... L’ora tarda e la lentezza carezzevole delle sue attenzioni ebbeno l’effetto di rilassarmi. Dovetti pensare che, dopotutto, si trattava solo di carezze, ma molto intime e segretissime; carezze, magari accettabili a causa del nostro legame, del nostro affetto reciproco. Solo che era meglio restassero nascoste, per non dimostrare che anche a noi, veri maschi, piacevano le coccole. Dopotutto, quante volte persino mia mamma, profittando del dormiveglia, mi carezzava il sedere godendone come una Pasqua, oppure mi sbaciucchiava prendendomi in giro? Così lo lasciai fare, mi abbandonai a una specie di sonnolenza dolce, mentre il piacere diventava di miele e mi godevo tutti quei toccamenti e la fantastica pressione del suo cazzo. Passarono molti minuti, forse anche mezz’ora. Finchè, all’improvviso, scattò l’allarme... ma ormai era troppo tardi. Purtroppo (o per fortuna) non ero più padrone della mia volontà! Ora Gennaro si bagnava le dita, certo con la saliva, e me le ficcava nello sfintere. Non mi faceva male, ma era una sensazione quasi fastidiosa, mi ricordava l’orrore di quando la mamma mi metteva la supposta, da piccolo. Le dita che si muovevano in me non erano più gradevoli come le carezze, ma ancora subii l’intromissione perché non capivo più niente, e dopo... arrivò il glande, a completare l’opera. Non me lo aspettavo, non ci avevo mai voluto credere veramente, ma adesso era chiaro che Genny me lo voleva introdurre nel culo! Proprio quella cosa orrenda,quel diffusissimo modo di dire, volgare e infamante, che tanto si usava, specialmente tra i ragazzi. “Te lo metterei in culo!”, oppure, “Vai a fare in culo!” eccetera... tutte espressioni che non raccontavano niente di buono e che significavano sempre “fregatura”. Adesso, non accettavo più timidamente ma al tempo stesso avevo paura e... E venni pervaso da una sensazione di impotenza, quasi sognante; era come se ormai quella cosa dovesse immancabilmente succedere. Come se il fato avesse scelto proprio me, al mondo, per condannarmi e farmi penetrare da mio cugino. Un destino cui non riuscivo ad oppormi... - Buono, stai buono. Ti metto solo la testa... resisti, che non è niente... Parlava piano ma con voce vibrante, era eccitato. E mentre parlava premeva, e premeva... la sua capocchia verso il buco del mio culo. Armeggiava, tenendosi il cazzo e dirigendolo, lo sentivo. A volte premeva vicino al buco, mi spingeva solo ma sentivo che non era la giusta via. E allora mi sentii dire anche io, anche se non lo volevo veramente: - No, che fai? Un po’ più in basso... li no. E Gennaro spostava il pene e riprendeva a spingere. - Ma dai, - dicevo – lo vedi che non entra? Che vuoi fare! Mettici le dita, dai. Fai come prima, non ti dico niente. Il pisello non entra. Ma lui, sempre più deciso e aggressivo: - Stai buono, stai buono. Piegati in avanti. Mi sentivo stupido e vittima, ma obbedii. Eravamo entrambi sul fianco. - Alza la gamba! - Cosa? - Alza sta’ gamba che così entra! Obiettai qualcosa, ma lui sembrava arrabbiato e sgarbato, con la mano mi fece alzare la gamba destra verso l’alto, in modo che le due chiappe si spalancassero. - Ecco, ecco, tienila così – aggiunse, - tienimi aperte le pacche! E adesso spingeva, spingeva forte, ma non succedeva praticamente niente: realizzai, finalmente, che era impossibile che quell’oggetto fuori misura potesse entrare in quel mio buco, così piccolo. Come avevo sempre pensato: “Te lo metto in culo” era solo un’offesa, una parolaccia, iniziai a cercare di convincerlo a smettere. Forse era solo più stupido di quando credessi, e aveva pensato veramente di sfogare il suo desiderio di una femmina, rompendo le scatole a me. A quel punto anche l’eccitazione mi era passata. - Smettila, basta. Che vuoi fare! Non lo vedi che non entra e... "
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Mi svegliai un po’ tardi. Mio cugino non c’era e sentivo il tintinnio tipico delle tazze e dei piattini; era ora di colazione. Provai a girarmi, per alzarmi come al solito, ma una sensazione di rilassamento mai provata mi assalì al basso ventre. Ricordai tutto ciò che mi era successo e immediatamente fui lucido. Per prima cosa, non avevo le mutandine, già questo mi fece arrossire come una collegiale; era evidente che Gennarino, dopo fatto il suo comodo, se ne strafotteva di me e della vergogna di cui mi aveva macchiato. Gli slip, infatti, erano caduti per terra, forse a causa dei “movimenti” della notte. Sperando di non incontrare problemi, raccolsi le mutande e, tenendomi una mano a coppa sotto il culo, saltellai rapido verso il gabinetto. Solo quando chiusi la porta a chiave, ripresi a sentirmi più a mio agio. Sedetti sul cesso a meditare; lì non avevo più preoccupazioni di essere scoperto, analizzato... Completamente sveglio, identificai finalmente la problematica per cui mi sentivo ancora così strano: mi resi conto che non ero più del tutto padrone del mio basso ventre, soprattutto del culetto. Era come se avessi perso controllo e sensibilità sul mio buchetto. Non sapevo più se era tornato integro, se era chiuso come prima... e se non lo era (come mi pareva) sarei mai tornato normale? A quel punto emisi involontariamente, una scarica liquida che si riversò rumorosamente nel water. Mi feci coraggio e guardai: non era cacca, era della roba liquida, trasparente con delle piccole venature rosse. Era il mio sangue, ne ero sicuro. Sedetti di nuovo, mi toccai il buco con le dita e poi ci guardai, erano bianche. Le odorai e mi sentii deflorato fino nell’ ...
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Aggiunto: 1 anno fa
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