Francesco, oggi sessant’anni ben portati, era stato il più grande amico di mio padre, col quale aveva condiviso il percorso che li aveva condotti, da semplici artigiani, a realizzare un’azienda di grande spessore, qualitativo e quantitativo, in una zona industriale particolarmente importante per i mercati, sia nazionali che esteri.
Dopo la morte di mio padre, aveva preso sotto la sua ‘protezione’ me e mia madre, finché lei fu viva; poi mi accompagnò lungo il percorso universitario fino alla laurea ed all’esordio nel mondo del lavoro, erede del ruolo di mio padre e della sua attività.
Questa condizione di ‘familiarità’ maturata negli anni faceva sì che fossi, in qualche modo, organico alla sua vita, anche quando si sposò con Valentina, di venti anni più giovane; quando dalla loro unione nacque Donatella, che completò la famiglia, per tutti e tre mi trovai ad essere il ‘figlio separato’, trascorrevo gran parte della giornata a casa loro ed ero a parte di quasi tutte le loro vicende, perfino quelle più intime e segrete.
Anche per questo, non era raro che Francesco mi incaricasse di accompagnare sua moglie nelle incombenze più disparate; ed io accettavo ben volentieri qualunque incarico, vista anche la segreta passione che Valentina mi suscitava, ora che avevo venticinque anni e i problemi dei rapporti con l’altro sesso si facevano urgenti e difficili da gestire.
La differenza di età fra i due cominciava a farsi sentire, anche per una spiccata tendenza di Francesco a dedicare al lavoro molte più energie di quanto fosse lecito aspettarsi da un marito e decisamente troppe per una moglie calda, appassionata e più giovane di venti anni; niente di strano, quindi, che una certa sottile intesa si generasse tra me e Valentina, specialmente quando mi trascinava a scegliere l’intimo da acquistare nei negozi più alla moda della città.
L’empito di una travolgente passione momentanea ci stava tutto; e scattò all’improvviso, senza che nessuno dei due facesse niente per forzare la mano; capitò a casa di amici, durante una cena con molti invitati in cui si parlava molto, di tutto e del contrario di tutto, a ruota libera e senza preclusioni; una risposta brusca e cattiva di Francesco ad una osservazione ingenua e semplice di Valentina mise la donna in una condizione di difficoltà tale che scappò via e si rifugiò in una camera della enorme villa dei padroni di casa; fu lo stesso Francesco a sollecitarmi a consolarla e farle passare il momento di crisi; andai nella camera e la trovai seduta sul letto che si asciugava lacrime, di rabbia e di umiliazione più che di dolore.
Quando mi vide entrare, mi balzò incontro, mi abbracciò e mi chiese di tenerla stretta: lo feci, ma dovetti cercare di allontanarla perché il sesso, scostumato, levò subito la testa e le si piantò fra le cosce, all’altezza della vulva; feci osservare a Valentina che la situazione degenerava, ma mi obiettò che aveva bisogno di essere amata e che non gliene fregava niente dei bei modi e della morale; concluse chiudendomi la bocca con un bacio che avevo sognato per mesi, masturbandomi di conseguenza come un dannato; ricambiai la passione e cominciai a percorrere con le mani il suo corpo desiderato; infine la rovesciai sul letto e mi sdraiai sopra di lei, in una fusione quasi totale.
Continuò a baciarmi come se non ci fosse un domani ed intanto una sua mano correva al mio inguine e si impossessava del mio sesso, da sopra gli abiti, quasi per valutarne dimensioni e possibilità di goduria; risposi agguantandole il seno, prima, e l’inguine, poi, per artigliare la sua vulva da sopra l’abito; mi rovesciò sulla schiena al suo fianco e si tirò su, con mille acrobazie, la gonna fino alla vita esponendo le autoreggenti ed un perizoma che non copriva ma sottolineava le grandi labbra carnose della vulva depilata; contemporaneamente, aprì la zip dei pantaloni e tirò fuori la mia verga che si era inalberata nei suoi venti centimetri come un pilone di cemento.
Mi riportò sopra di se, guidò il membro fra le cosce, accostò la cappella alla vagina, semplicemente spostando il filo del perizoma, e in un attimo fui dentro di lei; gemette a lungo mentre la mazza percorreva il canale e raggiungeva la cervice; poche mosse a possederla e sentii che l’orgasmo montava; glielo dissi, mi impose di frenare, infilò una mano fra noi e si artigliò il clitoride che prese a titillare: in pochi movimenti sentii anch’io, dalle vibrazioni e dai sospiri, che il piacere montava anche per lei: pochi momenti dopo, esplodevamo in un orgasmo violento, mai provato prima; le tappai la bocca con un bacio intensissimo, pieno d’amore, per evitare che urlasse, ma anche per scaricare diversamente l’urlo che mi era nato dal ventre e che stava per esplodere dalla gola; mi ripresi immediatamente.
“Siamo due pazzi, chiunque potrebbe entrare e sarebbe la fine del mondo; dobbiamo tornare di là e trovare una scusa!”
“Tu riassettati e vai; io ho bisogno di coccolarmi questo momento, devo rimettermi in ordine; poi verrò giù.”
Tornai nella sala con gli altri, assicurando che tutto era passato e, di fronte a Francesco, il senso di colpa mi aggredì e mi buttò giù; diedi la colpa alla particolarità del momento, di cui la causa scatenante, in fondo, era stato proprio lui; mi ripromisi di chiudere lì quella parentesi, senza crederci anche mentre me lo dicevo, e mi versai da bere.
Onestamente e lealmente, credevo davvero di poter chiudere l’episodio classificandolo come una ‘innocente evasione’ per eccesso di passione, che passasse senza lasciare traccia; parlandone poi con Valentina, più volte accennai all’ipotesi di parlare apertamente e lealmente con suo marito; ma mi trovai di fronte ad un autentico muro: lei da tempo si era resa conto della difficoltà di reggere ancora una situazione di totale ignoranza, da parte del marito, dei suoi entusiasmi sessuali; di essersi da mesi convinta che il desiderio si rivolgeva particolarmente a me e che lei lo frenava solo per la differenza di età (lei era maggiore di me di dieci anni); ma, dopo che aveva assaggiato quel momento di passione e, perché no, di amore, non era disposta a tornare indietro; se non me la sentivo, avrebbe cercato qualcuno per sostituirmi; ma ormai sapeva di avere bisogno di un maschio giovane per se e per la sua natura passionale.
Nacque una storia al limite del surreale, in cui io continuavo ad essere per Francesco il ‘figlioccio’ affettuoso che aveva allevato, praticamente, per venticinque anni come un figlio; mentre, intanto, molti pomeriggi e molte sere, fino a tardi, Valentina veniva a casa mia e si trasformava in un’amante vigorosa e quasi insaziabile, percorrendo insieme a me tutte le strade della passione e del sesso senza limiti e senza preclusioni di nessun genere.
Dire che Valentina fu per me una nave-scuola è esagerato, visto che alla fine non era poi tanto più vecchia di me; ma di fatto, avendo una qualche esperienza in più e soprattutto essendo fermamente determinata a prendersi dalla vita tutto quello che desiderava, senza rinunciare a niente, fece in modo da concedermi tutto quello che aveva ‘sepolto sotto il tappeto’ dei desideri irrealizzati, dalle fellazioni più articolate ed ardite, alle verginità più intime, compresa quella dell’ano che violai con grande gioia ed un piacere infinito: facemmo l’amore in tutti i momenti del giorno e della notte, in tutti i posti possibili e immaginabili, in tutti i modi leciti e illeciti, insomma passammo cinque anni di entusiastico ‘paradiso del sesso’ in cui ci perdemmo con la felice coscienza di lasciare il mondo fuori dalla nostra nuvola; non sentivo più neppure vagamente il senso di colpa che mi aveva preso la prima volta, anche perché Francesco, candidamente ignaro, era il primo a lamentarsi che la sua giovane moglie non potesse vivere intensamente la sua vita accanto ad un ‘vecchio’ acciaccato e legato al lavoro; in qualche modo, mi sentivo quasi una sorta di ‘benefattore del sesso’.
Quando le storie intrecciate (di Francesco, di Valentina, mia e di Donatella) sembravano ormai assestate su un sentiero quasi immutabile, un disagio generale cominciò ad agitare la calma della famiglia e riguardava certamente la ventenne Donatella che non trovava sbocchi alla sua frenesia giovanile spesso incontrollata; più volte suggerii a Valentina di controllare meglio quella sua figlia troppo vivace, ma ogni volta mi rintuzzò, invitandomi ad occuparmi di tutti gli altri fatti che non fossero gli affari di sua figlia, liberissima di scegliersi la vita.
Me ne stetti zitto e glissai sulla faccenda; ci tornò lei, un pomeriggio, quando mi chiese se fossi disposto a sposare Donatella; la guardai come avrei potuto guardare un marziano; cercò di spiegarmi che sua figlia aveva bisogno di un uomo che la sposasse e, se fossi stato io, avrei potuto vivere nello stesso loro appartamento e mantenere con lei, migliorandolo, il rapporto amoroso che avevamo; cercai di obiettare che essere marito mi avrebbe impedito di mantenere i rapporti con lei e che, d’altro canto, non provavo niente per Donatella, figurarsi se volevo farci l’amore.
“Infatti, non dovresti fare assolutamente niente; dovresti solo sposarla sulla carta ed essere mio nei fatti; in cambio avresti la proprietà totale dell’azienda.”
Le risposi che la cosa intanto mi puzzava di maneggio e di truffa, che non ero in vendita e che la proposta non aveva nessun fondamento.
“Hai ragione; scusami; ho sbagliato anche a parlartene. Dimentica.”
Qualche settimana dopo, senza nessun preavviso, si organizzarono per trasferirsi per qualche mese in un villaggio turistico in un’isola dei Caraibi: la cosa mi suonava altamente sospetta, perché non era stato fatto nessun accenno, in precedenza, ad una decisione così radicale; comunque, Francesco mi passò tutte le deleghe per gestire, in sua assenza, l’azienda e partirono quasi alla chetichella.
Mi Insospettì molto la scelta assai strana, aggravata dalla rottura di qualunque contatto; sentivo per telefono una volta ogni due settimane Francesco, solo per rendergli conto dell’attività lavorativa: da Valentina, nemmeno un ‘ciao’ biascicato; me ne feci una ragione e cominciai a separare la mia vita dalla loro: le aziende diventarono due, una mia ed una di Francesco; naturalmente, la mia procedeva a gonfie vele e si ingrandiva a vista d’occhio, la sua invece languiva per mancanza di iniziativa e per lentezza di decisioni.
Sul piano personale, ebbi modo di incontrare - ad una delle tante feste a cui non mancavo mai, anche per riempire il mio tempo - una bellissima giovane donna, Lucrezia, moglie di uno dei più agguerriti miei competitori: parlando in amicizia, ebbe a lamentarsi larvatamente della scarsa attenzione che le riservava il suo giovane marito; spettegolando con più intensità nel ‘giro’, scoprii che Nicola era considerato un ‘tombeur de femmes’ e pareva che da qualche mese avesse una storia importante con una ragazza giovane e bella, per la quale avrebbe fatto qualunque cosa, tranne lasciare la moglie, dal momento che era lei, in solido, la proprietaria dell’azienda e di tutti i beni di famiglia che aveva ereditato dal lavoro dei suoi: il desiderio ‘qualificare’ in qualche modo il casato l’aveva spinta ad accasarsi con un nobilotto del contado, del tutto squattrinato, ma l’accordo era stato realizzato con la cautela di un contratto prematrimoniale di ferro per cui, in caso di rottura, lui restava in stracci e lei prendeva tutto.
Non mi fu difficile, su questi presupposti, trascinare Lucrezia sul terreno da me preferito, quello dei grandi amori impossibili (mi ero formato con quello per Valentina!), e da lì scivolare sempre più decisamente verso un’intimità che lei cercava di respingere ma che chiaramente la intrigava ogni momento di più; la invitai a cena un paio di volte che suo marito era ‘occupato col lavoro’ mentre sia io che lei sapevamo benissimo che non era vero: mi comportai da perfetto cavaliere e non le sfiorai neppure la mano; in compenso, la feci perdere nelle spire della poesia romantica e dei grandi sentimenti: salutarmi, a fine serata, e non invitarmi a salire da lei per il ‘bicchiere della staffa’ le costava molto, come ebbe successivamente a confidarmi.
Ci incontrammo molte volte nei salotti della città ed ormai appariva a tutti chiaro che fossi perdutamente innamorato e che lei mi resisteva con garbo ma con assoluta tenacia; qualche volta azzardai anche ad andare a trovarla in casa, in assenza del marito; ma mai spinsi le cose al di là della cortesia e dell’amicizia; Lucrezia mi confidò anche che non se la sentiva di tradire il marito, perché addirittura era cessato da qualche settimana il ‘rito’ di lui che il giovedì pomeriggio spariva e riappariva solo la mattina del venerdì, segno che davvero aveva avuto un’amante particolare; ma il fatto che l’abitudine si fosse interrotta faceva sperare che quella passione fosse tramontata.
La conoscenza personale col titolare di un’agenzia di investigazioni mi consentì di parlargli amichevolmente e di chiedergli se poteva indagare sul marito di Lucrezia e in particolare su quella vicenda del giovedì; Alvaro, come tutti quello del ‘giro’ degli amici, sapeva perfettamente della mia passione per Lucrezia: un poco mi prese in giro (perché non punti su una libera? Proprio con una sposata ti vuoi impelagare?) ma poi mi promise che avrebbe fatto delle ricerche; dopo meno di un mese, mi portò una documentazione ampia da cui risultavano tutte le malefatte di Nicola e, per quel che riguardava il giovedì pomeriggio, l’unica cosa che poteva fornire era la foto di un hotel dove si andava ad ‘imboscare’ con la sua dama.
A lui non poteva risultare; a me la targa dell’auto ferma nel parcheggio saltò agli occhi chiaramente quella dell’auto di Donatella: feci la somma e due più due mi dava quattro; Nicola era la grande passione impossibile di Donatella e qualcosa che era successo con lui aveva scatenato la ‘fuga’ della famiglia ai Caraibi; con una scusa banale, mi feci dare da Lucrezia il numero del cellulare di suo marito; Alvaro riuscì, non so come, ad avere i tabulati di quel telefono e risultò evidente che lui e Donatella erano in contatto quotidiano anche dai Caraibi.
I mesi passarono pigri e lenti; io continuavo a lavorare come un matto e ad accumulare successi: quelli che più davano soddisfazione erano, naturalmente, quelli che mi consentivano di strappare commesse, incarichi e novità a Nicola; in breve, mi feci una posizione di grande rilievo e cominciai ad imporre il mio marchio nelle maggiori transazioni; passati circa sette mesi, di colpo ricomparvero sulla scena Valentina e Francesco, col loro ultimo nato, un bambino di poche settimane che lui avrebbe voluto chiamare Vittorio, in onore di mio padre: lo pregai di non coinvolgerlo nelle loro cose; mi guardarono strani; mi limitai a congratularmi con Valentina per l’inattesa maternità e per la giusta preferenza della madre alla donna: intendevo dire che tra la tutela dell’errore di sua figlia e il suo amore per me aveva scelto di proteggere la figlia; ma lei non mi lasciò intendere in nessun modo se avesse capito la frecciata.
Feci mettere sotto sorveglianza Donatella e in capo ad un mese disponevo di filmati, foto e relazioni sui suoi incontri con Nicola nel famigerato hotel; ormai avevo capito che il figlio era di lei e del suo amante; che, per evitare lo scandalo, erano scomparsi il tempo necessario e, al ritorno, Valentina si era fatta riconoscere come mamma del bambino: odiavo Nicola e Donatella perché mi avevano costretto a rinunciare a Valentina, perché umiliavano Lucrezia, perché offendevano il mio amore: bruciavo dalla rabbia e dal dolore.
Mi invitarono a pranzo, una domenica, e, al momento del caffè, sparai la prima bordata: a conti fatti, se il bambino non era nato settimino, la maternità di Valentina era tutta da discutere, visto che erano stati via sette mesi e, alla partenza, Valentina non era incinta; cercarono di disorientarmi con mille riflessioni, mille dubbi; per caso, mi accorsi che la camicetta di Donatella si stava macchiando perché il suo seno perdeva latte.
“Di’ a tua figlia di stare attenta alle perdite di latte: qualunque delle sue amiche sarebbe in grado di dedurre che è lei la madre del bambino e si comincerebbe a chiedere chi sia il padre; un intero castello di bugie rischia di saltare!”
Mi avviai ad andare; Francesco mi fermò e, di fronte alla sua aria sofferente e spaurita, mi fermai.
“Volevi dare il nome di mio padre a un bastardo. Non te lo perdonerò mai.”
“Aspetta, sii buono: è mia figlia; cosa potevo fare?”
“Potevate fermarla prima o per lo meno consigliarle il preservativo; ma siete una gabbia di matti ed io devo fuggire, se voglio rimanere sano di mente. Mi dispiace che tutto sia finito così male, Valentina. Adesso ti consiglierei di stare molto calma e molto cauta; hai troppi scheletri nell’armadio, per permetterti errori.”
”Te ne vai per sempre? Anche da me?”
“Soprattutto da te: hai scelto, tra la madre e la donna. Auguri, mammina - nonnina!”
Trascorsi la settimana successiva gettandomi con impeto nel lavoro, ma soprattutto cercando lo scontro con Nicola per sconfiggerlo: nel corso di un’asta molto vivace, visto che si avviava ad essere l’unico mio concorrente per una commessa che mi premeva molto, gli mostrai il display del telefonino con l’immagine di lui e Donatella abbracciati e lo guardai negli occhi; ritirò la sua offerta e mi aggiudicai l’asta; quando mi fu vicino, gli sussurrai.
“Da oggi stai zitto quando te lo dico se non vuoi che i filmati arrivino a Lucrezia.”
Il sabato sera, tutti in villa: i nostri ospiti avevano preparato un ricevimento coi fiocchi con un buon numero di invitati e ben presto la festa si accese ed entrò nel vivo; capitai vicino a Lucrezia e notai il moto nervoso con cui stringeva un fazzolettino mentre guardava Nicola e Donatella che ‘tubavano’ apertamente come colombi; le presi delicatamente la mano e gliela strinsi.
“E’ quello il rito del giovedì?”
“Cosa vuoi che ti dica? E’ quello; resta da vedere se vuoi stare zitta, se vuoi sollevare uno scandalo o se decidi di restituire pan per focaccia …”
“Tu da che parte staresti?”
“Per ora, faccio l’arbitro; se entro in gioco, non faccio lo spettatore e porto dentro tutte le mie energie.”
“Vuoi sempre fare sesso con me?”
“NOOOO!!!!! Io non faccio sesso, con te; se vuoi fare l’amore, affronto anche il giudizio del mondo e lo faccio qui, in piedi, davanti a tutti; se hai bisogno di sesso, se ti serve un bull, se vuoi farti sbattere, hai molti indirizzi a cui rivolgerti; se stai con me, ti prendi il mio amore e non ti chiedo neppure di ricambiarlo, se non ce la fai; ma ti prendi amore, anche senza sesso, se vuoi.”
Nicola e la sua amante erano spariti; notai che Lucrezia guardava una porta del primo piano che si intravedeva appena.
“Che porco, nella nostra camera da letto, se l’è portata. Senti, io non posso assicurarti che sto facendo una cosa sana, giusta, lucida o cosciente: forse è solo rabbia, quella che mi spinge. Ce la fai a darmi amore anche se io ti do solo rabbia, in cambio?”
“Il mio amore è una variabile indipendente da tutto: se tu credi che posso amarti, lo faccio senza esitazioni.”
Mi prese per mano e mi accompagnò in un gazebo nascosto nel parco, in una zona interdetta agli ospiti; dentro c’erano tappeti meravigliosi sul pavimento, un divano grandissimo e un tavolo pregiatissimo; chiuse la porta, si fermò in mezzo alla sala, aprì le braccia e mi invitò da lei; non mi feci pregare e l’accolsi nel mio abbraccio più caloroso, le strinsi la vita, che si rivelò anche più sottile di quello che appariva a vista, e la feci aderire completamente al mio corpo: sentivo i capezzoli che s’indurivano e mi premevano sul petto, l’osso pubico che si strusciava sul mio e scatenava brividi ed emozioni nuovissime, le bocca che si apriva calda ed umida ad accogliere la mia lingua che la percorreva tutta; feci scivolare le mani lungo la schiena e raggiunsi il sedere, afferrai i glutei e li strinsi contro di me, accentuando, se possibile, l’accostamento del sesso al mio che si era già levato al meglio della sua erezione e le scivolava ora tra le cosce, rasente la vulva.
“Che mi stai combinando? Mi fai bagnare tutta, mi fai aprire il ventre, mi fai sentire piena di te, anche se non mi hai fatto ancora niente …”
“Lucrezia, si chiama amore; ma mi vien fatto di temere che non l’hai mai sperimentato quello vero, quello che ti porta a fonderti ed essere una sola cosa con me; pensi che qui possiamo esprimerlo al massimo, questo amore? O dobbiamo limitarci a quelle poche effusioni che ci consentono gli abiti castiganti che indossiamo? Posso averti tutta, completamente, con tutta la passione di cui siamo capaci? Posso entrarti con tutto il mio amore nel ventre, nel cuore, nell’anima? Sei veramente decisa a fare l’amore con me, qui, adesso?”
”Stupido, non chiacchierare: amami e fammi sentire che mi ami con tutto te stesso; io ti darò tutto quello che ho!”
La feci sdraiare per terra, su un meraviglioso tappeto forse persiano, e la baciai con un’intensità che quasi non ricordavo di avere mai provato con Valentina né con nessun altra; mi strusciavo sul suo corpo come un rettile, per sentire ogni spigolo, ogni brandello del suo corpo, per amarla tutta, dalla testa ai piedi; cominciai a spogliarla arruffatamente, senza rispettare nessun criterio di logica, quasi strappandole di dosso gli abiti; ma intanto passavo la bocca e la lingua su tutta la pelle, da quella del volto a quella del seno, dal ventre fino alla vulva sulla quale mi fiondai con un desiderio smodato di sentirne gli odori, i sapori, la consistenza, la passione.
Quando le presi in bocca il clitoride e cominciai a succhiarlo come un capezzolo dolce e meraviglioso, ebbe dei fremiti continui e sentii che era agitata da scatti di orgasmi che agivano come scosse elettriche su tutto il corpo che vibrava e si scuoteva per l’intensità del piacere; ‘ti amo’ le sussurravo mentre procedevo a ‘mangiare’ tutto il suo corpo, dalla testa ai piedi; ‘ti voglio tutta’ le confessavo mentre mi riempivo la bocca di suoi umori da orgasmo e li ingoiavo con profonda libidine; ‘prendimi, ti voglio anche io’ mi disse alla fine, ormai sull’orlo di un orgasmo quasi definitivo.
Mi spogliai nudo e le tornai a pesare addosso, facendo scivolare il mo corpo sul suo quasi a fonderci in un androgino strano; poggiai il sesso, eccitato e duro, tra le sue cosce e feci aderire lentamente la cappella alla vagina: fu lei stessa a spingere il corpo in avanti e a farsi penetrare; mi limitai a sentire la mazza che forzava i tessuti del canale vaginale fortemente lubrificato dagli umori che aveva scatenato; poi Lucrezia alzò le gambe dietro la mia schiena e il suo inguine si fuse col mio, in una penetrazione dei sessi che non aveva più nessuno spazio; la montai a lungo, così attaccata a me da sembrare un solo corpo doppio, e non mi fermai finché l’orgasmo non si scatenò dalla mia prostata e si scaricò con una lunga e possente eiaculazione nel suo utero; sentii lei che urlava il suo piacere da farsi sentire anche nella villa, al di sopra della musica che suonava; vibrò sei o sette volte, quanti furono gli spruzzi che le scaricai in vagina, ed urlò sempre più piano, finché si limitò a gemere dolcemente, quasi piangendo.
Le chiesi se stava bene; mi rassicurò con i gesti e con il bacio, lungo, profondo, col quale mi strinse ancora più intensamente a lei; impiegai non so quanto tempo a scaricare la mia tensione da orgasmo, ma non arretrai di un centimetro finché il membro restò duro e piantato nel suo ventre; quando cominciò a cedere e a ridursi, mi adagiai più dolcemente su di lei e la guardavo intensamente negli occhi: mi sussurrò ancora ‘ti amo’ e lasciò che scivolassi fuori di lei; stupidamente, mi preoccupai che lo sperma che colava dalla sua vagina sporcasse il prezioso tappeto; capì al volo, sorrise e commentò.
“Il tappeto si lava; un amore come questo non lo riusciresti a inventare con nessuna mai più; ho attraversato il paradiso, con te; non sognarti di sparire, adesso; mi hai condotta a confessare il mio amore; ora te lo gestisci … e al meglio, anche.”
Le chiesi solo se intendeva tornare con gli altri prima che scoppiasse uno scandalo; sorrise e cominciò a rivestirsi, con calma, cercando di rassettarsi; mi rivestii anche io e tornammo ‘sulla terra’ delle chiacchiere e dei pettegolezzi; Valentina, mentre le passavo accanto, mi chiese dove fossi finito; polemicamente, le chiesi a mia volta perché non si preoccupava invece della sparizione di sua figlia.
“Perché te la prendi ancora con Donatella e non vieni a fare l’amore con me come una volta?”
“Per quasi un anno, non hai sentito il bisogno neppure di sentirmi per telefono, neanche per farmi un saluto. Cosa credi che sia successo, intanto?”
“Hai un altro amore?”
“Ma va’ … ti pare così strano? … Pensavi che mi fossi votato alla castità per amore tuo?”
“No; ma non vuoi capire … io ti amo come sempre … non potevo sottrarmi … mi dispiace!”
“A me non dispiace; forse è stato un bene che tu sia sparita; ho potuto guardarmi dentro e badare a me; ci ho guadagnato molto, da questa vostra ‘vacanza’, se non altro come imprenditore, purtroppo a danno di tuo marito che ormai non conta più niente da nessuna parte.”
Non riuscì a ribattere perché arrivò Francesco e le chiese di andare via; ma Valentina gli fece notare che Donatella non era in vista; si allontanarono borbottando tra di loro e non ci volle molto a capire che erano in ansia per i problemi che la figlia creava.
Da quella sera, la mia vita prese una piega molto surreale: nel lavoro quotidiano, la mia attività preferita diventò perseguitare Nicola per strappargli tutte le commesse, sotto la minaccia di mandare i video a Lucrezia; mi sentivo vergognosamente sporco perché, spinto da una ignobile volontà di vendetta, ricorrevo a mezzi estremamente sleali per ottenere quello che in, una aperta competizione, forse avrei ottenuto lo stesso; ma intanto continuavo ad infierire e, quando arrivava il giovedì e sapevo che si incontrano all’hotel, diventavo anche più feroce.
Dovevo difendermi da sporadici assalti di Valentina che non aveva affatto accettato di essere messa da parte: dimenticando di essere stata lei a partire e a ignorami per sette mesi, continuava a sentirsi ‘sedotta e abbandonata’ e a reclamare almeno le briciole dell’amore di cui l’avevo inondata prima della ‘vacanza ai Caraibi’; molte volte si fece trovare davanti al portone di casa mia, quando rientravo, e fui costretto a pregarla con energia di lasciarmi in pace: mi piangeva il cuore, pensando a quello che aveva significato per me negli ultimi cinque - sei anni; ma mi rendevo conto che la via che aveva scelto non le consentiva più ripensamenti e che le toccava fare la madre - nonna senza via di uscita, per evitare uno scandalo che avrebbe colpito più di tutti sua figlia e suo nipote; con Francesco avevo perso qualunque tipo di frequentazione: gli incontri di lavoro erano quasi sempre di competizione sugli appalti e non potevo essere tenero neppure con lui; alla fine, decise di vendere la sua azienda, che finii per inglobare, e se ne andò in pensione, per evitare ancora stress e pericolosi sbalzi di pressione.
Per una personalissima interpretazione della ‘legge del contrappasso’, avevo convinto Lucrezia a stabilire per un nostro incontro fisso settimanale il giorno in cui Nicola andava a tradirla nel solito hotel: ci incontravamo il giovedì pomeriggio e quasi sempre lei non tornava a casa se non il venerdì mattina, poco prima che tornasse anche lui; non ci risparmiavamo, però, anche durante gli altri giorni della settimana, specialmente quando Nicola si inventava incontri e convegni per andare con le sue donne: ormai eravamo alla spudoratezza più conclamata e non perdevamo occasione per amarci alcune volte addirittura quasi in pubblico; lei si sentiva profondamente in colpa, anche se era dimostrato che il marito la tradiva e non solo con la sua amante ‘principale’: ma non avrebbe chiesto mai il divorzio e non sarebbe stato assolutamente disposto a concederlo, per non perdere la ‘gallina dalle uova d’oro’.
Sembrava quasi che un destino ineluttabile pesasse sulla vicenda: spettò infatti a Valentina, che aveva dato inizio alla storia, chiudere nella maniera meno indecorosa: mi chiese di incontrarci, insieme a Lucrezia, per trovare una via per risolvere una situazione paradossale in cui erano falsati tutti i rapporti, da quelli tra nonna, madre e figlio a quelli tra marito, moglie e amanti; le risposi che io non potevo decidere niente perché nella vicenda ero uno dei protagonisti, ma non il principale; si rivolgesse quindi a Lucrezia, eventualmente invitando gli altri.
Si arrivò così ad un ‘tavolo di trattative’ in cui, finalmente, tutto venne messo in chiaro, dalla maternità e paternità del bambino di Donatella alla storia d’amore tra me e Lucrezia; per un minimo di pudore, evitammo di fare cenno alla storia che c’era stata tra me e Valentina, che a quel punto appariva come la nonna ormai anziana (ed aveva poco più di quarant’anni) rassegnata a preoccuparsi solo di ‘coprire’ le malefatte della figlia capricciosa.
Nicola accettò di avviare le pratiche per un divorzio consensuale, in cambio di un assegno pari allo stipendio di un piccolo dirigente, che gli consentiva di assumere il carico di Donatella e del loro figlio; Lucrezia, decisamente sconvolta dalle rivelazioni, soprattutto sulla paternità di suo marito, si dichiarò disposta a qualunque concessione, pur di essere liberata da un vincolo che ora trovava oppressivo e umiliante; in cambio, mi chiese se ero disposto a fare un figlio con lei: ‘anche qui sul tavolo, adesso!’ le risposi, ovviamente; Valentina e Francesco continuarono la loro vita da vecchi pensionati: si chiuse così, in una cupa tristezza, una vicenda nata come momento di grande amore e scivolata nello squallore del banale quotidiano.
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