Esistono ancora, anche se per poche tracce labili, alcune figure sociali della tradizione culturale locale, specialmente nel Meridione d’Italia, che andrebbero forse studiate a parte, per l’incidenza che hanno avuto sulla società (allora soprattutto contadina) prima che la globalizzazione spazzasse via tante differenze.
Una di queste figure è quella del ‘compare’ o della ‘comare’ che affondano le radici nella cultura latina (rispettivamente, ‘cum patre’ e ‘cum matre’) per la funzione che esercitavano effettivamente di sostituti o complementi al padre e alla madre di cui assumevano le funzioni in specifici particolari momenti.
Specialmente il ‘compare di anello’, vale a dire i padrino di matrimonio, diventava una figura di enorme rilievo perché a lui erano affidati il compito di offrire gli anelli (simbolo di legame tra gli sposi e con i ‘compari’) ed erudire il giovane sposo sui doveri coniugali, prima che il prete li recitasse dall’altare; la ‘comare’, a sua volta, esercitava il dovere di informare la pronuba su quello che la attendeva nel talamo nuziale e sul comportamento da tenere in ogni momento.
Ignorando tutta la favolistica che si è costruita intorno a questi compiti (la più semplice leggenda metropolitana ipotizzava una sorta di ius primae noctis appunto al ‘compare’: ma era solo leggenda metropolitana o motivo di scherzi goliardici tra amici), va detto che la tradizione, per quanto annacquata e resa obsoleta dall’evoluzione dei costumi, qualche radice l’ha conservata e in qualche caso è stata rispettata fino agi ultimi decenni del secolo scorso.
Proprio per questo retaggio inossidabile di convinzioni, mi trovai poco meno che quarantenne, ad essere invitato, con mia moglie Nicolina, poco più che trentacinquenne, a fare da ‘compare d’anello’ al figlio di miei amici, ragazzo che avevo già tenuto a battesimo e cresimato, per completare la triade dei ‘compari’ (battesimo, cresima ed anello) che, nel mio paese d’origine, era considerato altissimo onore e mi collocava quasi più in alto del padre naturale e legittimo: sempre le tradizioni imperiose della civiltà contadina mi impedivano di rifiutarmi senza destare scandalo; naturalmente, accettai e mi trovai legato a doppio filo con Antonio e Giovanna, due ‘ragazzi’ di quasi venticinque anni (poco meno, per lei), dei quali diventavo mentore e responsabile.
Nicolina si adattò immediatamente alla situazione, perché aveva sempre avuto un debole per Antonio e non le parve vero assumere un ruolo fondamentale nella sua vita: durante il ricevimento di nozze, osservai con una certa meraviglia come si intendessero bene lei e il suo ‘figlioccio’, mentre era meno legata alla ‘figlioccia’ che guardava anche con un certo rancore; qualche sospetto mi destò anche vedere sparire, ‘comare’ e ‘figlioccio’ per un lungo tempo, verso i bagni, mentre eravamo seduti ad uno di quegli interminabili pranzi di nozze che ancora caratterizzano la cerimonia nel sud.
Le ubbie passarono subito dopo che gli sposi partirono per il viaggio d nozze che ebbe una durata abbastanza consistente, visto che i genitori di lui erano benestanti e avevano voluto per l’unico figlio il meglio sul mercato; al ritorno, scoprimmo con grande piacere che i genitori di lui avevano acquistato per la coppia di sposi l’appartamento adiacente al nostro, sullo stesso pianerottolo al terzo piano di un condominio in centro; per ulteriore coincidenza, Giovanna, la sposa, era docente di lettere nella scuola di cui ero preside, per cui cominciammo a fare quasi vita comune, da quando uscivamo per andare a scuola fino a sera, quando spesso si cenava insieme nell’uno o nell’altro appartamento.
Nel giro di pochi mesi però, ebbi la sensazione che l’atmosfera di infinita felicità tra i due ‘ragazzi’ si fosse rapidamente dissolta e che lui preferisse trascorrere i pomeriggi fuori casa, lasciando Giovanna alle sue incombenze professionali (correzioni, aggiornamento, pratiche burocratiche e simili) poco curandosi di lei; quando le chiesi, in un fugace incontro nei corridoi della scuola, che cosa stesse succedendo, Giovanna mi pregò di non parlarne lì e di cercare invece un’occasione per parlarne più a lungo e bene a casa, un pomeriggio senza molti impegni: poiché rientrava anche tra i compiti istituzionali del ruolo,le promisi che ci saremmo visti a casa sua il pomeriggio seguente, essendo saltate delle riunioni previste ed essendosi quindi liberato il mio tempo.
Detto fatto, il pomeriggio seguente, uscita Nicolina per andare a fare il solito giro al Centro Commerciale che l’avrebbe trattenuta almeno fino all’imbrunire, bussai alla porta di Giovanna e lei mi venne ad aprire in vestaglia e babbucce scusandosi per la tenuta troppo disinvolta; le dissi di non preoccuparsi e la invitai a parlarmi dei problemi tra lei e suo marito; cominciò a raccontarmi del progressivo allontanamento di Antonio che sembrava non provare più nessun interesse per lei, neanche quello fisico, e orientarsi sempre più ad ignorarla, quasi fosse un mobile disusato e non una persona; persino i rapporti sessuali, che erano stati intensi e frequenti sin dalle fasi del fidanzamento quando era capace di performances straordinarie, dopo il matrimonio erano scemati fino a ridursi alla ‘doverosa’ sveltina del sabato sera senza voglia.
Il sospetto principale era, naturalmente, che avesse trovato interesse in un’altra donna che, secondo Giovanna, doveva essere alquanto più matura di loro, avendo Antonio manifestato da sempre una passione sfrenata per sua madre, una gran bella donna per la verità, che lui vedeva sempre su un piedistallo inaccessibile e di cui era gelosissimo anche per gli atteggiamenti piuttosto ‘disinvolti’ di sua madre che amava proporsi narcisisticamente in abbigliamenti e posture assai provocanti al limite dell’osè: non era dimostrato che avesse comportamenti illeciti o fedifraghi, ma il sospetto correva tra gli amici di Antonio, che fosse donna di liberi costumi.
La giornata primaverile era decisamente calda e, mentre parlavamo di questi temi, ci eravamo accostati decisamente al balcone del salotto che comunicava quasi a contatto di stipite con quello del mio appartamento, anch’esso naturalmente, per il caldo, con le imposte spalancate; dal salotto di casa mia sentimmo giungere rumori di persona che si muovesse: poiché Nicolina doveva essere fuori, temetti ad una invasione di malintenzionati, ma la voce di mia moglie mi bloccò prima che potessi fare un qualsiasi gesto.
“Dai vieni spogliati subito, fammi sentire questa meravigliosa mazza!”
Rimasi allibito, per il contenuto della frase, per il linguaggio che mai avrei attribuito a mia moglie, per la situazione che si delineava, tutt’altro che piacevole; non mi ero ancora ripreso dalla sorpresa che si sentì un’altra voce.
“Vieni, bella culona, vieni sul letto che ti schianto, voglio prenderti tutta e fartela sentire da ogni parte, la mia mazza!”
“Oddio, Antonio!”
Giovanna l’aveva riconosciuto immediatamente; la prima reazione fu di andare di là e di fare un macello; ma la mia ‘figlioccia’ mi fermò e suggerì.
“Mi era parso strano il loro comportamento già al banchetto di nozze: evidentemente ha trovato la sostituta di sua madre: un transfert e il suo desiderio edipico viene soddisfatto! Vuoi fare una scenata e poi rompere due matrimoni? Oppure ci vendichiamo rendendo pan per focaccia: loro sono partiti prima, ma noi abbiamo tutto il tempo di rifarci, visto che passiamo insieme almeno mezza giornata e possiamo passarne anche una intera. Tu mi sei sempre piaciuto: e non come padrino, forse piuttosto come padre, per quel piccolo senso di edipismo che c’è in tutti noi. Cosa ne dici di fare l’amore noi due?”
“Piccola, io ti ho sempre considerata la mia ‘piccola’ amica, perché ho quasi il doppio della tua età; ma se mi tiri fuori il complesso di Edipo, devo farti presente che è attivo nelle due direzioni e a me con dispiacerebbe affatto, anzi amerei molto, fare l’amore con te: se pensi che questa vendetta sia più dolce, più cara e più bella, io ci sto: se poi si deve spaccare il mondo, facciamolo, ma per noi, non solo per colpa loro.”
Intanto, i due non avevano cessato i loro intensi preliminari, di cui ci davano notizia chiara con i dialoghi che intrecciavano mentre si avvicinavano alla copula, spogliandosi degli abiti lungo il percorso fino al letto: attivai il telefonino e registrai le loro effusioni con parole e suoni inequivocabili; mi dovetti fermare perché Giovanna mi aveva avvolto in un abbraccio di cui non ricordavo il simile, nonostante la mia non piccola esperienza amorosa; chiusi il telefono e ricambiai il bacio stratosferico che mi stava dando, recuperando la posizione e inondandole la bocca con la mia lingua e, soprattutto, col desiderio irrefrenabile che mi aveva scatenato la situazione.
Cominciammo freneticamente a spogliarci, mentre ci dirigevamo, baciandoci abbracciati e quasi barcollando, verso la camera, dove la spinsi delicatamente sulla coperta del letto e le sfilai insieme vestaglia ed intimo per precipitarmi a succhiarle il clitoride e pascermi degli umori che la vagina già grondava in abbondanza.
In un pomeriggio di autentico entusiasmo amoroso, scoprii che Giovanna era alquanto rozza nella conoscenza delle pratiche sessuali e mi vidi quasi costretto a spiegarle che ‘la missionaria’ era la posizione più comune e diffusa, l’unica consentita dalla chiesa; ma che per provare il piacere in tutte le sue sfaccettature era necessario che imparasse a praticare molte altre cose e in maniere molto diverse da quelle che lei conosceva: per quelle ore di assoluta libertà di cui potevamo godere, mi limitai a fare sesso in alcuni modi ‘elementari’, prendendola da dietro, facendomi cavalcare con grande entusiasmo di lei che toccava per la prima volta il piacere di masturbarsi mentre la penetravo alle spalle o di controllare tutta la copula stando seduta sul mio ventre e impalandosi in vagina volontariamente con i tempi e i modi che le aggradavano.
La avvertii che avremmo percorso, nelle prossime occasioni, tutto il repertorio degli affreschi pompeiani e del kamasutra vulgato; mi chiese se con questo intendevo iniziare una relazione adulterina con tutte le conseguenze; le feci osservare che una bellezza come la sua, se non veniva adorata in ogni sua espressione, era sprecata; e che io non sprecavo mai niente.
“Voglio amarti totalmente e infinitamente, anche se ti può sembrare una bestemmia: spacco non due ma cento matrimoni, se qualcuno si oppone. Piuttosto, dimmi se sei protetta o se devo stare attento.”
“No, non sono protetta e non devi neppure stare attento: mio marito eiacula normalmente nell’utero; se dovessero esserci conseguenze, niente di più facile che sia stato lui.”
Neanche a dirlo, fui felicissimo di godere dentro di lei e di scaricarle nell’utero l’eiaculazione più bella e più ricca che ricordassi, visto anche che con Nicolina ero costretto ad usare il preservativo per non inseminarla; quando crollai al suo fianco ero decisamente svuotato, ma felice come se avessi attraversato i gironi del paradiso dantesco; riprendemmo a baciarci con delicatezza, stavolta, come se gli orgasmi realizzati ci avessero dato un pace interiore che ci consentiva di goderci la vita serenamente; ci amammo ancora, con enorme intensità, quel pomeriggio; e solo quando vedemmo il cielo scurirsi decidemmo che fosse il caso di riprendere le nostre normalità; ci saremmo visti regolarmente la mattina seguente per andare insieme a scuola.
“Ti prego, non con la mano nella mano: non siamo più studenti delle medie, ma docenti.”
Scherzai con lei volentieri, mentre mi stringeva la mano dietro la porta; ci bloccammo perché sentimmo che si apriva anche la porta di casa mia: per una strana ironia della sorte, avevamo stabilito gli stessi tempi ed anche loro si salutavano; per evitare di incrociare sul pianerottolo il mio figlioccio, aspettai i rumori previsti (l’ascensore che saliva, la porta che si apriva, poi si richiudeva e il suono della partenza dell’elevatore; poi, infine, l’uscio di casa che si richiudeva); solo allora, baciai Giovanna un’ultima volta, ma evitando la passione che mi stimolava; spalancai la porta, la richiusi dietro le spalle ed aprii con la chiave l’uscio di casa.
Trovai Nicolina in bagno, seduta sul bidet, che si lavava dalla vulva le scorie della copula recente; mi diressi difilato alla camera e mi colpì il letto completamente sconvolto.
“Che diavolo è successo su questo letto che è così terremotato?”
“Ma che cerchi? Mi sono sdraiata un poco a riposare!”
“Tu ti riposi sempre su tutte e due le piazze del letto? Strano, non mi ricordo di averti mai visto terremotare da sola un letto: in due, forse; ma da sola … e queste macchie organiche che cosa sono? Oddio, è sperma … hai fatto sesso?”
“Ma cosa vai farneticando? Sono andata al centro commerciale con Elvira .. telefona a lei se vuoi … poi mi sono sdraiata un poco a riposare.”
“Hai comprato molte cose?”
“Nessuna!”
“Perfetto: la prova del nove; Nicolina che attraversa un Centro Commerciale con Elvira e non compra neanche uno spillo. Ne riparleremo, ma non oggi né qui; verranno il tempo e il luogo per la resa dei conti.”
“Va bene, ho capito, oggi sei storto perché la tua amante ti ha trattato male e ti rifai con me.”
“Sbagli, cara moglie, la mia nuova amante, nuova di zecca, e bella e giovane e appassionata e tutta da modellare, mi ha fatto toccare tutti i paradisi che conosco e mi h fatto desiderare di lasciarti alle tue copule stupide ed andarmene da questa prigione.”
“Ah, quindi avresti una nuova amante giovane, bella e da plasmare. Me la presenterai, un giorno, spero.”
“Certo! E ti assicuro che non sarà un bel momento per te!”
Smisi di stuzzicarla perché ormai avevo capito anche io che alle nozze dei ‘figliocci’ la storia era già in piedi: se aveva taciuto elegantemente per tanto tempo, non aveva certo motivo per confessare ora: non mi restava che ricambiare la cortesia, anche se mi costava perché non riuscivo ad essere sleale: e non confessare il mio amore per Giovanna mi rendeva automaticamente sleale; ma, parafrasando padre Dante, ‘esser scortese a lei fu cortesia’: l’aveva meritato, sicuramente.
Si aprì per me una nuova fase, nella quale mi attirava molto lo ‘svezzamento all’amore’ di Giovanna che aveva bisogno di conoscere e di praticare tutte le esperienze della sessualità, con mia enorme gioia, visto che colsi, alla fine, la sua verginità anale, della quale suo marito non si era mai occupato; che le insegnai le tecniche della fellatio e trovai un’allieva disponibile pronta e diligente, capace in poche tempo di diventare una piccola artista nel genere, che le feci scoprire il 69 e la spagnola, provocandole immense godurie e irrefrenabili voglie di sesso che ci portarono a godere per interi pomeriggi.
Contemporaneamente, mi solleticava molto l’idea di inseminare la mia giovane ‘correa’ che mi incitava comunque ad eiaculare in vagina, senza problemi, visto che il marito una volta alla settimana garantiva che, nel caso, avrebbe dovuto assumere la paternità; e questa possibilità, di godere liberamente del nostro amore, ci portava a viverlo con una straordinaria intensità, come fossimo continuamente adolescenti in tempesta ormonale che cercavano solo le occasioni per scaricare i testicoli pieni ma soprattutto per soddisfare l’enorme voglia di amore, di comunicazione, di conoscenza reciproca.
L’aspetto più divertente delle cose fu che, anche passando spesso tre o quattro pomeriggi a settimana, a fare l’amore fino allo sfinimento, il piacere maggiore lo trovavamo quando, il giorno delle visite al Centro Commerciale (di cui ormai Nicolina forse non ricordava neppure più l’ubicazione) i due si incontravano nella nostra camera da letto e copulavano anche loro come ragazzini, ignari che una webcam ben collocata li spiava e mi trasmetteva le scene delle loro performances che io e Giovanna commentavamo divertiti, osservandone la fresca ingenuità e la stupida ripetitività bigotta.
Che il quadro dovesse saltare, prima o poi, era quasi inevitabile: una situazione così al limite del paradosso non poteva certo essere eterna e qualcosa avrebbe, prima o poi, inceppato il meccanismo: tutto ebbe inizio a casa dei genitori di lui, i miei amici, che invitarono a pranzo i consuoceri, i figli e i padrini: dopo aver consumato un pasto decisamente luculliano, in perfetto stile meridionale, il padre di lui annunciò che Giovanna era in attesa di un erede: le congratulazioni, gli auguri, i complimenti e i plausi si sprecarono: tutti erano felici, tranne Nicolina che era cupa come un cielo da temporale e si limitò a borbottare tra i denti ‘Troia’; le chiesi cosa avesse; si limitò a rispondere.
“Quando torniamo a casa, andiamo dai figliocci; devo chiarire qualcosa.”
Non trovai niente da obiettare, guardai con una certa preoccupazione Giovanna che appariva radiosa nella sua gioia, cercai di scrutare Antonio che non comunicava niente, come al solito, e feci buon viso a cattivo gioco.
“Va bene, come vuoi tu, ma permettimi di osservare che non ti capisco … “
“Mi capirai … mi capirete .. mi capirà, soprattutto … ”
La giornata si chiuse in bellezza, all’imbrunire: i genitori di lui quasi si accapigliavano nella previsione del nascituro (femmina o maschio? Chi avrebbe avuto il’supporto per la vecchiaia, rifacendosi al costume che il nipote assumeva il nome del nonno?); i consuoceri si scioglievano d’amore per la loro bella figlia, comunque prossima madre, e i due giovani sembravano aver trovato lo smalto di tempi migliori, in presenza dei suoceri; io mia moglie affilavamo le armi, senza accorgercene e forse senza saperlo.
Arrivati a Casa, Nicolina non aprì neppure l’uscio di casa e si diresse a quello dei figliocci, ci obbligò a sederci intorno al tavolo del salotto e sparò diretto.
“Chi è il padre del bambino? Chi ti ha inseminato?”
“Mio marito: chi altro?”
“Non è possibile: lui è sterile!”
Capii che la situazione si faceva delicata, accesi il telefonino, mi sedetti accanto a mia moglie e le chiesi altrettanto brusco.
“Chi te lo ha detto?”
“Me lo ha detto lui!”
“Quando te lo ha detto? Sua moglie non ne sa niente, i suoi genitori non ne sanno niente, non lo sanno i suoceri e nemmeno io che sono il padrino. Come fai a sapere, solo tu, una notizia così personale e riservata? Dici che te l’ha detto lui? In quale occasione, in che posizione eravate? Perché doveva confessarti la sua sterilità? Chi è per te Antonio?”
L’incalzare delle domande quasi la soffocava; non trovava parole; sbottò Giovanna, che non ce la faceva più.
“Il padre è Enzo, perché quest’impotente che per copulare cerca le vecchie altrettanto impotenti non avrebbe né saputo né potuto farlo mai. Se credevi che foste voi a farci le corna, sappi che adesso c’è anche un figlio, mio non tuo, a dimostrare che io ed Enzo ci amiamo, anche se lui resta tuo marito e quest’inetto il mio. Qualcosa da obiettare?”
La botta era decisamente dura e toccava nervi scoperti assai dolorosi.
“Mia cara moglie: adesso sarebbe anche piacevole dirti che troie siete tu e la tua amica Elvira convinte di farmi cornuto senza colpo ferire, non certamente Giovanna che ha reagito all’umiliazione con una umiliazione simile e maggiore. Se vuoi, ti faccio assistere alla registrazione delle vostre copule nel nostro talamo e potrai sentire quante volte avete riso parlando del ‘cornuto’: adesso si vede chi sono i ‘cornuti’; dicevi che capiremo: abbiamo capito; siete voi che ancora non vi rendete conto di dove siete e di cosa rischiate. Prima ipotesi: tu vieni a vivere con Antonio, Giovanna viene a stare con me, divorziamo consensualmente e senza liti giudiziarie, poi ognuno sposa chi vuole. Seconda ipotesi: sollevi un grande polverone, fai uno scandalo: forse io e Giovanna veniamo trasferiti ma ti assicuro che l’amore nostro è vero, oserei dire vergine, e ci aiuterà a vivere insieme, alla fine, con un figlio che sarà mio a tutti gli effetti; per voi, non so pronosticare, ma Antonio dovrà rendere conto di molte cose, di una sterilità nascosta, di corna fatte e ricevute, del fallimento del matrimonio dopo pochi mesi; suo padre non è tenero: forse si rivolterà anche contro di me, ma capirà, perché anche lui notò la scena del banchetto, visto che la faceste grossa e fuori dal vaso; resta una terza ipotesi ma quella è meglio che la discutiamo a parte, più sereni.”
Giovanna è rimasta spiazzata.
“Amore, perché non ci prendiamo la nostra vita e li mandiamo al diavolo?”
“Perché, se scoppia uno scandalo e ci coinvolge, tu finisci ad Aosta ed io ad Orgosolo; poi ci vorranno lustri,per tornare ad insegnare nella stesa scuola; se scoppia uno scandalo, la città diventa troppo piccola per resistere all’assalto delle offese, delle maledizioni, delle cancellazioni; se si oppongono al divorzio stiamo qui per decenni a risolvere un problema insolubile; se dobbiamo ascoltare l’amore, dobbiamo sapere che può costare assai caro e tu aspetti un bambino, non lo dimenticare, aspetti nostro figlio.”
Nicolina si è calmata.
“Parlaci della terza ipotesi.”
“Tutto resta inalterato, almeno fino a che uno di noi non si stufa e abbandona il gioco: io sono tuo marito, ma amo Giovanna e sto con lei ogni momento che posso; Antonio è suo marito ma ama te e vuole stare con te il più possibile. Viviamo insieme ma separati dal pianerottolo: volendo, si può anche dormire con la persona amata: se si fanno con garbo, le cose funzionano; cene comuni, pranzi insieme, week end in quattro, anzi in 5, vacanze insieme e soprattutto col partner d’amore. Il figlio è di Antonio, giuridicamente, ma io lo tengo a battesimo e sono ‘lo zio Enzo’; poi si vedrà se fargli conoscere la verità. Niente cambia perché tutto cambi, se ci state; se no, ‘al mio segnale scatenate l’inferno’!”
I tre si guardano attentamente; Antonio accarezza il viso di sua moglie, si sposta verso Nicolina e la bacia appassionatamente sulla bocca; Giovanna si viene a mettere in braccio a me e mi bacia con amore infinito; la scelta è fatta.
“Ma a me, un figlio, chi me lo da?”
“Antonio non può; io sarei contento di avere anche un figlio legittimo, oltre a quello naturale che mi darà Giovanna; se vuoi, non c’è problema ad inseminarti, anche con tanto amore se vuoi.”
“Giovanna, posso approfittare un poco del tuo amore per farmi inseminare e pareggiare un poco i conti familiari con te?”
“Io ad Enzo chiedo solo amore, tanto amore; se ti da sesso utile ad inseminarti, sono perfino felice: il mio bambino sta già nel mio ventre; se ne avrai uno anche tu, li cresceremo insieme.”
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Categorie: Scambio di Coppia