È una domenica di fine marzo. Uno di quei giorni di marzo quando il sole splende caldo e il vento soffia freddo: quando è estate nella luce, e inverno nell’ombra.

Io e lui amiamo esplorare antiche dimore abbandonate. Amiamo il senso di mistero, di decadenza, di pace che le circonda. La storia che trasuda dalle loro mura.

Ci fermiamo davanti a un’antica cancellata in ferro battuto, ormai arrugginita e invasa dall’edera. Al di là di essa, si intravede una grande villa in stile liberty, di un tenue color crema sbiadito dal tempo.

Lui scende dall’auto e, prima che possa farlo io, fa il giro davanti e mi apre la portiera. Adoro questi suoi piccoli gesti di galanteria. È sempre stato fuori dal tempo. Seppur giovane, ha una mente profonda e un’educazione d’altri tempi, unite a una pelle d’alabastro, un fisico slanciato, un ribelle ciuffo castano scuro come i suoi occhi, in cui colgo sempre una punta di malinconia.

La camicia di cotone azzurro con le maniche arrotolate fino ai gomiti gli dona, così come i pantaloni beige, che gli mettono in risalto gambe toniche.

Le sue lunghe dita da pianista mi invitano a porgergli la mano e un momento dopo sono in piedi di fronte a lui. Mi guarda negli occhi e sorride, un sorriso complice e malizioso il suo. “Sono sicuro che questo posto ti piacerà”, dice, per poi poggiare le sue labbra sulle mie, in un casto bacio.

Sempre tenendomi per mano, appoggia l’altra su un lato del cancello, spingendolo per aprirlo. Cede con qualche cigolio e finalmente entriamo. La villa sembra in buono stato, nonostante sia abbandonata da decenni. Porte e finestre sembrano chiuse ermeticamente, purtroppo sembra proprio che non riusciremo ad esplorare i suoi interni. Dopo averne ammirato la facciata e i suoi balconcini, con trame in ferro che sembrano riprendere l’intreccio dei rami dei rampicanti che si propagano sul lato sinistro della villa, giriamo attorno alla sua struttura per arrivare sul retro e trovarci davanti qualcosa di inaspettato: una fontana in pietra con al centro una riproduzione in scala ridotta della celebre scultura Apollo e Dafne del Bernini. Scorre ancora qualche rivolo d’acqua dalle bocchette della fontana. La superficie sottostante è ricoperta da ninfee. Rimaniamo ad ammirarla rapiti per qualche minuto, in silenzio.

Poi qualcos’altro attira il mio sguardo: tre splendidi ciliegi in fiore in fondo al giardino. Lascio la mano di lui e mi dirigo sotto le loro fronde, chiudendo gli occhi, inspirandone il profumo, godendomi il venticello tiepido che fa cadere qualche petalo sul mio viso.

“Quanto sei bella…”, mi sento sussurrare all’orecchio. Si era avvicinato in silenzio e ora le sue braccia mi stringono, mentre appoggio la testa all’indietro contro il suo petto.

La sua mano destra raggiunge la mia guancia sinistra e mi fa voltare delicatamente, per poi catturare la mia bocca con la sua. Gioca con le mie labbra, succhiandole, mordicchiandole. Poi le nostre bocche si schiudono e si lasciano andare a baci lenti e profondi, che accendono un principio di piacere.

Sento indurirsi il suo sesso contro il mio fondoschiena e la sua presa su di me si fa più salda, quasi a voler annullare qualsiasi distanza fra noi.

Poi si stacca, lasciandomi praticamente senza fiato e guardandomi negli occhi dice: “Vieni, c’è una sorpresa”.

Mi trascina verso un piccolo edificio sul lato sinistro del giardino, fatto di grandi vetrate racchiuse da una gabbia di ferro dipinto di bianco, scrostato in vari punti. È un’antica serra.

La porta è socchiusa. Lui mi precede, aprendola e guidandomi all’interno. Mi trovo davanti dei lunghi tavoli di legno impolverati, pieni di vasi, molti dei quali sono rotti. Steli avvizziti, petali caduti e foglie secche, l’edera che la ricopre esternamente, dando vita a giochi di luci ed ombre. Sa che adoro le serre, soprattutto quelle segnate dal tempo. Posso sentire l’odore di terriccio e umidità che lo pervade.

Sul fondo scorgo un piccolo tavolino e, vicino ad esso, due sedie in ferro battuto con motivo floreale, dipinte di verde pastello, in perfetto stile liberty.

“Vieni.” Tenendomi per mano, mi porta accanto a una delle sedie e mi dice: “Ora siediti e rilassati.”

Intanto, estrae il suo iPhone, apre Spotify e sceglie “Seven Days Walking (Day 1)” di Ludovico Einaudi.

Si inginocchia di fronte a me, mi prende la caviglia destra e la alza gentilmente, mentre con l’altra mano mi sfila la ballerina color cuoio che indosso. Inizia a baciarmi il collo del piede, scendendo piano verso le dita, su cui porto uno smalto color ciliegia scuro, che ben contrasta con la mia pelle bianchissima. Bacia e lecca le mie dita, una ad una, guardandomi negli occhi. Amo quello sguardo: lo sguardo di quando ha fame di me.

Si appoggia il mio piede sulla coscia e mi sfila anche l’altra ballerina dal piede sinistro, iniziando stavolta a baciarne la pianta, mentre con le mani lo massaggia fino alla caviglia, facendole risalire fino al polpaccio, mentre mi succhia le dita.

“Sai quanto adoro i tuoi piedi…potrei baciarteli per ore, osservando le tue reazioni…”, sussurra.

Gli sorrido maliziosa. Lui capisce subito a cosa sto pensando.

Mi prende per entrambe le caviglie stavolta e si appoggia le mie gambe sulle spalle, cominciando a percorrerle con le sue labbra, lasciando una scia di baci e disegni umidi su entrambe. Mentre risale, mi solleva piano la gonna. Mi abbandono definitivamente alle sue cure, poggiandomi allo schienale della sedia, reclinando la testa all’indietro.

Ora mi mordicchia l’interno coscia, vuole portarmi a fremere di desiderio. I miei respiri diventano più lunghi.

“Hai fatto ciò che ti avevo chiesto?”, mi chiede all’improvviso.

Annuisco, mordendomi il labbro inferiore.

“Bene, vediamo com’è la situazione ora”.

Mi solleva la gonna di cotone leggero fino ai fianchi e nota con soddisfazione la macchia umida che colora le mie mutandine.

“Direi che è venuto il momento di toglierle…”

Mi afferra le mutandine e me le sfila. Allunga una mano per prendere il cordoncino che spunta dalla mia intimità scivolosa e lo tira, sfilandomi lentamente, una dopo l’altra, due palline di acciaio lucido ricoperte dei miei umori. Se le porta alle labbra e le lecca, facendosele scivolare in bocca e ripulendole bene. “Queste le mettiamo via, per ora”, dice, mentre se le infila in tasca.

Ora sono completamente esposta a lui, il mio piacere che continua a scorrere, mentre sento il suo respiro caldo avvicinarsi, per domare il fuoco che mi arde.

Ma decide di prendersi tutto il tempo, sa che più mi fa attendere, più impazzirò. Sento la sua lingua accarezzarmi attorno le grandi labbra, prima da un lato e poi dall’altro. Trattengo un gemito.

“No, piccola, non trattenerti…sai quanto mi piace sentirti gemere…”

Apre il mio sesso con le dita, esponendo alla sua vista le piccole labbra e il clitoride.

Appoggia la punta della sua lingua proprio al clitoride e comincia a stimolarlo con piccoli colpetti decisi. Ora mi è impossibile trattenere i gemiti, che escono uno dopo l’altro dalle mie labbra tremanti.

La sua lingua disegna dei piccoli cerchi, lentamente, e sento i miei umori colare fino al bordo della sedia e inumidirmi la gonna. Se continua così, verrò troppo in fretta.

“Ti prego…”

“Ti prego…cosa? Vuoi che mi fermi?”

“Mmh…no…”

Continua a torturarmi il clitoride con la lingua, ma ora mi penetra con un dito. “Sei così calda, come piace a me…”, dice aggiungendone immediatamente un secondo.

Con le dita trova proprio quel punto che mi fa perdere il controllo. Comincia a muoverle meno dolcemente, più energicamente su e giù. “Oh sì, senti che bel rumore che fai…sei così bagnata…voglio che mi vieni in faccia…voglio berti tutta…”

“Ohhh…sì…continua…”

Ora quel cic-ciac lo sento anch’io. Non riesco più a trattenermi. È da quando mi sono infilata quelle palline ore prima che sono eccitata.

“Dai, vienimi in bocca, forza piccola…fallo per me…”

Bastano queste sue parole a darmi il colpo di grazia. Vengo gridando tutto il mio piacere, con piccoli schizzi che gli finiscono in bocca, sul viso, sulla camicia.

“Brava, così…la mia piccola ha avuto il suo primo orgasmo squirtando…”

Cerco di riprendere fiato, mentre il mio corpo non smette di fremere. Non riesco nemmeno a parlare. Non ero mai venuta così. Non sapevo di poter raggiungere tali vette di piacere. Ma da quando sto con lui, tutto è cambiato. Il mio compagno, il mio amante, la mia guida in un viaggio alla scoperta del vero piacere.

Mi lascia calmare, accarezzandomi le gambe, baciandomi dolcemente le cosce.

“Ce la fai ad alzarti in piedi? Perché non abbiamo finito, sai?”, mi sorride malizioso.

Mi alzo in piedi, con qualche difficoltà. Si abbassa per baciarmi, mentre con le mani gli accarezzo la schiena, poi il petto, poi scendo in basso a saggiare il suo cazzo durissimo, prigioniero dei pantaloni ormai stretti. Gli slaccio la cintura, poi il bottone e tiro giù la zip. Scosto l’elastico dei boxer e lo libero. Quando è così duro, gli arriva fino all’ombelico. Muoio dalla voglia di segarlo e sentirlo nella mia bocca, ma lui mi afferra le mani e mi dice: “No, piccola, sono già pronto per scoparti…oggi voglio dedicarmi solo a te…girati e appoggia le mani ai braccioli della sedia…”

Faccio come mi ha chiesto, piegandomi in avanti. Lui mi solleva la gonna e la tiene su all’altezza dei miei fianchi. Mi accarezza il sedere con una mano, mentre con l’altra guida il suo cazzo fremente verso la mia apertura ancora bagnata.

Scivola dentro lentamente, fino in fondo, con un lungo gemito liberatorio. Mi afferra per i fianchi e comincia a muoversi dentro di me, affondando con maggiore forza ad ogni colpo. Mi adatto subito al suo ritmo e i nostri gemiti escono all’unisono. Mi toglie il fiato ad ogni colpo, che mi porta sempre più vicina a un nuovo orgasmo.

Si abbassa per cercare i miei seni liberi sotto la maglietta con le sue mani e, una volta afferrati e stretti con forza, mi tira su facendomi appoggiare a lui e continuando a scoparmi forte.

Avvicina la sua bocca al mio orecchio e mi dice: “Sei pronta a venire insieme, piccola?”

“Ahhh…sì…scopami…così, sì…”

I suoi colpi sono sempre più veloci, le nostre voci ansimanti si fondono con le note del pianoforte che ci hanno fatto da sottofondo per tutto il tempo.

Sento l’orgasmo avvicinarsi sempre di più, mentre i suoi gemiti si alzano di intensità.

“Oh sì, vengo, adesso…vieni con me, ora!”

Lo sento esplodere, il suo seme caldo che si riversa dentro di me. Vengo anch’io qualche secondo dopo, con lungo gemito, le gambe che mi tremano, gli umori che mi colano lungo le cosce.

Rimaniamo stretti l’una all’altro così, mentre i nostri respiri si quietano.

Lentamente, torniamo alla realtà. Mentre cerchiamo di renderci nuovamente presentabili, mi dice allegro: “Che dici, un bel bagno appena siamo a casa?”

“Sì, ma sono io che avrò una sorpresa per te dopo…”

“Ah sì? Mmm, allora sbrighiamoci, perché non vedo l’ora…”

Usciamo dalla serra, riattraversiamo il giardino correndo e usciamo attraverso il cancello. Questo luogo sospeso nel tempo e questo giorno di inizio primavera rimarranno per sempre impressi nella nostra memoria.
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Categorie: Etero Sentimentali