Piantata saldamente al centro della piazza, in un moderno ‘mezzogiorno di fuoco’, Dolce continua a provocare suo marito Attilio, dicendogliene di tutti i colori e denunciando pubblicamente l’impotenza, che non gli ha consentito nemmeno di sverginarla, e le corna che lei è stata costretta a fargli per soddisfare il suo bisogno di sesso; l’ultima speranza che le è rimasta è che lui reagisca da uomo e l’ammazzi lì in mezzo alla piazza davanti a tutto il paese: lei finalmente potrebbe liberarsi con la morte, ma almeno lui si prenderebbe l’ergastolo, visto che non è più ammesso il ‘delitto d’onore’ che la sua educazione mafiosa sperava; ma lui appartiene ad una nuova generazione di mafiosi, quella cresciuta a computer ed abiti grigi, mimetizzata tra i borghesi di tutto il mondo; non ha assolutamente nessuna reazione e la guarda con un sorrisetto ironico; quando Dolce distrae lo sguardo e lo punta sul campanile, vede un bagliore esplodere in cima, accanto alla campana; è l’ultima immagine che i suoi occhi registrano.
Dulcinéa è stata ’condannata’ a portarsi addosso quel nome dalla passione che suo padre, sin da ragazzo, ha maturato per ‘don Chisciotte’, Il personaggio ideale, secondo lui, per la Capitanata, il territorio nel quale viviamo, dove a sperare in una vita normale e in comportamenti civili e legali possono essere solo dei donchisciotte, considerata la quasi totale dipendenza di quelle terre da un’atavica condizione di subalternità a costumi ed usi tramandati oralmente e validi assai più di tutte le leggi scritte.
Dolce (così gli amici hanno ribattezzato Dulcinéa) non ha i problemi che assillano suo padre e si preoccupa invece di ben altre cose che riguardano l’abbigliamento, l’invito alle feste importanti del territorio, il corteggiamento dei ragazzi delle famiglie più in vista dell’area, combattuta com’è tra una voglia incontrollabile di divertimento, di piacere, di libertà indiscriminata e un desiderio a malapena represso di completare l’esistenza con un bel matrimonio: “’nu bellu maretiello è sempe bbuono” canta una strofa popolare; e comunque è ancora diffusa la convinzione che un buon matrimonio possa risolvere infiniti problemi per una ragazza in età giusta; ne sono convinte soprattutto le nonne e le mamme; in qualche caso anche i papà; e le ragazze, obtorto collo, debbono riconoscere che, in Capitanata, ipotesi alternative non se ne pongono.
Il guaio, per Dolce, è che già, a meno di vent’anni, ne ha fatte parecchie; che la notizia si è già sparsa e che pochi ragazzi tra quelli che meritano interesse accetterebbero di rischiare il proprio ‘onore’ (patrimonio inestimabile a quelle latitudini!) mettendosi con una ragazza bellissima, intelligente, laureata e già ben inserita nel mondo del lavoro, ma della quale tutte le sorelle parlano come di una farfalla che vola leggera e si posa su ogni fiore che l’attira: nella valutazione dei pro e dei contro, questo elemento è assolutamente determinante; quasi ovvio, quindi, che nessuno si faccia avanti per una proposta veramente seria e degna di prospettiva.
Dolce non ha mai sopportato le imposizioni, le leggi, i dictat, neanche quando riconosceva che avessero un fondamento razionale, di utilità, di giustizia; figurarsi se poteva sopportare imposizioni e limiti che nascessero da superstizioni, da riti ancestrali, da convinzioni ataviche fatte diventare norme di vita; fino all’adolescenza, era stata una normalissima ragazzina della sua generazione, un tantino capricciosa, innamorata dell’effimero, persa dietro sogni ed aspirazioni che nascevano dai modelli televisivi, soprattutto; non aveva particolari grilli per la testa e si limitava a ricercare, come le altre, il modello più avanzato di scarpe, di maglietta, di gonna: qualche scaramuccia coi suoi era legata soprattutto al costo dei ‘capricci’, ma una mediazione si trovava sempre.
I primi ‘pruriti’ trovano lo sfogo naturale per tutte; i primi baci con la lingua; i palpeggiamenti sulla patta di lui per sentire la consistenza dell’uccello; quelli di lui sull’inguine, attraverso vestito e mutandine, per sentire la vulva: i percorsi naturali portano alla scoperta degli orgasmi piccoli e grandi; qualche gesto più avanzato la spinge alle prime masturbazioni, nei bagni del bar o dietro le barche, di sera in estate; ne parla anche con mamma e con papà che, intelligentemente, colloca tutto sotto la voce ‘peccati veniali di gioventù’ e dichiara che sono ‘forche caudine’ attraverso le quali tutti, prima o poi, passano per maturare anche sessualmente; l’unica raccomandazione è di non andare troppo oltre, nella lotta contro il pensiero comune, per non rischiare di trovarsi a combattere contro i mulini a vento.
Non ritiene affatto di sfidare la società e il senso del pudore la sera che, in un bagno, tiene in mano il fallo di un amico di circa vent’anni, e lo masturba con tutta la sapienza acquisita; non fa molta resistenza quando le preme sulla nuca invitandola ad abbassarsi davanti a lui: intuendo quello che vuole chiedere e desiderandolo anche lei da tempo, si accoscia e appoggia la bocca sul sesso; la sensazione che ne riceve è di piacere intenso che si trasmette immediatamente alla vulva; prende in bocca l’asta e con molta naturalezza comincia a leccarlo e a succhiarlo quasi con amore; quando l’eiaculazione le scoppia in bocca, inondandola di sperma, è quasi felice, ha un orgasmo tutto nuovo e, istintivamente, ingoia tutto.
Per sua disgrazia, il giorno dopo tutta la città sa che, nel bagno del bar, ha praticato una fellatio con ingoio e la sua fama di ‘piccola troia’ nasce e cresce in pochissimo tempo, come succede nei piccoli centri; c’è quasi di che essere disperata; ma, per buona sorte, è all’ultimo anno di liceo e, il settembre successivo, si sistema nella vicina città universitaria, per cui la faccenda col tempo si appanna e finisce tra i ricordi inutili; resta comunque un certo disagio che tiene lontani da lei i giovani di buona famiglia e ‘matrimoniabili’.
Negli anni universitari, non si muove con la prudenza che i suoi le consigliano continuamente: il sesso la intriga quasi naturalmente; fare l’amore, quando le riesce, la riempie di sentimenti positivi, umani, profondi; ne nascono delle storie, di cui alcune decisamente d’amore che, nell’arco di qualche mese, la portano a toccare vette inimmaginate di piacere e di dolcezza, ma anche e soprattutto di esaltazione, di sentimenti portati all’ennesima potenza; molte altre sono solo conseguenze di situazioni contingenti (una festa, qualche bicchiere in più, un incontro particolarmente intrigante) ma non scuotono la realtà fondamentale delle sue convinzioni.
Ha deciso di rimanere vergine fino alla nozze: in paese, purtroppo, ancora vige, seppure ‘addomesticato’, il pessimo costume della tovaglia esposta ad alcuni personaggi (suoceri, padrini e familiari molto intimi) subito dopo la prima notte per attestare lo stato della sposa al momento del matrimonio; diversi tentativi di ribellarsi hanno prodotto solo violente reazioni di ‘difensori del senso comune’ che hanno spaventato le ragazze tanto che è ormai radicata l’esigenza di mantenere intatto l’imene, pur concedendosi a pratiche amorose molto spinte con le altre parti del corpo ‘utili’, mani, bocca ed ano principalmente; lei ha deciso, autarchicamente, di piegarsi a questo barbaro rituale, visto che già si è rassegnata all’idea di sposarsi per trovare una corretta collocazione sociale, senza inutili conflitti.
Non è certamente l’unica a praticare quel tipo di vita, nella città sede dell’Università dove si è trasferita: tutte le compaesane della sua generazione, nell’arco del corso di laurea, arrivano alle stesse conclusioni; non si sente perversa, come vorrebbero etichettarla al paese: fare del sesso, all’incirca una volta alla settimana, le pare anche sano per l’equilibrio fisico; e la ricerca delle occasioni è una giusta all’alternativa allo ‘studio matto e disperatissimo’ (per dirla con Leopardi) che rischia di minare la salute: i corteggiatori non le mancano, fortunatamente; e, quando sente il bisogno di ‘staccare’, deve solo scegliere con chi lasciarsi andare ad un rapporto di amicizia che tracimi in un minimo di sesso.
Quando incrocia Attilio, in un cortile dell’Università, ha difficoltà a riconoscerlo, perché non frequenta abitualmente i locali dove lei impazza, su al paese; è lui a salutarla e a farsi riconoscere; le fa piacere incontrarlo e non glielo nasconde; per quanto lo avesse snobbato nelle sue ‘zingarate’, lo ha però notato, tutto compunto ed elegante, educato e servizievole, insomma il prototipo del cicisbeo alla corte di Versailles: qui all’Università mantiene l’aplomb del suo stile, ma è meno sdolcinato; anche per questo, la colpisce l’estremo garbo con cui la tratta; insomma, legano, da amici, prima, poi sempre più affettuosi ed intimi, finché deve letteralmente violentarlo, baciandolo a sorpresa e spedendo la lingua a perlustrare la sua bocca in lungo e in largo finché non sente il languore che lo coglie diventare eccitazione allo spasimo e, preannunciato da violenti spasmi del ventre, un orgasmo incontrollabile.
“Che ti succede, Attilio?”
“Non lo so; scusami; un poco mi vergogno; sono venuto, … all’improvviso.”
“Così … solo con un bacio …?”
“Ti pare poco perché non sai quanto c’è dietro questo bacio, quanto amore ti ho portato e ti porto, quanto ti ho desiderato. E’ chiaro che, appena mi hai baciato, il mio mondo è esploso!”
“Scusa ma, dal momento che io adesso ti voglio, cosa succede se facciamo un poco di amore?”
“Non te lo so dire finché non succede; ma io devo avvertirti di una cosa non semplice … Vedi, tu sei molto calda, molto sensuale, al punto che mi fai godere solo baciandoti; io … io … non so come dirtelo … insomma … io non credo proprio di essere abbastanza fornito per te …”
“Fornito di che?”
“Insomma, come devo dirti che sono ipodotato e che so bene che per te ci vuole qualcuno più forte, più duro, più maschio … ecco .. te l’ho detto … “
“E hai detto la stupidaggine del secolo. Forse qualcuno dovrebbe spiegarti che non conta molto quello che hai ma come lo usi. Tu vuoi fare l’amore con me? Come lo farebbe qualunque maschio, senza toccare la mia verginità, ma prendendoci tutto il piacere che possiamo? Se ne hai voglia, vedrai che, se mi dai piacere, nessuno dei due si accorgerà delle dimensioni.”
Quasi ringalluzzito dal discorso, Attilio la attira dietro una colonna del chiostro che circonda il cortile e la stringe in un abbraccio tentacolare che le ferma il respiro e la fa sentire avvolta nella passione; il ventre di lui si appiccica al suo e, anche se avverte a malapena il sesso, lo strofinio dei pubi riesce comunque a darle piacere e a provocarle un piccolo orgasmo; sente poi la sua mano che percorre il ventre verso la balza della gonna; dopo poco, la stessa scivola di nuovo verso l’alto, stavolta sulla pelle della coscia, e va a stuzzicare la vulva; deve fermarlo.
“Attilio, se vai più oltre, ci arrestano per atti osceni; io ho voglia di fare l’amore con te e mi pare che anche tu non ti trattieni più; c’è un posto dove possiamo andare?”
“Ci verresti da me? Ho una camera tutta per me.”
“Solo ad una condizione: entro vergine ed esco vergine; poi facciamo tutto quello che la tua fantasia vuole.”
“Però … posso dirti che ti amo?”
“Io non me la sento ancora di dire una frase tanto impegnativa; ho voglia di te, provo tanta passione per te; so che ci metterò poco ad innamorarmi; ma per ora non voglio azzardare; non posso permettermi di rimanere delusa se poi dirai che non te lo consentono perché non sono della tua classe sociale. Non dimenticare che viviamo nello stesso paese ma io non sono della tua classe.”
“Io ti amo anche se ti dimostri stupida. IO TI AMO, riesci a capire questo verbo elementare? Gli arzigogoli lasciali gli altri; io ti chiedo solo di amarmi e ti assicuro che ti amerò sempre e comunque, qualunque distanza ci sia tra noi.”
Da un lato, ha paura che la sua scelta non sia prudente, perché è ormai abituata a manipolare mazze importanti, anche se si limita a prenderle con le mani e a masturbarle finché non le vede spruzzare getti meravigliosi di sperma; che gode molto a prenderle in bocca, leccarle sapientemente dalla radice alla punta, succhiarle con grande passione fino a sentirsele esplodere in gola con eiaculazioni abbondanti; che il massimo della libidine è sentirsi l’asta fra le cosce, rasente il pelo della vulva, strofinandole il clitoride fino a farla esplodere; che in qualche caso si è fatta aprire e sfondare il retto da mazze non proprio piccole; insomma, non ancora è arrivata al rapporto completo, vaginale e uterino; ma copula abbastanza volentieri, entro quei limiti; e la dotazione minima di Attilio certamente non può soddisfare il suo desiderio di sesso.
Però, dall’altro lato, la travolge il candore che quell’uomo sta dimostrando ormai da mesi, che oggi ha confermato al massimo e che la spinge a darsi completamente a lui, imene a parte; finisce per trasferirsi da lui, in qualche modo: non disdice il posto letto con le amiche, ma passa intere giornate e molte notti nel monolocale di Attilio dove ho tutto l’agio che le serve per studiare con calma, preparare manicaretti per la gioia sua e di lui, passare molti momenti di grande gioia con lui, che la adora come una divinità, e fare anche tanto sesso, per quello che è consentito.
E’ molto bravo, Attilio, con la bocca e con le mani: quando si trovano eccitati e vicini, lui non riesce a resistere al suo desiderio di baciarlo dappertutto, anche se deve ricacciare un poco indietro la delusione quando arriva a prendere dal pantalone il sesso che, nella massima erezione, sfiora i dodici - quattordici centimetri e la stimola un poco più della lingua che, invece, è capace di penetrare in vagina per lungo tratto e di arrivare a toccare l’utero che reagisce con potenti emissioni di umori d’orgasmo spesso violenti; quando mettono in azione le mani, qualche risultato di eccitazione più vigorosa lo raggiungono, perché masturbarlo o succhiarlo a piena gola le riesce facile e interessante come a lui titillarla a lungo e volentieri.
Subito dopo, però, è quasi obbligata a correre nel bar che frequentano di solito, dove è certa di trovare un bel fusto, che non le lascia il tempo di sedersi al bancone ad ordinare una bibita e già la accompagna nel bagno, le piazza tra le mani una mazza di un ventina di centimetri e la invita a manipolarla, con le mani e con la bocca, praticandogli la più bella fellazione della giornata; gode ripetutamente nel sentirsi l’asta palpitare nella mani e, dopo, sulle labbra, nella bocca e nella gola con immense esplosioni di sperma; in qualche caso, non disdegna anche farsi penetrare analmente: ma è chiaro che il rapporto con Attilio, dal punto di vista sessuale, è per lei insoddisfacente e non sa decidersi a troncare prima che diventi troppo impegnativo.
Attraversano con gioia gli anni dell’Università e lei si laurea prima di lui, perché il corso è più agile; subito dopo, torna al paese e trova lavoro in una fabbrica della zona; Attilio conclude il suo corso, si laurea e, quando torna, le chiede immediatamente di continuare a vivere il loro amore, anzi di renderlo 'ufficiale': non è convinta che sia una scelta giusta accettarlo ‘a vita’ con la sua limitazione; ma, sul momento, si sente troppo coinvolta e non riesce a respingere con sufficiente fermezza la sua proposta di essere ufficialmente ‘fidanzati’, con quello che, in Capitanata, nonostante tutto, ancora significa quel termine.
Suo padre è il primo a commentare questa sua scelta, non appena la ventilo a suaa madre: le ricorda che quel territorio è ancora soggetto a leggi che non sono quelle dello Stato; anzi, a quelle ‘ufficiali’ si contrappongono in parecchi punti, non lasciano spazio a contestazioni ed applicano condanne secondo criteri atavici; fa presente che, quando è in gioco ‘l’onore’ delle famiglie, l’atteggiamento è di deciso arroccamento e di condanna di tutti quelli che in qualsiasi modo lo minacciano: la suaa tendenza a vivere in libertà la sua sessualità creerà sicuramente disagi non indifferenti e potrebbe provocare danni collaterali anche ad altri.
Non ha nessuna intenzione di farsi imporre leggi ed usi che ripugnano alla sua coscienza di persona civile e libera; ne parla ad Attilio e lui le dice che, si, qualche atteggiamento andrebbe forse corretto, ma complessivamente si potrebbe anche ragionare; l’idea di diventare la ‘fidanzata’ e poi la moglie dell’erede di una delle fortune più importanti della zona si affianca al naturale sentimento di affetto che per lui prova ormai da anni e la spinge a voler credere che possono, volendo, costruirci una realtà propria, lontano dalle limitazioni della periferia, e realizzare una felicità ‘altra’, semmai lontano dalla regione; in teoria, sembra fattibile, anche perché il lavoro la obbliga a trasferirsi in una grande città del nord e Attilio decide che, dopo il matrimonio, si trasferiranno insieme: la notizia viene accolta dalla sua famiglia con la stessa gioia di un annuncio della morte di più persone care nello stesso giorno, ma Dolce ormai è determinata a costruire la sua vita con le sue mani.
Accetta malvolentieri di essere sottoposta al rito pagano della ‘tovaglia’ della prima notte e questo in parte rasserena gli animi, perché, fortunatamente, si è mantenuta vergine; l’episodio però la ferisce e le lascia l’amaro in bocca per come Attilio - che, a malapena e solo aiutandosi con le mani, era riuscito a rompere l’imene - si presenta poi come paladino della tradizione rispettata; comunque, il viaggio di nozze a Vienna e il trasferimento successivo a Milano impediscono l’esacerbarsi dei problemi; addirittura, per i primi due anni le cose sembrano filare lisce e suo marito neppure si accorge delle ‘vacanze’ che settimanalmente si concede per assaggiare in vagina un sesso degno del nome.
Ma non ha fatto i conti con la rete capillare di rapporti che la ‘famiglia’ di lui (e non solo quella di sangue) possiede in tutto il mondo: a sue spese, deve imparare che, mentre nel territorio atavico impongono leggi dettate da una consuetudine millenaria e non consentono a nessuno di uscire di un niente dalle norme; fuori da quella realtà possiedono, controllano e dominano tutti i mezzi più avanzati della tecnologia e dell’ingegno umano; ancor prima che lo abbia concluso, Attilio è stato già informato dell’amplesso che lei realizza in quella particolare sera, con quella specifica persona; e la documentazione, anche video, gli viene consegnata ed aggiunta al faldone che possiede.
Con suo marito vige ancora l’accordo che, in caso di necessità, possa ricorrere ad un pene ‘altro’ per calmare i bollori; ma il presupposto è che lui sia avvertito ‘prima’ che succeda; e l’impegno è che lei controlli al massimo gli istinti per non metterlo in difficoltà; ma Dolce ha già largamente ignorato, calpestato e dimenticato sia la premessa che il corollario e si comporta con la massima libertà, ritenendo di non dover rendere conto a nessuno dei suoi bisogni sessuali; quando sa con certezza che ha trasgredito a tutti gli impegni, Attilio le chiede di chiarire insieme e molto garbatamente le fa presente che ha calpestato il principio di lealtà, offendendo la sua fiducia e il suo onore; che il suo comportamento a questo punto è di adultera, con tutto quello che per la ‘famiglia’ comporta e che se non si ferma non può più aiutarla: lo manda al diavolo seccata dandogli dell’impotente e del cornuto.
Non riesce o non vuole rendersi conto che si sta scavando la fossa per tigna e per presunzione, non ammettendo un errore enorme ma ancora rimediabile; le sue certezze vacillano la mattina che il padre la chiama sul cellulare, lui che chiama solo da fisso a fisso; le chiede se ha fatto sesso con un giovane della provincia capitato per caso in città: gli risponde piccata e male; la risposta è di quelle che mai si sarebbe aspettata.
“Troia, vengo ora dall’ospedale del capoluogo dove quel ragazzo è ricoverato in emergenza: è stato fatto letteralmente a pezzi, massacrato e ridotto in carrozzella perché ha offeso l’onore della famiglia di tuo marito. Tu puoi essere la troia che vuoi; ma ti avevo avvertito che le vendette trasversali avrebbero colpito gli innocenti. Mi costringi a tremare per la sicurezza mia e di tua madre, solo perché una troia incontinente non resiste ai pruriti di vulva e mette a rischio la vita di tutti. Se non sei in grado di controllare la situazione, sparisci dalla faccia della terra o vengo io e ti faccio scomparire materialmente, in una bara; noi abbiamo paura e possiamo sperare solo che capiscano che la prostituta sei tu e che noi non abbiamo responsabilità. Siamo ridotti ad essere contenti anche solo che ci lasciano vivi.”
Quando affronta il problema con Attilio, trova un muro di rancore e di rabbia; si limita a commentare che la famiglia è costituita non solo dei consanguinei ma da tutto il padrinato che si aggrega; di quello, non risponde né lui né i suoi familiari; se vuole soluzioni, deve cercarle nella sua libidine sregolata, non nelle leggi della famiglia: capisce che è in trappola e che il rischio è altissimo anche per la sua incolumità; la sera stessa decide con molta ingenuità di organizzarsi per scappare e scomparire: presenta alla ditta in cui lavora una domanda per passare ad una succursale a Lugano e spera che in una terra nuova posso far perdere le sue tracce; i ‘padrini’ di suo marito sanno dove intende scappare ancora prima che salga sul treno: non ha detto niente a suo marito, ma se lo trova alla stazione di arrivo; le va incontro con due poliziotti e per le seguenti quattro ore deve tentare di giustificare la fuga da casa; cerca di addurre un ordine di trasferimento emesso dalla ditta, ma basta una telefonata per chiarire che ha fatto una richiesta che non è stata neppure accolta.
Le viene notificato immediatamente il licenziamento per comportamento scorretto e danno d’immagine alla ditta; viene rimandata indietro col foglio di via; tornati a casa, suo marito dice chiaro che non vuole più saperne di lei; la avvisa che il mattino seguente presenterà la richiesta di divorzio immediato; se non accetterà di firmare la consensualità, le ricorda che, non avendo nessuna economia personale, si troverà in grosse difficoltà; le indica il divano nello stanzino del disimpegno, per dormire, e se ne va nella camera che avrebbe dovuto essere la loro ma che è stata sempre e solo la sua; nel giro di pochi giorni espleta le pratiche necessarie per la richiesta di divorzio e a fine settimana tornano in Capitanata.
“Cosa farai dopo il divorzio?”
“Non lo so; il licenziamento non mi aiuta a trovare lavoro; se fossimo rimasti al Nord … “
“… avresti continuato a fare la troia a modo tuo; invece qui dovrai adeguarti alle mie leggi; e non saranno trattabili, ma impositive.”
“Continuerò a ribellarmi e a rifiutarle … “
“Ti consiglio di starci attenta: qui comandano i miei … “
“La vedremo!!!!”
Appena arrivati, trova suo padre che la invita ad andare all’ospedale a trovare sua madre che ha ‘avuto un incidente’ e si è spezzata una gamba; guarda Attilio terrorizzata, ma incontra lo stesso muro di rancore, anzi di odio, a questo punto: è un altro uomo, decisamente; ed ha tanta paura adesso: chiede a suo padre se può aiutarla a denunciare l’episodio alla polizia; le domanda a sua volta che cosa intenda denunciare, se suaa madre è stata investita da un’auto che non è stata individuata, se nessuno è disposto a testimoniare: cosa può denunciare? Forse una figlia troia e deficiente, illusa ed incapace?
“Maledetta; ti avevo avvisata; hai voluto fare di testa tua. Ora come ne esci? Hai un lavoro? Potrai vivere dopo il divorzio? Andrai a battere sui marciapiedi?”
Lui è disperato; ma lei ormai desidera solo morire; decide di provocare l’ira di Attilio: se lo spinge ad ammazzarla, chiude in bellezza e lui finisce in galera: ormai è completamente fuori di testa; lui regge impassibile alle offese più gravi che le lancia in piazza, davanti a tutti; finché sul campanile esplode quel bagliore; poi solo il nero.
Non è stato mai trovato l’autore dello sparo, ma forse non lo si è neanche voluto cercare bene; il suo corpo è stato cremato per volontà del marito e le ceneri sono state disperse nei campi; i suoi non hanno avuto una tomba su cui piangere; per loro fortuna (forse) sono morti poco tempo dopo, piegati dal dolore e dalla vergogna; Attilio si è rifatto una vita accanto ad una ragazza molto giovane ma senza grilli per la desta, disposta ad accettare le regole della ‘famiglia’ e presto avranno anche un figlio; sulla regione, il sole continua a splendere come sempre e i rituali atavici sono rimasti inossidabili.
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