‘La banda’ è in genere il giro di adolescenti che si costituisce quasi per naturale necessità in ogni località metropolitana, ma che si registra puntualmente anche nelle periferie o comunque dovunque ci siano centri abitati o di qualsiasi aggregazione umana; il suo habitat preferito è quello del soggiorno estivo, ma specialmente quello della villeggiatura balneare.
E’ quasi inevitabile che, tra luglio e agosto, certe località diventino territorio ‘privato’ di alcuni gruppi, che in qualche caso sono gli stessi per un certo numero di anni, in relazione alla crescita dei protagonisti e all’emergenza di ‘fratelli e sorelle’ minori che, a prescindere dalle possibili parentele, occupano le posizioni con prospettive aggiornate.
La ‘banda’ che io conobbi da vicino era di quelle che ancora si ponevano certi problemi, prima di trovarsi obsoleta e surclassata dai ‘ragazzini’ immediatamente successivi, con altre soluzioni e con altri problemi.
Le ragazze di cui parlo avevano come tema centrale di dibattito l’idea di ‘DARLA’: a chi? Quando? Perché? Il tema era difficile ed assai dibattuto, ma le soluzioni furono altrettanto particolari ed adeguate a ciascuna delle protagoniste.
L’idea di fare un gesto che nell’immaginario collettivo era classificato come ‘decisivo’, da ultima spiaggia, dominava il pensiero di tutte e frenava qualunque ipotesi di scelta alternativa; ma il friccichio delle vulve in crescita (e in ebollizione) non consentiva di parlare troppo senza arrivare a scelte in qualche modo significative.
Il suggerimento di ovviare offrendo l’ano, in alternativa, incontrò molte obiezioni, specialmente tra le ragazze che quella scelta l’avevano già fatta e la praticavano in un certo senso ogni sera, ma si erano rese conto che a ‘piangere’ erano il clitoride, che poteva essere anche tacitato temporaneamente e provvisoriamente con una sapiente masturbazione, e, soprattutto, l’utero che reclamava un’esplosione degna di questo nome.
Meno ancora potevano valere le masturbazioni (roba per bimbe, ormai) e le fellazioni che avevano esaurito tutte le possibili forme di realizzazione.
Insomma, ‘farsela rompere’ era diventato quasi un imperativo categorico
Le due ‘diverse’, quelle che cioè legavano poco con le altre ed erano strette tra loro da un sottile invisibile legame, pur non disdegnando di scambiare opinioni con le altre; pur intervenendo anche con intelligenza nei dialoghi che si accendevano puntualmente, al pub, in discoteca, al bar, sotto l’ombrellone, dovunque si creasse un capannello di ragazze; pur essendo insomma organiche alla ‘banda’, sembravano avere fatto già una scelta autonoma e connaturata alla loro ‘diversità.
Era chiaro che Annamaria aveva per Elisabetta una particolare premura, un’attenzione quasi materna e protettiva; e risultava anche evidente che quello di Elisabetta per lei era un amore non solo da amica, ma forse addirittura filiale: nessuno si azzardava a pensare di più o di peggio (secondo la morale corrente) perché l’ipotesi di una Saffo tra le ragazze faceva aggricciare la pelle delle signore della spiaggia; eppure, Elisabetta confidava spesso ad Annamaria il suo disagio quando, sulla pista da ballo, sentiva sulla pelle il sudore dei ragazzi che ad ogni costo cercavano di strusciarsi.
Annamaria era stata assunta da una Agenzia di Vigilanza per la sua prestanza fisica ed una determinazione chiara, oltre alla disponibilità alla frequentazione delle armi; Elisabetta aveva frequentato dei corsi di autodifesa; si erano ormai abituate e tenere lontano i ragazzi, quando accettavano di ballare specialmente i lenti; e soprattutto erano pronte a ricorrere a maniere forti quando a ‘provarci’ erano quelli un po’ più maturi, con il sesso ben pronunciato che ti piantavano fra le cosce, stretto alla vulva, cercando di arrivare all’orgasmo mimando un amplesso nonostante i pantaloncini e gli slip delle ragazze: in quei casi, molte volte Elisabetta era stata costretta ad usare le maniere forti per insegnare ai presuntuosi ‘maschietti’ la maniera corretta di rapportarsi con le ragazze; più volte si erano decise a ballare tra di loro i lenti, sollevando l’ironia imbecille di quasi tutti ma anche l’invidia per la evidente passione con cui limonavano in pista, incuranti di tutto.
Ma la vera scintilla, tra Annamaria ed Elisabetta, scattò una volta che, per andare in bagno, Elisabetta chiese all’amica di farle, come sempre, compagnia, per tenere chiusa la porta senza serratura ed esposta a stupidate infantili di ragazzi e ragazzi, sempre pronti a creare occasioni si giocosa imbecillità a spese di chiunque.
Stavolta, Annamaria non si fermò a fare la sentinella davanti alla porta chiusa, ma entrò con Elisabetta nel piccolo ambiente del bagno, la guardò mentre si sfilava lo slip per accovacciarsi sulla turca e, intanto, si sfilò anche lei lo slip e si piantò a gambe larghe davanti all’amica che orinava; per un brusco movimento, Elisabetta perse per un attimo l’equilibrio e, istintivamente, si aggrappò alle cosce di Annamaria, ma non ritirò la presa quando si fu assestata; anzi, attirò a sé Annamaria e le stampò un bacio sulla minigonna, all’altezza del sesso, soffermandosi per qualche secondo a sentire il calore che emanava dal corpo; l’amica prese una salviettina, la sollevò per le spalle e le asciugò la vulva prendendola a piena mano; Elisabetta non resse oltre e la sua bocca si stampò su quella di Annamaria: di lì partì il loro amore senza freni e senza limiti, fatto solo di ansie e di desiderio, di amore e di libidine.
Per qualche minuto se ne stettero ferme, strette fino alla sofferenza fisica, in piedi in un bagno al limite della decenza, lasciando che il loro bisogno di amore illuminasse una serata qualsiasi; poi decisero di spostarsi ‘nel mondo reale’ ed affrontarono la sala della discoteca che appariva adesso sfocata, banale; ala loro amica Laura bastò guardarle, per capire.
“Vi siete decise, alla fine?”
Annamaria ha già preso il ruolo dell’individuo alfa.
“Si; stiamo pensando di andare a casa mia; Elisabetta telefona per dire che dorme da me.”
“Beata te che lavori e sei completamente autonoma.”
Elisabetta si era già lanciata in un fitto cicaleccio con un’altra amica fidata, Rosetta, alla quale stava raccontando tutta la lunga vicenda del suo innamoramento fino alla scelta finale, di poco prima, nel bagno, dove la passione era esplosa; ed ora non riusciva a contenere la sua gioia per il tanto amore che sentiva scoppiarle dentro.
Mentre stavano brigando per organizzare la ‘fuga’ a casa di Annamaria, furono avvicinate da Barbara, un’altra delle ragazze della ‘banda’ che a bruciapelo chiese.
“Voi cosa ne pensate della conservazione della verginità?”
Elisabetta fu pronta e decisa.
“Io il mio sederino l’ho mantenuto vergine; altrettanto la vagina; darò l’ano e l’imene, forse, ad un uomo che riterrò degno di prendermi completamente, purché sappia farmi veramente felice. Per ora, mi basta sapere che il mio amore esplode naturalmente anche se mi stringo solo contro il pube di Annamaria e se lei mi dà quelle carezze, quell’amore, quella gioia che le chiedo; io farò altrettanto con lei; fino a quando questa situazione ci darà felicità, non concederò a nessuno il diritto di entrare nel mio corpo e di violarlo con la sua mascolinità presuntuosa. Se e quando questa condizione di felicità e di piacere dovesse rallentare o cedere del tutto, allora prenderò anche in considerazione l’ipotesi di un maschio che mi riempia e, secondo quello che voi ritenete, mi completi. Per ora mi sento completa con me stessa e col mio amore.”
Non fu solo la ragazza a rimanere basita dalla risposta, anche Annamaria, per la prima volta, la baciò sulla bocca davanti a tutti e le fece ruotare in bocca la lingua eccitandola al di là di ogni limite; Elisabetta gemette e si aggrappò a lei, forse per non piegare le ginocchia dal languore; la faccia di Barbara si fece di tutti i colori, nonostante il trucco pesante che la copriva.
“Ma … allora … siete davvero lesbiche?”
Annamaria è categorica.
“Ti cambia in qualcosa la vita, se ci amiamo fino in fondo, da amiche, da sorelle, da amanti, da lesbiche?”
“No, no … scusami … non volevo offendere. Ma … ammetterai che in questo ambiente, tra queste persone è decisamente forte, come scelta …”
“Per questo, a farla sono persone forti: finché non disturbiamo nessuno, lasciateci in pace; le nostre effusioni non sono più scandalose di quello che tutti combinano qui.”
Subito dopo, si allontanarono; fuori dal locale, mentre percorrevano un viuzza verso il parcheggio, un nugolo di ragazzi sbucò dall’ombra gridando improperi ed oltraggi alle ‘lesbiche’; le ragazze, forti delle lezioni di autodifesa, si sistemarono spalla a spalla e li aspettarono decise: dopo un paio di pugni, che a due di loro ruppero il setto nasale, Annamaria estrasse dalla borsetta la pistola e sparò in aria: immediatamente, batterono in ritirata uggiolando come cani bagnati; ma alle ragazze rimase l’amaro in bocca di aver visto in anticipo quella che sarebbe stata ora la loro vita con gli altri; andarono a casa di Annamaria e, fortunatamente, riuscirono a soffocare tra le braccia dell’amica del cuore il timore che le aveva assalite.
Barbara, però, non era uscita indifferente dallo ‘scontro’ con le meravigliose due: se, da un alto, ancora persisteva, nel fondo della sua mente, il dubbio di avere toccato con mano qualcosa di illegale, di proibito dalle leggi di dio, anche se assai meno che da quelle dell’uomo (in fondo, la sessualità era solo un problema di morale, non di legge), dall’altro lato, però, non poteva fare a meno di restare profondamente ammirata dal coraggio dimostrato da quelle ragazze che si opponevano a luoghi comuni proprio perché, come molti luoghi comuni, esprimevano il pensiero più retrogrado e bigotto della società.
In particolare quell’Elisabetta, che lei aveva sempre giudicato poco più che niente, succuba del gruppo e, in particolare, di quella Annamaria autentica tiranna, aveva dimostrato una forza ed una determinazione che ben poche persone erano in grado di affermare con coscienza: dire con chiarezza che lei andava dietro solo al suo amore ed alla sua voglia di felicità indicava un senso della libertà che poteva forse procurarle qualche rogna ma che sosteneva una personalità ricca ed intensa: in qualche modo, invidiava Annamaria che aveva il suo amore.
Per quel che la riguardava, era già da un bel po’ che riteneva assurdo anche quello che Elisabetta aveva dichiarato per se, vale a dire di destinare le sue verginità all’uomo dei sogni: personalmente, aveva già abbastanza motivi (nonostante l’ancor giovane età) per ritenere che era ancora più becera e risibile l’ansia di conservare la verginità per poi offrirla ad un presunto ‘principe azzurro’, visto che a mettersi quell’abito erano buoni tutti, quando se ne presentasse l’occasione.
Aveva già qualche esperienza di ragazzi che si presentavano con l’aureola di santità del ‘cavaliere immacolato’ arrivato a cavallo a liberare la ‘principessa’ dalle grinfie del drago e che, finita l’estate, scomparivano nel grigiore dello smog e si dimenticavano anche il nome della ragazza con la quale avevano trascorso un’estate di sogni e di meravigliose utopie: non a caso, il tormentone musicale di quell’estate era stato ‘Un’estate fa’ di Michel Fugain, tradotta da Franco Califano ed interpretata splendidamente da Mina.
“Ma l’estate va e porta via con sé anche il meglio delle favole.”
In quello stesso momento decise che avrebbe concesso il suo imene all’uomo che le avesse fatto smuovere il cuore per primo, a quell’amore intravisto (senza preoccuparsi di scavare per approfondire) e che per un attimo le avesse fatto, se non toccare, almeno intravedere le dolcezze del paradiso terrestre; poi le cose sarebbero andate come volevano: un vecchio adagio del suo paese suggeriva che, dopo, basta una lavata e un’asciugata per far sembrare che non sia stata mai usata.
Finché ne aveva voglia e possibilità, voleva godersi un attimo di piacere infinito senza legami; poi, avrebbe cominciato a pensare seriamente alla famiglia, alla vita borghese, reale, fatta di rinunce e di sacrifici; ma, almeno una volta, voleva sentirsi arbitra del suo pensiero e del suo corpo.
Ma non fu facile, trovare quello giusto; anzi, proprio da quando, in cuor suo, aveva deciso che avrebbe fatto, alla prima occasione, il ‘grande passo’, proprio allora cominciarono ad apparirle in tutta la loro pochezza i ragazzi con cui aveva a che fare: adolescenti appena affacciati alla vita, con una tempesta di ormoni che sconvolgeva la loro vita e il loro corpo, ma incapaci totalmente di prendere coscienza di quel che facevano e di quel che dicevano: quello di cui aveva bisogno, era un individuo adulto, capace di presentarle problemi e soluzioni, impegni e prospettive, sogni e possibilità, insomma un compagno a cui affidarsi per fare insieme un percorso, possibilmente per tutta la vita, come recitavano le formule matrimoniali, ma, per lo meno, con i piedi bene a terra, almeno per un tratto possibilmente lungo nel quale crescere e formarsi insieme; sperava che ci fosse un uomo così, anzi era certa che c’era da qualche parte; e sapeva anche, istintivamente, che l’avrebbe incontrato, prima o poi, e che allora sarebbe apparso giusto e utile aspettare, prima di decidere, ma non di chiudersi nel ‘sacrificio’ di aspettare il ‘principe azzurro’ o anche viola o del colore che si volesse.
Risultò inutile parlarne con altre ragazze, sicuramente non con Nicla, la cui mamma stava amorosamente ricamando la coperta per il letto della luna di miele, da esibire al parentado, il giorno seguente, con i segni evidenti della verginità violata, nel rispetto della secolare tradizione contadina che imponeva quel rituale per la celebrazione di matrimoni: Barbara si sentiva inorridire all’idea che persistessero ancora, nella società contemporanea, retaggi pagani di quella portata; ma i discorsi delle signore anziane, anche sotto gli ombrelloni e tra i bikini che ora imperversavano in spiaggia, non si discostavano dalla condanna della modernità e dalla difesa dei ‘sacri valori’ della famiglia tradizionale e delle sue tradizioni.
Barbara sapeva perfettamente quanto avessero fatto ‘lavorare’ l’ano Nicla e le ragazze come lei, nella difesa ad oltranza dell’imene; era stata con lei in alcune occasioni in cui avevano ‘disseccato’ giovani entusiasti e pieni di ardore giovanile, masturbandoli, succhiandoli e facendosi penetrare analmente fino a che reggevano, quasi fino alla consunzione; e si accorgeva chiaramente che le ragazze di paese, più erano oppresse dal clima di integralismo cattolico, da santa Inquisizione, più si scatenavano appena avevano a tiro una verga da manipolare, da godersi, da sollazzarcisi: ma quelle stesse, subito dopo, erano pronte a sacrificarsi e farsi martirizzare per difendere la ‘sacra’ verginità ed impedire che un membro penetrasse la loro vagina.
Dovette aspettare di rientrare in città e cominciare a frequentare l’Università, prima di trovare quello che a lei sembrava l’uomo giusto: fu un giovane assistente, con una bella prospettiva di carriera, che la folgorò e la convinse a darsi tutta, senza remore; Barbara ci stette, ben cosciente che la storia non sarebbe durata molto, per le enormi differenze di ceto, di ambienti, di pensiero, di vita; ma si godette con entusiasmo alcuni mesi di amore vero, senza patemi e senza utopie; quando lui le comunicò che si sarebbe sposato da lì a qualche mese, con la figlia di un barone dell’Università, gli sorrise con commiserazione, lo baciò su un guancia e se ne andò a stare da sola; dopo qualche mese, si fece convincere ad andare a convivere con un collega dal quale avrebbe avuto anche un figlio; difficile dire se furono felici, ma stettero bene e furono soddisfatti della loro vita.
Barbara incontrò per caso Elisabetta in un supermercato; seppe che viveva ancora con Annamaria, innamorata più che mai: le augurò sinceramente e convintamente una lunga felicità; da Nicla ricevette, non sapeva neppure per quali vie, una partecipazione di nozze: si prese il gusto di spedirle, per posta, un pacchetto di preservativi come regalo di nozze.
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