvere; se non ce la facciamo, stasera son proprio ca … voli tuoi!”
“Mi dispiace: non ci ho proprio pensato!!!”
“Il giorno che penserai, prima di fare una delle tue tante imbecillità, ci sarà un terremoto!”
Intanto, vedo Dario che parla con l’avvocato del Calabrese quasi trattasse uno dei suoi tanti affari; ma l’oggetto che agitano è il contratto di lavoro per me; evidentemente, lui sta ancora insistendo per avere la garanzia che mi mettano in regola con il lavoro: non riesco assolutamente a capire se sta cercando di rinviare il più possibile il mio incontro faccia a faccia col Calabrese, con le conseguenze che possono venirne soprattutto alla mia salute; se sta davvero trattandomi come una schiava polemizzando sulle clausole della mia cessione al subalterno, se invece sia veramente innamorato di me e non abbia nessuna intenzione di cedermi sul serio.
Nella mia stupida visione da sogno, spero che l’amore per me gli impedisca di condannarmi a diventare la schiava sessuale del suo amico erotomane e violento; ma troppi fatti anche recenti lasciano capire che invece sia il solito imprenditore che cerca di ricavare il massimo vantaggio da una transazione e che stia cedendo una sua schiava ad un concorrente trattando sul prezzo; non riesco assolutamente a capire se devo odiarlo ancora di più per essere trattata da schiava, se devo amarlo alla follia perché sta dimostrando di preoccuparsi per me o se semplicemente devo aspettare che qualcosa succeda; per una volta tanto, scelgo di non decidere e sto ad osservare gli eventi: per male che vada, mi troverò sera stessa a dover subire, in condizioni già precarie, gli assalti animaleschi di un amante violento: nelle mie condizioni, niente mi da più motivo di ansia; e aspetto.
Ad un tratto compare una nuova ospite, che getta lo scompiglio tra i presenti, al punto che il Calabrese lascia cadere gran parte del contenuto di una bottiglia da cui sta versando del liquore in un bicchiere: il gesto che fa Dario, di andare verso la nuova venuta e salutarla con molta amicizia, baciandola sulle guance, mi fa capire che si tratta di una donna importante ma inattesa; quando Elvira si precipita ad abbracciarla a la chiama per nome, è chiaro anche a me che è la moglie legittima del Calabrese, appositamente invitata da Elvira e precipitatasi alla villa: in tal modo, non è possibile per lui fermarsi con me come ha promesso (o minacciato?); guardo i due con aria di gratitudine ma Elvira non mi risparmia.
“Stasera ti fermi a dormire qui e cerchi di recuperare; ma domani ti darò in pasto a quell’animale e poi non voglio sapere più niente.”
Approfitto di un momento in cui Dario è da solo in un angolo per avvicinarlo.
“Visto che da domani divento proprietà dell’amico a cui mi hai ceduto come una schiava, mi faresti un ultimo regalo, mi faresti dormire con te questa notte?”
“Ho già detto e ribadito che a casa mia la tua fogna non ce la voglio vedere più!”
“Non a casa tua. Elvira mi ha detto che posso fermarmi qui. Non passeresti un’ultima notte con me?”
“Ma come fai a pensarlo se ancora ti muovi male per quello che ti ho combinato un’ora fa? … “
“Non voglio fare sesso. Voglio solo che mi fai dormire in braccio a te, come siamo riusciti a fare qualche volta quando ci amavamo davvero … “
“Non credo che girare il coltello in quella piaga faccia bene a nessuno. Rassegnati all’idea che domani sarai in balia della bestia e prega che duri poco.”
Non tento neppure più di dialogare; capisco che devo andarmene e chiedo ad Elvira se posso approfittarne per rilassarmi con un bagno; mi indica quello più attrezzato, con una splendida Jacuzzi; mi mostra gli armadi dove posso trovare abiti per me e, per la prima volta in tutta la serata, mi accarezza il viso con dolcezza.
“Povera ragazza; in fondo, mi fai solo tanta pena perché sei una bambina capricciosa incapace di capire il mondo.”
“Gia! … peccato che quasi sempre lo capisco solo dopo … e troppo tardi per evitare gli errori o per rimediarvi. … “
Me ne vado nel bagno, mi immergo nella vasca, mi abbandono al movimento dell’acqua e quasi mi addormento; quando mi riscuoto dalla catalessi che mi ha provocato la Jacuzzi, mi asciugo con calma ed accuratamente, quasi a tirare tardi per non affrontare la realtà; mi trucco utilizzando il repertorio vastissimo di dotazioni del bagno, scelgo un vestitino leggero ed elegante, senza intimo, e con una leggera mascherina che trovo come soprammobile su un cassettone; mi ripiombo nella realtà della festa, resistendo a tutte le avances e agli inviti a scatenarmi liberamente: paradossalmente, non faccio sesso in una serata in cui tutti impazzano.
La giornata seguente la trascorro a ciondolare tra le sale della villa e il giardino: trovo molto strano che una figura secondaria come Elvira viva in tanto sfarzo, mentre un padrino come Dario si chiuda in un appartamento in centro, senza dubbio bello e sfarzoso anche quello ma comunque non della classe della villa; mi chiarisce tutto il fido Nicola, che ormai riconosco come il braccio destro di Dario, il quale, intuendo la mia perplessità, mi spiega che Dario si concede pochi lussi, ma che non impedisce alle sue donne di scialare con tutte le sue disponibilità.
“Dici che avrei potuto essere io, a beneficiare di questi lussi, se non avessi commesso tanti errori?”
“Dario ti ha incontrato quando era all’inizio della sua ascesa; poi si è innalzato rapidamente: secondo me, era convinto che lo avresti accompagnato e saresti stata la sua ispiratrice; ci deve essere rimasto molto male, quando ha capito che non era così.”
“Stai dicendo che era tanto innamorato di me?”
“Non lo dico solo io; lo dicono tutti e, soprattutto, lo dicono i fatti: sei ancora la donna più importante per lui, anche se deve frenarsi per non farti fare una brutta fine, come meriteresti.”
“Anche tu mi odi?”
“Vista la mia fedeltà a Dario, non posso certamente amarti.”
Non posso aggiungere altro e mi devo limitare ad attendere che Elvira mi accompagni dal Calabrese; nel pomeriggio, si accerta che lui sia in ufficio e mi conduce in fabbrica, mi affida ad una delle segretarie e se ne va con una strana espressione tra il rammaricato e l’incavolato: è chiaro che non riesce a perdonarmi di avere sprecato tutta la mia vita per un misero capriccio; mi indicano una scrivania dove qualche volta dovrò sedermi per ‘fare finta’ di controllare le attività e noto che non è molto vicina all’ufficio del ‘capo’ a cui in realtà sono destinata come concubina; in realtà, non incontro lui per tutto il pomeriggio; a fine giornata, un ragazzo incaricato appositamente mi accompagna in macchina ad un edificio del centro tutto occupato da piccoli appartamenti e mi consegna le chiavi di uno al secondo piano.
Ci vuole poco a visitarlo tutto, visto che è costituito da un soggiorno con angolo cottura e da una camera con un letto enorme che la occupa quasi per intero; in un armadio grande come tutta una parete, trovo un completo guardaroba della mia misura, dai vestiti all’intimo alle scarpe, tutto regolarmente firmato ed elegantissimo, all’ultima moda: mi sento adulata e vezzeggiata come piace a me e il mio orgoglio si inalbera fino a farmi ammirare quell’individuo rozzo che mi ha acquistato come una bestia al mercato, ma che in compenso mi fa sentire amata e coccolata come Dario ha fatto solo poche volte; finisce che lo aspetto quasi con ansia e, quando entra, mi lancio ad abbracciarlo con un entusiasmo che lui scambia per amore.
Riprende immediatamente i suoi costumi e mi abbranca per i glutei stringendoli fino a farmi male: la velocità di recupero dei miei tessuti ha spesso meravigliato anche i medici ed ho ormai assorbito il dolore che mi ha provocato lo strapazzo a cui il giorno precedente mi ha sottoposto Dario quando mi ha posseduto con rabbia feroce e cieca da tutte le parti; ma la presa del Calabrese è comunque assai forte e mi strazia le natiche e i fianchi: è evidente che desidera possedermi fino in fondo, fino all’anima, se necessario; mi abbandono con lussuria, quasi fiduciosa, e comincio a gustarmi la pressione della sua mazza enorme contro l’inguine.
E’ evidente che ha una voglia matta di possedermi in ogni modo, forse anche per un forma di rivalsa contro ‘il padrino’ di cui può finalmente maltrattare la donna che si è preso a pieno diritto; al tempo stesso, però, è quasi messo in soggezione dalla mia figura che ritiene superiore alle tante con cui si è finora rapportato: sicché, da un lato mi sento sbattuta quasi con violenza, prima contro una parete, nel soggiorno, e poi sul letto, quando mi ha trascinato, letteralmente, in camera da letto; dal’altro lato, però, sento che mi spoglia come se scartasse un regalo prezioso, attento a non rovinare nemmeno un bottone o una piega dei miei vestiti, mentre mi accarezza quasi con la bava alla bocca ogni centimetro di pelle che scopre, passandoci poi le labbra e la lingua a leccare, succhiare, godersi i contatti col mio corpo che gli fanno rizzare l’arnese fino a dolergli, probabilmente.
Decido di corrispondere alle lussuriose attese e prendo a baciarlo anch’io, mentre lo spoglio dei suoi abiti e metto a nudo il corpo decisamente tonico, muscoloso ed energico: mi piace sentire sotto le dita, sotto le labbra, sotto la lingua, i muscoli possenti del torace, specialmente quando prendo in bocca i capezzoli e li succhio, uno per volta, scatenandogli dentro torrenti di piacere e di voglia; infilo la mano nei pantaloni e la sento finalmente viva, calda, possente, la ‘mazza asinina’ di cui mi hanno parlato e contro la quale mi hanno prevenuto che può fare tanto male, se entra troppo o troppo di colpo; sotto le mie dita agili, sembra quasi morbida, dolce, carezzevole; e ne seguo pacatamente e singolarmente le pieghe, le vene, lo spessore, enorme, e la lunghezza, meravigliosamente infinita; quando prendo a masturbarlo metodicamente, sento che vibra in tutti i muscoli del corpo e che si sforza in ogni modo di ricacciare indietro l’orgasmo che monta.
“Pensi di non farcela, a farne due di seguito?”
Gli chiedo provocatoria; con la determinazione che mi aspetto, mi rimbecca.
“Me ne faccio tante di fila da farti chiedere pietà, bella mia: perché vuoi farmi eiaculare?”
“Perché lo sperma che spruzza dal sesso mi eccita da morire; mi piace vederlo inondarmi le tette, il ventre, il viso, la bocca; dammi il tuo succo da leccare e mi farai felice.”
Non mi lascia finire: mi afferra il viso e mi bacia voluttuosamente mentre si muove nella mia mano come copulasse; aiuto la masturbazione con tocchi sapienti, abbasso la testa e guardo finalmente la cappella enorme che mi ingombra la mano e vedo sprizzare dal foro in cima la cremina bianca che aspettavo, apro la bocca e sporgo la lingua per ricevere direttamente lì il primo spruzzo e cogliere finalmente il sapore del suo sperma, acre, duro come il suo carattere, ma anche pieno, sapido, godurioso della gioia di vivere che rappresenta; raccolgo tutti i getti di sperma che produce e capisco rapidamente che posso dominarlo perché le mie voglie, i miei capricci, le mie invenzioni lo spiazzano facilmente e, in quelle condizioni, un uomo può facilmente dipendere da me, dal mio sesso, dalla mia capacità di utilizzarlo per piegarlo ad ogni mio capriccio; forse, senza volerlo, ho trovato il giocattolo giusto per le mie piccole follie.
Prima che la sua erezione svanisca del tutto, lo rovescio sul letto e, con la bocca ancora impastata del suo sperma, prendo l’uccello tra le labbra, facendo enormi sforzi per fare entrare almeno la punta, e comincio a succhiargli l’anima dai testicoli; mi implora più volte di lasciargli un po’ di requie almeno per recuperare; mi prende il viso tra le mani e cerca di portare la sua bocca sulla mia: so di avere la lingua ancora piena del suo sperma e non so se gli possa fare piacere, ma non ho modo di ribellarmi e lo bacio voluttuosamente, passandogli la lingua sull’interno della bocca e spalmandogli il suo sperma dappertutto; partecipa con una passione da delirio e si lascia andare al gusto del bacio con lo sperma che a mio avviso neppure conosceva.
“E’ pazzesco baciarti; sento la mazza che mi fa quasi male, tanto è dura: eppure ti ho appena inondato la bocca; ora voglio la vagina, poi ti romperò anche il sedere!”
“Cerca di andarci piano, per favore; non voglio negarti niente né sottrarmi a niente, ma cerca di tenere conto anche dei miei limiti di sopportazione: non vorrei che mi lacerassi qualcosa in maniera irreversibile; mi piace fare l’amore, con te può essere un delirio dei sensi, ma la tua mazza è molto minacciosa; rompimi tutto, ma con cautela e senza danni irreversibili.”
“Non ti farò nessun danno; non ne ho mai fatto; ma tu mi ecciti in maniera animalesca; non è facile fermare la violenza, quando mi ecciti da morire; voglio possederti sempre, in ogni momento, dovunque e comunque.”
“Sono pronta a darti tutto il piacere che chiedi; non ti negherò mai niente e mi prenderò sempre tutto quello che puoi darmi; non possiamo parlare d’amore, tra noi; ma di piacere, di gusto, di sesso godereccio, quello si che possiamo permettercelo; adesso, per favore, cominciamo e basta con le chiacchiere!”
Non me lo fa ripetere; completa lo spogliarello strappandosi di dosso i pochi abiti che ancora non gli avevo tolti e mi trappa via reggiseno e slip, l’ultimo velo rimastomi; mi si stende addosso con tutta la mole sei suoi muscoli possenti ed io mi rannicchio sotto di lui, cercando di ‘sentire’ su di me il calore intenso di quel corpo tonico, muscoloso, tutto da amare e da possedere, me lo sento addosso, sopra, dentro; ci baciamo come se dovesse essere l’ultimo momento della nostra vita e mi percorre tutta la bocca con una lingua calda, grossa, umida, lussuriosa; allungo un mano tra noi e sento la mazza vigorosa, turgida; a malapena, riesco a tenerla tra indice e pollice, la guido sul mio corpo verso la vulva, appoggio la cappella all’imbocco della vagina; sto colando come un fontana, una pozza di liquidi vaginali si è già formata sul lenzuolo, sotto le mie natiche, e tende ad allargarsi mentre gli umori grondano senza sosta e lubrificano il canale.
La mazza comincia il suo percorso per penetrarmi in vagina e sento che i tessuti del canale soffrono per un’invasione mai sperimentata, ma godono della sollecitazione che ricevono: grido di gioia, di piacere, di sensualità, forse perfino d’amore, ma solo perché sto pensando a Dario e ricordo quando lui mi prese la prima volta; godo, ho continui orgasmi e sbrodolo senza sosta, allago la mazza che mi sta entrando nel ventre: sembra infinito il percorso che deve compiere dentro di me e sembra eterno il tempo che impiega ad attraversare tutto il canale vaginale fino ad urtare la cervice dell’utero, quando finalmente è costretto a fermarsi perché veramente l’urto mi provoca fitte di dolore.
Il Calabrese non è così violento o rozzo come sembrerebbe al primo impatto: a mano a mano che la sua mazza entra, sembra farsi più delicato, più attento, quasi più premuroso; mi bacia dolcemente il viso tutto, dalla radice dei capelli al mento; segna con le labbra il profilo del viso e si sofferma a baciarmi gli occhi, la bocca; infila nelle orecchie la punta della lingua e mi provoca intense emozioni che producono orgasmi irrefrenabili; scende sul seno e mi succhia i capezzoli come un neonato affamato; non picchia con violenza col ventre sul mio, copulando con forza, ma mi accarezza i fianchi con dolcezza, quasi seguendo il profilo con eleganza ed amore; poi parte alla carica e mi monta con forza; sento l’asta sprofondarmi fin nell’anima, sventrarmi e violentarmi tutta ma lasciandomi sempre e dovunque il senso di un piacere infinito; la mia vagina si è adattata alla sua mole immensa ed ora la riceve con gioia, se ne bea, la risucchia fino in fondo: è amore, quello che provo, perché anche con Dario avevo passato quell’esperienza, quando mi prese le prime volte ed io sentivo l’enorme differenza coi ragazzi che avevo incontrato fino a quel momento; la sensazione del corpo che si apriva e accoglieva in se il sesso enorme di quel maschio mi faceva sentire onnipotente; ed anche il sesso del Calabrese, ora, dominandomi, ma lasciandosi anche assorbire e possedere mi dà un senso di immensità che mi gratifica.
Quando esplode in vagina la sua eiaculazione, è un autentico tsunami che si scatena nel mio ventre, con un’ondata che mi porta orgasmi a ripetizione sempre più intensi che mi fanno urlare di gioia e di piacere soddisfatto; abbraccio e mi tengo stretto il suo corpo rilassato che sembra trasmettermi ancora più calore e passione: il tono della voce, le carezze languide e dolci, l’abbandono totale del corpo sul mio, con la mazza che resta impiantata nella mia vagina anche se perde due terzi del volume che aveva in entrata, tutto mi da la sensazione di un piacere infinito che sa di tenerezza ed arriva a sfiorare l’amore; quella prima volta che facciamo sesso, Peppe mi distrugge, letteralmente: nell’intervallo tra la chiusura dell’ufficio e la riapertura del mattino seguente, riesce a possedermi in vagina tre volte, sempre scatenandosi in movimenti anche strani per cercare nuove sensazioni e piaceri diversi; mi tiene l’asta in bocca per decine e decine di minuti, ogni volta, chiedendomi di succhiarlo al’infinito senza mai arrivare al’orgasmo che rinvia strizzandosi i testicoli: la conseguenza è che quasi mi slogo la mandibola per tenere la bocca spalancata al’altezza di quella mazza enorme; infine, mi affonda nel retto due volte, ma nessuna delle due mi gratifica con un orgasmo; semplicemente, gode a sentire la stretta dello sfintere e a pomparmi con foga fino allo sfinimento.
E ci arrivo sfinita, all’alba, quando lui deve alzarsi per andare in ufficio ed io mi limito a starmene a letto, non dovendo giustificarmi con nessuno; per farla breve, basta dire che quel ritmo regge per circa tre mesi, nel corso dei quali è assai difficile capire chi dei due si logora di più in amplessi che durano spesso dall’alba al tramonto e dal tramonto all’alba senza soluzione di continuità; dopo la prima settimana, la sua asta terribile diventa il bastoncino che uso per solleticarmi la vagina e per avere i migliori orgasmi strusciandomelo sul clitoride; lui, invece, si vede costretto progressivamente a ridurre il rendimento, anche perché è pressato da altre amanti che vede nei ritagli di tempo e che pretendono da lui prestazioni per lo meno accettabili, senza contare la moglie che non sembra stanca di sfornare figli; schiavo ormai della mia vulva, Peppe cerca in ogni modo di accontentare la mia insaziabile voglia e i miei capricci infiniti che talvolta lo mettono in difficoltà; su suggerimento di Elvira, che ogni tanto viene a farmi visita, forse per riferire a Dario, un giorno gli chiedo di intestarmi il miniappartamento dove copuliamo; accetta e andiamo dal notaio per l’atto ufficiale.
Quando comincio a ‘sentire’ che Peppe si allontana (forse, meglio, mi allontana) cerco di avere un incontro con Dario per capire i suoi sentimenti: non accetto l’idea che voglia dimenticarmi; io ne sono ancora innamorata come la prima volta; anche se mi rendo conto di avere esagerato in tutte le mie stupide reazioni, non riesco a rinunciare all’ipotesi ‘marziana’ che possa ancora provare qualcosa per me e che mi possa tenere in un angolo della sua vita, per quanto piccolo, che mi dia la sensazione di ‘esserci’ anche per lui; non è facile strappargli un appuntamento, neanche sul posto di lavoro; riesco a farmelo passare al telefono e gli chiedo se vuole incontrarmi in una pausa pranzo, a un tavolo di un bar o ad un bancone di rosticceria, perché ho un bisogno quasi fisico, ormai, di vederlo, di stargli un attimo di fronte, di parlargli col cuore in mano; riesco a strappargli un incontro ad ora di pranzo in un ristorante dove lui va, vicino alla fabbrica.
Nei pochi minuti in cui riusciamo a guardarci negli occhi, capisco che mi è rimasto nel sangue, qualunque cosa sia successa, ma che lui è ormai distante anni luce da me; se anche il Calabrese mi lascia libera, lui non può riprendermi per non fare una figuraccia; sarò ‘ceduta’ a qualcun altro, perché è la prassi e lui posso solo sperare di incontrarlo in momenti ufficiali, soprattutto alle feste, dove può dedicarmi qualche momento di attenzione e, perché no, di affetto, visto che quello neanche in lui si è spento del tutto; gli chiedo se non può trattarmi almeno come un cagnolino che tiene da qualche parte ed ogni tanto lo va a trovare; mi ricorda che il peso dei suoi impegni quotidiani era stata la scintilla che aveva scatenato l’incendio che ci aveva distrutti, che la situazione da allora era peggiorata e che non aveva tempo neanche per una carezza a un figlio, se mai ne avesse avuto; sento che soffre a dovermelo dire, ma per la prima volta nella mia vita mi rendo conto delle genesi dei miei errori; Nicola ci è stato vicino tutto il tempo (gli fa anche da guardaspalle) e, mentre mi accompagna fuori, mi sussurra.
“Se vuoi, ho il tuo telefono; ti posso chiamare quando è in una pausa, in un ristorante, ad un ricevimento; tu puoi raggiungerlo e sono convinto che anche a lui momenti come questo fanno piacere: non sperare di tornare con lui; ma se hai bisogno di parlargli, di sentirlo vicino, posso aiutarti.”
“Si, Nicola, è proprio così, voglio solo avere qualche briciola di tempo per guardarlo, per toccarlo, per amarlo da lontano: ti giuro che non farò mai niente che ti faccia pentire di aiutarmi. Grazie!”
Gli schiocco un bacio su una guancia e sto per andarmene quando è Dario a richiamarmi.
“A lui un bacio e a me neanche l’arrivederci?”
Mi precipito indietro e gli piombo tra le braccia.
“A te anche la vita, il sangue, quello che vuoi. E’ tardi, ma forse qualcosa l’ho capito. Ti amerò sempre come ti amo ora, ma saprò stare al mio posto. Ciao, amore, a presto.”
Lo bacio sulla guancia ed è lui, all’ultimo momento, a girare il viso e baciarmi sulla bocca; me ne vado felice ma sconvolta.
Come è ormai chiaro, il Calabrese non regge più al ritmo forsennato a cui lo costringo; e, per di più, è stanco anche di correre dietro ai miei capricci che io, avendo capito come incastrarlo, faccio diventare sempre più ingombranti e difficili da realizzare; la determinazione così di ‘passare la rogna’ a qualcun altro diventa ineluttabile e urgente; credo che si consulti con Dario, ma alla fine decidono di accontentare la richiesta di un vecchio capo, ormai quasi in disarmo, che vuole una donna ‘esperta’ per il figlio Francesco, del quale si arriva a mettere in dubbio persino la mascolinità, visto che si tiene il più lontano possibile dagli ‘affari di famiglia’; la decisione mi fa incavolare molto, visto che vengo trattata come un oggetto e costretta a concedermi a chiunque lo chieda non a me ma ai miei ‘padroni’; Elvira impiega poco a frenare le mie bizze; e Nicola mi fa presente che gli dispiacerebbe molto dover eseguire un ordine contro di me, ma che non esiterebbe anche ad ammazzarmi, se gli venisse ordinato; capisco che la mia libertà è andata a farsi friggere e che, se voglio sopravvivere, devo adattarmi; anche se l’idea stessa di ‘sopravvivere’ mi disturba, decido di stare al gioco.
Francesco è un bell’uomo, anche troppo fine per l’ambiente in cui vive: ama leggere, specialmente poesia, e parla con pacatezza e garbo; si occupa di tutto, dalla quotidianità ai grandi temi, e tutto tratta con eleganza; inutile dire che mi piace e che con lui cerco di frenare la mia voglia di fare i capricci; mi dedico piuttosto all’indagine che più mi interessa e della quale forse sono stata incaricata: verificare se e fino a che punto sia disinteressato al sesso; per farlo, devo necessariamente frequentarlo spesso e in diverse condizioni, dai pranzi alle passeggiate lungo il fiume, dagli approcci più soft fino alle manovre osè per stimolare la sua voglia di possesso; in una serata in discoteca, mentre balliamo cheek to cheek, ne approfitto per strusciargli il ventre sull’inguine e sento che una bella bestia si alza nei suo pantaloni e mi si piazza tra le cosce, titillandomi la vulva da sopra i vestiti; non riesco a sottrarmi al piacere dell’ironia.
“Vedo che ti sei portato dietro un fratellino bello grosso!”
Il suo sorriso è sempre disarmante; in quel momento, distrugge ogni mio desiderio di ironia.
“Anche tu credi che io sia impotente o gay?”
“No, caro; io queste cose le verifico, prima di enunciarle; ed ora so già che sapresti darmi molte gioie, se lo volessi …”
“Perché, non lo vuoi?”
“Stupido, se lo volessi tu; io è da una settimana che ti tampino perché lo voglio … eccome …!!!!”
“E allora che aspetti a portarmi a casa tua? Hai bisogno di una liberatoria in cui dichiaro che sono consenziente e non mi stai facendo violenza?”
“Ho bisogno di sentire che mi vuoi anche tu, come io voglio te; anzi, io arrivo a dirti che in questo momento ti amo persino … !!!!”
“Chiarezza per chiarezza, io ti amo già da un bel poco, da quando ho capito che con te posso anche leggere poesie senza passare per effeminato …”
“Andiamo a fare l’amore con tutti i crismi della serietà?”
“Agli ordini, signora: precedimi e insegnami tutto: quello si, non ho esperienza e tu invece puoi darmi lezioni … “
“OK, vieni; da questo momento sei l’amore mio; poi si vedrà … “
“Anche tu sei l’amore mio; e senza riserve. Se stiamo bene insieme, ti amerò anche tutta la vita … “
“Lo sai chi sono e come ci siamo conosciuti … “
“So tutto; e ti amo anche per questa tu lealtà; avresti potuto cercare di ingannarmi, ma tu sei il mio amore e sei leale. Ti voglio!”
“Lo sai che non c’è storia, tra noi … “
“Ce la fai a stare in un angolo sapendo di essere il mio amore vero?”
“Andiamo a casa, ti prego: comincio a bagnarmi e a fibrillare; adesso ti voglio … dentro!!!!”
Dopo mezz’ora siamo sul mio letto e stiamo amandoci alla follia: è un grande amante, Francesco, e sa farmi godere meravigliosamente: dopo i primi approcci impacciati, ha tirato fuori l’istinto del maschio e la sua notevole mazza si è impossessata dei miei buchi e li ha percorsi tutti, più e più volte, facendomi sentire il vigore delle sue erezioni nella vagina fino alla cervice dell’utero, nel retto fino a toccare l’intestino, in bocca fino a soffocarmi con lo tsunami di sperma che vi scarica dentro ogni volta che la sua passione per il coito orale raggiunge l’apice; sento amore profondo, nelle sue copule lunghe, sapienti, vissute momento per momento con grande passione.
Ma non riesco a cancellare Dario dalla mia mente: darei la vita per tornare indietro ed imparare ad amarlo come sto facendo con Francesco; sarebbe bastato questo, per evitarmi tante stupidaggini; ma ormai è fatta e devo anche onestamente confessare al mio nuovo amante che nella mia testa il mio primo amore non è scomparso mai e che ne sono sempre innamorata; mi confida che sapeva benissimo e che apprezza anche la mia lealtà ad un amore che non ho saputo porre al centro della mia vita.
“Ti ho già avvertito che non potrai mai entrare nella mia famiglia con tutti i crismi della legge, perché i miei non approveranno mai come mia moglie una che ha la tua storia; dovrai sempre rimanere nel’ombra, il mio grande amore segreto; se a tua volta avrai un angolo per un altro e questo non turba nessuno, non sarò io a fartene una colpa. So per certo che puoi incontrare Dario solo in momenti ufficiali, in mia presenza. Se questi momenti li sfrutterai per dare qualche piccola soddisfazione al tuo amore clandestino, non sarò io a fartene una colpa.”
Poiché, mentre parliamo, siamo effettivamente ad una cena tra boss, Dario è a capotavola; gli vado accanto e gli chiedo di parlarmi un momento in privato; mi accompagna in una stanza riservata, con Nicola che fa la guarda, e, prima che possa reagire, lo sto baciando con tutto l’amore del mondo: strabiliandomi, mi ricambia con affetto; sto piangendo, quando mi stacco dal suo bacio.
“Doriana, sai che tutto questo non può ripetersi spesso …”
“Lo so, amore; e Francesco è d’accordo con me: mi prendo solo questi minuti d’amore; poi torno a fare la concubina come tu vuoi; ma in questi minuti devi essere il mio amore ed io sono il tuo amore. Vuoi?”
La risposta è forse il bacio più dolce ed appassionato che ci siamo scambiati in tutta la nostra storia; poi torniamo in sala, ma io sono super eccitata; mi siedo accanto a Francesco, gli prendo una mano; lui me la infila tra le cosce e mi masturba lentamente.
“Perbacco, sei già bagnata fino al vestito: urge farti fare tanto amore!”
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