Accettiamo volentieri, anche perché, in qualche modo, si può tentare di trasformare l’impegno di lavoro in una sorta di vacanza, per noi che stiamo cercando di rimettere insieme una storia che sembra al capitolo conclusivo: forse l’atmosfera romantica e quasi decadente di Vienna può fornire una location opportuna, per rincollare i cocci di quello che è stato un grande amore e che ormai si trascina tra i rifiuti di una immensa delusione: nessuno dei due cerca di capire, perché siamo scivolati verso quella fredda indifferenza che sta uccidendo anni di amore entusiastico; ci limitiamo a prendere atto delle distanze e a sentirci sempre più nettamente estranei, incapaci di superare anche screzi piccolissimi come la polemica sullo zucchero nel caffè.
Vienna non può risolvere una crisi che ha radici assai profonde e forse inestirpabili: ce ne rendiamo conto quasi immediatamente, quando si tratta di fissare una scaletta di lavori e non riusciamo a trovare una ‘quadra’ neanche sui tempi da dedicare alle diverse incombenze: è fin troppo chiaro che “troppi galli a cantar, non fece giorno” e che ormai per noi la luce in fondo al tunnel non appare; presi ambedue nel vortice di una ‘corsa’ al primato assoluto nella professione, ci troviamo a controllarci, a spiarci, a contrastarci, a sgambettarci, fuori da qualsiasi razionalità e capacità di controllo.
Il primo gesto, naturalmente, è la scelta, in hotel, delle ‘camere separate’ che da quasi un quinquennio non apparteneva più alle nostre abitudini e che segna irrevocabilmente la rottura di qualsiasi rapporto; per completare il quadro delle differenze, scelgo di andare alla sede del corrispondente locale del nostro giornale, mentre Valentina si precipita al palazzo dei congressi per prendere visione del ‘terreno di lavoro’: in questo modo, non rischiamo di incrociare neppure il rispettivo impegno, anche se dalla sede scentrale si aspetterebbero da me spigolature sul convegno e in margine ad esso, possibilmente con spunti sui protagonisti: temo però che Valentina voglia tenere per se questa possibilità, e che cercherebbe anche di ostacolarmi, se dovessi provare ad interferire.
Nell’ufficio di corrispondenza trovo un paio di giovani, evidentemente assunti di recente, che a malapena sanno che c’è una riunione di ministri: il corrispondente è al palazzo dei congressi, ovviamente; e finisce per brillare la presenza di una ragazza piuttosto bella e vivace, Petra, che mi colpisce non solo per la purezza dei lineamenti del viso e l’armonia delle forme, ma soprattutto per l’aria vivace e leggermente provocatoria che caratterizza tutte le sue movenze e il suo dialogo: parla perfettamente italiano e ne approfitto per chiederle se può indicarmi qualcuno che mi guidi in città alla ricerca di storie locali.
“Sei Mario Rubini? … Allora ti accompagno io: da sempre, ho sognato di vederti all’opera, mentre costruisci i tuoi reportage dal sapore di racconto tra la gente comune: mi piacerebbe essere come te, un giorno … “
Le sorrido compiaciuto: in fondo, fa sempre piacere sentirsi ammirato, specialmente se a farlo è una splendida ragazza assai giovane (meno di trent’anni, a vista) che ti invidia per quello che fai, non per come sei fisicamente.
“Se non cerchi di confondermi con l’adulazione fuori luogo, sono felice di fare il viaggio con te; e sono certo che saprai indicarmi le cose più interessanti.”
Ci avviamo come vecchi amici: lei mi prende sottobraccio e mi guida amorevolmente per le stradine della città, indicandomi effettivamente le cose che sono più frequentemente oggetto dei miei reportage, segno che non scherzava quando mi diceva che mi conosceva e mi apprezzava; al momento di portarmi a fare il giro in carrozzella, meta obbligata di tutti i giovani innamorati in visita a Vienna, le viene quasi spontaneo appoggiare la testa sul mio petto; altrettanto spontaneamente, mi trovo a passarle una mano sulla spalla ed a tirarla a me, quasi con amore: ci abbandoniamo alla dolcezza dei gesti e piombiamo in un’atmosfera di incanto; mi viene in mente Sissi e tutta la romanticheria che intorno a quella figura si è da sempre scatenata; scherzo con lei.
“Ti senti tanto Principessa?”
“Ti turba se ti dico che mi sento tanto innamorata?”
“Innamorata?! E di chi?”
“Di Vienna, della sua atmosfera, della sua luce; e un poco anche di te che in questa luce ci sei e a questa luce dai corpo. Ti da noia?”
La stringo con forza ed affetto.
“Neanche un poco … diciamo, piuttosto, che mi coinvolgi e mi fai perdere un poco la testa.”
“Non sono io; è Vienna, è il Danubio, lo vedi?”
Il giro prosegue così in un’atmosfera più rarefatta che mi viene voglia di raccontare, quando scriverò di questi lampi di visione della città; andiamo a pranzo in un locale tipico per studenti universitari, con pochi soldi e molta fame; e mi sento travolto da Petra in un ‘giovanilismo di risulta’ assai fuori luogo: ma quella ragazza ha la forza di tirare fuori da me il ragazzino che ero una ventina di anni fa, agli esordi nel mio lavoro; gliene sono grato e comincio a preoccuparmi degli sviluppi possibili, a cominciare dalla serata: la cena e il dopocena cominciano a profilarsi come un problema; infatti, la distanza tra me e lei, benché ci dividano poco più di una decina di anni, si registra proprio nel modo di reagire a certe situazioni: io sto a lambiccarmi il cervello per scegliere un posto dove cenare; lei ha già deciso per una trattoria tipica, abbastanza popolare da garantire cibi genuini; io mi sto domandando cosa succederà dopo cena; lei si limita a dire.
“Vuoi che dormiamo da a me o preferisci che andiamo nel tuo albergo?”
Riesco a riprendermi abbastanza per suggerirle di prendere qualche cambio a casa sua e di trasferirsi in albergo con me per i giorni che sosterò a Vienna; poi mi rendo conto che non ci siamo nemmeno baciati e cerco di recuperare un poco della dignità di maschio e la abbraccio con una foga animalesca per farle sentire la passione che mi sta scatenando: ci baciamo così, in mezzo alla piazza, vicino al tavolo della trattoria, come se non ci dovesse essere mai più un domani per tutti e due: sento il corpo vibrare tutto, dalla bocca, che mi divora appassionata, al ventre, che si schiaccia contro il mio inguine a cercare il contatto col sesso che si è irrigidito nei pantaloni e le preme contro il pube; capisco che ha desiderato quel momento da quando ci siamo incontrati; mi innamoro di lei; passiamo tre giorni di paradiso in terra, persi in un amore che nemmeno lontanamente avrei potuto immaginare alla partenza da Milano: mi sembra di essere tornato alle mie prime esperienze giovanili, al grande amore della mia adolescenza; e la mia passione si scatena quasi violenta.
Petra non è una sprovveduta e fa l’amore con tanto entusiasmo, tanta partecipazione, tanta passione che alla fine tutto con lei diventa naturale e quasi automatico: ci spogliamo lentamente, quasi religiosamente, fino a restare completamente nudi; comincia poi l’esplorazione minuziosa del corpo dell’altro, con gli occhi, con le mani, con i baci; ammiro il viso dolce, delicato, col profilo fanciullesco e tanta tenerezza negli occhi, nelle gote, nelle guance; e ritrovo la passione che avevo intravisto quando bacio la bocca carnosa, morbida, pronta e succhiarmi l’anima e a farsi vampirizzare dentro le mie fauci eccitate e vogliose; mi impegno allo spasimo a succhiare la sua lingua come praticassi una strana fellatio ad un piccolo fallo e le infilo la mia fino all’ugola quasi per violentarla in bocca, prima di penetrarla.
Sperimentiamo tutto, senza falsi pudori, senza esitazioni, dal semplice amplesso, alla ‘missionaria’, alla penetrazione anale più difficile e dolorosa, soprattutto per lei che è quasi vergine da quel lato; lecchiamo, mordicchiamo, assaggiamo, ‘mangiamo’ e ci succhiamo reciprocamente tutto, dalla bocca al sesso, dai capezzoli al ventre; ci spingiamo nelle acrobazie più imprevedibili per arrivare ad un punto particolare del corpo dell’altra: sentirla sotto di me che si tende in un orgasmo infinito sotto la spinta della mia verga mi dà un senso strano di onnipotenza e di dominio su tutto il suo corpo, sulla sua vita; ma sentirla succhiarmi l’anima dall’asta, in una fellatio che più bella non si può, mi costringe a sentirmi posseduto fin nei precordi più remoti, partecipe della sua vita con le mie stesse pulsazioni; facciamo l’amore come se domani dovesse venire l’Apocalisse e non volessimo lasciare niente, indietro.
Riesco anche a lavorare, in quei tre giorni; anzi, i servizi che realizzo sembrano avere una marcia in più, quella dell’amore, o due occhi in più, quelli di Petra che mi assiste, mi aiuta, mi guida, mi suggerisce; i consensi che mi arrivano dalla sede centrale, (fino al suggerimento di trattenermi ancora, se lo ritengo necessario o se credo che ci sia nuovo materiale utile) rappresenta il sigillo sulla bellezza di questa improvvisa esplosione d’amore; Valentina ha terminato il suo lavoro, perché il convegno è finito, e preme per tornare in Italia; so che Petra sta male all’idea che io parta, ma è inevitabile; in un ultimo momento di calma, le prometto che farò di tutto per esserle vicino, in ogni modo possibile, anche se il lavoro mi dovesse portare alla fine del mondo: mi suggerisce di non fare promesse, col mio lavoro, e di limitarmi a dire che sono stato bene, con lei, e che in qualche modo, l’ho amata.
“No, adesso basta! Non ti ho amata solo per questi giorni, ma ti amo e mi porto dietro tanto rimpianto e tanto rimorso per quello che è stato, per quello che poteva essere e per quello che non è stato. No riesco a valutare quello che mi è capitato: devo ancora lavorarci; un giorno ti farò sapere.”
L’ultimo bacio ha veramente il sapore di un addio doloroso: quando usciamo dalla sede di corrispondenza, Petra è andata in bagno; io so che è andata a piangere e a stento trattengo dentro il mio dolore.
Per quanto mi sforzi di non pensarci, di dedicarmi ad altro, non riesco a fare a meno di tornare a lei col pensiero, quando mi perdo, a Milano, nell’ordinaria amministrazione; tra un impegno di routine e l’altro, è ormai un’abitudine piantarmi davanti a skype e connettermi con Vienna, dove senza nessun dubbio trovo Petra che aspetta solo di parlami e di vedermi: riusciamo a raccontarci le cose più stupide e banali con l’intensità di una grande confessione d’amore; e riusciamo, invece, a progettare e realizzare servizi importanti parlandone come se stessimo commentando la colazione del mattino: tra le altre cose, ha cominciato a fare indagini e ricerche giornalistiche, per le quali lei dichiara di aver assimilato da me i metodi di lavoro, ma che io vedo invece come una geniale intuizione autonoma di lei, che riesce a dare vita e dignità a cose quotidiane.
“Ciao, Petra, buongiorno: sai cos’è questo?”
Mi guarda imbarazzato mentre sullo schermo del tablet, in collegamento skype con lei, gira l’immagine del lago del Retiro di Madrid, dove sono per una serie di servizi.
“Dove sei?”
“Sono a Madrid, nel Retiro, un giardino meraviglioso; e sto sognando di esserci con te, di attraversarlo con te, di visitarlo con te, e di baciarti dietro ogni albero del parco.”
“Dai, non essere stupido: queste sono fantasie da bambini …”
“Vuoi dire che non ci verresti? …”
“Voglio dire che ci verrei anche ora stesso, se fosse possibile il teletrasporto; invece, più seriamente, perché non vieni a Vienna per capodanno?”
“Se non mi sbattono da qualche parte per emergenze strane, si può anche fare …”
“Allora, diciamo che io mi organizzo per stare insieme, diciamo dal 27 o dal 28 dicembre fino al 3 o al 4 gennaio: se ti riesce di ‘rubare’ quei giorni, facciamo tante cose meravigliose …”
“Mi porti anche al Concerto di Capodanno?”
“Trovare i biglietti può essere un’avventura, oltre al salasso economico; ma, attraverso il giornale, forse ce la posso fare.”
“Non preoccuparti dei soldi: sono abbastanza ricco da poterti invitare non solo al concerto, ma anche al cenone e, se tu potessi, anche ad una vacanza di qualche mese in una qualche isola dei Caraibi …”
“Non spararle grosse: potrei anche prenderti sul serio. Cerca di tenerti libero quella settimana; mi piacerebbero davvero un concerto mozartiano, un giro sulla ruota del Prater, il cenone e il concerto di Capodanno: cerca di farlo, ti prego.”
“Va bene, piccola tiranna: mi libererò per te, a costo di uccidere il direttore. Ti ho detto che ti amo?”
“No, me lo dici così poco, che me lo fai desiderare a lungo …”
Sta procedendo così, la nostra storia d’amore: interminabili conversazioni telematiche dove ci si può vedere, ci si può parlare, ma di toccarsi, anche per un attimo, nemmeno a parlarne: da sei mesi ormai non riesco a trovare il tempo e il modo per andare a trovarla a Vienna (meno di un’ora di volo) o che lei possa venire a Milano ed essere certa di trovarmi, perché sono in sede e non in un punto qualsiasi del globo per un servizio: a quel punto, capisco che la storia con Valentina aveva retto anche perché ci teneva uniti il lavoro, che spesso ci era consentito di fare insieme, nello stesso posto, per cui le trasferte diventavano viaggi che facevamo in coppia e che, in definitiva, ci permettevano anche di rimanere uniti; per Petra, il discorso è profondamente diverso perché a lei manca l’ambizione che ha spinto Valentina - nella carriera, nel rapporto con me ed anche nella rottura di quel rapporto - ; Petra sembra votata a fare la giornalista a casa sua, con la calma borghese del reddito sicuro, della bella casa, del marito e dei figli; per questo, la nostra ‘avventura’ appare tanto aleatoria, anche se mi sembra di esserne coinvolto al di là del lecito.
Intanto, Valentina ha recentemente cambiato atteggiamento: in conseguenza anche di certi mutamenti di posizioni e di scelte, che mi hanno portato ad occuparmi più determinatamente di società e di cultura, liberandola dalla preoccupazione onnipresente della mia ombra incombente su tutto quello che faceva; sembra quasi rasserenata come se, rimasta padrona del segmento della cronaca politica alla quale io la avevo orientata e ‘svezzata’, dimenticando, finalmente!, che mi è debitrice dei suoi esordi e assestatasi in un ruolo da protagonista, si senta adesso capace di ricucire un rapporto che è stato meraviglioso, finché era durato, e di cui sente adesso un fortissimo rimpianto.
Dopo un paio di aperitivi presi insieme al giornale, decide perfino di venire a cena da me, una sera, perché a casa sua non potevamo farlo, essendosi ridotta in un monolocale che neanche da pied a terre può funzionare; quasi naturalmente, finiamo per fare l’amore: ritrovarla è un poco riscoprirla come se fossimo vergini l’uno di fronte all’altro; l’emozione che provo a spogliarla lentamente non ricordo di averla provata quando ci mettemmo insieme la prima volta; e mi eccita bestialmente, al punto che stento a trattenermi dal violentarla di primo acchito, senza darle il tempo di ‘entrare’ nello spirito della serata; fortunatamente, la conoscenza reciproca, più profonda di quello che vogliamo ammettere, ci aiuta a superare molti impacci e ci troviamo a fare l’amore come due ragazzi di primo pelo che affrontano il sesso; quando, dopo averla posseduta più volte, nella vagina, nell’ano, in bocca, fra le tette, dovunque sia possibile, le chiedo per pietà un attimo di respiro, scherza volentieri.
“Tutto qui quello che sai fare? La tua ex compagna mi ha detto di te mirabilia: deve essere passato molto tempo; forse ti sei sgonfiato!”
“Devo dire che anche la mia compagna, a quanto pare tutt’altro che ex, è veramente brava, quando si mette a fare sesso con convinzione, soprattutto con amore: in quel caso è persino impossibile anche starle alla pari, tenerle testa!”
“Mario, vuoi che ci riproviamo?”
“Che devo dirti? Si, che lo voglio; quando sarà possibile?”
“Non prima del nuovo anno; al giornale hanno per me alcuni incarichi importanti che mi impegneranno fino a fine anno.”
“Ok. Ne riparliamo col nuovo anno?”
“D’accordo. … Sai, devo dirti che sono stata proprio bene, con te: sei sempre la persona al mondo che mi fa stare meglio.”
Nonostante sembri lunghissimo, il tempo che ci separa dalla fine dell’anno passa in fretta e mi trovo ad affrontare i soliti problemi legati all’atmosfera natalizia (traffico, folla, luminarie, agitazione per tutte le strade ) senza neppure l’alibi, quest’anno, del ‘festeggiamento obbligatorio’ con Valentina e con il giro degli amici, per lo più personale del giornale a cui siamo legati anche fuori del lavoro, che comunque si fanno travolgere dai soliti riti cittadini: la partenza di Valentina per un nuovo ‘fronte caldo’ mi esonera da quest’obbligo, che viene però sostituito da quello che ho assunto con Petra sin dalla scorsa primavera, quando, da Madrid, accettai di tenermi disponibile per andare a passare il capodanno con lei a Vienna e ad assistere dal vivo (questa si, che era una bella occasione) al Concerto di Capodanno.
Mi libero per la settimana a cavallo di Capodanno e avverto Petra che arrivo a Vienna all’alba del 27 dicembre con un treno notturno da Venezia: Petra mi aspetta puntualmente alla stazione e, nonostante l’aplomb che riesce ad imporsi in ogni occasione, non può nascondere la gioia che la pervade quando mi vede scendere dal treno: tutta l’ansia maturata in quei lunghi mesi di lontananza si concentra in un solo momento ed in un solo gesto, l’abbraccio forsennato e l’adesione totale del suo corpo al mio che dà l’idea, anche agli estranei, anche ai passanti casuali, di una voglia a lungo repressa, di amore, di comunanza, forse anche di sesso; il mio ‘fratellino’, comunque, scatta puntuale appena sente il suo osso pubico picchiare sul mio: e lei se lo trova di colpo piantato contro la vulva: non ne sembra affatto dispiaciuta; anzi …
Le chiedo se vuole che prendiamo una camera in uno degli hotel del centro; mi risponde che DEVO essere ospite suo, a casa sua, perché almeno quella settimana vuole sentirsi legata a me tanto profondamente da potersi illudere che siamo una vera coppia: non me la sento nemmeno di pensare di poterla contraddire e la seguo nel suo miniappartamento che ha tutta l’aria delle case di fantasia di certi racconti per bambini; stimolato dalla situazione, scherzo volentieri.
“E fatta del marzapane che mangeremo a pranzo?”
Con un colpo secco mi fa piombare supino sul letto, si fionda su di me, si siede sul mio viso a gambe divaricate e scopro che non indossa intimo: davanti alla mia bocca si apre meravigliosa la sua vulva fino all’ano.
“Questa è la mia dolcezza, quella che ti offro io: fanne indigestione e non ti fermare finché non ti sarai slogato le mascelle.”
Non ho nessuna difficoltà a fare quel che mi chiede, che è esattamente quello che voglio io con tutto me stesso: lecco le grandi labbra e scivolo dentro per agganciare il clitoride, quasi nascosto nelle pieghe del fiore che le piccole labbra, chiuse, formano; scavo in profondità, nel canale vaginale, alla ricerca del massimo piacere, suo e mio; Petra si abbassa per prendere in bocca il mio sesso che si è alzato ad obelisco, ancora nei pantaloni, imponendomi non poche sofferenze per la condizione di costrizione cui è sottoposto; la blocco e le impongo di starsene ferma a godersi il mio titillamento, a cercare di raggiungere tutte le vette del piacere che la mia lingua le può scatenare: dopo qualche gemito sommesso e a forza soffocato, urla a piena gola il suo orgasmo e quasi mi spavento, al pensiero che possa avere un crollo.
Si scarica dal mio viso e mi si sdraia a fianco, mi sfilo gli abiti, la spoglio con delicatezza e mi stendo sul suo corpo che mi sembra di ritrovare dopo un tempo infinito di lontananza: geme e sussurra frasi sconnesse, in tedesco, che neanche mi sforzo di intendere; capisco solo che sta provando un piacere intenso, liberatorio, quasi infinito; mi sembra di intuire, alla fine un ‘ti amo’ che quasi mi spaventa, in un contesto di tanta libidine; le monto addosso e la penetro dolcemente, senza premura, senza sforzo, quasi con naturalezza; ma è lei che, risvegliandosi quasi da un sogno, mi aggredisce col suo amore, mi pianta i talloni dietro la schiena e si spinge contro di me fino a sentir l’asta violentarle la cervice dell’utero e la vagina totalmente piena: gode in continuazione e la sento colare intensi umori vaginali; non riesco a trattenere il mio orgasmo ed eiaculo in lei; subito dopo, crollo quasi svenuto.
Escluse le interruzioni per andare a pranzo e per cenare, passiamo la giornata a letto: è il primo di sette giorni di goduria infinita; da lì sarà solo piacere ed amore, senza limiti, senza preoccupazioni; come se davanti a noi non avessimo che il nulla infinito, io e Petra ci lasciamo andare alla gioia totale di sentirci vivi, di seguire il cuore e l’istinto, senza controllo della ragione: giriamo per la città come imbambolati nella gioia di scoprire gli scorci, i monumenti, le persone; scherziamo con tutti quelli che incontriamo, a costo di farci prendere per pazzi; visitiamo tutto quello che è possibile visitare, musei, monumenti, mostre, ogni cosa che ci solletichi l’interesse.
Soprattutto, ci divertiamo a guardare le facce: Petra mi chiede se, prima di andare via, voglio scrivere con lei un servizio a quattro mani, di riflessione su quelle realtà semplici e straordinarie, dai personaggi tipici della città alle persone qualsiasi che incontriamo, turisti, cittadini, gente normale insomma; le chiedo perché non lo fa da sola, visto che si è rivelata tanto brava; mi risponde che vorrebbe che restasse di quella nostra ‘scorribanda’ un segno indelebile nelle cronache del giornale; la cosa mi lascia perplesso ma le dico che non ho obiezioni e che, prima di andare via, lasceremo al giornale un lungo ed articolato servizio sul vivere ed amare a Vienna durante il capodanno: lo faremo e resterà davvero negli annali del giornale.
Petra mantiene inoltre tutte le promesse che aveva fatto, a se stessa più che a me: davanti alla cattedrale stazionano giovani in costume del Settecento, presi in prestito forse dal guardaroba di un teatro, che di professione vendono prenotazioni per i concerti mozartiani che in quei giorni si tengono in varie sedi della città appositamente dedicate: acquista le nostre prenotazioni, scherzando amenamente con uno di quei ragazzi, un universitario di radici italiane che si mantiene agli studi lavorando (sarà uno dei grandi protagonisti dei racconti a quattro mani che ci siamo impegnati a scrivere); ci andiamo come due ragazzini in festa, che non perdono occasione per divertirsi con la musica e con gli spettatori ammaliati dallo spettacolo che offre la platea, interessante quasi più di quello che offre il palcoscenico.
Anche per la gita in carrozzella, Petra riesce a creare i presupposti per nuovi ‘personaggi’, con il cocchiere in livrea e con il percorso più lungo, per avere la possibilità di vedere quanto è possibile della città e commentare con me, tra un bacio caloroso ed un abbraccio affettuoso, sotto lo sguardo riprovatore degli algidi viennesi; la nostra voglia di vita si esprime anche in questi ‘sbilanciamenti’ che per la maggior parte vengono accolti con un sorriso dai passanti; la sosta in pasticceria e l’assaggio della Sacher Torte è quasi un obbligo di legge.
Non appena ci ritiriamo nella sua ‘casetta di marzapane’, la voglia d’amore si scatena quasi violenta e passiamo ore ed ore a copulare, ad amarci, a divorarci, possederci con tutti mezzi, in tutti i modi, soprattutto con una voglia che sembra insaziabile; e veramente non mi stancherei di stare dentro di lei, di comunicarle il mio amore profondo, assorbente, assoluto: più volte sono tentato di proporle di vivere insieme, di abbandonare la vita nomade dell’inviato e fermarmi in una casetta (due cuori e una capanna) per vivere con lei d’amore, di gioia, di famiglia; poi rinsavisco e mi deprimo, all’idea che la favola durerà forse molto poco.
Intanto, resta da accontentare il mio giovane amore che vuole fare un giro sulla ruota del Prater; ed anche quell’esperienza è piuttosto l’occasione per dare sfogo al nostro desiderio di comunicare il grande amore che ci tiene insieme con tanta forza: riusciamo a mantenerci al di qua dello scandalo e a non spaventare i giapponesi che salgono con noi; ma non ci risparmiamo nessun gridolino di gioia a mano a mano che il panorama si apre ai nostri piedi; di ritorno in città, riusciamo a ‘beccare’ un concerto in cattedrale del tutto imprevedibile: sembra che la città si ponga al servizio della nostra ‘storia’ d’amore.
Petra ha organizzato nei minimi particolari la serata di fine d’anno: per la cena, ha prenotato in uno dei più affascinanti locali della città: riusciamo a viverla come un’avventura dello spirito, al massimo dello splendore, nostro e dell’ambiente: lei è elegantissima in un abito nero che la fascia come un guanto ed esalta le forme perfette; io sono assai ‘ingessato’ nel mio abito scuro, ma sembra che riusciamo ad attirare comunque l’attenzione di tutti: poco dopo la mezzanotte, decidiamo di rifugiarci nella ‘casetta di marzapane” e di accogliere il nuovo anno con un amplesso da tramandare alla storia per la sontuosa ricchezza: ci amiamo come non ho abbiamo mai fatto e come non faremo mai più; Valentina mi telefona, da non so quale paese dell’Africa, per augurarci buon anno; un forte senso di colpa mi assale a tradimento.
Attraverso il giornale, Petra è riuscita ad ottenere la prenotazione per tutti e due al concerto di capodanno e la mattinata del 1 gennaio è tutta dedicata all’evento, la cui rinomanza planetaria ci galvanizza; ci mescoliamo alla sceltissima schiera degli ‘ammessi’ e partecipiamo delle emozioni che agitano la platea e che puntualmente registriamo, per i servizi che abbiamo promesso di scrivere alla fine; seguiamo da veri appassionati tutto il concerto degli Strauss e partecipiamo all’animazione, inevitabile alla fine, per la ‘Marcia di Radetzky’: mi rendo conto che, per un momento come quello, si può anche aspettare pazientemente per un anno: non riusciamo a resistere e un piccolo, casto bacio ce lo scambiamo, proprio al momento di uscire.
Il 2 gennaio è l’ultimo giorno della nostra ‘vacanza a Vienna’: domani il treno mi riporterà a Milano e non è dato sapere se, come o quando potremo rivederci; parliamo col corrispondente del servizio che abbiamo preparato e si impegna a sollecitarlo in Direzione: dall’espressione che assume quando sfoglia anche solo le prime righe, ci rendiamo conto che abbiamo fatto centro; passiamo quasi tutta la giornata tra mille piccoli adempimenti che precedono ogni viaggio, fino all’atto finale, la preparazione della valigia, che procura qualche momento di tristezza, per il vuoto che si apre dopo la conclusione di questa settimana: Petra mi appare più forte di quanto stimassi e affronta la cosa con notevole scioltezza; passiamo la notte a tentare di dormicchiare tra un amplesso e l’altro, frenetici per il desiderio di prolungare all’infinito il momento magico e rassegnati, al tempo stesso, allo svolgersi degli eventi che non consentono alternative; sulla soglia ormai dell’uscio, quando il taxi è già al portone, Petra mi abbraccia con affanno, quasi, come per l’ultima volta e mi dice.
“Mario, so che non ci vedremo più: in primavera mi sposo; lo avevo già deciso da qualche mese ma ho voluto concedere al mio cuore quest’ultima trasgressione: Ulrich capirà e, se non vorrà capire, seguirò un’altra strada; ma con te il sogno è finito: sei troppo bravo, come inviato, per ridurti a lavorare in una redazione; ed io sono giornalista da casa e bottega. Ti ho amato profondamente e forse non smetterò mai di amarti; ma devi andare e non cercarmi più, per il bene di tutti e due. Addio.”
Ci resto di sasso; ma capisco anche che è l’unica conclusione possibile; scappo via a testa bassa, per non dare a vedere che sto molto male; mentre il taxi mi porta all’aeroporto, squilla il telefono: è Valentina.
“Ciao, Mario; per un colpo di fortuna, la mia missione qui si è conclusa molto prima del previsto; sto aspettando l’aereo che mi riporta a Milano; tu dove sei?”
“Fa’ conto che io sia già a Milano, all’aeroporto, ad aspettarti, per cercare di ricominciare.
“Non si tratta di ‘cercare’; noi ricominciamo: e guai a chi dice il contrario!”
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