Il ‘divertimentificio’ è lì a una trentina di chilometri, sulla costa, ed è polo calamitante per tutto il territorio, fino all’Austria e alla Germania, da dove una rete autostradale porta direttamente ai centri balneari cresciuti a dismisura negli anni e che ora occupano il litorale per tutta la sua estensione; per gli abitanti dell’hinterland, possedere in una delle località marine almeno un monolocale di dimensioni minime è quasi un punto d’onore: d’estate è garantito l’affitto a villeggianti (preferibilmente austriaci o tedeschi) a prezzi spesso esorbitanti; comunque, c’è anche la possibilità, in bassa stagione, di utilizzarlo come ‘rifugio’ per un periodo più o meno lungo di relax.
Io non faccio eccezione alla regola e sono riuscito ad acquistare (non so nemmeno io per quali fortunate combinazioni) un monolocale con ampio balcone sul mare, che regolarmente affitto per tutta l’estate, da giugno ad ottobre, e me ne vado a trascorrere qualche giorno altrove, possibilmente in tenda.
Quel settembre, però, decido di tenere libero il mio ‘nido’ per trascorrervi qualche giorno in totale relax, sperando anche in una situazione di scarsa affluenza per evitare il carnaio insostenibile che nell’alta stagione si registra inesorabilmente; sono anche abbastanza fortunato, perché trovo una situazione ‘fluida’ e posso starmene in pace in spiaggia, davanti ad un bar o semplicemente al balcone del mio monolocale.
Per le necessità quotidiane, soprattutto pranzo e cena, devo però rivolgermi ad un locale che fa da ristorante, pizzeria, bar e ritrovo di giovani, l’unico che impavido resiste per tutto l’anno, anche quando il freddo e il maltempo flagellano le coste; sono diventato così un habitué, quasi una istituzione sulla terrazza di cui il locale dispone, con un tavolo che trovo quasi sempre libero e sono ormai familiare con tutto il personale.
In particolare, lego con una ragazza leggermente ‘diversa’, una tipa altissima (circa un metro e ottanta, più o meno la mia altezza) con una meravigliosa cascata di capelli rosso fuoco che le scende fino a metà schiena (quasi al punto vita) con tutte le sue ‘cosine’ al posto giusto: bel seno superbo e ritto, capezzoli duri in avanti; fianchi modellati e meravigliosamente armonizzati su gambe scultoree dalla linea favolosa; sedere alto con natiche sporgenti, alla brasiliana.
Insomma, uno spettacolo della natura.
Ma, di più, ha un eloquio facile ed un dialogo che incanta, riesce a parlare di tutto e dimostra una curiosità culturale che mi intriga: quando scopre che amo leggere e scrivere, ci incontriamo immediatamente sul terreno della cultura classica e ci lanciamo in avventurose disamine della mitologia classica, greca e romana; lei possiede anche una notevole infarinatura di mitologia tedesca (quella di Sigfrido e dei Nibelunghi) che a me manca; ma, forse, anche per questo troviamo sempre nuovi spunti di dialogo.
Mi rivela che è di origini miste, madre italiana e padre tedesco, e che ha trascorso la fanciullezza e l’adolescenza tra la Campania e la Baviera incontrando le difficoltà dell’una e dell’altra con pochissimi vantaggi; i suoi gestiscono, ad Augsburg, un ristorante, in cui lei lavora; quel settembre, si è trasferita in Italia per prendersi una ‘sosta di riflessione’ nel locale di un amico e compaesano di sua madre che la ospita perché si riprenda da non precisati problemi familiari: in sostanza, non lavora con l’intensità dei dipendenti, ma dà una mano perché a quel lavoro è abituata ma può concedersi la libertà che vuole.
Ne approfitto per invitarla a passeggiare sulla battigia, specialmente nell’ora del crepuscolo quando l’aria è più fresca ed è più affascinante intrattenersi a parlare dei massimi sistemi solo per il piacere di stare accanto ad una gran bella ragazza, che in fondo è soprattutto una buona amica ed una piacevole compagnia; prendiamo così l’abitudine di fare lunghe passeggiate, prendendo talvolta un gelato e cercando di resistere alla tentazione di abbracciarla e baciarla, che mi assale continuamente.
Evidentemente, deve avere ben capito che non mi è indifferente ed è lei a prendere l’iniziativa: in una delle tante passeggiate, di colpo si ferma, si gira verso di me, mi abbraccia e mi stampa sulla bocca un bacio di un’intensità che non avevo mai sperimentato; prima ancora che abbia il tempo di capire, la sua lingua mi ha forzato le labbra ed ora esplora la mia bocca centimetro per centimetro: mi sento sciogliere qualcosa dentro, le farfalle si agitano nello stomaco e negli occhi chiusi mi esplodono fuochi d’artificio.
Il corpo, schiacciato contro di me, mi fa sentire quasi come punte di diamante i capezzoli che bucano il torace; l’osso pubico si spinge contro il mio fino a farmelo dolere; il pene mi si gonfia al massimo dell’erezione e si trova costretto nella gabbietta dello slip quel giorno particolarmente attillato, per mia disgrazia.
Brunilde (così mi ha detto di chiamarsi; ma ha aggiunto che, per gli amici italiani, va bene anche Bruna) sembra cercare un piacere tutto suo, mentre mi fa sentire il pube pressato sul mio fino a che il sesso gonfio le va a stimolare il suo, probabilmente altrettanto gonfio; si struscia per qualche secondo ed alla fine sento che illanguidisce, tende ad inondarmi la bocca, mentre fremiti violenti le scuotono il ventre: sono segnali evidenti di un grosso orgasmo, di cui non riesco a cogliere l’origine, non avendo fatto io niente per procurarlo ed avendo solo lasciato che lei strofinasse il sesso contro il mio; mi sento sciogliere dal piacere: nessun desiderio di arrivare all’orgasmo, ma un piacere intenso, una sorta di calore generale mi inonda il corpo; quando, alla fine, ci stacchiamo, riesco soltanto a guardarla fisso negli occhi, tenendole ambedue le mani, quasi per comunicarle l’amore che mi sta instillando; mi accarezza il viso con dolcezza e mi bacia leggermente sugli occhi.
“Hai detto che casa tua è molto piccola. Pensi che ci possa essere posto per me?”
“Tu sei la padrona assoluta della mia casa, del mio cuore, di tutto me stesso.”
“Non esagerare coi paroloni. Pensi che possiamo stare qualche giorno da te?”
“Io vorrei tenerti con me tutta la vita; figurati se possono esserci problemi per pochi giorni!”
Puntualmente, quando ci siamo incontrati per passeggiare, Bruna a un certo punto ha dovuto rispondere ad una telefonata e si è appartata per dialogare in tedesco (lingua a me completamene estranea) con un interlocutore che deve avere un ruolo di non poco conto nella sua vita, vista l’emozione con cui parla e le alternanze tra momenti duri, di autentica ira, ed altri di appassionata dolcezza, ho il sospetto che possa trattarsi di una relazione molto importante (forse ha anche a che vedere con la sua ‘trasferta’ in Italia); ma non oso dire una parola.
Anche stasera, proprio mentre si decideva di andare nel mio ‘nido’ e pregustavo la gioia di un incontro un poco più intimo, il telefono squilla e lei si apparta per rispondere; per almeno un quarto d’ora subisce le solite alternanze tra un tono duro e severo e frasi dolci e melodiose: non capisco niente, ma ci vuole poco a cogliere che è un vivace scambio amoroso, con punte di gelosia e scatti d’ira alternati a momenti di affettuosità e di dolcezza tipici degli innamorati; quando torna da me, non dico niente ma il mio sguardo deve fare tutte le domande che mi bruciano sulla lingua.
“Non ho un marito ad Amburgo e nemmeno un fidanzato geloso!”
Scherza ridendo, prima con gli occhi poi con le labbra; e non sa quanto sia disarmante per me, quel sorriso che mi incanta.
“Non ho detto niente; ma il tono della telefonata dice che comunque è una persona che ha un grosso peso nella tua vita, quella che ti chiama tutte le sere alla stessa ora!”
“Ci hai fatto caso? Beh, diciamo che è una relazione impegnativa, ma non riuscirei a spiegarti un bel niente neanche se mi sforzassi di farlo. Limitati a sapere che ho qualcuno che mi interessa e non fare altre domande.”
“Ok, scusa; non volevo curiosare. Andiamo a casa?”
“Si, adesso ho ancora più voglia di stare con te …”
Un monolocale ridotto all’essenziale non è precisamente quello che ci vuole per due persone di circa un metro e ottanta che, per di più, si muovono come contorsionisti a cercare di compenetrarsi al massimo, quasi a volersi fondere in una sola persona: Bruna mi abbraccia con la passione che mi ha già dimostrato in spiaggia ed io rimango quasi spiazzato di fronte alla decisione con cui sceglie gesti e punti del corpo per ottenere il massimo della libidine da tutti e due.
La costringo quasi a stare ferma mentre ricavo, dal divano, un letto per tutti e due: in quell’ambiente, è difficile pensare di fare due cose contemporaneamente: il letto preparato preclude qualunque altro mobile, ma si presta immediatamente a stenderci insieme e, difatti, Bruna non aspetta un attimo a buttarmi supino sul materasso e a piombarmi addosso con tutto il suo corpo meraviglioso e morbido: sento il seno premermi sul petto e ritornano i capezzoli appuntiti e duri, quasi a bucare il torace, il ventre si adagia sul mio e mi trasmette calore, passione e voglia; cominciamo ad accarezzarci con la dolcezza di bambini che si fanno moine, quasi senza apparente desiderio.
Ma il mio sesso è sconvolto dalla situazione e si indurisce immediatamente, soffrendo pene d’inferno per il pantaloncino troppo stretto e per essere schiacciato dal pube di lei che cerca lo sfregamento sul mio osso pubico fino a che mi pare che ottenga quella masturbazione che ha cercato anche in spiaggia, in piedi, abbracciati: stavolta, ha più agio a spostare le gambe, sue e mie, per mettere a diretto contatto i sessi e stimolare i punti più sensibili; quando raggiunge un orgasmo, me lo comunica con gemiti e con bacini su tutto il viso.
Decido che voglio fare l’amore, che ne ho bisogno, a questo punto; e che anche lei vuole che spostiamo il limite più oltre; la faccio ruotare fino a metterla sotto di me e comincio a spogliarla lentamente; lei fa altrettanto con me; ci vuole niente a cavarci le poche cose che d’estate, al mare, si indossano di solito e ci troviamo rapidamente a godere del corpo dell’altro nella sua interezza: mi piace molto passare la lingua su tutta la pelle del petto e sui seni; godo, quando prendo in bocca i piccoli capezzoli e li succhio appassionatamente fin quasi a farle male; lecco e succhio il ventre e l’ombelico, particolare e divertente, quasi un tortellino che risalta dalla pancia piatta e tesa; scendo sul pube e mi impossesso immediatamente del clitoride che sbuca malizioso dal fiore delle piccole labbra: sento che gode e che le piace molto sentirsi succhiare: mi dispongo sul letto perpendicolarmente a lei e divoro la vulva tutta quanta dedicandomi molto alle grandi labbra ed al clitoride.
Se ne sta distesa sul letto e mi lascia percorrere tutto il suo corpo; le prendo una mano e la porto sul fallo chiedendole implicitamente di masturbarmi; sembra turbarsi e, per un attimo, se ne sta ferma tenendolo in mano senza accennare a movimenti; poi, di colpo, mi afferra e con una forza imprevista mi rovescia sopra di lei, allarga le gambe e mi fa stendere fra le sue cosce; riprende in mano il sesso e lo accompagna all’imbocco della vagina; mi distendo con tutto il corpo e premo il ventre contro di lei; sento la cappella che la viola ed ho la sensazione di possedere una vergine.
Si muove a stento, il sesso nel suo corpo: sembra che non sia abituata al coito, che sia una delle poche volte in cui si fa penetrare; sono imbarazzato perché non vorrei farle una violenza gratuita, ma è lei stessa che mi toglie dall’imbarazzo, inarcando la schiena e spingendo il pube contro il mio; spingo con forza e sono dentro; geme timidamente, leggermente, ma si sente che è coinvolta, non so se con piacere o con dolore.
“Vuoi che smetto?”
“Sei pazzo?!?!? No, prendimi, devi prendimi, ti voglio dentro!”
“Ma sembra quasi che ti faccia male …”
“Non sono abituata, ma non sono né vergine né sprovveduta; fammi godere tanto, ma tanto tanto!”
Capisco che c’è solo, tra di noi, un’immensa difficoltà di comunicazione, perché abbiamo modi diversi di valutare i gesti e le parole; ma, allo stato in cui le cose sono giunte, conta poco sapere come e quanto ci si intende, visto che i corpi parlano da soli e dicono tutto: la cavalco per qualche tempo, cercando di distrarmi ogni volta che l’orgasmo sembra montare impellente e frenandolo all’ultimo momento.
Bruna partecipa con un entusiasmo ed una vitalità che fino a quel momento non avevo neanche ipotizzato; si agita molto alla ricerca di sempre nuove emozioni e geme continuamente, quasi lamentandosi, ma invece dimostrando di godere con gioia del rapporto; l’orgasmo arriva per tutti e due dolce, lento, languido; lei geme continuamente, quasi sol sibilo di una sirena, ed io devo trattenere l’urlo che mi sgorga dal cuore, prima che dalla bocca.
“Bruna, ti amo, ti amo tanto …”
Non riesco a trattenermi; scatta come una molla compressa.
“NO, non usare quel verbo e nemmeno gli aggettivi o il sostantivo corrispondente. Tra noi non può esserci amore; solo sesso; prendimi, possiedimi, violentami, fammi quello che vuoi ma non usare quella parola; dimmi tutto quello che vuoi, anche le parolacce se ti va, ma non usare quel sostantivo o quel verbo. Non ti chiedo niente, solo di possedermi con gioia, con piacere, con la massima libidine. Niente altro.”
Dire che sono sconvolto, è assai poco; credo proprio di essere fortemente disorientato, quasi incapace di rendermi conto anche di dove sono e cosa ci faccio lì.
Poi mi calmo, le chiedo scusa e chiarisco che credevo di fare la cosa più semplice e naturale del mondo; mai avrei pensato che parlare d’amore avrebbe scatenato quella reazione; le chiedo scusa e prometto che mai più sarebbe comparso un termine vicino ad ‘amore’ nei miei discorsi; gli interrogativi però sono infiniti ed enormi; li metto semplicemente da parte e nascondiamo sotto un tappeto di silenzio l’’incidente di percorso’ che, senza volerlo, ho provocato; l’episodio non incide sulle nostre scelte e Bruna si ferma a dormire da me, come farà nei giorni successivi.
Comincia così, per me, una settimana di gioia immensa e di piacere infinito in compagnia di una donna straordinaria con la quale percorro tutti i sentieri praticabili (e non) del sesso; superato l’empasse iniziale, dimostra una capacità di fellazione straordinaria, per lo meno, e più volte mi fa toccare il vertice dei paradisi con la sua bocca meravigliosa; mi propone di penetrarla analmente e mi accorgo che partecipa con una passione enorme quando la mia mazza la sfonda fino all’intestino, ma che in realtà il percorso è già ben aperto e frequentato: mi resta sempre difficile interpretare le sue reazioni, tra novità assoluta e matura conoscenza; mi limito, alla fine, a godermi il suo entusiasmo quando facciamo sesso e cerco in ogni modo di farla godere fino a stare male.
Intanto cerco, con scarso successo, di farla ‘aprire’ sulle questioni più personali; ma l’unica cosa che riesco a ‘strapparle’ è un biglietto da visita dell’hotel dei suoi genitori dove lei lavora fissa quando sta ad Augsburg; per il resto, è solo una continua lotta tra l’episodio effimero del soggiorno in Italia e la realtà, ben più consistente, che ha lasciato in Germania, da dove in pratica non è mai andata completamente via, vista la telefonata, puntualissima, di quasi un’ora che quotidianamente scambia con chissà chi, dimostrando in piena evidenza che la sua vita è là, dove l’aspetta quest’amore assai misterioso.
Naturalmente, quotidianamente trascorriamo molto tempo insieme, tra pranzo, cena e passeggiata sulla riva diventato uno standard imprescindibile, quasi un obbligo sociale, oltre che morale; ma, più ancora, sono le notti infuocate che ci legano profondamente, con un minimo di apprensione mia, per la paura che il sogno svanisca da un momento all’altro; e ancor più per lei, che, nella direzione opposta, teme che il legame diventi troppo difficile da spezzare se continuiamo su questa falsariga.
La conclusione è che una mattina, svegliandomi sul tardi, non trovo Bruna nel letto: non sarebbe strano, visto che spesso scende nel ristorante per aiutare a preparare le sale; ma, di fatto, sono scomparse tutte le sue cose, a cominciare dalla valigetta del beauty in bagno che è la prima cosa che noto e mi ferisce al cuore; Bruna se n’è andata e forse il sogno è svanito.
Per tutto il giorno sembro impazzire, alla ricerca di lei: interrogo tutti quelli che lavoravano insieme, sperando che a qualcuno abbia lasciato un numero di telefono; non ho il coraggio di parlare coi proprietari, perché so della loro amicizia coi genitori e so anche che non mi diranno niente: mi guardano con aria commiserevole e sembrano suggerirmi di lasciar perdere, per il mio stesso bene; provo anche a chiamare in Germania, al numero del biglietto da visita; mi rispondono in tedesco e devo riattaccare non avendo niente da dire.
Non è facile rassegnarsi; ed io sono anche un tipo difficile da convincere: anche l’evidenza dei fatti non mi induce ad arrendermi che non c’è niente da fare, che bruna ha fatto la sua scelta e che io posso e devo solo rispettarla; per tutto il restante mese di settembre mi rivolto nella mia rabbia impotente, mi tormento con mille inutili interrogativi finché, esausto e svuotato, decido di rientrare in città e di chiudere, almeno per il momento, quella pagina meravigliosa.
A riaprire la ferita ci pensa, nella primavera successiva, l’Università, dove arriva un comunicato che richiede personale altamente qualificato per un’azienda tedesca (guarda caso, in una zona industriale tra Monaco ed Augsburg); sulla base delle richieste, avrei tutti i titoli per aspirare ad avere quel posto, di grande qualità e molto ben retribuito, che è però ambito da moltissimi altri laureati o laureando di mezza Europa.
Per un caso più unico che raro, vengo selezionato dall’Università per partecipare allo stage degli aspiranti e in quattro e quattr’otto devo organizzarmi per partire, facendo anche aggio su amici che da anni si sono sistemati in Baviera e che sono felici di darmi una mano: al più affezionato tra essi, comunico il mio desiderio di verificare la storia dell’albergo di Augsburg e mi rassicura che come base operativa è più che valida e che, anzi, la sistemazione lì è preferibile all’inevitabile frenesia metropolitana di Monaco.
Detto fatto, mi organizzo al meglio e dopo qualche giorno sono in treno per andare ad Augsburg, passando per Monaco, dove l’amico ivi residente mi accoglie con tutto l’affetto accetta di malgrado che io non mi fermi a casa sua e mi accompagna ad Augsburg fino quel Museumsgasse (vicolo del Museo) dove è ubicato l’albergo ‘Bella Napoli’; quando varco l’entrata, mi trovo di fronte ad una bellissima donna dai caratteri chiaramente dell’Italia meridionale, forse addirittura esattamente napoletani (colorito bruno, folti capelli neri, occhi neri intensi e fortemente espressivi); azzardo in italiano la domanda se hanno da alloggiarmi; alla risposta positiva, l’amico di Monaco mi dà le dritte per muovermi nella città bavarese e per raggiungere, da lì, la fabbrica dove dovrò svolgere il lavoro di test, mi affida scherzosamente alla signora e va via.
La signora registra la mia presenza e i motivi del soggiorno; quando le dico che partecipo allo stage di test per l’assunzione, rimane piacevolmente sorpresa e si congratula: sembra molto dolce e cattivante; se, come so, è la madre di Bruna, c’è da dire che, a parte le differenze fisiche che le rendono opposte (e che presumibilmente accostano lei al padre più che alla madre), il frutto non deve essere caduto lontano dall’albero, almeno per quanto attiene alla sensualità, alla passione e al desiderio: in poche battute la signora Ada mi ha dato già l’impressione di volermi divorare; ma io, per il momento, sono più curioso di incontrare Bruna e verificarla nel suo habitat.
Prima di ogni altra cosa, chiedo del bagno, perché è dall’Italia che non vado a svuotare la vescica; me lo indica e ci vado con la fretta che è naturale nelle mie condizioni; mentre sto beatamente orinando nel bagno dei maschi, da quello vicino mi giungono urli strozzati che riconosco perfettamente perchè li ho già sentiti alcuni mesi prima: nel bagno a fianco, quelle delle donne, Bruna deve essere nel pieno di un amplesso che ha tutti i caratteri dell’eccezionalità; cerco un buco da cui spiare e mi accorgo che il portasapone è in una disposizione strana: lo picchietto un poco, ci armeggio e sento che si stacca lasciando un varco abbastanza grande; accosto l’occhio e mi appare Bruna in tutto il suo splendore; è seminuda e piegata sulla tazza del water; alle sue spalle, una ragazza fortemente nordica, con una complessione da atleta pesante, la sta possedendo con uno strap on agganciato all’inguine e gli urli di Bruna sono di evidente piacere per la penetrazione, forse anale, che subisce.
Parlano in tedesco e non capisco niente; ma ormai il quadro si è decisamente chiarito: la valchiria era l’interlocutrice quotidiana al telefono con Bruna, per lei evidentemente la ragazza era stata spedita in Italia, forse per liberarsi dal’ossessione di quell’amore saffico (la madre è comunque napoletana, abbastanza giovane per capire certe cose, ma anche abbastanza radicata nelle sue credenze per vedere con dolore le scelte della figlia); e il ritorno improvviso significa solo che non ha resistito alla forza di quella passione ed è tornata alla sua realtà.
Rimetto a posto il portasapone, esco evitando ogni rumore e mi ripresento ad Ada che riprende il suo strano ‘corteggiamento’ proponendomi la ‘camera più bella dell’albergo’ ed offrendosi di accompagnarmi lei stessa a prenderne visione ed a depositare i bagagli; sento in ognuna delle sue parole un invito esplicito, un desiderio represso e sono molto combattuto: da un lato, mi mette disagio l’idea di fare l’amore con la madre di Bruna che ho amato con tutto me stesso, in Italia, anche contro la sua volontà e di fronte all’imposizione di non farmi neppure scappare per errore la parola amore; dall’altra parte, però, la scena a cui ho assistito nel bagno mi suggerisce che, per quella ragazza, tutto si riduce al sesso: ha tanto timore reverenziale per l’amore che sfoga nel sesso la rabbia di non poter inseguire un sentimento vero.
Decido che, alla fine, le regole le ha volute e dettate lei e che non mi resta che adeguarmi; manifesto ad Ada la mia disponibilità prendendola per la vita e stringendola a me mentre ci avviamo all’ascensore; in risposta, mi appoggia la testa sulla spalla e so che faremo l’amore adesso stesso: non è come Bruna; e se ha voglia non esita a comunicarlo; quasi leggendomi nel pensiero, Ada chiarisce.
“Qui arrivano spesso degli italiani: il nome dell’hotel è un forte richiamo; ma si tratta quasi sempre di gente rozza, di media o scarsa qualità culturale e civile. Un uomo del tuo livello è cosa rara. Io ho bisogno, una volta tanto, di prendermi l’amore da un uomo che mi entusiasmi, dopo aver vissuto per tanti anni con un crucco come mio marito. Tu sei qui e io non ti mollo, almeno fino a che non ho soddisfatto il mio bisogno d’amore.”
Non so proprio cosa obiettarle e mi limito, visto che siamo già in ascensore, a baciarla con enorme passione, a costo di scatenare uno scandalo, se dovessero sorprenderci dei lavoranti in giro per i corridoi; ma non mi sembra che se ne preoccupi e ricambia la passione con un entusiasmo che neanche le attribuivo; quando chiudiamo la porta della camera dietro le nostre spalle, lei è praticamente seminuda, perché ho cercato di spogliarla immediatamente, mentre la divoro letteralmente coi baci che spargo su tutto il viso, nella bocca, sul seno e soprattutto sui capezzoli che succhio con la voglia repressa del poppante a secco da ore.
Si siede sul letto, mi fa avvicinare, mi apre i pantaloni e li tira giù insieme allo slip; quando il fallo emerge in tutta la sua lunghezza, lo afferra a due mani in atteggiamento quasi di preghiera e sembra davvero adorarlo mentre lo copre di baci e lecca a piccoli colpi di lingua su tutta l’asta: quando lo lascia entrare in bocca, un brivido di passione mi sferza la schiena e mi fa vedere luci che non esistono: prendo a copularle in bocca quasi senza curarmi del difficoltà che potrebbe incontrare di fronte ad un membro alle cui dimensioni sembra non essere abituata: si adegua immediatamente e si fa penetrare fino al velopendulo senza manifestare conati di rigetto o problemi di respirazione.
Quando l’asta è completamente lubrificata dalla saliva, si ferma per non portarmi all’orgasmo, si sfila gonna e slip e si stende supina, divaricando le gambe in una chiara offerta della vulva che è coperta di una folta peluria riccia e nera, elemento strano coi tempi che corrono; mi inginocchio fra le sue cosce e mi piego a prendere in bocca la sua vulva, ricambiando il gesto che ha fatto col mio sesso: ha un odore strano, la sua vulva, un misto tra orina e fiori di campo, squirt e violette, piacere inespresso e tabacco; mi incanta, mi innamora e riesco a sentirmi completamente partecipe della sua passione.
“Ti dà fastidio se, almeno per questo solo momento meraviglioso, ti dico che ti amo?”
“No, tu esprimi semplicemente un sentimento comune: anche io, forse solo per questo momento immenso ed infinito, ti amo; e ti amerò ogni volta che starò con te per fare l’amore, non per copulare.”
“Era questo che intendevo dire: fammi fare l’amore, non limitarti a possedermi; vorrei tanto sentire la passione che sai mettere e trasmettere, in un rapporto.”
Prendo a succhiarle il clitoride con tutta l’anima e, mentre cerco di estrarle anche lo spirito dalla vagina, sento di partecipare alla sua goduria con una intensità che non ricordavo; quel piccolo pene in bocca mi dà la sensazione di una devozione reciproca assai più intensa di quanto dovrebbe meritare un incontro episodico ed occasionale, un incontro con una sconosciuta in una camera d’albergo anonima; la verità è che nel rapporto con lei c’è anche la passione inesplosa per Bruna, sua figlia, una donna che non sono riuscito ad amare come avrei voluto e che non poteva amarmi come voleva perché legata ad altra storia.
Intensifico le mie manovre sul suo clitoride e succhio a lungo finché non sento che, soffocando a malapena un urlo assai violento, non mi esplode in bocca uno squirt che mi inonda letteralmente e rischia di soffocarmi; ingoio devotamente tutto e lecco delicatamente le grandi labbra, ricche, carnose, gonfie di passione; scivolo lentamente sul suo corpo e mi sistemo su di lei.
Prendo un preservativo dal portafogli (ne porto sempre almeno uno con me), mentre la bacio voluttuosamente; mi applico il goldone, con le mani porto il sesso alla vulva e, appoggiata la cappella all’imbocco della vagina, lascio a lei il compito di muoversi per farsi penetrare; accompagnandosi con una serie di ‘ti amo’ recitati come un mantra, sento che lascia entrare nel canale vaginale la mia asta non indifferente, godendone la consistenza millimetro per millimetro, accompagnando la penetrazione con il rilascio di umori vaginali intenso e lungo e con piccoli orgasmi che le scuotono le membra tutte.
“E’ meraviglioso … quanto ti amo … sono felice … non uscire da me … prendimi tutta … voglio essere tutta tua …”
Cerco di farla calmare fermando la copula, stretto su di lei a sentire tutto il corpo.
“Ada, ti amo anch’io … infinitamente … però, ti prego … non perdere la testa … è un meraviglioso momento … non sciuparlo con l’incoscienza … non puoi restare con me così a lungo … rischi uno scandalo …”
“Stupido italiano, chi se ne frega di noi? E chi se ne frega dello scandalo? Pensa ad amarmi, al dovere ci penso io; credimi, sono in grado di controllarmi; tu dammi amore; al lavoro penso io.”
Ineccepibile, alla fine; mi do da fare a cavalcarla ascoltando le reazioni del suo corpo per darle quello che desidera e che si aspetta; sento che vuole sentirsi stimolare il clitoride dal sesso immerso nella vagina e mi muovo perché venga catturato dall’osso pubico che lo martirizza finché esplode in un nuovo orgasmo; poi mi muovo nella vagina e stimolo l’utero; sento che l’orgasmo mi monta dai testicoli che vogliono scaricarsi; l’avverto.
“Sto per venire!”
“Aspetta solo un attimo … ecco … vieni adesso!”
Esplodo nell’eiaculazione più ricca che ricordo da qualche mese e sento che gli spruzzi, pur col freno del preservativo, le stimolano l’utero provocando intese esplosioni del suo piacere che inondano le lenzuola del letto; ci abbandoniamo abbracciati sul letto, scivolo via da lei e mi sistemo a fianco, tenendola stretta a me in un atteggiamento di tenerezza che forse è lievemente stonato in un rapporto destinato a rimanere episodio unico; quasi avesse sentito i miei pensieri, Ada mi dice.
“Avrei voluto che mi prendessi tutta, che mi penetrassi anche nell’ano; vorrei conservare di questo momento una memoria vivida, intensa, ricca, totale.”
“Intanto, le prove dello stage durano non meno di una settimana e forse potremo ancora dare sfogo al nostro bisogno d’amore, non credi?”
“Si; ma tieni ben presente che non ho nessuna intenzione di mettere a rischio il mio matrimonio e che, se necessario, ti spedisco subito via; amarti è un mio diritto; rimanere con mio marito è un mio dovere; non ho nessuno scrupolo ad innamorarmi di te e a fare l’amore con te; ma, se mi trovo di fronte ad una scelta, mio marito viene sempre prima di qualunque desiderio.”
“Non puoi sapere quanto ti capisco e ti condivido, soprattutto per la lealtà che dimostri anche con uno che hai appena conosciuto ed amato.”
“Adesso devo riprendere il mio posto; pranzi qui da noi?”
“Chiaro; non so proprio come potrei fare diversamente; non parlo neppure la lingua!”
“Per quello, ci metterai assai poco …”
Si riveste e mi lascia a poltrire mentre mi organizzo e mi preparo per scendere a pranzo; quando sono giù, Ada stessa mi indica che per me è apparecchiato in un angolo.
“Verrà mia figlia che parla italiano, così non avrai problemi …”
Sto zitto perché non so Bruna come si voglia comportare e aspetto che sia lei a venire al tavolo per le ordinazioni; quando mi vede, si ferma sorpresa e non riesce a nascondere un grosso disagio; ma si trattiene perché c’è anche sua madre.
“Tu che ci fai qui?”
“L’ingegnere è qui per partecipare allo stage per il posto alle industrie … Non è meraviglioso? Un italiano che stavolta non viene ad elemosinare un posto qualsiasi, ma a prendersi per suo diritto un posto importante di lavoro … Lui è un uomo meraviglioso!”
“… Già … Si … Ma tu che ne sai, che è meraviglioso? Lo hai già assaggiato?”
“E se anche fosse? Credi di poter sindacare il mio comportamento dall’alto delle tue pratiche?”
“No … chiedevo così, per sapere, per verificare.”
Vedo arrivare alle sue spalle la valchiria.
“Attenta: arriva la tua amante …”
Si gira un attimo a controllare, sorride a lei e mi fa.
“Come cavolo fai a dire che è la mia amante?”
“Ho soltanto visto come ti penetrava analmente, poco fa, in bagno …”
Arrossisce e sta zitta, poi mi presenta Hilde, la sua compagna; faccio il lumacone galante italiano e mi sprofondo in un viscido baciamano.
“Perché non la smetti di fare il cicisbeo?”
“Perché rispetto gli impegni. Niente amore né dolcezze né lealtà; solo sesso e ipocrisia!”
Accusa il colpo, piega la testa sul petto e si allontana; Ada non ha capito molto ma intuisce che qualcosa c’è stato tra me e sua figlia; mi sento in obbligo di spiegarle.
“Ci siamo visti in Italia; andavo a pranzo al ristorante dei tuoi amici.”
“Ah … capisco … e non sapevi chi era che le telefonava ogni giorno …”
“Infatti …”
“Dai, non pensarci …”
Il percorso fino alla fabbrica non è difficile, con la frequenza di indicazioni stradali ed arrivo con un certo anticipo al primo appuntamento; nell’atrio una serie di cartelli indica la disposizione degli invitati e mi trovo subito alla scrivania degli italiani, dove una bella ragazza in perfetto italiano illustra i movimenti e le competenze; ha gli occhi di un azzurro intenso, come in alto mare, e sembra comunicare amore senza neppure avvedersene; si muove con molta efficienza e con modi spicci, quasi sbrigativi, consegna moduli e schede a ciascuno; le chiedo dove posso prendere un caffè; mi confida che quello in vendita è ‘una ciofeca’ e suggerisce di aspettare: dopo la prova, sarebbe lieta di offrirmene uno fatto da lei, con la macchinetta italiana, a casa sua; sono alquanto perplesso per un approccio tanto rapido e deciso, ma comincio a capire che sono in un mondo diverso, con altra morale ed altri obblighi; mi limito ad accettare.
I questionari sono più rapidi da riempiere di quanto mi fossi immaginato; dopo poco più di un’ora li ho consegnati completi e con la certezza di avere dato le risposte giuste; uscendo dalla sala d’esame nell’atrio trovo la ragazza italiana ancora alla scrivania; è lei ad attirare la mia attenzione, mi chiede se ho finito, mi rinnova l’invito a prendere il caffè da lei e ci dirigiamo al parcheggio dove abbiamo le rispettive macchine, lei la sua ed io quella presa in affitto; ci dirigiamo a casa sua.
Abita non lontano dalla fabbrica, in una nuova urbanizzazione con case fatte in serie, tutte uguali, piccoli appartamenti di una, due o tre camere con servizi; la sua è a due camere, un soggiorno con angolo cucina,una camera da letto e i servizi ridotti un po’ all’osso; ma è arredato con gusto, sobrio ed elegante un po’ come lei, Andrea, con vaghe ascendenze da italiani immigrati molti decenni prima, nata e cresciuta lì e di cultura tedesca ma con qualche reminiscenza ereditata dai nonni; è un ragazza di altezza media (poco oltre il metro e sessanta: quindi, quasi in difficoltà col mio metro e ottanta; ma non dà peso alla cosa), non magra ma neppure abbondante: gran bel seno prorompente su un ventre piatto e delicato; cosce statuarie elegantissime e scoperte largamente da una minigonna vertiginosa; fianchi ben modellati e sedere importante, con le natiche ben piantate in alto, sorrette da un tacco ragguardevole (dieci o forse dodici, non mi intendo molto) che la slanciano molto.
Non so se il caffè che mi prepara sia buono, accettabile o se sia solo che da Andrea accetterei anche una ‘ciofeca’ e la dichiarerei sublime; so che è piacevole stare con lei, seduti sul suo divano di pelle grigio perla e chiacchierare del nulla senza annoiarsi, gustandosi un caffè che è buono perché c’è lei e sperare che quell’attimo non finisca; ma bisogna svegliarsi, anche perché l’ora di pranzo si avvicina; sarei tentato di forzare la mano e invitarla a pranzo; ma ho scoperto che con ‘le tedesche’ la cosa migliore è lasciar fare perché decidono in fretta e bene; l’avverto che devo essere per pranzo in albergo ed ho la strada da fare; mi prende in contropiede.
“Mi piaci molto ed ho pensato seriamente di fare l’amore con te; ma, proprio perché mi piaci tanto e so che potrebbe funzionare, tra noi, non voglio sciupare tutto in una ‘copula e via’; preferisco aspettare che succeda qualcosa; se tu dovessi avere quel posto e decidere di trasferirti qui, sarei felicissima di accompagnarti non so per quanto nel tuo percorso di vita; quindi, aspetterò che finisca lo stage e che decidano le assunzioni; se tutto va come io spero, avremo tempo di amarci sul serio. Ti spiace se parlo così schiettamente?”
“Assolutamente no! Ho provato esattamente le stesse sensazioni; non è di un amplesso che sento il bisogno; se c’è chimica tra noi e se la vita sceglie che io mi trasferisca qui, sarò felice di esserti compagno e di averti per compagna per il tempo che il destino vorrà. Se non dovesse succedere niente e dovessi rientrare in Italia, sappi che comunque sei la cosa più bella che mi è capitata da almeno qualche mese in qua.”
Al momento di accomiatarmi, il bacio che ci scambiamo è quanto di più casto si possa immaginare; eppure ci costa un’emozione profonda e forse non giustificabile con nessuna motivazione, se non con un bisogno soffocato di amore.
Tornato in albergo, mi tocca barcamenarmi tra i disagi che Bruna prova per sé, che provoca in Hilde e che provoca soprattutto a me, preso in mezzo da una situazione assai delicata.
Ada è sempre più presa dal vortice d’amore che la induce a fare di tutto per ritagliarsi momenti per stare insieme e darmi tutto quello che umanamente una donna (specialmente una donna ormai alla soglia della maturità) può dare ad un uomo alquanto più giovane di lei: non potendo più offrire verginità, si dà da fare per rendere gli amplessi il più fantasiosi ed articolati possibile, amando con tutte le fibre del corpo e con tutta la passione che l’animo le detta.
Ma anche Bruna adesso sembra ripensare alla storia vissuta al mare; se non colgo male certi segnali, sarebbe anche disposta a proporre un menage à trois, tra me lei ed Hilde, pur di recuperare almeno in parte il senso di quel rapporto che aveva rifiutato in Italia forse con troppa fretta, perché pressata dall’amante tedesca; o forse, ma meno logicamente, tra me, lei e sua madre, che vede apertamente attaccarsi con forza all’amore che, lei lo sa bene, io so dare anche in una ‘sveltina’.
Trovo il modo per dirle, anche con una certa severità, che la vicenda in fabbrica si presenta favorevole, che forse dovrò decidere di trasferirmi in Germania e che, in quel caso, ho in animo di costruirmi una realtà anche sentimentale; forse temendo che pensi a qualcosa con sua madre, si precipita a parlarle; lei a sua volta ci tiene a fare chiarezza con me ribadendo che la nostra ‘libera uscita’ non deve incidere in alcun modo sulla sua famiglia; la rassicuro spiegandole che se rimarrò ho già un’altra opzione; lealmente e serenamente, si complimenta per il possibile successo e mi augura buona sorte con la eventuale nuova compagna; poi aggiunge, con un fare un po’ più birichino.
“Ma qualche ‘libera uscita’ te la prenderesti anche dopo esserti sistemato con l’altra?”
Sorridendo con la stessa disinvoltura, le replico.
“Intanto, non è successo niente e non si decide niente ancora per qualche tempo. Poi, una cosa voglio dirti e che sia incisa nella roccia. Io sono soprattutto molto leale; per te ci sarò, in qualunque momento e in qualunque condizione; se tu avrai bisogno di ‘libere uscite’ stasera, domani, tra uno dieci venti anni, io ci sarò sempre e sarò con te sempre nella stessa disposizione di amico, anzi in Italia si dice ‘trombamico’, l’amico col quale, se vuoi, puoi anche fare sesso senza che questo offenda nessuno. Ti basta?”
“Certo che mi basta: non potrei volere niente di più. Se decidi di restare, mi fai conoscere questa tua nuova amica, prima di andare via?”
“Posso invitarla a cena qui la sera prima di andarmene, o a casa sua o in Italia?”
“Certamente; solo, mi auguro che ti trasferisca a casa sua e non in Italia: un trombamico meglio averlo vicino.”
Lo stage si sviluppa nei modi più rosei che avevo previsto e mi trovo a superare le prove con esiti quasi tutti ottimali; Andrea, che segue quasi con apprensione l’evolversi della vicenda e che ha modo di curiosare nei documenti ufficiali, continua ad incitarmi a darmi da fare perché sono vicino ad un grosso traguardo; non riesco a dirle quanto le sono grata per il sostegno chiaro, forte, quasi decisivo che mi sta fornendo; coi presupposti che ci siamo dati, non posso neanche sbraciarla qualche volta che, nel parcheggio, ci troviamo da soli alle macchine e la tentazione è forte.
Quando l’ultima prova si conclude e siamo in attesa solo degli esiti, Andrea (che ha già preso visione dei risultati definitivi) mi prende per un braccio e mi trascina letteralmente via fino al parcheggio; mi intima di prendere la macchina e di seguirla; va fino all’agenzia di noleggio e mi dice di riconsegnare l’auto perché ormai non ne ho più bisogno; di fronte alla mia aria interrogativa, mi precisa.
“Sei tra i vincitori; domani mattina decidi se tornare i Italia o fermarti da me, con me; comunque, quest’auto non ti servirà più; quindi, meglio restituirla. Adesso andiamo da me; poi con calma decidi cosa vuoi fare della tua e della nostra vita. Okey?”
“D’accordo; hai vinto tu. Quando mi trasferisco da te?”
“Ci sei già; da questo momento sei il mio compagno e ti amo come non ho mai amato in vita mia. Ti da fastidio?”
“Per la verità, avrei preferito un calcio in faccia. Quello si, che mi avrebbe dato fastidio. Tu mi dai amore: hai mai sentito che amore e fastidio sono la stessa cosa?”
“Stupido tu a dirle, stupida io a sentirti. Mi baci adesso?”
Siamo in mezzo alla strada, davanti ad un’agenzia di noleggio auto, ma ci stiamo baciando come se lo avessimo atteso da tutta una vita (che poi, in fondo, è quasi vero); adesso, però, il fratellino lì sotto si è svegliato e non vuole saperne di acquietarsi.
“Ti rendi conto che adesso ho voglia di te, del tuo corpo, di fare l’amore, di farlo sul serio, fisicamente?”
“Dici che anche a te sta lacrimando la poverina?”
“Sei a questo punto? Sai, l’altra volta non mi hai fatto vedere dove dormi …”
“Rimediamo subito; monta in macchina con me e andiamo a casa mia.”
“Stasera vieni a cena con me all’albergo, dormiamo lì, ritiriamo le mie cose e domani mattina sarò con te, spero per tutta la vita.”
“Dici sul serio?”
“Tu che pensi?”
“Io credo che sia più prudente se progetti di passare qui da me, diciamo, un anno; poi verifichiamo: se c’è sempre chimica e benessere, continuiamo fino alla morte di uno dei due; se qualcosa si inceppa, liberissimo di tornartene in Italia; ma, in quest’anno, mi ami come non ci dovesse essere per te nessun futuro.”
“Va bene: democraticamente, teniamo conto anche dell’opinione della opposizione; poi però si fa a modo mio e ci si ama fino alla fine dei giorni. Ti decidi a farmi fare l’amore con te?”
“Sei tu che parli solo tanto …”
Passiamo il pomeriggio a fare l’amore, in tutti i modi, con una voglia instancabile, con una curiosità sconfinata; e scopro che Andrea è una femmina straordinaria, capace di vivere l’amore e il sesso con entusiasmo, ma anche con intelligenza e prudenza.
Verso le sette, andiamo in centro con la sua auto e la porto con me all’albergo dove Ada l’accoglie con un’affettuosità da vera amica: Andrea ne è quasi emozionata; Bruna invece finge quasi di ignorarmi, ma si vede che è rosa da una strana forma di gelosia che la spinge ad essere particolarmente affettuosa ed espansiva con Hilde, quasi a ribadire che lei la sua scelta l’aveva fatta da tempo.
La cena si svolge con eleganza e buonsenso; alla fine, avviso Ada che Andrea dormirà con me, questa notte: non ci sono problemi, naturalmente, ma in un momento in cui Andrea è al bagno, non mi risparmia un rimprovero.
“Almeno quest’ultima notte, però, potevi lasciarla per me.”
“Ada, guarda che vado a stare a un paio di chilometri:sarò qui, anche per tutta la vita.”
Mi sfiora la mano in una carezza tenera, mentre Andrea torna al suo posto.
Al momento di ritirarci in camera, intercetto Bruna.
“Fatti salutare. Io non sono uno che scappa di notte. Domani mattina vado via con Andrea e tu probabilmente non sarai qui. Meglio salutarci ora.”
“Posso dirti solo due cose? … Primo: io non sono scappata da te; non potevo restare oltre, dovevo decidere e l’ho fatto, senza polemiche e senza cattiverie, solo per l’amore che ho da anni per Hilde. Secondo: mi dispiace che non sia stato possibile fare una scelta diversa; io non sono Andrea e con me non saresti stato felice. Con lei ce la puoi fare e te lo auguro con tutto il cuore.”
“Anche a te auguro di trovare la tua strada e di percorrerla serenamente, qualunque essa sia. Ciao.”
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