Ho qualche difficoltà a svegliarmi: ieri sera ero su di giri e non ho trovato nessuno disposto a farmi compagnia; come al solito, ho fatto ricorso al mio fido vibratore, ma devo averci dato dentro un bel po’, perché mi sento come se fossi passata sotto uno schiacciasassi e devo avere due occhiaie orribili.
Il babydoll rosa, quello che indosso quasi solo per le grandi occasioni, me lo sono ritrovato accartocciato sulle reni che mi strizzava petto e ventre, segno che mi devo essere molto agitata, il cazzo mi esce fuori dalla brasiliana ridotta ad uno straccetto e nel culo ho ancora piantato fino in fondo il vibratore che deve aver esaurito la carica della batteria, dopo che l’ho lasciato lì tutta la notte.
Mi trascino fino al bagno e con orrore guardo l’immagine di me che lo specchio mi rimanda spietatamente: ancora una volta mi trovo a riflettere che farei meglio ad organizzarmele, le serate, per non trovarmi a disagio; e che, anzi, mi dovrei preparare qualche alternativa, nel caso che un imprevisto rendesse impossibile il progetto iniziale; insomma, devo essere più precisina se voglio divertirmi senza dover fare la puttana per tutti.
Facendomi coraggio, mi spingo sotto il getto freddo della doccia e la reazione del corpo mi lascia intendere che lo choc è semplicemente benefico: tutto il corpo reagisce immediatamente e mi trovo a svegliarmi quasi di colpo; mentre mi lavo tutta, specialmente le chiappe, infilo nell’ano tutto il medio della mano destra e mi accerto che i tessuti sono belli tonici ed elastici: so di non avere bisogno di un clistere in tempi brevi, ma, per prudenza e perché spero in una giornata favolosa, una peretta me la scarico quattro volte nell’intestino ed alla fine mi accorgo che l’acqua torna fuori limpida, segno che sono ben pulita, dentro; impiego qualche tempo a passare la ceretta per eliminare alcune tracce di peli, che solo io riesco a immaginare, più che vedere, e, in accappatoio, vado in cucina a prepararmi la colazione.
Mi dilungo ancora un poco allo specchio per truccarmi in maniera perfetta: il gioco più intrigante è far emergere tutto il mio femminile dai tratti del volto, ma non dare a nessuno l’alibi per farmi cacciare dal lavoro perché truccata in maniera pesante: senza la parrucca, nessuno può dire chiaramente quale sia il mio sesso ed io posso essere Marcello o Marcella con la massima indifferenza: mi sento femmina dentro e lo sono con quelli dai quali mi faccio scopare col più grande gusto del mondo; ma se la sorveglianza in fabbrica cerca di rompermi i coglioni, allora sono maschio a tutti gli effetti.
Fino ad oggi, però, non è mai capitato che qualcuno facesse storie per la mia ambiguità sessuale; anzi, gli addetti alla sorveglianza hanno passato con me ore straordinarie di sesso e di passione, per cui si guardano bene dal muovermi qualsiasi addebito; l’ultima volta che vollero ‘festeggiarmi’ in realtà mi fecero ‘la festa’, nei locali di loro pertinenza, dove mi chiusero in cinque e per una serata intera i loro cazzi attraversarono le mie mani, la mia bocca e il mio culo una infinità di volte: il momento migliore fu quando il capufficio mi fece sedere su di lui che a sua volta era seduto su una sedia e mi infilò nel retto una mazza da venti centimetri che già conoscevo ma che, in quella occasione, mi provocò feroci sensazioni di piacere per come si era posto e per come mi fece strusciare la mazza lungo tutti i tessuti interni dell’intestino; quando mi fui adattato, il suo vice mi mise in bocca una bestia di altrettanti venti centimetri e, ai miei lati, due impiegati si fecero masturbare deliziosamente: non mi ero mai sentita piena di cazzo come in quella occasione.
Sorridendo sull’onda di queste memorie, mi preparo ad andare al lavoro e scelgo accuratamente l’intimo: un perizoma piccolissimo che riesce a contenere a malapena il cazzo e le palle, davanti, mentre dietro è ridotto ad un filo di stoffa che sparisce tra le natiche e va a solleticare l’ano; per un attimo penso di infilarmi nel retto un plug anale da portarmi in giro stimolandomi mentre cammino; ma la riflessione che, se mi trovo ad offrire a qualcuno il buchetto, la sorpresa può ritorcersi contro, mi induce a rinunciare; il leggins disegna perfettamente i glutei di cui vado giustamente orgogliosa e la camicia maschile coi primi bottoni lasciati aperti diventa più sensuale ed eccitante di qualunque camicetta femminile; prima di uscire preparo la borsa a zainetto che, posta sulle spalle, mi dà un’aria assai sbarazzina e dentro posso metterci la parrucca e le scarpe col tacco, oltre a tutti gli accessori indispensabili per una donna.
Arrivo al lavoro con un piccolo margine di anticipo e, stranamente, trovo ad aspettarmi Amilcare, un mio compagno al quale ho avuto occasione di fare alcuni bei servizietti quando la moglie gli si negava: mi accenna al desiderio di appartarci nei bagni, ma il tempo è troppo risicato e non mi va di rischiare; gli chiedo se non può aspettare fino alla pausa pranzo, quando avremo maggiore agio; mi fa promettere che in quel caso gli darò il culo e non ho difficoltà a promettere, vista anche la meravigliosa memoria che ho della sua mazza, una delle più interessanti della fabbrica.
Decisamente, però, oggi sembra che ci sia qualcosa di particolare nell’aria, visto che quando il lavoro è avviato, mentre giro per il cortile a ritirare casse di materiali da portare alla catena di montaggio, un addetto alla vigilanza mi chiede di seguirlo nella sala controlli video; appena entrati, chiude la porta alle mie spalle, si apre la patta e tira fuori il cazzo, una bestiola sui diciotto centimetri che già mi ha deliziato bocca e culetto; premendomi sulle spalle, cerca di farmi inginocchiare; gli faccio notare che i miei leggins si sporcherebbero; sbatte a terra, da un divano, un cuscino e mi invita a usarlo da inginocchiatoio; mi piego davanti a lui e imbocco immediatamente l’asta che mi propone, cominciando a leccare la cappella; subito dopo, mi sposto sui coglioni, mentre sollevo l’asta lungo il viso ed ho modo, così, di sentire in bocca il sapore aspro della pelle che ricopre i testicoli, coi peli arruffati e numerosi che la ricoprono; ed intanto accarezzo l’asta per tutta la lunghezza fino a saziarmene completamente; ha fretta di concludere e teme che qualcuno possa entrare e sorprenderci; sfila il cazzo dalle mie mani e infila cappella in gola spingendola fino al velopendulo; mi monta per pochi minuti e mi esplode in gola una lunghissima sborrata che quasi mi soffoca; ingoio religiosamente tutto il liquido e lecco la mazza per raccogliere i residui.
“Cazzo se eri arrapato: non mi hai dato tempo di provare un po’ di piacere …”
“A quello penseremo un’altra volta; stamattina avevo bisogno di scaricarmi: mia moglie non me l’ha voluta dare ieri sera e stamattina il tuo culo era una provocazione troppo forte!”
“Lo prendo per un complimento e ti ringrazio.”
Vado nel capannone e riprendo il mio lavoro; quando stacco per la pausa pranzo, vado direttamente ai servizi e trovo già la fila ad aspettarmi: evidentemente è giornata da palle piene e sono in tanti a volersi sollazzare con la mia bocca e con il mio didietro; ma io ho promesso ad Amilcare di dargli il culo; lo invito ad entrare per primo con me nel bagno più ampio, quello con le attrezzature per disabili (previsto per legge ma del tutto superfluo) e, passando, prendo per mano il primo della fila; una volta dentro, abbasso i leggins e il micro perizoma e mi piego a novanta gradi davanti ad Amilcare che tira fuori la sua mazza sui venti centimetri e mi lecca il buco del culo per prepararlo alla penetrazione.
Io approfitto della posizione piegata per prendere in mano il cazzo dell’altro che mi sta di fronte e, dopo un paio di leccate profonde, me lo faccio scivolare in bocca: è dolcissima la sensazione della cappella liscia, dal sentore di seta, delicata, che mi struscia sul palato, mentre l’altro dietro spazzola il perineo con la punta del cazzo e, alla fine, la appoggia all’ano e spinge; mentre un cazzo dietro mi forza lo sfintere e penetra vogliosamente nel retto provocandomi fitte di piacere, dall’altro lato io godo a succhiare la grossa cappella e a farmela entrare in gola fino al limite del soffocamento; non abbiamo molto tempo, perché la sosta consentita è solo di un’ora e ci sono molti ad attendere la mia bocca o il mio culo: succhio il cazzo con veemenza e alla quinta succhiata lo sento esplodere in bocca con grande goduria quando il sapore acre dello sperma mi stimola le papille gustative e mi scatena l’orgasmo mentale; il sapore della sborra mi piace da morire e normalmente la ingoio tutta; ma stavolta ho idea che saranno molti i cazzi che succhierò e decido di prenderne una piccola parte e sputare il grosso nel water; Amilcare, intanto, mi sta pompando con foga e non accenna ancora a sborrare; finalmente, anche lui mi scarica nel ventre una enorme sborrata che mi dà infinito piacere.
Non abbiamo molto tempo, in realtà, perché devo scoparmene quanti più posso e devo anche mangiare qualcosa: nel giro di una mezz’oretta riesco a succhiarne quattro, spremendoli al massimo per farli sborrare in fretta; e da due me lo faccio mettere nel culo; quando il secondo mi sborra nell’intestino, mentre il quarto davanti mi esplode in bocca, anche io mi concedo una sborrata che faccio esplodere nella mia mano, per portarmela alla bocca e succhiare la mia sborra come mi piace fare spesso; il turno pomeridiano riprende regolarmente e, ad occhio, sono tutti più contenti, dopo l’intervallo godereccio.
Quando suona la sirena della fine turno, usciamo sciamando in tutte le direzioni: sono costretto a glissare qualche invito ad andare in pizzeria, perché stasera voglio qualcosa di mio, di piccante, possibilmente di diverso: vado direttamente a casa, prendo dal mio cassetto privato un plug anale di media grandezza, lo lubrifico e me lo ficco nel culo; mi spoglio e mi ficco sotto la doccia, scuotendo ogni tanto le chiappe per muovere il bastoncino che ho nel retto e farmi provocare piccole scosse di piacere; sapendo che ho voglia di tanto cazzo nel culo, stasera, decido di farmi un lungo clistere che mi liberi da ogni possibile scoria; lo preparo nel bagno stesso e, quando esco dalla doccia lavato e quasi estenuato dal piacere che mi sono dato col plug, mi dedico al clistere con estrema passione: l’ho sempre considerato un momento importante per piacere ai miei uomini e mi ci sono preparato con devozione; riempio la borsa del liquido col massimo possibile, due litri e mezzo nella mia dotazione, e sento che mi scorre nel ventre con molta soddisfazione, quasi cantando con il gorgoglio del liquido; espello tutto al massimo della limpidezza e questo mi rasserena.
Prima di dedicarmi alla cena, sostituisco il plug con uno strap on anale, agganciato ad uno slip molto resistente: manovrando delicatamente per farlo penetrare, mi trovo con un bastone da venti centimetri nel retto e qualunque movimento mi dà scosse e brividi meravigliosi; mentre lavoro in cucina alla preparazione della cena, finisco per scoparmi per un’oretta di seguito; ma mi manca la dolcezza del cazzo di carne viva, da farmi penetrare fino in fondo e da gustarmi con le mani e con la bocca: credo che stasera mi supererò in troiaggine.
Dopo avere cenato con fettine di carne impanate, mi dedico all’abbigliamento che voglio fascinoso e funzionale: ho deciso per una parrucca bionda e tacchi vertiginosi; comincio allora da una camicetta vaporosa, sotto la quale indosso un reggiseno leggermente imbottito, perché ad alcuni miei ‘clienti’ so che piacciono i reggiseni da aprire, indosso anche un perizoma di un modello particolare che ho cercato a lungo prima di trovarlo, perché è fatto solo di laccetti tranne un triangolo davanti che deve servire a raccogliere il cazzo che purtroppo mi crea ingombro; sopra, indosso una minigonna a pieghe, assai vaporosa, che si alza ad ogni colpo di vento e mette in luce i miei glutei favolosi e le chiappe invidiate da tutte.
E’ troppo presto per andare dove sono diretto, un’area di servizio sull’autostrada, dove arrivo dall’esterno, dal cancello dei rifornimenti, e dove posso trovare camionisti assai affascinanti, automobilisti occasionali e personaggi vari che ben conosco per essere un habitué del posto; decido quindi di fare un giro in piazza, dove è sempre possibile incontrare, oltre alle solite facce, qualche bella novità inaspettata; stasera ce n’è una, al tavolo esterno del bar dove mi fermo di solito: una ragazzo ben piantato, sui trent’anni, tutto cuoio e borchie, forse un motociclista, ma soprattutto con un pacco assai notevole che mette in mostra con evidente compiacimento.
“Ti piace Verdone?”
Lo prendo a tradimento, per creare un approccio.
“Che diavolo dici?”
“No, ricordavo quel film in cui lui va a caccia di donne nell’Europa dell’Est e si riempie le mutande di carta igienica per far sembrare il pacco più grosso. Tu ci hai messo la carta igienica?”
“Sei come San Tommaso?”
“Si, sulla parola non credo, devo mettere la mano per essere sicuro.”
“Assaggi qua o ci appartiamo per un controllo più profondo?”
“Che ti aspetti?”
“Non faccio differenze: mani, bocca, culo: mi piaci tutta e si vede che hai classe ed esperienza.”
“Andiamo nei bagni: sono puliti e ci possiamo stare comodi.”
Lo guido nel bagno, faccio segno a Mario che non mi faccia disturbare, entro nella cabina per i portatori di handicap (la più ampia, comoda e attrezzata) e mi trovo sbattuta contro la parete senza preavviso; il mio accompagnatore mi assorbe la bocca con un bacio e mi perlustra per interminabili minuti tutto il cavo orale facendomi sbavare prima ancora di mettermelo in bocca; e l’emozione è tale che mi sembra quasi di essere già di essere in ginocchio a succhiarglielo con gusto; per non perdere colpi, abbasso la mano sulla cerniera, faccio scorrere la zip e afferro una mazza veramente spropositata, proprio quello di cui avevo bisogno come aperitivo ad una serata di fuoco; mentre passo al contrattacco e affondo la mia lingua nella sua bocca, accolta come la panacea di tutti i mali, succhiata e leccata in ogni dove, prendo l’asta in mano e comincio a segarla.
Per quattro o cinque volte faccio scorrere nella mia mano, con la delicata sapienza che tutti riconoscono alle mie seghe, la pelle del suo cazzo, scoprendo una cappella larga come un grosso fungo e accarezzando un ramo nodoso che sembra venire da una quercia annosa; quando mi sto appassionando alla manovra e sento il culo pulsare intorno al plug che ho inserito nell’uscire e il cazzo comincia ad indurirmisi fino a travolgere il perizoma, lui blocca il mio polso.
“Spero che non intenda farmi sborrare con una sega … “
“No, stavo solo avviando un approccio … “
“Meglio che non lo porti molto oltre; non reggerei tanto, carico come sono; ed io mi sono innamorato del tuo culo: due chiappe come le tue non si vedono spesso ed io voglio massacrarle!”
Intanto mi ha afferrato le chiappe da sotto la minigonna ed è arrivato all’ano che trova occupato.
“Hai un plug? E’ grosso?”
“Beh, con una mazza come la tua, qualunque plug sarebbe uno stuzzicadenti … “
“Vedrai quanta goduria ti sa dare! … Preferisci appoggiarti al water, al lavandino o alla parete?”
“Meglio la parete; ho maggiore libertà di muovermi.”
Appoggio le mani alla parete e spingo indietro il culo; mi solleva la minigonna, sposta i laccetti, mi sfila il plug che appoggia sul lavandino e mi solletica l’ano col medio che ha bagnato in bocca: entra con facilità fino alla mano; riprende inserendo indice e medio e arriva in fretta alla mano; capisce che non è il caso di cincischiare, accosta la cappella e spinge; trattengo a malapena un urlo quando la cappella sfonda lo sfintere e straripa nel retto.
Mi scopa con calma, quasi con metodo, stringendomi le chiappe contro il ventre e facendo forza con l’osso pubico contro l’ano per ottenere il massimo della penetrazione: si ferma per lunghi momenti, mentre io mi assaporo il piacere della penetrazione in tutte le emozioni che mi procura: sento il cervello che va in pappa, quando estrae la mazza fino alla punta e poi la spinge dentro con violenza, quasi rompendomi qualcosa di inalterato dentro, ma è solo l’emozione di tessuti vergini che assaporano il piacere dell’inculata; ad un tratto, mi stacca dalla parete, mi stringe a se, mi costringe a girare quasi innaturalmente la testa e mi bacia sulla bocca; poi la sua mano va ad artigliare il mio cazzo e comincia a masturbarmi.
“Vuoi sborrare?”
“No, voglio continuare a godere; per stasera avrò altre occasioni per sborrare; tu limitati a chiavarmi; sei molto bravo, fallo ancora.”
Non si fa pregare e riprende a fottermi, sfilando il cazzo fin quasi a tirarlo fuori e spingendomelo dentro ogni volta con fremiti di piacere nuovi; alla fine, mi sussurra all’orecchio che sta per sborrare, io gli faccio cenno di si e lui mi esplode nel retto un orgasmo che neppure mi sarei mai sognato; quando si è scaricato completamente, esce di colpo lasciandomi un vuoto improvviso nel ventre, si pulisce con fogli di carta messi lì come asciugamani, rimette il cazzo nei pantaloni ed esce; io mi siedo sulla tazza e cerco di scaricare tutta la sborra dall’intestino, almeno tutta quella che riesco; mi pulisco a lungo e accuratamente con la carta igienica, mi passo anche un poco di acqua e di sapone liquido, mi asciugo delicatamente ed esco anche io; il ragazzo se n’è andato e non lo rivedrò forse mai più: però il viatico per la serata mi sembra assai promettente.
Monto in macchina e mi dirigo all’area di servizio che è la mia meta; parcheggio nell’area esterna dove di solito si fermano i camioncini che riforniscono di tutto quanto è necessario al bar, al negozio, al servizio ristoro, all’officina, insomma a tutto quello che serve a tenere in vita un’area di servizio; so che a quel’ora non c’è problema a parcheggiare, perché gli automezzi di servizio vengono di mattina o durante il giorno; attraverso il tornello di separazione ed entro nel bar della stazione di servizio: un’occhiata mi basta per capire che non c’è niente di quello che cerco; esco e mi dirigo ai bagni; lì qualche faccia interessante la trovo e faccio in modo da farmi notare sollevando da dietro la minigonna e mettendo in mostra i miei glutei meravigliosi.
Un ragazzo che sta in piedi ad un orinatoio, si gira e mi mostra un bel cazzo sui 18 centimetri di quel colore rosa tipico dei giovani con poca abitudine al sesso, ma ben piantato: niente da spartire col cazzo di prima ma comunque interessante; gli indico l’ultima cabina e mi avvio; mi segue rapido e mi abbranca per i fianchi; me lo trovo appiccicato ai lombi, non appena entro nella cabina; il tempo di chiudere la porta e le sue mani sono sulle mie chiappe che le accarezzano, le brincano, le manipolano come pasta da pane, le perlustrano fino a trovare il buchetto dell’ano che forza con due indici, uno per mano, e tenta di slabbrare al massimo; faccio passare la mia destra dietro di me e afferro il cazzo tesissimo che fa vela dal pantalone della tuta; abbasso la tuta fino ad avere il membro vivo tra le mani e lo porto sul culo che percorro con la mazza in tutta la sua ampiezza: geme come soffrisse, mentre sente il calore della pelle.
Accompagno la cappella verso il centro del canale tra le natiche e guido con l’indice la punta fino all’ano, la spingo dentro; mi piego in avanti, a pecorina e lo invito a scoparmi; non so se sa esattamente cosa deve fare, ma istintivamente spinge il cazzo e lentamente penetra nel mio intestino; me lo godo lussuriosamente, visto che la lentezza della penetrazione acuisce il piacere che mi da la mazza che entra; quando sento che l’osso pubico preme contro l’ano, capisco che non ne ha altro da infilare e comincio a muovermi io avanti e indietro per invogliarlo a scoparmi; impara in fretta e non ha nessuna difficoltà a scoparmi a lungo e con gusto: la mancanza di esperienza lo porta spesso a movimenti bruschi che interrompono la copula e lui ricomincia da capo con mia somma gioia.
E’ giovane, è arrapato ed ha la prima occasione di scopare un gay in un cesso dell’area di servizio; non è strano, quindi, che duri molto più di quanto prevedibile; ma non ho nessuna voglia di passare la serata in un cesso con un ragazzo nuovo; la mia prospettiva è di incontrare un gruppo di camionisti che ho già sperimentato e che mi darebbe motivi di grande soddisfazione, per una serata coi fiocchi; comincio quindi a manovrare io coi miei muscoli intestinali e letteralmente gli succhio il cazzo nel retto portandolo molto velocemente al punto di non ritorno: esplode all’improvviso in una sborrata della cui portata neppure lui si rende conto, tanto repentina è l’emozione che la mia capacità di eccitarlo riesce a provocare.
Mi ripulisco rapidamente delle scorie dell’inculata e mi dirigo all’area di sosta dei Tir, dove so di incontrare quelli per cui sono venuto, in particolare dei camionisti rumeni che di solito, a quell’ora di quel giorno, sono fermi a pernottare; li individuo immediatamente vicino ad un camion che riconosco per averlo frequentato in una delle mie scorribande e riconosco anche l’autista, un tipo tarchiato, sui cinquant’anni, che se non ricordo male ha proprio una bella nerchia e la sa usare meravigliosamente; mi riconosce anche lui e viene verso di me sbracciandosi in larghe effusioni di amicizia; parla italiano e questo me lo rende anche più prezioso, perché serve a mettermi in comunicazione anche con gli altri.
“Marcella, meravigliosa amore mio, culo bellissimo, cosa ci fai qui? Sei venuto a farti scopare da me?”
“Se ne hai voglia, si; mi piace il tuo cazzo .. “
“Se ne ho voglia?!?!?!? Ma qui tutti moriamo di voglia di assaggiare il tuo culo bellissimo …”
Si rivolge in rumeno a due suoi compagni e si capisce che gli sta proponendo di organizzarmi una bella fasta.
“Vieni, amore; questo camion al momento è vuoto; dentro ci sono bellissime e comode coperte, starai come in un letto di piume, avrai tre cazzi meravigliosi tutti per te e, se non ti dovessero bastare, si possono sempre chiamare rinforzi … “
“No, amico, voi tre andate benissimo, visto che gli altri sono dotati bene come te … “
Mi aiutano a salire sul camion, accendono l’aereazione e chiudono il portellone: in pratica, siamo fuori dal mondo ed io ho a disposizione tre mazze da fare impressione, se non fosse che a me scatenano solo una grande voglia di averli dentro e di sentirmi sfondare da loro; mi tolgono con una certa delicatezza gli abiti e mi fanno stendere supino sulle coperte stese sul fondo del camion; Adrian, quello che parla italiano e che già conosco, parte dai piedi accarezzandomeli con passione e leccandoli dito per dito; quando ha leccato le cosce per tutta la lunghezza, mi fa sollevare le reni e affonda la lingua nel culo, evitando il cazzo costretto nel perizoma e affondandomi un dito tozzo e massiccio dentro il canale rettale fino in fondo: gemo di piacere e mi agito convulso per la goduria; insiste ancora e infila due dita: stavolta ho la sensazione di essere inculato da un piccolo cazzo, specialmente perché li muove dentro e li agita, con grande lussuria e con una vivace reazione del retto che cede e si rilassa.
Il suo amico, che è l’autista del camion dove ci troviamo e che ha chiamato Constantin, si fionda sul mio petto e mi prende in bocca i capezzoli: si vede che è una pratica che lo fa godere perché me li succhia appassionatamente e mi provoca fitte di piacere enormi ed infinite, visto che sono assai sensibile alle sollecitazioni erotiche sui capezzoli; il terzo rumeno, Dragomir, mi incombe sopra la testa, si è tolto i pantaloni e forse lo slip e mi fa piovere sulla faccia un cazzo enorme, dello spessore di una lattina di birra e di una lunghezza spropositata: lo assaggio con la punta della lingua e lo sento acido, aspro, forse poco lavato ma eccitantissimo per il sentore di sborra; allargo un poco la bocca e lascio che la punta entri tra le labbra; prendo a succhiare il meato urinario e lo sento vibrare come una corda di violino, emettendo gemiti disumani; mi spinge con forza il cazzo nella bocca e mi viene da urlare per il movimento innaturale a cui sono costretto.
Adrian gli urla qualcosa in rumeno, forse gli rimprovera di danneggiare il giocattolo che deve essere di tutti e l’altro si ferma, poi torna a premere quasi con delicatezza ed io cerco di adattare l’apertura della bocca alla mazza che penetra per qualche tratto: ma non arrivo a prenderne in bocca che poco meno di un terzo; succhiando e manovrando la lingua sulla cappella lo riesco a mandare ‘fuori giri’ e sento che si controlla, si frena ed esce per non sborrare immediatamente.
Adrian però vuole il culo, evidentemente; mi fa girare e mi mette carponi; Constantin si sposta e mi viene davanti al viso, offrendomi il cazzo da succhiare: è meno ingombrante di quello di Dragomir e mi costa poco sforzo prenderne in bocca circa una metà e lavorarmelo sapientemente con succhioni e linguate fino a che lo vedo ritrarsi in tutta fretta, forse sull’orlo di una sborrata che vuole rinviare; intanto, Adrian mi ha leccato a lungo l’ano, con grande goduria mia, ed ora lo sta lubrificando con qualcosa che temo possa essere olio di macchina: ma l’importante è che possa scivolare dentro e riempirmi; difatti, poco dopo accosta all’ano la cappella che so enorme e molto larga, come quelle di certi funghi che sporgono moltissimo dall’asta: lavora un poco, spingendo e ritraendosi, lubrificando e premendo, finché la cappella passa lo sfintere e tutto il cazzo scivola dentro quasi con amore; Dragomir ha ripreso posizione davanti a me e mi infila in bocca il suo arnese enorme, che riesco ad imboccare per quasi un terzo; Constantin ha ripreso a succhiarmi i capezzoli e mi ha dato in mano il cazzo che sto masturbando.
Andiamo avanti per più di un’ora; ognuno di loro mi penetra nel culo e in bocca e, negli intervalli, si fa masturbare con enorme gusto; io metto in atto tute le mie enormi capacità di puttana scopatrice e pompinara per il piacere di sentirli godere sopra e dentro di me: una doppia sborrata per ciascuno è il tributo che mi offrono, scaricandomene una nella gola e facendomi ingoiare con gusto lo sperma caldo e abbondante, e infilandomi l’altra nella massima profondità del culo dove me lo sbattono quasi con violenza, Adrian spaccandomi l’ano con la sua bestia fin troppo larga, Dragomir spanandomi con la resistenza quasi infinita nel buco del culo, incurante dei miei orgasmi mentali e materiali e delle pressioni egli altri due che reclamano; Costantin limandomi quasi le pareti con una copula regolare e quasi metodica che scava alla ricerca di punti erogeni non frequentati.
Quando si fermano stanchi delle scopate e delle sborrate, loro sono sfiniti ma io stento anche a tenermi in piedi, coi lombi massacrati, il culo dolorante e le gambe che quasi non mi reggono; mi infilo quasi di soppiatto nei bagni e mi rinfresco sotto la doccia; esco bagnato all’aperto, a rischio di un malanno, a quell’ora di notte, mi copro con quella delle coperte che mi pare meno lurida e, eliminata l’acqua, mi rivesto coi miei straccetti per fortuna ben conservati; salutandomi, Adrian mi ringrazia, anche da parte degli amici che lo condividono con enormi sorrisi di soddisfazione, e mi ricorda che, quando ne ho bisogno, loro, a quell’ora e in quei giorni, sono puntualmente lì.
Ripercorro la strada fino al parcheggio, riprendo l’auto e filo direttamente a casa, canticchiando dentro di me un motivetto di moda, segno della grande soddisfazione che ho provato; rapidamente, mi infilo sotto la doccia e mi libero finalmente delle numerose scorie di una serata assai movimentata; indosso il mio amatissimo babydoll rosa, prelevo dal caricatore il vibratore che ha avuto tutta la giornata per ritornare al massimo dell’efficienza, me lo infilo nel culo e, finalmente, mi preparo a dormire abbracciata al cuscino, mentre il rumore della vibrazione mi accarezza il sonno che arriva.
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Aggiunto: 4 anni fa
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Gay e Bisex