Non ho fatto molti traslochi, nella mia vita; ma uno in particolare segnò abbastanza la mia esistenza, quando la mia famiglia si trasferì in una zona popolare, in un edificio occupato per la maggior parte da una famiglia di personaggi noti in città per le loro attività, più o meno illegali, molto intense ma che non consentivano più di un tenore di vita assai modesto, come del resto era per noi, sette persone (genitori e cinque figli) con il solo reddito di mio padre impiegato alle Poste.
Uno dei ragazzi del ‘clan’ di piccoli camorristi aveva la mia età: era completamente analfabeta, ma assolutamente geniale; amava ascoltare racconti d’avventura e, in breve, mi ‘sequestrò’ perché voleva che gli leggessi i libri che rubava in libreria per le copertine affascinanti di scene di pirateria o di luoghi esotici.
In compenso, mi garantiva sicurezza assoluta da tutti gli altri: nessuno avrebbe mai osato toccarmi sapendo che lui mi considerava l’amico del cuore, quasi un alter ego.
Quando mi iscrissi all’Università, cambiai casa, quartiere e giro di amicizie; Nicola sembrò sparire dal mio orizzonte di vita, anche se spesso ne avvertivo quasi il respiro, o almeno comunque una presenza protettiva ogni qualvolta mi trovavo ad affrontare difficoltà di qualunque natura; seppi che era cresciuto moltissimo nelle infinite attività di cui si era occupato e che aveva acquistato un potere enorme, fatto di attività speculative, di intrallazzi a tutti i livelli ed anche di comportamenti camorristici di cui non esitava a servirsi per raggiungere i suoi scopi.
Quasi tutti i giudizi, però, finivano per convergere nella considerazione che era una sorta di diavolo travestito da angelo perché era capace di enormi gesti di bontà e di buonsenso come di operazioni aggressive e spietate, specialmente quando si trovava a scontrarsi con gente della sua stessa risma, anche se mascherata dal doppio petto e dalla cravatta regimental.
Non lo vedevo da almeno due anni, quando mi trovai invischiato in una strana storia di amore e di sesso, con una ragazza che ancora stava completando il liceo, mentre io ero già al secondo anno di Legge.
Lidia era una ragazza assai dolce e delicata, che corteggiai con discrezione e dedizione per alcune settimane, prima che si decidesse ad uscire con me e, fermamente convinto della sua castità e della sua innocenza, mi limitai a passeggiate, a lunghi discorsi seduti sulle panchine e a qualche timido, delicato bacio quasi fanciullesco.
Una sera, per uno strano capriccio della sorte (o forse no) incrociai sotto casa Nicola, che scese da una macchina di gran lusso, elegantissimo in un abito di ottima fattura; mi salutò con affetto, come se ci fossimo separati solo la sera prima, e mi convinse ad andare con lui in un pub della zona ‘in’ della città, dove non sarei andato mai di mia volontà, per la netta idiosincrasia che avevo soprattutto per la fauna umana che popolava quei posti, una massa di presuntuosi arroganti figli di ricchi che sembravano dominare la città.
Mi pareva strano che Nicola scegliesse quella destinazione; ma ancora più strano mi risultò trovarmi di fronte, appena arrivati, allo spettacolo di Lidia che scherzava sguaiatamente con il corteggio dei ragazzi che tanto mi erano insopportabili e che si permettevano con lei libertà che io mai mi sarei sognato: tutti la baciavano sulla bocca, infilando la lingua, e le passavano le mani sul sedere, sulle tette, fra le cosce.
Nicola doveva già sapere perché mi costrinse a nascondermi quasi dietro una colonna dei portici da dove vidi chiaramente la mia idealizzata ‘Beatrice o Laura o Giulietta’ appartarsi in un angolo con uno dei ragazzi, infilargli una mano nei pantaloni e masturbarlo apertamente, mentre gli altri intorno li coprivano e ridevano sguaiatamente; la scena si ripeté anche con altri e più o meno tutte le ragazze in qualche modo limonarono con i compagni.
Il morale mi scese sotto i talloni e a stento trattenni le lacrime.
Quando mi feci avanti e Lidia mi vide, mi guardò con un sorriso ironico e disse ad alta voce.
“Un fallo è un fallo: c’è chi lo sa usare e chi rinuncia. Peggio per te!”
I ragazzi si misero a ridere ed io mi ritirai ancora più scornato.
Nicola era livido.
“Non dire niente e aspetta gli eventi.”
Mi limitai a tornare a casa, a testa bassa; non ebbi neanche la forza di maledire Nicola per avermi fatto scoprire l’evidente umiliazione o per ringraziarlo per avermi aperto in tempo gli occhi.
Nei giorni seguenti, registrati una certa animazione tra i ragazzi del ‘giro’, che avevo cominciato a frequentare, almeno per far capire a ‘lei’ che avevo scoperto tutto e che semplicemente mi faceva schifo, anche se era chiaro che non gliene fregava niente di me e del mio giudizio: il sabato mattina ricevetti un messaggio da Nicola che mi avvertiva di andare la sera, dopo le 19, in una certa villa di periferia: non capivo il perché, ma di lui sapevo che potevo fidarmi, andai e mi trovai in un salone con tutti i ragazzi della ‘comitiva’.
Mentre ci guardavamo l’un l’altro assolutamente ignari di quel che stava succedendo, fu aperta una porta e apparve un’altra sala, nella quale ragazzi decisamente belli e dal fisico notevolmente palestrato si muovevano ancheggiando a tempo di musica e provocavano le ragazze della comitiva a cui offrivano da fumare, … non sigarette, come era evidente dall’odore …, e bicchieri con intrugli armoniosamente coloranti; le ragazze si precipitarono a fraternizzare, accettando i ‘cannoni’ che venivano fatti girare e bevendo con evidente gusto insieme a loro, che le coccolavano e le accarezzavano, e in breve si lasciarono spogliare e cominciarono a copulare con chi capitava.
La rabbia dei ragazzi della comitiva era incontenibile e urlavano in tutti i modi per cercare di impedire lo scempio che si svolgeva sotto i loro occhi; ma le ragazze apparivano sempre più chiaramente in preda agli effetti di una qualche droga che le rendeva incapaci di controllarsi e gli atti a cui si lasciavano andare erano per lo meno ignobili; la porta dietro le nostre spalle era stata chiusa e dovemmo sopportare per quasi due ore le scandalose libertà a cui si abbandonavano donne stimolate da eccitanti sconosciuti.
Io non riuscivo a staccare gli occhi da Lidia e ben presto mi diventarono indifferenti le sue manovre per afferrare i falli più grossi che le giravano davanti e masturbarli con un gusto spaventoso (per me, naturalmente), per poi passare ad infilarseli nel corpo da tutte le posizioni, affrontando le penetrazioni più ardite, fino alla doppia vagina - retto più difficile e dolorosa per la stazza dei membri che la sfondavano.
Mentre tutti si chiedevano come si fosse arrivati a quella situazione, io ebbi un brivido di terrore quando mi resi conto che la tragica sceneggiata era stata studiata ed organizzata da Nicola che aveva voluto punire Lidia e il suo entourage per avermi umiliato pubblicamente: ancora una volta chi toccava il suo alter ego pagava cara l’offesa fatta non a me ma a lui personalmente, e subiva un’umiliazione assai più grave.
Neanche avrei potuto (e lo sapevo bene) rimproverare qualcosa a lui che sembrava applicare una sua personale ‘giustizia del taglione’ che non prevedeva né processi né tribunali, ma giudicava e condannava sulla base della sua convinzione; neanche potevo avvertire gli amici di Lidia, anche se temevo che qualche ulteriore reazione poteva esserci; l’unica scelta possibile, fu allontanarmi da loro e dimenticare Lidia e la mia illusione d’amore.
Quando lei mi sorrise sarcastica cercando di prendere in bocca un membro spaventosamente più grande delle sue fauci spalancate, mi limitai e sussurrarle.
“I falli sono falli: la dimensione e il numero non contano, finché ne riesci a prendere!”
La rividi un paio d’anni dopo, quando ero sul punto di laurearmi: l’incontrai all’ingresso dell’Università; mi salutò e avviò un chiacchierio banale che aveva chiaramente lo scopo di riprendere una storia che avevo già sepolto; mentre mi difendevo strenuamente dai suoi approcci, comparve, quasi evocato, Nicola in compagnia di un signore molto distinto che Lidia mi presentò come suo padre, noto avvocato; Nicola ne approfittò per chiedermi se, dopo la laurea e l’abilitazione, avrei accettato di seguire le sue attività ora affidate al papà di Lidia: la richiesta non mancò di turbare padre e figlia,
“Vi conoscete?”
“Lui è il mio angelo protettivo; è anche il vendicatore delle mie offese; ma questo non mi induce ad accettare le sue profferte: io sono fatto di una pasta diversa; ci vogliamo un mondo di bene, ma professionalmente io sono altra cosa.”
La sferzata fece male a tutti e tre, ma Lidia vi aggiunse anche il sospetto che una certa vicenda fosse stata orchestrata da Nicola, con o senza il mio accordo.”
Mi guardò in maniera molto significativa: mi sentii in dovere di spiegare, senza far capire ai due, che non avevo colpa di certe scelte ma che era meglio evitare di turbare il mio equilibrio, con un amico così possessivo; abbassò la testa e si allontanò con una scusa.
Di nuovo persi di vista Nicola, di cui sapevo comunque che era protagonista ancora più incisivamente di una macroscopica scalata ai vertici dell’economia del territorio dove molta parte delle attività produttive era sotto il suo controllo; sapevo anche che testardamente continuava a fare pressioni perché assumessi la competenza almeno di certe sue attività, ma avevo fatto sapere che non avevo nessuna intenzione di farmi usare per giustificare e coprire ad ogni costo le sue malefatte: al massimo potevo patrocinare iniziative che non avessero nessuna possibilità di essere confuse con le sue ardimentose imprese al limite della legge.
Me lo trovo di fronte, nel mio studio, una mattina che non ho molti impegni urgenti; saluta affettuosamente me e Martina, la mia segretaria che conosceva da piccola perché era nata nello stesso quartiere di cui i suoi avevano il dominio storico; anzi, prima ancora di sedersi, si spertica in un lungo elogio della ragazza che, dice, mi somiglia molto, visto che è riuscita e trarsi fuori da una realtà che fa condannare prima ancora di valutare; e lo ha fatto senza compromessi, affidandosi solo alla sua tenacia ed al lavoro onesto e serio; temo che voglia andare a parare da qualche parte, ma non oso fare domande.
“Ho sentito che ti sposi …!”
“Si, sabato sera, all’’Eldorado’, c’è la cena in cui lo comunicheremo in forma ufficiale …”
“Ah … forma ufficiale … Pochi invitati e soprattutto … scelti …!”
“Si, sai loro sono dei magnati ed hanno certe esigenze da rispettare … “
“Aspetta, Enzo … Tu li chiami magnati … ma forse perché si sono mangiati interi territori e intere popolazioni per arricchirsi?”
“Ma che dici? La loro ricchezza ha radici storiche … !”
“Si, anche geografiche, se è per questo … fondata sulla colonizzazione di certe aree disagiate, sulla schiavitù e sul massacro di certa manodopera impreparata e analfabeta …”
“Guarda da che pulpito …!!!!!”
“Avvocato, non ti allargare … Io sono un malfattore dichiarato e riconosciuto perché non rispetto le leggi, qualche volta. Ma quelli che comandano a chi le leggi le fa, chi le leggi se le fa ad uso e consumo, tu li chiami magnati?”
Martina si alza e accenna ad uscire: Nicola la ferma.
“Non andare via; non ti spaventare; io non litigo col mio amico, neanche quando mi fa venire voglia di spaccargli la faccia per le stupidaggini che spara.”
“Quali stupidaggini?”
“La prima è questa dei magnati: non esiste un capitale che non sia stato costruito sul sangue dei poveri; tu che rigetti tutta la mia attività per un principio secondo te morale, come fai ad imparentarti, senza amore oltretutto,con una famiglia di sporchi speculatori che hanno sulla coscienza interi rioni spianati per fare posto alle loro speculazioni? E, per di più, diventando il loro paravento legale, la copertura delle loro vergogne con un matrimonio tra la loro figlia, notoriamente spudorata, e una persona incorruttibile e veramente onesta? Sei per lo meno patetico, senti a me. Per di più, mentre a loro ti presti come paravento, a me neghi la collaborazione anche solo per quelle attività che hanno tutti i crismi della legalità e dell’onestà.”
Sono molto incazzato con lui; ma non posso dimenticare che aveva dimostrato di conoscere Lidia e i suoi amici assai meglio di me.
“Martina, mi vuoi sposare anche se sono il farabutto che dice il tuo avvocato?”
“Se fossi libera di scegliere, ti sposerei anche subito e credo anche che ti convincerei a diventare un poco più onesto. Ma il mio cuore non è libero …”
“Non ce la fai ad abbandonare il cattivo pensiero … non riesci a convincerti che non rientri nell’orizzonte delle sue ambizioni?”
“Ma tu a chi ti riferisci?”
“Al tuo principe azzurro che non ha neanche il cavallo per rapirti e farti felice. Anche se non mi vuoi sposare e non vuoi neanche fidanzarti con me, ci verresti a cena con me, una sera, io e te da soli? Ti prometto che sarò correttissimo e che non ti toccherò neanche per errore.”
“Perché vuoi portare a cena me, con tute le donne che ti puoi permettere e che farebbero carte false per essere esibite da te?”
“Perché tu sei perfetta per me, per noi, per quel momento. Dimmi di si e sabato sera, all’’Eldorado’ avremo un tavolo riservato solo per noi.”
“Mi sa che ti illudi! L’’Eldorado’ sabato sera è tutto requisito per noi!”
“Ma davvero? Quindi sposi anche il potere oltre al titolo e ai soldi?”
“Che significa!?!? Questo non è potere: tutti possono riservare un ristorante per una sera, pagando.”
“Già … pagando … anche moltissimo … Martina, ti va di andare insieme a sputare in faccia ai soldi e al potere?”
“Nicola, non mi mettere in difficoltà; sabato sera, in quella sala, l’abito più insignificante varrà il mio stipendio di un anno; io ho pochi stracci assolutamente inadatti a quel posto.”
“Piccola: mi verrebbe di chiamarti amore, con tutta l’innocenza del mondo, ma non posso; piccola, di’ al tuo avvocaticchio che io ho potere e soldi quanto basta per sconvolgere tutte le regole; per di più, quando vedo una regola, il primo istinto che mi viene è di calpestarla. Ti va di cenare con un uomo del tuo rione, che si è fatto come te con le sue forze, lottando col potere politico ed economico? Ti va di passare una serata con un amico devoto che ti ammira da sempre e vorrebbe vedere il tuo principe azzurro più sveglio e capace di leggerti dentro come dovrebbe?”
“E’ per questo che vuoi invitarmi a cena? Vuoi vincere uno scontro impossibile? Servirebbe a qualcosa?”
“Scommetti che il tuo principe ti viene a salvare a cavallo?”
“Enzo, guarda che Nicola mi provoca a fare qualcosa che potrebbe infastidirti …”
“No, non mi infastidisce se vai a cena con Nicola; io voglio bene a tutti e due; perché dovrebbe turbarmi?”
“Ma lui vuole venire all’’Eldorado’…”
“Non esiste; si illude …”
“Nicola, io non ho il vestito adatto …”
“Avvocato, autorizzi la signorina ad assentarsi per un paio d’ore?”
“Certo, se ha da fare, vada pure …”
“Martina: vai alla boutique di Carmen e affidati a lei …”
La ragazza esce e restiamo di fronte io e lui.
“Che diamine hai in mente?”
“Vorrei farti ragionare senza arrivare a sequestrare dodici persone, drogarne sei e scatenare un inferno di sesso e droga …”
“Lo sapevo che eri stato tu …”
“Sappi allora che sarò io anche questa volta. Non lo capisci che i Luciani vogliono il tuo matrimonio per avere un paravento alle loro porcate? Non lo sai che la figlia è la più libertina del giro dei giovani libertini della città? Non ti accorgi che già ridono di te e della credulità? Stai facendo un errore clamoroso! E adesso parliamo di affari. Vuoi prenderti cura dell’azienda agricola che ho acquistato l’altra settimana? E’ pulita; ci lavora gente per bene e non sarà usato un centesimo che non sia pulito e garantito. Puoi intestarla ad una persona pulita e gestirla per conto mio?”
“Intanto, per i Luciani, sono sicuro che parli per gelosia del loro potere e per desiderio di controllare ogni mia mossa. Per la tua azienda agricola, è illegale usare un prestanome per nascondere che sei il vero proprietario; ed io a questi trucchi non mi presto. Lo so che si fa, ma è ai limiti della legge; rivolgiti a qualcun altro.”
“Non potresti essere tu stesso a gestirla e garantirne la legittimità?”
“Non me la sento: io non faccio niente che non sia completamente in regola con la legge.”
“Se chiedessi a Martina, mi faresti ancora la guerra?”
“Dovrebbe essere lei a chiedermelo e non credo che lo farà …”
“Perché è innamorata di te fino a morirne e non farà mai niente che tu non approvi …”
“Che diavolo dici? Innamorata di me?????!!!!!”
“Si, cara la mia anima candida; il principe azzurro sei tu; e sabato sera la porterò a piangere sulla sconfitta dei suoi sogni. Non ti meravigliare se, sull’onda della frustrazione, deciderà di sposarmi. A quel punto, emigro e cambio vita.”
“Per lei?!?!?!?”
“Nooo…oooo; sono gay e lo faccio per te!!!! Te l’ho detto che vivi in un’altra galassia e non vedi il tavolo davanti a te. Ti saluto, caro; a sabato. Buona fortuna; ne hai bisogno!”
Mi lascia interdetto e pieno di interrogativi; per tutta la mattinata non riesco a combinare niente, anche perché l’assenza di Martina, in qualche modo, mi sconvolge persino il calendario, che lei conosce ed io dimentico puntualmente; ma soprattutto mi lacera il tarlo che veramente il matrimonio che sto preparando possa essere un alibi per i futuri suoceri per coprire certe malefatte di cui corrono le voci nei corridoi ma che, per i bene informati, sono assolutamente vere.
Passo la giornata peggiore degli ultimi mesi e, alla fine, chiudo tutto e vado a pranzo; quando torno, torna anche Martina e devo lustrarmi a lungo gli occhi, quando vedo la materializzazione dell’ideale di sublime di fronte a me, in un vestito per lo meno splendido che le sta da Dio e rende giustizia della sua immensa bellezza, sottolineata con forza dall’acconciatura e dal trucco perfetto; quasi giustificandosi, mi dice.
“Carmen ha detto che Nicola aveva ordinato l’abito da sera per sabato e questo per l’ufficio … E’ troppo?”
“No, è esattamente quello che meriti. Nicola, come sempre, sa guardare attentamente ed ha intuito quale rara bellezza tu sei; scusa se non me ne sono accorto prima; ma forse non mi sono accorto di tante altre cose.”
“Cosa vuoi dire?”
“Beh, per esempio che senza di te non so neanche quali appuntamenti ho ..”
“Scusa, sono scappata senza avvertirti degli appuntamenti ...”
“Non preoccuparti. Oggi è festa; non si lavora. Andiamo a prendere un aperitivo e parlami un poco di te …”
Arriva finalmente il sabato e nell’ufficio la fibrillazione si taglia col coltello: io sono teso per la serata che mi aspetta; Martina è sulle spine per la promessa di Nicola: tutti e due passiamo una giornata infernale con scatti d’ira insospettabili e per motivi ignobili, con una rabbia soffocata che ci uccide, lei perché non riesce a rassegnarsi all’idea del suo sogno che sta per sfumare, io perché ormai il dubbio è padrone assoluto del mio pensiero.
“Martina, credi che i discorsi di Nicola sui futuri suoceri siano fondati?”
“Io non mi permetto di giudicare; se proprio vuoi un mio piccolo parere, Nicola è un fuorilegge per certi aspetti ma è una persona straordinariamente limpida specialmente con gli amici: se ti ha parlato in un certo modo, sono certa che ha motivo per farlo; le voci di corridoio gli danno pienamente ragione; ma le voci non fanno testo.”
“Credi anche tu che sto sbagliando?”
“Io non mi permetto di credere e non sarei comunque affidabile, perché il mio giudizio non è distaccato né disinteressato …”
“Veramente sei innamorata di me?”
“Te lo ha spiegato Nicola? Per questo mi ha voluto bella stasera: spera che tu apra gli occhi anche con me? Non gli badare e non preoccuparti del mio cuore: il cardiologo ha detto che regge bene …”
La sala è arredata con un gusto vagamente barocco, che sfocia nel pacchiano: tutto in linea coi personaggi con cui mi devo confrontare; Norma non si vede: è andata in bagno e vi si trattiene moltissimo; è normale, secondo sua madre; ma a me comincia a destare qualche dubbio: da sposati, non mi piacerebbe aspettare a lungo davanti a un bagno chiuso i capricci di una moglie troppo preoccupata di sé.
Mentre ancora si cerca un’organizzazione dei posti, la porta di ingresso, che dovrebbe restare categoricamente chiusa, si apre per far passare Nicola in impeccabile smoking che da il braccio ad una donna che definire meravigliosa è limitativo: Martina è lo splendore personificato, bella da impazzire, armonica, perfetta nelle forme simmetriche del corpo, impeccabile nel trucco e nel portamento: pensare che sia la mia efficiente segretaria è una bestemmia; lei è la Bellezza, l’Amore, l’Armonia, tutto il bello del mondo.
Mi precipito ad abbracciarla e non riesco a stare zitto.
“Sei la cosa più bella che si posa immaginare!!!!”
“Vai a fare gli affari tuoi, ragazzo; questa venere è solo per me, stasera!”
Il mio futuro suocero è andato a lamentarsi col direttore di sala; da quel poco che posso sentire, si capisce che la proprietà non ha potuto fare niente alla richiesta del maggiore azionista, di avere in un angolo un tavolo per la sua serata in onore della sua promessa sposa: mi viene da sorridere; è sempre il solito Nicola.
Come dio vuole, anche Norma emerge dai bagni, ma ha il trucco stranamente sbavato e l’abito stropicciato; comincio a temere per gli sviluppi della serata: e se Nicola avesse detto la verità e Norma, come già Lidia, fosse andata ad esprimere le sue capacità amatorie nel bagno, con uno degli ospiti?
Ci sediamo al tavolo e, appena cominciato, le luci si abbassano di colpo, da una parete cala giù un telone e un proiettore nascosto avvia un video che riprende i bagni del ristorante; Nicola prende un microfono e parla come un avvocato in tribunale.
“Per serenità degli avvocati presenti e dei cultori della legalità, avverto preventivamente, come proprietario del locale, che le riprese sono frutto del sistema di sicurezza interno, obbligatorio per legge, per prevenire invasioni pericolose ma anche gesti sconsiderati frutto dell’incapacità degli ospiti di controllarsi, come è in questo caso. Chi avesse rimostranze da fare, le presenti nelle sedi apposite. Durante la proiezione, si prega di fare il massimo silenzio anche per favorire l’ascolto dell’audio, decisamente interessante.”
Il video ricomincia e nell’antibagno entra di colpo Norma, seguita da uno dei camerieri; la ragazza, senza neanche perdere assolutamente nemmeno un attimo, si fionda sul pantalone del maschio, lo apre e lo abbassa insieme alle mutande: emerge un fallo di una grossezza inusitata, che non impressiona la donzella che lo afferra a due a due mani e lo masturba con una sapienza che porta il sesso a diventare una trave d’acciaio.
E’ il maschio, a quel punto, che la prende per le ascelle, la abbraccia e la bacia voluttuosamente, mentre il sesso si struscia su di lei, contro l’abito elegante che presto viene sollevato per consentire alla verga di appoggiarsi fra le cosce nude, sotto lo slip e sopra le calze; Norma va in deliquio e comincia a sussurrare frasi sconnesse tra le quali si distingue nettamente ‘dentro … tutto dentro … sbrigati … il cornuto mi aspetta … mettilo dentro’: subito dopo, si distingue nettamente la penetrazione della mazza, spostando semplicemente lo slip, fin nel profondo della vagina: Norma sembra godere particolarmente per la spinta contro l’utero; e lo manifesta con urli e baci all’impazzata, quasi a voler prendersi tutto e subito.
La prima eiaculazione di lui nell’utero la vedono quasi tutti, perché scorre giù dalle cosce spalancate di lei che è rimasta in piedi per tutta la copula, appoggiando appena il sedere a un lavandino; subito dopo l’orgasmo, si abbassa sulle ginocchia e prende in bocca il membro barzotto: bastano pochi colpi di lingua per rianimare la bestia che si erge possente nella bocca.
“Mettilo nel culo, adesso!”
Il tono della voce è alto, quasi urlato; la ragazza si gira e si piega sul lavandino a 90 gradi; il ragazzo non fa altro che appoggiare la cappella e spingere: nonostante la dimensione enorme del membro, lo scivolamento nell’intestino, è immediato, semplice ed indolore, segno che quel tunnel è molto frequentato; il ragazzo si limita ad alcuni colpi nel retto slabbrato ed esplode col secondo orgasmo, stavolta nell’intestino della verginella promessa sposa.
Il silenzio in sala si può tagliare a fette; il disagio è inarrivabile e nessuno osa fare il minimo gesto o dire una sola parola; Nicola spegne con decisione il proiettore e riaccende le luci; io sto meditando su me stesso e sul mio ‘angelo protettore’ che mi pesa tanto, che mi dà tanto fastidio, ma che si rivela ogni volta mio autentico custode; l’unica persona con cui sento che potrei parlare adesso è lì, al suo tavolo, forse nella sua disponibilità: guardo Martina con gli occhi pieni di lacrime; fa una carezza sul viso di Nicola, si alza e viene dalla mia parte.
“Te la senti?”
“Di amarti? Sarei un vero imbecille, adesso, se mi tirassi ancora indietro. Il maledetto l’aveva pronosticato: adesso è il principe che ti viene a prendere a cavallo e ti porta via …”
“Dove andiamo?”
“Così vestita, posso portarti solo in un posto elegante; ma io non sono esperto …”
“Vai da Massimo e digli che ti manda Nicola. Martina, domani passo da te per l’azienda agricola …”
“Quale azienda?”
“Amore, te ne parlo io più tardi, a cena, solo per qualche minuto, perché ti voglio per tutta la serata …”
“E stanotte mi lasci ancora da sola?”
“Vuoi anticipare la nostra luna di miele?”
“E’ già cominciata, se non te ne sei accorto. Io ti amo da troppo tempo per aspettare ancora. Devo proprio svegliarti: ha ragione Antonio …”
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