E’ stata la nostra prima figlia, Orsola, che ormai ha una sua vita autonoma in un’altra città, a innescare il meccanismo, senza volerlo, quando mi ha telefonato in ufficio per chiedermi dove si trovi sua madre che lei dalla mattina cerca di contattare senza riuscirci.
Attivo la sorveglianza dello stabilimento che, attraverso il GPS del telefonino, mi indica esattamente la posizione, la vecchia casa dei genitori di lei, in montagna, chiusa ma non abbandonata; mando una pattuglia e mi riferiscono che è lì con un maschio di una cinquantina d’anni, ben messo, che dopo una breve indagine risulta essere stato l’amante anche di mia cognata Giuliana, la sorella minore di Laura più giovane di lei di cinque anni; in pratica, l’abilissimo Graziano si è passato in successione le due sorelle.
Laura proprio oggi compie 63 anni e, nonostante la grande intelligenza indiscussa, si è comportata da perfetta e imperdonabile imbecille, non prevedendo che le figlie l’avrebbero cercata per farle gli auguri: rendersi irrintracciabile è stato un errore di gravità inaudita; sicuramente il suo amante, spero occasionale, è stato avvantaggiato dalla debolezza di una donna di cui negli ultimi tempi forse non mi sono occupato abbastanza, preso dal lavoro; per cui mia moglie, da poco pensionata dall’attività di avvocato, ha sentito forse il bisogno di non chiudersi anzitempo in una vecchiaia senza prospettive e, anziché parlarne onestamente con me, si è andata a cercare il diversivo fuori casa.
Tutta la storia della nostra vita, umana, sociale e matrimoniale, mi obbliga quasi, a ribellarmi a un comportamento così assurdo e improponibile anche per una deficiente nata; decido, seduta stante, di organizzare una risposta dura e cattiva, costi quello che costi: so per certo che Loredana, la dirigente dell’ufficio smistamento, da anni stravede per me, farebbe carte false per passare una notte con me e non si ferma davanti a niente; la mando a chiamare, le chiedo se accetta di venire a cena per festeggiare un compleanno e non ha esitazioni; le offro in regalo un abito da sera della boutique nella piazza, di fronte agli uffici e le dico di farsi bellissima per me; mi chiede solo se penso a una cena o anche a un dopocena; l’avverto di confidare nel destino e di aspettare.
Faccio telefonare al ristorante più in voga della città per prenotare due tavoli, uno per me ed uno per mia moglie, ambedue per due persone; la mia segretaria personale telefona a Laura, non appena torna raggiungibile, e la avverte che un tavolo è prenotato al ristorante, a suo nome, e che è per due; cerca di indagare per sapere di più, ma la mia segretaria si tiene nel vago e riesce a convincerla ad accettare a scatola chiusa l’omaggio per il suo compleanno, convinta che sia un mio regalo.
Alla chiusura dell’ufficio, do a Loredana il tempo di andare a farsi bella ed io vado alla boutique per prendere l’abito che voglio per me: dopo esserci fermati qualche minuto al bar principale, per l’aperitivo, andiamo al ristorante, dove la prenotazione nostra è per le 21 e quella per Laura è stata fermata alle 20,30; quando entriamo nella sala, la vedo subito al tavolo che ho fatto prenotare, accanto a quello riservato a noi; mentre mi dirigo al nostro tavolo, guardo cinicamente il sorriso dolce e l’ansia con cui mi aspetta; le passo accanto senza salutarla, faccio strada a Loredana, che già ha sollevato commenti di meraviglia per la sua fresca bellezza di quarantenne nel fiore della maturità, e, quando sono vicine, le indico Laura.
“Questa è la persona di cui festeggio con te il compleanno, 63 per l’esattezza.”
La volgarità della precisazione colpisce mia moglie più della presenza della donna con me; mi guarda inferocita e quasi non riesce a capire più dove si trovi.
“Lei è Loredana, dirigente di un mio ufficio; io non sono come te, non ti faccio le corna a tradimento come hai fatto tu; io ti presento la donna che staserà mi darà tanto amore, perché da molti anni, in assoluta castità, siamo stati vicini e ci siamo desiderati; stamane hai celebrato la tua festa col tuo amante; stasera io la festeggio davanti a te, con una persona alla quale sono molto legato, anche se non siamo veramente innamorati. Adesso scusaci; se vuoi prenderemo insieme la torta e lo champagne per brindare alla tua festa; ora ceniamo in due, senza interferenze.”
“Quando torni a casa?”
“Io e Loredana dopo la cena andiamo nella MIA casa e ci fermiamo a fare l’amore, stanotte; anzi, ti prego di adattarti nella stanza degli ospiti; domattina si può anche andare in tribunale per il divorzio, se tu volessi decidere di chiederlo. Io ti devo omaggiare rendendoti assolutamente indimenticabile questo compleanno, più di quanto lo abbia fatto tu con il tuo amante. Domani prenderemo coscienza delle conseguenze e faremo i passi necessari.”
Laura si alza ed esce indispettita; io e Loredana passiamo la serata a cenare amorevolmente: in realtà, dentro sono lacerato e soffro come un cane; quarant’anni di vita comune (ci siamo spostati che lei ne aveva poco più di venti) non si buttano via senza starci male; e io non posso impedirmi di soffrire fino alle lacrime; ingoio tutto l’amaro che posso mandare giù e decido di dedicarmi a Loredana che, poveretta, comincia a sentirsi molto a disagio, vedendosi ridotta a strumento di una mia stupida vendetta; il telefono squilla più volte, durante la cena e, controllato che a chiamare sono mia moglie e le mie figlie, chiudo ogni volta senza rispondere; non andiamo a casa mia, dopo la cena; lei non vuole andare neppure a casa sua e ripieghiamo su un albergo fuori città, per evitare strascichi.
All’alba accompagno Loredana a casa, sapendo che non si sarebbe assentata per nessuna ragione dal posto di lavoro e che aveva bisogno quanto meno di cambiarsi d’abito; io non voglio andare a casa per cambiarmi e recupero l’abito del giorno prima, lasciato in ufficio: mi sono appena seduto alla mia scrivania che arriva la prima telefonata, di Laura naturalmente.
“Ho bisogno di parlarti; puoi venire a casa? Sono qui anche le ragazze.”
“Ti ha spiegato Orsola che è stata la sua premura a scoprire il tuo altarino?
“Si, abbiamo spiegato tutto e ho anche capito quale enorme imbecillità ho commesso. Hai bisogno solo di questa mia confessione o c’è altro di cui intendi discutere?”
“Quarant’anni di convivenza, di fronte alla imbecillità di un giorno, pesano troppo per essere cancellati in un colpo e con un gesto; ma il tuo rigore anche giuridico ti dovrebbe suggerire che uno sporco tradimento pesa infinitamente, lascia ferite che non si rimarginano. Io forse sto ripensando interamente la fiducia che avevo riposto in te e non so se troverò dentro di me la voglia ancora di starti vicino: non riesco più ad amarti, ma è la capacità di convivere con te che sta venendo meno.”
“Hai già deciso che la tua capufficio vale più di me?”
”Senti, avvocato, non cercare di indurmi ad offenderti, neanche con le parole: da questo momento, sei controparte e ti parlerò solo con l’assistenza del mio studio legale. La mia capufficio, come la etichetti tu, è una donna, anzi forse una grande donna, mi ama e me lo ha dimostrato. Forse ricorderai dalle nostre letture giovanili che Pavese annota che anche le mogli la danno in cambio dello stipendio che il marito porta a casa; io ne sono altrettanto convinto e so per certo che tu hai sempre avuto la vita facile col fidanzato, poi marito, che sosteneva con l’amore, ma anche con le sue possibilità economiche, la tua ambizione di carriera. Loredana non ha battuto ciglio quando l’ho invitata a fare l’amore: lei non aveva bisogno della mia stabilità economica per fare l’amore senza problemi: se non ci hai riflettuto, tu mi hai tradito ieri mattina; lei ieri sera era a cena con me: non ho dovuto neanche chiedere due volte. Questo per me è amore, quello che hai fatto tu lo lascio giudicare a te.”
“Papà, puoi venire a casa e parlare un poco anche con noi?”
E’ Orsola che ha parlato, sicuramente angosciata per aver scatenato lo tsunami che colpisce la famiglia.
“Posso venire a parlare con te, all’ufficio? In una pausa pranzo ci possiamo dire solo poche cose ma importanti.”
E’ Eugenia a parlare, la secondogenita, la mia dolcissima pupilla, quella alla quale non ho mai saputo dire no; e nemmeno stavolta; mi arriva tra capo e collo, poco prima di mezzogiorno, e mi trascina nella pizzeria in piazza, dove ordina per tutti e due; seduti ad un tavolo di pura formica, con tovaglioli di carta e posate di plastica, mi prende in giro, per alleggerire la tensione.
“Ti ricordi quand’è stata l’ultima volta che hai pranzato così?”
“Ricordare con esattezza, no; ma ne ho vissuti, di pranzi a pizza e birra, con solo i pochi soldi per il conto e per l’autobus; si, che ne ho vissuti, quando ero giovane, incantato, studente, illuso e innamorato.”
“Adesso invece regali abiti da migliaia di euro: non ti scandalizzare, anche noi abbiamo fatto qualche indagine e alla boutique ci hanno detto tutto. E’ vero che Loredana ti ama e non mi permetterei mai di metterlo in dubbio; ma per passare una serata col mio capo, che adoro, che mi regala un abito da sera, che mi porta in un albergo di lusso e che mi fa fare l’amore alla grande, nonostante i suoi sessantacinque anni, anche io lo amerei con tutto il cuore.”
“Lo ha pensato anche tua madre del suo amante o è stato lui che ha toccato il cielo con un dito quando ha avuto anche la sorella maggiore?”
“Ah!!!!! Credi che sia un professionista?”
“Lei che ti ha raccontato?”
“Papà, non attaccare il carro davanti ai buoi; non mi ha detto niente e per me non conta quello che può dire; con lei non ho la disinvoltura, la franchezza, se vuoi l’affetto o l’amore che ho con te: è risaputo che le figlie femmine sono sempre innamorate dei padri, specialmente se sono belli e tonici come il mio; io avrei fatto qualunque cosa per te e con te, lo sai bene; con mamma non ho mai legato molto; ma qui è di te che sto parlando, non di lei né di voi. Te la senti di ricominciare a sessantacinque anni?”
“Eugenia, sii precisa: ricominciare con un’altra, vuoi dire; perché, qualunque cosa sarà, con tua madre, dopo questa frattura, non c’è più continuità, sarebbe comunque un ricominciare, sia che quell’uomo sia un professionista sia che sia un conoscente casuale che evidentemente è ben dotato ed è bravo a letto se riesce a coinvolgere due sorelle: un uomo che arrivi a fare sesso con te, prima, e con Orsola, poi, forse lo dovrei solo ammirare se non lo odiassi perché siete le mie figlie e tu sei la mia luce; per tua madre e sua sorella, vale la stessa cosa; ma a te e ad Orsola per tutta la vita contesterei di esservi lasciate prendere la mano senza capire con chi avevate a che fare. Inevitabilmente, vale per tua madre: l’unica attenuante che posso immaginare è l’invidia che lei ha avuto verso la sorella minore che ha avuto la spudoratezza (lei forse la chiama coraggio) di tradire il marito: se suo cognato lo avesse anche meritato, non lo so; ma ugualmente non capisco in che cosa lo avrei meritato io.”
“Proprio non riesci ad accettare l’idea di un salto nel buio, di una scelta uterina, di una ribellione alla tua tirannia? Anche adesso, lo stai dimostrando e sbandierando, il tuo potere assoluto e indiscusso: lei ha fatto sesso e tu sei già qui con prove, documenti e testimonianze; tu sei forte, sei potente; lei ha cercato di colpire la tua potenza; non c’è riuscita. E’ vero che poteva parlartene prima; ma riesci a pensare almeno per un momento che, con enorme soddisfazione, poteva parlartene dopo, ieri sera, per regalarsi, per il suo compleanno, una vittoria sul tuo strapotere; invece, purtroppo per lei, lo strapotere ha funzionato e il ‘regalo’ lo hai fatto tu, presentandoti con una donna bellissima, innamoratissima, e riducendo lei al rango di sporca fedifraga. Non ti basta per soddisfare il tuo bisogno di essere sempre e comunque il vincitore, il maschio alfa, quello che emerge su tutto … come gli ‘str..zi’ nell’acqua, se mi permetti. Fin qui è mamma alla sbarra; e non ha attenuanti; se insisti a stravincere, a umiliarla e a farle del male, ti assicuro che alla sbarra ci vai tu; e non ti perdono, niente!”
“Perché hai sbattuto Vittorio fuori dalla tua vita?”
“Mi aveva tradito, aveva fatto l’amore con Miriam ed io con lui non volevo averci più rapporti: ogni volta che ci provavo mi veniva in mente l’altra!”
“E come credi che mi sentirei io, se provassi a fare l’amore con tua madre, da oggi in poi? O credi che certi sentimenti valgano solo per te?”
“Ancora scommetti che vincerai? Ma tu hai mai pensato alla differenza tra sesso e amore? Vittorio aveva fatto l’amore con Miriam, ci aveva messo passione, sentimento, volontà, dedizione, tutte cose che aveva sottratto a me; la tua Laura ci ha messo solo sesso, quello che da te non riceveva più; perché l’amore te lo ha dato quarant’anni fa quando l’hai sverginata: e mamma ci ha raccontato quanto amore c’è stato tra voi, da quel momento e fino ad oggi, fino a questa mattina, anche se ti attacchi a un episodio per negare l’evidenza; mamma ha avuto una giornata di sesso perché aveva una scommessa da fare e da vincere, con se stessa, una scommessa che voleva vincere anche se c’erano moltissime probabilità di uscirne con le ossa rotte, come è puntualmente accaduto. Quante scommesse hai fatte tu? Quante ne avete fatte insieme? Inutile chiedertelo; sei tanto abituato a vincere che non te ne accorgi.”
“Che diavolo stai dicendo? Di che scommesse vai blaterando?”
“Non è una scommessa vinta il tuo ruolo di imprenditore? Non è stata una scommessa vinta la carriera di mamma? Non sono scommesse quotidiane quelle che vinci ogni volta che ti accaparri una commessa? Non siamo scommesse vinte io ed Orsola, il lavoro che svolgiamo, il ruolo che abbiamo? Chi ha vinto queste scommesse? Mamma? Noi figlie? O tu, l’onnipotente, l’indefettibile, il migliore. Papà, io ti voglio bene, un bene dell’anima; io ti amo, più di qualunque Laura o Loredana del mondo; e ti amo gratis, non venirmi a contare le storie che conti a mamma sulle mogli che fanno meretricio familiare; ma sono disposta anche a massacrarti o a farmi massacrare per avere la soddisfazione, una sola volta nella vita, di dimostrarti che sono stata più forte, che ho vinto una scommessa che tu non potevi vincere.”
“Eugenia, non ti capisco: cosa cerchi di dirmi?”
“Tu non capisci solo quello che non torna nei conti che tu hai fatto. Te l’immagini quale sarebbe stato lo stato d’animo della tua Laura innamoratissima, di tua moglie, per quarant’anni e più fedelissima a te, ai tuoi principi, ai tuoi poteri; te l’immagini che cosa avrebbe potuto provare se, tornando a casa per festeggiare il suo compleanno con noi tre, avesse potuto sbatterti in faccia che, una volta tanto, ti aveva sconfitto, che tu avevi perso finalmente, che ti aveva tradito con tutto il cuore per darti una lezione di umiltà? Riesci a capire come se l’era sognato quel momento, non in un ristorante di lusso, espressione del potere che hanno i tuoi soldi, ma nella vostra casa, nella vostra famiglia, dove dirti che ti aveva tradito determinatamente per insegnarti ad occuparti di lei, di voi, del vostro amore, prima che delle tue vittorie, dei soldi che non possono alleviare la tua vecchiaia come fa lei col suo amore, del tuo strapotere che schiaccia tutti quelli che tentano di opporsi? Questa illusione aveva coltivato, la mia meravigliosa e stupida mamma. Ed io ti giuro che se mi dovesse capitare non sarei ingenua come lei: io sono figlia a te, non sono disposta a perdere e non faccio prigionieri; cercherei tutti i percorsi, tutti i cavilli, tutte le vie, per farti male. Lo sto facendo adesso, caro il mio amatissimo papà: se non riesco a portarti a casa da mamma, a fartela amare di nuovo come l’hai sempre amata; se perdo questa scommessa, ti odierò fino alla fine dei tuoi giorni e non mi riappacificherò mai più con te. Non puoi mandare da me i killer e gli spioni che entrano nel mio privato, che mi riprendono anche quando sto facendo sesso fuori del matrimonio; non ti consentirò di esercitare sulle persone anche questo potere di controllo che hai sempre esercitato. Mamma ha giocato e ha perso; ha scommesso ed è stata dominata dai tuoi soldi, dalla tua organizzazione, dal tuo potere assoluto. Io le voglio molto più bene che a te, adesso. Vedi, sono partita dicendo che tu eri il mio mito, il mio amore, perfino il mio riferimento sessuale; ora ti dico che se non ritiri le tue accuse assurde alla MIA mamma, io sono capace di rinnegare il tuo cognome e assumere quello di mamma, perché è con lei che mi sento solidale, non con la tua tirannia. Ora puoi anche tornare al lavoro, come devi fare. Io ti aspetto, da mia madre, da tua moglie, con mia sorella, con tua figlia. Ciao, paparino mio!”
Mi bacia su una guancia, prima di andar via facendo svolazzare provocatoriamente la gonna; il resto della giornata è un unico, interminabile susseguirsi di interrogativi senza risposta: l’unica certezza che ho, è che mia figlia mi ha radiografato con impietosa chiarezza; ha scavato nei miei errori e me li ha sbattuti in faccia; so che non è tutto esattamente vero quello che mi ha detto, ma sono certo che la maggior parte delle accuse corrispondono ad assoluta verità: tutto (o quasi tutto) quello che ero convinto di avere fatto per il nostro bene, per la crescita complessiva della famiglia, mi appare chiaramente come la soddisfazione del mio ego smisurato: effettivamente, non ho mai perso occasione per confrontarmi anche, e forse soprattutto, con Laura per arrivare infine ad imporre (ma io dicevo proporre, per sentirmi meno in colpa) il mio punto di vista come l’unico possibile.
Se davvero, come ha suggerito Eugenia, il gesto di Laura è stato solo una ‘provocazione al tiranno’ per farmi uscire allo scoperto e costringermi a tener conto anche di lei come donna, allora veramente devo ripensare tutto il mio atteggiamento: effettivamente, alla nostra età e con la nostra storia alle spalle, una mezza giornata di sesso (come avrà fatto Laura, che non è una ragazzina, a reggerlo? Non lo so!) è la condizione ideale che suggerisce il proverbio popolare, ‘una lavata, un’asciugata e non pare neanche usata’; lei è già tornata tutta mia (forse è vero che lo è sempre stata, anche mentre era a letto con uno sconosciuto), e forse sta soffrendo più del lecito, non tanto per quello che ha fatto, ma per il fallimento del suo progetto: se ieri sera fossimo stati a cena nella cucina di casa nostra, tutti e quattro, e lei mi avesse sbattuto in faccia una verità che non avrei mai immaginato, il suo tradimento, in presenza delle figlie, per sentirsi finalmente vittoriosa, forse avrei io per primo riflettuto sulla vicenda e l’avrei amata a lungo, per rimediare alla distrazione che il gesto voleva rimproverarmi.
A questo punto, anche l’ipotesi di dare corpo alla minaccia di rintracciare il suo amante e di fargliela pagare assume il senso di un autogol: già l’intervento della squadra di controllo, voluto da me, ha avuto solo l’effetto di sbandierare in giro quello che Laura aveva pensato di tenere in famiglia; se adesso si perseguita anche il ‘colpevole’ non faccio altro che accentuare il mio senso del fallimento, perché colpisco uno che mi ha sconfitto, in pratica senza neanche saperlo o averne colpa, ma intanto sbandiero una mia sconfitta; più tempo passa, più devo riconoscere che sono stato io a dare troppa ampiezza a un episodio che Laura aveva previsto all’interno del rapporto interpersonale tra me e lei o, al massimo, con le nostre figlie che, a questo punto, sono apertamente solidali con lei contro le mie esagerazioni e, forse, i miei inutili soprusi.
Quando prendo la via di casa, ho ormai quasi completamente maturato la convinzione che devo cambiare atteggiamento con mia moglie e che il meglio sarebbe, se non proprio scusarmi (che non farebbe male) quanto meno riprendere da dove ci siamo interrotti, vale a dire dall’amore che in me ho sentito e sento comunque intatto anche nei momenti di peggiore indignazione che ho manifestato e di cui adesso posso solo pentirmi: anche la scenata al ristorante, a questo punto, mi suona goffa e vergognosa, con un implicito oltraggio anche a Loredana, tirata dentro a questioni che dovevano essere affrontate e risolte, effettivamente, nella cucina di casa, perché ‘i panni sporchi si lavano in famiglia’ e non su un palcoscenico sotto i riflettori, come un volgare spettacolo per tutti quelli che ci guardano.
Entro in casa col cuore in tumulto, appendo nell’ingresso il soprabito e la giacca, cambio le scarpe con le babucce da casa, in perfetto stile marito piccolo borghese, e mi dirigo alla cucina: le mie donne sono sedute al tavolo, con davanti le tazze fumanti del te; le guardo con amore, anche se mi sembra che mi stiano fulminando con lo sguardo; mi soffermo su Eugenia che con un segno impercettibile mi indica sua madre che appare compressa e timorosa; giro intorno al tavolo, le vado alle spalle, le prendo la testa e mi chino a baciarla.
“Ciao, amore; perdonami.”
Scoppia in singhiozzi mi attira a sé facendomi quasi perdere l’equilibrio; non smette di baciarmi il viso.
“Sei tu che devi perdonarmi; sono stata una stupida!”
“Sbrigatevi a chiedervi perdono e andate a fare l’amore, mentre prepariamo; cercate di concludere prima che la cena sia pronta!”
Eugenia sa essere fastidiosamente irritante quando vuole; ma in quel caso ha ragione; prendo Laura per la vita e la guido verso la camera da letto.
“Vuoi che facciamo l’amore?”
“Pensi di farlo con qualcun altro?”
“NOOOOO, l’amore lo faccio solo con te, da sempre. Io ti amo, devi credermi; io il mio amore l’ho dato e lo do solo a te.”
“Baciala, tappale la bocca e impediscile di dire stupidaggini; ora vi vengo a controllare e guai se non fate tanto, ma tanto, ma tantissimo amore: niente sesso tra voi, anche per non procurarvi danni, alla vostra età; solo amore, tanto amore, quello che ci tiene uniti da sempre. Vi amo: papà, mamma, quanto vi amo!”
“Lasciali in pace, Eugenia; hanno ancora molte cose da dirsi: chissà se io avrò la stessa buona sorte di mamma, un marito da invidiare e da uccidere, al tempo stesso, per amarci e per odiarci tutta la vita, per avere ogni tanto giorni terribili e giorni meravigliosi come loro.”
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