Era questa la parola che continuavo a sentirmi ripetere da mio figlio.
Credevo che il pompino che gli avevo fatto in auto, di ritorno da una serata a casa di amici, avrebbe aperto le porte ad una relazione di sesso intensa e continuativa, fra di noi. E invece no.
L’avevo fatto godere, mi era esploso in gola. Mi ero lasciata riempire la bocca e avevo ingoiato il suo sperma sentendo che quel liquido aspro e vischioso che mi era finito nello stomaco aveva creato con lui un’unione folle e profondissima. E mentre me ne stavo ancora col suo cazzo in bocca e sentivo la sua mano accarezzare i miei capelli lunghi e biondi, avevo pensato che ormai saremmo diventati una coppia a tutti gli effetti.
Ma dopo quella notte, la razionalità aveva prevalso in lui. All’inizio non capivo, ma quando, approfittando del fatto che mio marito era ancora all’estero per lavoro, avevo provato ad infilarmi nel suo letto mentre stava per addormentarsi, mi allontanò parlandomi molto chiaramente: “mamma, smettila! Cazzo, non voglio mettere le corna al papà!”.
Dunque era questo. Nonostante i suoi sedici anni di età, mio figlio Tiziano, per tutti Titty, sapeva essere molto più saggio di me. Il metro e settanta di donna che era sua madre, dal fisico perfetto e dagli occhi verdi che tanti uomini avevano saputo sedurre, nulla poteva contro la barriera impenetrabile che lui aveva alzato.
Dopo quell’ultimo e definitivo rifiuto passai diversi giorni in preda a mille pensieri contraddittori. Provai a comportarmi come lui, a lasciar prevalere la razionalità, e cercai in tutti i modi di autoconvincermi che quello che avevamo fatto era stata una follia.
Aveva ragione. Non avrei mai dovuto masturbarlo al cinema. E ancora meno avrei dovuto fargli un pompino in macchina. Nella nostra società e per la nostra cultura, una madre quarantenne e un figlio sedicenne non avrebbero mai potuto avere una relazione.
Passavo le giornate pensando a questo, ma ogni volta che me lo vedevo girare per casa sentivo un brivido pazzesco nascermi in mezzo alle gambe e attraversarmi tutto il corpo.
Eravamo a maggio e il caldo che si cominciava a sentire lo portava a vestirsi sempre più leggero. E ogni centimetro di tessuto in meno che lui si metteva addosso era per me una nuova e difficilissima prova. Vedere il suo corpo ormai maturo, il suo metro e settanta di muscoli sempre tonici, i suoi capelli folti, di un colore castano chiaro, che teneva abbastanza lunghi e disordinati, e le sue mani, che trasmettevano un senso di forza, tipico della sua età, mi facevano girare la testa.
Mi bastava vederlo e i miei pensieri si abbandonavano immediatamente all’immagine del suo cazzo, lungo e durissimo, anche se sicuramente meno largo di quello di suo padre. Mi sembrava di sentirlo ancora in bocca, e mi trovavo a muovere istintivamente la lingua come se ce l’avessi ancora dentro. E poi il profumo della sua pelle, il suo respiro affannoso mentre glielo succhiavo, la sua voce che aveva preceduto di un secondo la sua esplosione, e quel sapore, il sapore del suo sperma che mi riempiva la bocca e che mi scivolava in gola, facendomi sentire tutta piena di lui. Erano questi i pensieri che mi devastavano il cervello ogni volta che lo vedevo, e che mandavano in frantumi le ore passate ad autoconvincermi che tra me e mio figlio non ci sarebbe stato più nulla.
Sapevo che non lo faceva apposta, ma il suo modo di fare e di essere era per me una continua provocazione.
Per diversi giorni lottai con queste emozioni contrastanti, e la prima volta che crollai fu quando mi si presentò in cucina a torso nudo, vestito solo con un paio di pantaloni corti, chiedendomi se avevo visto la sua maglietta del Brescia.
Gli risposi, e quando uscì di casa, cedetti definitivamente all’istinto. Presi uno dei vibratori giganti con cui ogni tanto passavo il mio tempo, andai in camera sua e mi tuffai nel suo letto, lasciandomi immergere nel suo odore, e mi masturbai come una pazza. Non so quanto tempo passai con quell’arnese gigante nel mio corpo, immaginando che fosse il cazzo di mio figlio. Me lo misi ovunque, e mi fermai solo dopo aver raggiunto il terzo orgasmo.
Fu in quel momento, mentre crollavo esausta sul suo cuscino e mi abbandonavo all’immagine del suo corpo, che giurai a me stessa di non arrendermi. Presi la mia decisione e capii che non sarei tornata indietro. Ci avrei provato ancora, e in qualche modo sarei riuscita a far sesso con mio figlio.
Sconvolta da questa nuova consapevolezza, affrontai i giorni seguenti in modo molto diverso da quelli che li avevano preceduti. Avevo definitivamente abbandonato ogni dubbio, ogni remora, e passai il tempo a pensare a come fare per portarmelo a letto.
Iniziai a girare per casa vestita in modo sempre più provocante. D’altra parte, il caldo estivo che si stava affacciando lo sentiva lui e lo sentivo anch’io. E come lui accorciava i suoi vestiti, io accorciavo i miei.
Divenne un’abitudine quella di farmi trovare in casa, al suo rientro da scuola, indossando scarpe con tacco a spillo, alle quali sapevo che non era indifferente, e gonne sempre più corte che mettevano in evidenza le mie gambe perfette e, soprattutto, il mio culo, che sapevo essere un richiamo irresistibile per moltissimi uomini. Avevo anche smesso di mettermi le mutande, in modo tale che lui potesse vedermi la fica quando mi sedevo sul divano tenendo sempre, chissà perché, le gambe aperte.
Ma anche queste provocazioni finirono nel nulla. Il Titty sembrava costantemente immerso nei suoi pensieri, nei quali non c’era spazio per sua madre. Mi evitava, lo capivo perfettamente, così come perfettamente capivo che non mi sarei arresa.
Cominciai a entrare in bagno senza preavviso, quando sapevo che lui era dentro, e più di una volta lo trovai in piedi davanti al water col cazzo in mano mentre stava pisciando; un’immagine che accendeva le mie fantasie come poche altre. Ma ogni volta lui mi gridava di andarmene e di lasciarlo in pace.
Non mi arresi, come avevo giurato a me stessa, e approfittai del ritorno di suo padre dall’ennesimo viaggio d’affari per passare ad un livello di provocazione ancora più alto.
Già la prima sera, quando andammo a letto, dopo una cena in cui mi ero presentata in minigonna e tacco dodici, mi feci trovare da mio marito particolarmente calda e pronta a soddisfarlo.
“Cazzo, Eva”, mi disse subito dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, “vestita così sei veramente eccitante…”.
“Beh, tesoro, sei stato via talmente a lungo che non ci sto più dentro…”.
“Non mi ricordavo di avere una moglie così figa…”.
Gli risposi d’istinto: “e devi stare attento quando sei all’estero. Prima o poi qualcuno che mi soddisfa al posto tuo lo trovo…”. Detto questo gli lasciai dare sfogo a tutti i suoi istinti.
E quando, pochi minuti dopo, mi trovai alla pecorina, completamente nuda, con mio marito che mi scopava da dietro, ansimando come una bestia, cominciai a fare la cosa a cui avevo pensato negli ultimi giorni.
Assecondando la sua eccitazione, mi misi a urlare sapendo perfettamente che la camera di nostro figlio era dall’altra parte del muro, e che lui avrebbe sentito tutto: “oddio… siiii… Carlo… siii… dai, scopami… scopami così… aaaahhhh… aaaahhh… aaaahhh…”.
Sentii le sue mani sui miei fianchi farsi d’acciaio, prendendomi in una morsa fortissima, si fermò un istante e mi disse: “ssshhhtt… ma che fai? Sei pazza? Così il Titty ci sente…”.
Non lo ascoltai nemmeno e continuai a urlare esattamente come prima: “e chi se ne frega!!! Dai, scopami… scopami, Carlo… scopami…”.
Ricominciò a muoversi, sconvolto dalla mia passione, ma mi sussurrò ancora: “ssshhhttt… abbassa il volume che ti sente…”.
Gli diedi retta alcuni minuti, senza dirgli che stavo urlando proprio per farmi sentire da lui e poi, per mandarlo completamente fuori di testa e fargli perdere il controllo, gli dissi: “dai, Carlo… sbattimelo nel culo…”.
“Oddio, siii… Eva, siii… cazzo, mi piaci un casino quando sei così porca…”.
“Bravo… dimmelo che sono una porca…”.
Me lo disse mentre sentivo il suo cazzo uscirmi dalla fica e le sue mani spostarsi sulle chiappe, che prese ad allargare con forza.
“Cazzo, tesoro… sei una porca pazzesca…”. Accompagnò le parole sputandomi sull’ano, che sentii immediatamente bagnato dalla sua saliva.
“Dai, Carlo… inculami…”.
“Oddio, Eva… siii…”.
Sentii la sua cappella appoggiarsi sul mio buchino, mentre il dolore che sempre accompagna la prima fase della penetrazione anale cominciava a farsi sentire, arrivando da lontano.
Gli sussurrai: “dai… prendimi…”.
Si mise a spingere, e quando sentii il suo cazzo entrarmi nel culo, ricominciai a urlare a squarciagola: “siii… oddio, Carlo… siii… dai, sfondami il culo!!! sfondami il culo!!! aaahhh… aaaahhh… aaaahhhh…”.
Non cercò di farmi abbassare la voce. Era troppo infoiato. Era sempre così quando mi lasciavo inculare da lui; andava completamente fuori di testa e non si accorgeva più di nulla.
E anche questa volta, mentre mi entrava nel culo in profondità e cominciava a muoversi con forza dentro e fuori, non si accorse che stavo urlando come una pazza nel tentativo di eccitare mio figlio, che stava sicuramente sentendo tutto e che, altrettanto sicuramente, se ne stava sdraiato a letto, con l’orecchio incollato al muro e con il cazzo in mano.
Continuai a gridare: “siii… dai… rompimi il culo… rompimi il culo…”, e intanto pensavo: “godi, Titty… dai, masturbati sognando la tua mamma… immagina di essere tu a sfondarmi il culo… godi, amore… godi…”.
E mentre pensavo questo, mi misi a godere io. Venni travolta da un orgasmo devastante e urlai tutto il mio piacere nella speranza che potesse essere accompagnato da quello di mio figlio. Immaginai che stesse venendo insieme a me, e mi abbandonai sul letto ormai completamente priva di forze, lasciando che mio marito continuasse a penetrarmi nell’ano.
Passai una notte agitata, e quando il mattino seguente incontrai il Titty in corridoio, lo accolsi con un sorriso malizioso, e cercai nei suoi occhi una luce che potesse mandarmi qualche segnale, ma anche questa volta, nulla.
Niente. Non c’era niente da fare. Mio figlio aveva deciso di non lasciarmi entrare nel suo mondo, e nulla sembrava scalfire la sicurezza che stava accompagnando quella decisione.
I giorni si susseguirono uno all’altro, uno uguale all’altro.
Eravamo arrivati a metà giugno e la scuola era finita, così come stavano finendo le mie speranze.
Tutto cambiò con la telefonata della Betty, una mia amica il cui figlio, Giulio, era in classe col Titty.
“Porto Giulio una settimana al mare, a Rimini”, mi disse. E mi propose: “ti va di venire anche tu col Titty?”.
Cazzo, pensai, questa è l’occasione finale.
“Certo che mi va!”, le risposi entusiasta.
Organizzammo tutto velocemente, prenotammo due camere in un piccolo albergo in centro a Rimini e due settimane dopo, ai primi di luglio, eravamo tutti e quattro in macchina diretti al mare.
L’albergo era modesto ma pulito e dignitoso. Un tre stelle che sembrava essere stato ricavato dalla ristrutturazione di un vecchio condominio in viale Carducci, una perpendicolare di viale Regina Elena, a pochi passi dal lungomare.
Facemmo velocemente il check-in, accompagnati dai sorrisi della signora Franca, una donna di una cinquantina d’anni, probabilmente passati tutti all’interno di quell’hotel.
E quando entrammo in camera, sapevo già cosa ci aspettava.
“Ma, cazzo…”, fu il commento di mio figlio. “C’è solo un lettone! Non c’era una camera con due letti separati?”.
Cercai di cancellare il sorriso che mi si stava disegnando sulle labbra, e non gli dissi quanto avevo insistito quando avevo telefonato per prenotare. “Mi raccomando, non sbagliate! Una camera con letti separati per la mia amica e una col letto matrimoniale per me”.
Quella in cui stavamo entrando era una camera abbastanza spaziosa, arredata in modo piuttosto classico e molto ben illuminata dalla luce che entrava dalla grande finestra che attraversava tutta la parete che stava di fronte all’ingresso.
Sul lato sinistro dominava un grande armadio, molto comodo per tutti i vestiti che c’eravamo portati, mentre al centro, appoggiato alla parete di destra, dominava un bel letto matrimoniale in legno, non modernissimo, ma perfetto per quello che avrei voluto fare.
C’era anche un piccolo tavolo rotondo con due poltroncine, che cercavano di dare a quello spazio un tono di maggiore accoglienza.
La porta del bagno era a sinistra, subito dopo l’armadio. Ci entrai per vedere com’era e rimasi soddisfatta. Immaginai immediatamente quello che avrei potuto fare con mio figlio in quel grande box doccia, spazioso tanto da poter accogliere due persone contemporaneamente.
“Beh”, commentai, “non è modernissima ma è grande e pulita”.
“Si”, mi rispose lui mentre appoggiava lo zaino sul letto, “ma, ripeto, c’è un solo letto. Non c’era una stanza con due letti?”.
“Mah, al telefono avevo chiesto apposta di avere una camera con letti separati. Si vede che non ne avevano”.
“Cazzo, potevano dirtelo!”.
“Vado giù a chiedere”, gli dissi fingendomi convinta. Uscii e mi chiusi la porta alle spalle.
Scesi in reception e gironzolai un po'. Lasciai passare cinque minuti e poi tornai in camera.
“Allora?”, mi chiese lui impaziente.
“Niente. Mi ha detto che sono pieni e che c’era solo questa. Dai, non è un problema così grosso”. E così dicendo presi a disfare la valigia mostrandomi più calma possibile, mentre il fuoco che avevo dentro cominciava già a divorarmi.
Quando finimmo di sistemarci era quasi ora di cena.
Avevamo appuntamento con la Betty e con il Giulio alle sette e mezza in reception.
Quando arrivammo, loro erano già li che ci stavano aspettando.
Lei era sicuramente una bella donna. Mora, occhi scuri, non particolarmente alta, ma con una luce negli occhi sempre accesa e con un carattere tanto esplosivo da renderla attraente, nonostante l’altezza. Non credo arrivasse al metro e settanta, e forse neanche al metro e sessantacinque, ma era molto ben proporzionata.
Suo figlio Giulio non aveva neanche una briciola della sensualità del Titty. Tanto ben fisicato era uno, quanto magrolino e apparentemente privo di forze l’altro. Se il Titty poteva essere scambiato per uno sportivo quasi professionista, il Giulio dava al massimo la sensazione di poter essere un buon giocatore di briscola.
Era poco più basso di mio figlio, aveva gli stessi occhi scuri di sua madre ma era biondo come me, e portava i capelli tagliati piuttosto corti.
Ad accoglierci fu la voce della Betty: “eccovi qui. Allora, siete pronti per la cena?”.
Ce lo chiese con un tono tanto allegro da essere contagioso. E con lo stesso tono allegro le risposi: “pronti!”.
Andammo a mangiare in una trattoria li vicina e passammo la serata scherzando sul fatto che i nostri figli avrebbero sicuramente fatto stragi di cuori e che, dal giorno successivo, sarebbe iniziata per loro una settimana di fuoco.
Negammo loro la possibilità di andare in discoteca già quella sera, sostenendo che eravamo stanchi per il viaggio e che una bella dormita sarebbe servita a tutti.
Fu così che non più tardi delle undici mi ritrovai sotto il leggero lenzuolo che mi faceva da coperta. Col caldo che c’era non avevo certo bisogno d’altro. Avevo indossato una camicia da notte nera, corta, leggera e con alcuni inserti in pizzo che la rendevano delicatamente sensuale.
“Dai, Titty”, gli gridai mentre ancora se ne stava chiuso in bagno. “Vieni a letto che è tardi”.
Cazzo, non ci stavo più dentro. Era da due settimane che pensavo a quel momento. Finalmente mi sarei ritrovata a letto con mio figlio, lontana centinaia di chilometri da casa.
Avevo una voglia pazzesca del suo corpo. Non facevo altro che pensare al suo cazzo, lungo e duro, al suo sapore, al suo sperma…
“Arrivo, arrivo…”, la sua voce interruppe i miei pensieri e mi riportò alla realtà. Ed era una realtà umida. Cazzo, avevo un lago in mezzo alle gambe. Mi sentivo davvero una cagna in calore.
Lo vidi uscire dal bagno. Era bellissimo. Si era cambiato li dentro, per non farsi vedere da me, ma il pigiama blu scuro che indossava dava al suo corpo una linea tonica che sprizzava gioventù, energia e sensualità.
Si infilò sotto il lenzuolo, alla mia sinistra, borbottò un veloce “buona notte”, e spense la luce.
Trovarmi improvvisamente al buio, a letto con lui, mi colse improvvisamente impreparata.
Un pensiero mi attraversò il cervello: “e adesso che faccio?”.
Lui si era voltato dall’altra parte e mi stava dando la schiena, manifestandomi la chiara intenzione di non voler avere contatti con me. Rimasi almeno una decina di minuti ferma immobile, cercando di mantenere la calma, mentre la mia fica pulsava come non mai.
Sentivo il suo respiro farsi sempre più profondo e regolare, e fu solo quando capii che si era addormentato che mi diedi una mossa.
Avevo ormai deciso di tentare il tutto per tutto e mi tuffai nella follia che avevo pensato in quei minuti.
Mi voltai verso di lui e mossi lentamente la mano destra sul suo fianco, che presi ad accarezzare dolcemente. Sentivo il cuore battere all’impazzata e credetti che mi sarebbe saltato fuori dal petto. Sfiorare il suo corpo mi diede un brivido pazzesco e capii che la razionalità mi stava abbandonando definitivamente.
Mi lasciai andare all’istinto, allungai la mano oltre la linea del suo fianco e la lasciai cadere sulla sua pancia, che presi ad accarezzare lentamente.
“Mmmmhhh…”, si mosse un po', ma continuò a dormire.
Andai avanti a toccarlo ancora alcuni istinti, e poi salii sul suo petto. Sentire il tono muscoloso del suo corpo mi provocò un fremito talmente intenso che pensai potesse essere un orgasmo. Capii che stavo per andare oltre. Gli infilai la mano sotto la maglietta del pigiama, e mi lasciai inebriare dal contatto con la sua pelle calda e liscia.
Ero abituata a fare sesso con uomini maturi, dal petto villoso, mentre sentire il petto glabro di mio figlio mi mandò fuori di testa. Presi ad accarezzargli dolcemente i capezzoli, mentre con la mano sinistra, che mi ero infilata sotto la camicia da notte, cominciai a toccarmi il seno.
Andai avanti a lungo a sfiorare i suoi capezzoli con una mano, e i miei con l’altra, lasciandomi invadere da una straordinaria sensazione di unione fisica. Avrei potuto continuare per ore, ma il suo movimento fermò il mio.
Non si svegliò, ma si lasciò rotolare dolcemente verso di me venne a trovarsi al mio fianco, sdraiato nel letto a pancia in su. Fermai un istante la mia mano, terrorizzata dall’idea che si potesse svegliare e che potesse interrompere quel contatto che tanto avevo desiderato nelle ultime settimane.
Aspettai alcuni secondi e poi abbassai il lenzuolo, che finì arrotolato in fondo al letto. Avevo bisogno di guardare mio figlio in tutta la sua interezza, e lasciai che il mio sguardo scivolasse lascivo su di lui.
Filtrava una luce appena accennata. Era il regalo di un paio di lampioni che si trovano proprio all’altezza della nostra finestra. E fu grazie a quella luce che potei notare la meraviglia che il Titty aveva in mezzo alle gambe. Non ci potevo credere, ma sebbene fosse ancora nelle braccia di Morfeo, le mie carezze gli avevano generato un’erezione straordinaria.
Potevo vedere il gonfiore che i pantaloni del pigiama non riuscivano a nascondere e sentii il brivido che avevo in mezzo alle gambe partire e attraversarmi tutto il corpo.
Non avrei mai potuto resistere al cazzo di mio figlio.
Allungai la mano destra, che avevo abbandonato sul suo petto, scesi lentamente sulla sua pancia, e gliela infilai lentamente, ma con decisione, sotto l’elastico dei pantaloni.
Quando la mia mano sentì sotto di sé quel cazzo lungo, caldo e duro come l’acciaio, venni travolta dalle mille emozioni che mi stavano devastando la mente.
Glielo accarezzai dolcemente, cercando di non svegliarlo, e rimasi così diversi minuti, continuando a sfiorargli il cazzo, mentre la mano sinistra mi si era spostata istintivamente dal seno alla fica. Mi masturbai lentamente, senza mai smettere di toccargli il cazzo.
E poi si mosse. Ebbe un leggero fremito e sussurrò: “mmmmhhh… siiii…”.
Mi paralizzai alcuni istanti, e quando sentii il suo respiro tornare profondo e regolare, capii che si era riaddormentato.
Il suo mugolio mi diede coraggio, e fu allora che decisi di andare oltre. Mi alzai leggermente e presi con entrambe le mani l’elastico dei suoi pantaloni, che gli abbassai lentamente, fino a portarglieli alle caviglie.
Vedendo il suo cazzo svettare libero, in tutta la sua lunghezza, rimasi ipnotizzata. Per lunghi istanti non riuscii a staccare gli occhi dal membro di mio figlio, che continuai ad accarezzare piano, sfiorandolo appena.
Poi lo guardai in viso, e vedendo che stava ancora dormendo, mi chinai su di lui e cominciai a baciargli il cazzo. Gli diedi mille piccoli e leggeri baci, che distribuii su tutta la sua lunghezza, dalla cappella fino alle palle, e poi di nuovo su, per tornare alla cappella.
Ero completamente in tranche. Il suo odore mi entrava dentro, mi riempiva il corpo e mi annebbiava i pensieri. Non sarei mai riuscita a staccarmi dalla sua pelle calda e dura, che continuavo a sbaciucchiare come una ragazzina innamorata.
Gli baciai il cazzo a lungo e poi, non potendo resistere oltre, tirai fuori la lingua e presi a leccarglielo. Non so quante volte feci con la lingua il percorso che avevo già fatto con le labbra. Continuavo ad andare avanti e indietro, e quando arrivavo alle palle, mi perdevo nella morbidezza della sua pelle, che leccavo lasciandomi andare alle sconvolgenti emozioni che solo il cazzo di mio figlio sapeva darmi.
Mi faceva impazzire sentire la mia saliva sulla sua pelle, il mio sapore che si mischiava al suo e diventava qualcosa di unico, di mio e di suo contemporaneamente.
E mentre gli stavo leccando piano la cappella sentii di nuovo il suo mugolio: “mmmhhh…”, che ancora una volta mi spinse ad andare oltre. Gli presi la base del cazzo con la mia mano destra e, premendo leggermente verso il basso, lo spinsi a stare piatto, adagiato sulla pancia. Poi misi la testa sul suo ventre, appoggiando l’orecchio sinistro all’altezza del suo ombelico. In questo modo mi trovai con le labbra a non più di un centimetro dalla sua cappella, che restai a guardare imbambolata.
Rimasi alcuni istanti in quella posizione, e poi cedetti definitivamente ai miei istinti. Chiusi gli occhi, aprii le labbra e presi finalmente in bocca la sua cappella. La sentivo calda e pulsante, dentro di me, mentre con la lingua cominciai a leccarla piano, dolcemente.
Restai a lungo così, tenendomi in bocca la punta del cazzo di mio figlio, mentre con la mano destra gli accarezzavo delicatamente le palle.
Ero sconvolta ed eccitata come non mai. Il lago che avevo nelle gambe era ormai diventato un oceano di umori caldi e vischiosi che non riuscivo più a trattenere e che mi stavano inzuppando le mutande.
Il cazzo di mio figlio era la cosa più bella che avessi mai tenuto in bocca.
E mentre me ne stavo abbandonata in quella posizione, continuando a leccargli la cappella, sentii un suo movimento che mi fece impazzire. Si allungò lentamente dentro di me, cominciando a fare un movimento pelvico verso l’alto, appena accennato.
Mi penetrò piano, e quando arrivai con le labbra quasi alla base del suo cazzo, sentii la sua voce in un sussurro: “mmmhhh… siiii… mmmhhh…”.
Non lo potevo vedere, ma avevo chiarissima la sensazione che si stesse svegliando. Forse era in quella fase di dormiveglia in cui non ci si rende conto se le emozioni che si stanno vivendo sono realtà o fantasia. Oppure era già sveglio da un pezzo e si stava lasciando andare al piacere che sua madre gli stava dando.
Ma a questi pensieri non dedicai più di un secondo, e continuai a succhiargli il cazzo senza voltarmi, mentre le carezze che gli davo sulle palle si stavano facendo sempre più intense.
Andammo avanti così alcuni lunghissimi istanti. Poi il suo movimento, avanti e indietro, divenne più veloce. Rimasi completamente immobile, con la bocca aperta, mentre lui prese a penetrarmi in profondità, con forza. Non ero più io che gli stavo facendo un pompino. Era lui che mi stava letteralmente scopando in bocca.
Il suo sussurro rese evidente il fatto che si era svegliato completamente: “mmmhhh… oddio, mamma… cazzo, siii…”.
La sua consapevolezza mi diede un piacere pazzesco.
Non gli risposi. Non mi sarei mai tolta il suo cazzo dalla bocca. Lasciai che mi penetrasse in continuazione e rimasi ferma, come paralizzata, con gli occhi chiusi e la bocca spalancata.
La sua voce mi attraversò il corpo: “siii… mamma… siii… cosììì… oddio, mi piace un casino… mamma…”.
Avrei voluto gridargli quanto piaceva a me, sentire il suo cazzo in gola, ma non lo feci, e mi limitai a stringergli un po' più forte le palle.
“Mmmhhhh… mamma… così mi fai godere… dai, succhiamelo… oddio, mamma… succhiami il cazzo… siii…”. Le sue parole erano un afrodisiaco irresistibile e mi spinsero ad essere ancora più porca. Glielo leccai ovunque, misi la lingua su ogni centimetro del suo fantastico membro, e poi cominciai ad accompagnare i suoi movimenti con quelli della mia mano, con la quale presi a masturbarlo dapprima lentamente, e poi con sempre maggiore intensità.
Il piacere che gli regalai con la lingua e con la mano gli fece perdere definitivamente il controllo. Mi raggiunse la sua voce appena accennata: “cazzo, mamma, siiii… oddio, mamma, che troia che sei… che troia…”.
Andai avanti a masturbarlo e a tenermi il suo cazzo in gola ancora alcuni minuti, fino a quando capii che non sarebbe durato a lungo. Sentii la sua mano tenermi la testa come in una morsa d’acciaio, e poi il suo sussurro divenne un urlo straziato: “siii… mamma… siii… dai che vengo… succhialo… mamma… siii… cazzo… ti vengo dentro… cazzo, siii… vengo mamma… aaahhh… aaaaahhhh… aaaahhhh…”.
Mi esplose in bocca. Il primo schizzo di sperma mi andò dritto in gola, e poi mi riempì completamente col suo liquido caldo e vischioso, nel quale mi sembrò di affogare. Cercai di non deglutire. Volevo tenermi tutto il suo sperma in bocca, e così rimasi a lungo, anche dopo che quello straordinario fremito che aveva sconvolto il suo corpo, ed anche il mio, lo abbandonò.
Lo sentii rilassarsi e sprofondare nel cuscino, mentre il sapore intenso del suo sperma si impadroniva di tutti i miei sensi.
La presa della sua mano divenne una carezza leggera. Cominciò a sfiorarmi delicatamente i capelli, mentre io non ne volevo sapere di togliermi il suo cazzo dalla bocca.
Rimasi così a lungo, fino a quando deglutii e lasciai che tutto il suo liquido mi scendesse in gola e nello stomaco, facendomi sentire unita a lui come non mai.
Mi abbandonai a quel piacere pazzesco e giurai a me stessa che non avrei lasciato passare un giorno senza fare almeno un pompino a mio figlio.
Non permisi al suo cazzo di uscirmi dalla mia bocca e me lo tenni dentro, leccandolo dolcemente. Mi abbandonai a quel morbido piacere, mentre con la mano avevo ricominciato ad accarezzargli le palle.
La voce del Titty era un suono lontano: “oddio, mamma… mi fai morire…”.
Furono le ultime parole che sentii. Non ricordo di essermelo tolta dalla bocca, e credo che mi addormentai così, con il cazzo di mio figlio in gola.
Quando riaprii gli occhi era giorno.
La luce filtrava con forza dalla finestra. Qualcuno aveva leggermente spostato le tende.
Cercai di riprendere contatto con la realtà e mi accorsi di essere a letto da sola. Ci misi alcuni istanti per capire che in bagno stava scorrendo l’acqua della doccia. Mi alzai e feci per entrare, ma il Titty aveva chiuso la porta a chiave.
Mi arresi e mi rimisi a letto.
Passai cinque minuti a chiedermi quale sarebbe stata la sua reazione, e la risposta ai miei dubbi arrivò insieme a lui, che uscì dal bagno indossando un accappatoio nero.
Mi guardò dritta negli occhi e mi disse la frase che, probabilmente, si era preparato a memoria: “mamma, facciamo finta che non sia successo niente! Ok?”.
Balbettai: “va bene…”. Ma più che alle parole il mio cervello stava prestando attenzione al viso di mio figlio. Cazzo, con i capelli bagnati mi sembrava ancora più figo. Fosse stato per me, mi sarei inginocchiata davanti a lui e gli avrei fatto un altro pompino. Così, in mezzo alla camera. Ma avevo capito che non era il momento e assecondai la sua richiesta.
Scendemmo a fare la colazione, dove ci trovammo con la Betty e con il Giulio. Erano felici e continuavano a parlare, mentre a me le parole si spegnevano in gola. Non riuscivo a dire niente. Li guardavo e sentivo ancora in bocca il sapore dello sperma del Titty. Era una sensazione sconvolgente che avrei voluto non finisse mai. E invece dovetti abbandonarmi alla colazione e lasciare che il sapore del caffè e delle brioche si sostituisse a quello molto più intenso del nettare di mio figlio.
Passammo tutto il giorno con la Betty e con il Giulio. Io più con la Betty e lui più con il Giulio, in una normale e spensierata giornata al mare di due madri con i loro figli adolescenti.
Loro non facevano altro che guardare le ragazze che passavano, la mia amica guardava i loro padri, mentre io, che avevo occhi solo per il Titty, attraversai la giornata a contare i minuti che mancavano al momento in cui mi sarei trovata di nuovo a letto con lui.
Ebbi modo di parlare a lungo con la Betty, che mi raccontò delle sue preoccupazioni dovute al fatto che il figlio non aveva ancora una fidanzata ed era ben lontano dal poter avere la sua prima esperienza sessuale.
“E il Titty?”, mi chiese a un certo punto, mentre sdraiate in spiaggia ci lasciavamo baciare dal sole. “E’ già stato con qualche donna?”.
“Guarda”, avrei voluto risponderle, “io giusto ieri sera gli ho fatto un pompino…”, ma mi trattenni e le dissi altro. Le raccontai di come l’anno prima, in campeggio, avesse conosciuto una ragazza di Roma con la quale aveva fatto l’amore diverse volte. Poi, da allora, non mi risultava che altre donne fossero passate dal suo letto.
La Betty era veramente preoccupata per le capacità amatoriali di suo figlio. Fui sul punto di proporle di fare con lui quello che io avevo fatto al Titty, ma lasciai perdere perché pensai che non fosse pronta, e la abbandonai alle sue angosce.
L’idea di come passare la serata mi venne nel tardo pomeriggio.
Presi da parte mio figlio e gli chiesi: “tesoro, ma stasera cosa vuoi fare?”.
“Mah”, mi rispose con un tono di perplessità nella voce, “il Giulio vuole andare in discoteca…”.
“E tu?”.
“Boh, non so…”.
Gli feci la proposta a cui avevo pensato: “senti… abbiamo passato tutto il giorno con loro, così come con loro passeremo anche i prossimi giorni. Perché stasera non stiamo un po' da soli io e te?”.
Mi guardò pensieroso, ma il lampo che per una frazione di secondo illuminò il suo sguardo entrò nel mio e vi restò a lungo, accendendomi gli ormoni e mandandomi un fremito in mezzo alle gambe.
Si prese ancora un secondo e poi mi chiese: “mamma… che cosa hai in mente?”.
Sorrisi, e il mio sorriso era tutto un programma. “Ma niente… cosa vuoi che abbia in mente? Stavo solo pensando che potrei dire alla Betty che sei un po' stanco e che stasera non vuoi uscire. E poi ce ne andiamo di nascosto io e te a fare un giro”.
Non ci misi molto a convincerlo. Piano piano anche le sue difese stavano cedendo.
“Va bene…”, mi disse dopo qualche secondo, e la sua risposta mandò a fuoco i miei ormoni impazziti.
Cenammo in hotel, tutti insieme, e fu li che comunicai la triste notizia. Il Titty era un po' stanco e saremmo andati a letto presto. Resistetti alle insistenze della Betty, secondo cui a Rimini in estate era obbligo uscire la sera. Si trovò di fronte un muro insormontabile, e si arrese. Avremmo passato insieme la serata successiva.
Tornammo in camera e mi chiusi in bagno, dove rimasi almeno un’ora per preparami. Volevo essere splendida, per mio figlio. E quando uscii, l’espressione imbambolata del suo volto mi confermò che avevo fatto centro.
“Mamma… ma come cazzo ti sei vestita?”.
“Perché? Non ti piaccio?”.
Mi riempii del suo sguardo, che sentii sul mio corpo come una carezza straordinariamente erotica, e pensai che avrei avuto un orgasmo quando si fermò a lungo a guardarmi i piedi e le gambe, prima di riuscire a rialzare gli occhi.
Stavo indossando una minigonna di pelle nera, veramente mini e veramente da troia. Il mio culo non poteva essere esaltato meglio, così come le gambe, che erano rese ancora più slanciate da un paio di sandali neri col tacco a spillo, aperti davanti e chiusi sulla caviglia da un laccetto piuttosto largo e straordinariamente sensuale.
Una camicia rosso fuoco, abbastanza aperta sul seno e gli orecchini ad anello grande, che sapevo piacergli tantissimo, completavano il mio look. Ero tutta per lui, ma vedendomi camminare per strada chiunque avrebbe pensato che fossi una donna per tutti, a pagamento.
E mentre lui mi guardava, io non vedevo l’ora che il colore rosso del mio rossetto si potesse sciogliere sul suo cazzo, che sapevo essere, in quel momento, un palo durissimo.
“Allora”, gli ripetei con il chiaro intento di provocarlo, “ti piaccio o no?”.
Si prese un po' di tempo, ma alla fine riuscì a balbettare: “sei bellissima…”.
“Oh, bene!”. Gli diedi un leggero bacio sulla guancia destra e gli dissi: “anche tu sei splendido”.
Lo presi sotto braccio e scendemmo in strada.
Non gli dissi che in quanto a look, avrebbe potuto sforzarsi un po' di più. Un ragazzino bello come lui poteva andare oltre ai jeans, alle scarpe da ginnastica e alla t-shirt nera, ma a me piaceva anche così.
“Dove andiamo?”, mi chiese.
Gli risposi con un tono di allegria che avrebbe potuto contagiare il mondo intero: “ovvio. Siamo a Rimini in estate… andiamo in discoteca!”.
“In discoteca?”.
“Perché, non ti va?”.
Era evidentemente perplesso: “ma no… cioè, si… è che… non so. Voglio dire… andare in discoteca con la mamma…”.
Mi finsi offesa: “beh? Cosa vuoi dire? Che non ho l’età per andare in discoteca?”.
“No… no…”.
“E poi guarda che chi ci vede, pensa che io sia la tua ragazza…”.
“Dai… mamma…”.
Decisi io: “vieni. Prendiamo il taxi”.
“Perché il taxi?”.
“Perché così posso bere…”.
Me lo trascinai quasi di peso dentro il primo taxi libero, mentre le sue parole mi raggiungevano sussurrate: “dai, mamma…”.
La nostra meta era una discoteca che si chiamava “Nautilus”.
Avevo visto il sito web prima di andare a cena, e mi era piaciuta.
All’ingresso non fecero storie, e quando fummo dentro gli dissi: “hai visto? Nessuno si è stupito per la nostra differenza di età. Te l’ho detto. Dimostro almeno vent’anni di meno!”.
Si mise a ridere e mi accompagnò al bar.
Ordinai una birra per lui e un Cuba Libre per me, e mentre ce ne stavamo entrambi con un gomito appoggiato al bancone del bar e con l’altro più sollevato, visto che era quello che doveva sostenere il bicchiere, mi presi un attimo di tempo per guardarmi in giro.
Era da parecchio che non entravo in una discoteca, e quella che stavo guardando non era molto diversa da come me le ricordavo. La pista da ballo era molto grande e circolare, e una serie di colonne in finto marmo la separavamo da un ampio corridoio che le girava tutto intorno. C’erano una serie di tavolini circondati da poltroncine dozzinali, al di la del corridoio, e i ragazzi che cominciavano a riempire il locale facevano a gara a sedersi qua e la. C’era anche un piano superiore, che faceva lo stesso giro del corridoio del piano terra, senza avere la pista da ballo al centro. Era tutto una balconata, e da sopra si poteva guardare giù e condividere con lo sguardo i balli di quelli che stavano di sotto.
C’era già parecchia gente. Nonostante non fosse ancora mezzanotte, diverse centinaia di ragazzi avevano ormai preso possesso di ogni spazio.
La musica era piuttosto “classica”, nel senso che non era né un revival di anni passati, né musica techno, troppo moderna per me.
L’avrei definita “ballabile”, anche se il volume assordante che ci stava martellando dentro era poco adatta ad una donna della mia età. Resistetti alla tentazione di andare dal DJ gridandogli “abbassa!!!”, e rimasi a guardarmi intorno, con mio figlio in parte a me, facendo finta di sentirmi perfettamente a mio agio.
Aspettai ancora qualche minuto, e poi mi lanciai: “dai, Titty, andiamo a ballare!”.
La sua risposta mi fece capire che dovevo alzare il volume. Mi rispose gridando: “cosa???”.
Mi avvicinai al suo orecchio destro e gli gridai: “andiamo a ballare!!!”.
La sua resistenza fu troppo tiepida. Il suo timido e urlato: “ma, mamma…”, non era sufficientemente convincente. Lo portai in mezzo alla pista, e lasciai che il mio corpo si muovesse senza controllo cercando di mantenere un qualche legame apparente con il ritmo della musica che le casse sparse ovunque stavano sparando sempre più forte.
Ballammo a lungo e godetti tantissimo nel sentirmi addosso gli sguardi eccitati di parecchi ragazzi dell’età di mio figlio, che mi guardavano con la bava alla bocca.
“Beh” pensai, “inizierò ad essere una vecchietta, ma qui potrei farmi scopare da almeno un centinaio di ragazzini…”.
Ma il ragazzino che volevo era solo uno.
Trovammo il tempo per farci un altro Cuba Libre io e un’altra birra lui, e poi tornammo in mezzo alla pista. Mi sentivo su di giri. Più di una volta la “mano morta” di qualcuno provò a sfiorarmi, ma nessuno era in grado di distrarmi. Avevo un solo obiettivo, un solo sogno da realizzare.
Godevo quando coglievo il suo sguardo cadermi nella scollatura, sulle gambe o sui piedi. E ogni tanto lasciavo che i miei pensieri si perdessero nel piacere che provavo fissando mio figlio in mezzo alle gambe, immaginando il suo cazzo duro. Mi bagnavo come una cagna in calore pensando a quanto sarebbe stato bello sentirlo dentro di me, e impazzivo ripensando al sapore del suo sperma, che mi sembrava di sentire ancora invadermi la bocca.
I bassi che le casse ci stavano sparando addosso cominciarono a farmi avvertire il peso della stanchezza, e fu allora che capii che era giunto il momento.
Senza mai smettere di ballare al ritmo di quella folle musica frastornante, mi avvicinai all’orecchio sinistro del Titty e gli gridai: “mi piace un casino ballare con te!!!”.
Il suo sorriso fu un raggio di sole nel buio. Si avvicinò a sua volta al mio orecchio sinistro e ci strillò dentro: “anche a me!!!”.
Non persi un attimo e gli urlai di nuovo: “c’è un’altra cosa che vorrei fare con te…”.
“Cosa???”.
Gli regalai un sorriso malizioso, e mentre mi sembrò che il mondo intorno a noi fosse improvvisamente scomparso, gli misi la mano sinistra intorno al collo e lo avvicinai a me. Portai le mie labbra a un centimetro dal suo orecchio sinistro e gli gridai: “scoparti!!!”.
Non saprei descrivere il suo sguardo. Una luce stralunata si impossessò dei suoi occhi. Si fece improvvisamente serio e, a fatica, riuscì a balbettare: “cosa???”.
Non gli risposi ma lo presi per mano e me lo tirai dietro con forza. Mi seguì come un cagnolino, e quando fummo nel corridoio che circondava la pista da ballo, si avvicinò di nuovo a me e mi urlò: “mamma… ma dove stiamo andando???”.
Gridai senza più freni: “andiamo in bagno!!!”.
“Ma cosa andiamo a fare???”.
Il mio urlo si perse nel suo orecchio sinistro: “andiamo a scopare!!!”.
Non sentii più la sua voce. L’avevo completamente tramortito.
Non ebbi la minima esitazione. Due Cuba Libre e mesi di ormoni impazziti avevano ormai cancellato i miei freni.
Puntai dritta ai bagni degli uomini. Scelsi quelli perché mi aveva sempre fatto impazzire entrare in quel luogo proibito, fatto di cazzi che pisciano e di odori forti che solo gli uomini ti sanno dare.
Il Titty mi seguiva ormai totalmente arrendevole. Aveva evidentemente accettato il fatto che stava per scoparsi sua madre, ed anche gli ultimi residui di razionalità erano capitolati di fronte all’irresistibile attrazione del sesso.
Aprii la porta del bagno degli uomini senza il minimo tentennamento ed entrai con passo deciso, incurante degli sguardi di una decina di ragazzi non molto più grandi di mio figlio, che mentre pisciavano contro il muro, o si lavavano le mani, videro una quarantenne bionda in minigonna e tacchi alti, portarsi dietro un ragazzino sconvolto, entrare nel primo bagno libero e chiudersi dentro.
I loro sguardi, che da stupiti si erano fatti immediatamente arrapati, mi rimasero dentro per alcuni secondi. Li immaginai con le orecchie appicciate alla porta, nel tentativo di sentire e di godere dei suoni del sesso che stava per riempire quello spazio.
Mi presi un attimo per guardare dove eravamo. Il bagno nel quale ci eravamo chiusi, era uno spazio non particolarmente grande ma sufficiente per accoglierci entrambi. Ebbi la lucidità di abbassare la tavoletta del water, rendermi conto che era pulita e ordinare al ragazzino che mi ero portata appresso, e che mi stava guardando con gli occhi fuori dalle orbite: “siediti!”.
Ubbidì in silenzio, e quando rimasi in piedi davanti a lui, guardandolo dall’alto in basso, mi stupii ancora una volta nel notare quanto fosse sexy mio figlio.
Gli alzai la t-shirt e gliela sfilai dall’alto, con un gesto secco e deciso, e restai imbambolata a guardare il suo fisico, il suo torso nudo, sudato e muscoloso.
Fu la sua voce a risvegliarmi: “mamma… ma cosa vuoi fare?”.
Ebbi un ultimo pensiero razionale: “chissà se quelli che stanno ascoltando qui fuori hanno sentito che è mio figlio…”.
Poi non capii più nulla. Non gli risposi e mi inginocchiai davanti a lui, in mezzo alle sue gambe.
Gliele feci divaricare, e restando sempre in silenzio, gli sbottonai i pantaloni. Glieli abbassai alle caviglie, insieme alle mutande, e rimasi ancora una volta paralizzata nel vedere il suo cazzo, così lungo e duro, svettare verso l’alto, in un’erezione che mi dimostrava, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, quanto fosse eccitato all’idea di fare sesso con sua madre.
La musica che si sentiva distintamente, sebbene molto più ovattata rispetto a prima, accompagnò quel momento pazzesco.
Gli misi la mano sinistra sulla pancia, e con la destra gli impugnai il cazzo.
“Titty”, gli dissi lasciando che le mie parole lo raggiungessero, seguendo quel folle percorso che andava dal basso verso l’alto, “il tuo cazzo mi fa impazzire…”.
Mi rispose in un sussurro: “oddio… mamma…”.
“Amore… dillo… dillo che vuoi mettermelo in bocca…”.
“Oddio, mamma… siii…”.
“Dillo che vuoi che ti faccia un pompino…”.
“Oh, siii… mamma… siii… dai, fammi un pompino…”.
Non esitai nemmeno un secondo di più. Mi chinai su di lui e mi lasciai penetrare dal suo fantastico cazzo.
Glielo avvolsi con le labbra e gli arrivai fino alle palle, lasciando che mi entrasse in gola. Avrei voluto che non terminasse mai. E poi mi tirai un po' su e cominciai a muovermi su di lui, avanti e indietro, lasciando che la mia lingua si impossessasse della sua cappella.
Ci misi tutta me stessa, in quel pompino, mentre la sua voce mi devastava l’anima: “mmmmhhh… cazzo, mamma… oddio, siii… leccamelo… leccamelo mamma…”.
Mi sembrava di impazzire. E quando mi sentii pronta, me lo tolsi dalla bocca e mi alzai.
Rimasi alcuni secondi in piedi davanti a lui, con gli occhi persi nei suoi. Ci guardammo intensamente e ci dicemmo tutto quello che non ci eravamo detti in quegli anni. Le nostre fantasie, i nostri istinti, che avevamo entrambi represso. E come era giusto che fosse, ero stata io, sua madre, a rompere quell’equilibrio e a svelare la verità che conoscevamo perfettamente entrambi.
Tolsi la minigonna e restai in mutande. Avevo indossato un tanga nero, e lasciai che lo sguardo di mio figlio si perdesse in mezzo alle mie gambe, trasmettendomi un desiderio pazzesco.
E poi, in silenzio, mi tolsi anche quello, e rimasi in piedi davanti a lui, con le gambe larghe e con il pelo biondo della mia fica che gli riempiva gli occhi.
Lo guardi impugnarsi istintivamente il cazzo con la mano destra per masturbarsi lentamente, mentre con entrambe le mani mi allargavo leggermente le grandi labbra. Quasi non mi resi conto delle parole che gli sussurrai: “ti piace la mia fica?”.
“Oddio, mamma… siii…”.
“La vuoi?”.
Fece fatica a soffiare: “siii…”.
“Dimmelo, amore… dimmi che mi vuoi scopare…”.
“Siii… mamma… siii…”.
“Dillo…”.
“Oddio, mamma… ti voglio scopare… siii… ti voglio scopare, mamma…”.
Fu in quel momento che mi mossi. Gli misi la mano sinistra sulla spalla, e con la destra gli impugnai il cazzo, che tenni dritto e che mi puntai sulla fica, mentre mi lasciavo cadere su di lui.
Lo sentii entrarmi dentro e mi parve di morire.
Mi penetrò con tutta la forza dei suoi sedici anni e mi abbandonai su di lui.
Soffiammo entrambi: “siii…”.
Gli misi anche la mano destra sulla spalla e cominciai a muovermi su e giù, prendendo un ritmo sempre più veloce e profondo, mentre le sue mani si attaccarono al mio culo, che prese a palparmi con forza, accompagnando il mio movimento.
Lasciai che la mia lingua gli entrasse nell’orecchio sinistro e gli sussurrai: “dai, Titty… dai… scopami…”.
E mentre il suo cazzo durissimo mi riempiva la fica e mi devastava l’anima, il suo sussurro si impossessò di me: “siii… mamma…”.
Non controllai più le mie parole e le lasciai andare: “siii… amore… dai… scopami… scopa la mamma… scopa la mamma…”.
La sua voce seguiva la mia e vi si fondeva insieme: “oddio, mamma… siii…”.
Mi accorsi che avevo ricominciato a urlare, e che i ragazzi fuori stavano sentendo tutto, ma non riuscii a fermarmi: “aaahhh… siii… amore mio… siii… dai, sfondami…”.
“Cazzo… mamma… siii… aaaahhh… aaaahhh…”.
“Dai… dillo… dillo che ti piace scopare la mamma…”.
“Siiii… aaaahhhh… aaaahhh…”.
Mi attaccai al suo orecchio sinistro e riuscii a smettere di gridare, mentre le sue mani mi stringevano il culo come una morsa d’acciaio: “dimmelo che ti piace la fica della mamma…”.
“Oddio, mamma… hai una fica stupenda… mi piace un casino…”.
Il mio soffio si stava trasformando in una preghiera: “amore… non lasciarmi… non lasciarmi mai più senza il tuo cazzo…”.
“No… mamma… non ti lascio più…”.
“Mi scoperai tutti i giorni???”.
“Siii… mamma… ti scoperò tutte le volte che vorrai…”.
Mi lasciai andare di nuovo e ricomincia a urlare: “oddio, amore… dai… scopami… scopami…”.
“Siii… mamma… aaaahhh… aaaahhh…”.
Lo sentivo fremere, e avevo una voglia pazzesca che mi sborrasse dentro. Mi attaccai di nuovo al suo orecchio e gli dissi dolcemente: “vieni, amore mio… vienimi dentro… dai… riempimi di sperma… dai… riempi la mamma, Titty… riempi la mamma…”.
Sentii il suo fremito diventare tempesta, e il suo sussurro trasformarsi in urlo devastante: “cazzo, mamma… cazzo, vengo… siii… mamma… siii… ti vengo dentro… ti riempio tutta… aaaahhhh… aaaahhh… aaaahhh…”.
Decine di uomini avevano goduto dentro di me, ma quando sentii mio figlio esplodere nella mia fica e il suo sperma uscirgli dal cazzo per schizzarmi dappertutto, credetti di svenire. L’intensità del suo orgasmo mi travolse e mi devastò nel corpo e nella mente. Non so quanto durò quella sensazione di totale abbandono, ma per un momento pensai che non sarebbe mai finita.
Volevo urlare ma non ne ebbi le forze. Sentii che tutte le mie energie erano state improvvisamente assorbite dall’orgasmo che mio figlio stava facendo scoppiare dentro il mio corpo, e mi parve di essere risucchiata come in un buco nero.
Non mi accorsi di quando finì, perché mentre il suo urlo stava ancora riempiendo lo spazio angusto in cui ci trovavamo, sentii una scossa elettrica fortissima partirmi dalla fica e attraversarmi in una frazione di secondo tutto il corpo. Mi sembrò di essere stata colpita da un fulmine e mi lasciai vibrare sul cazzo che avevo dentro, coprendolo di un liquido caldo e vischioso che non potei trattenere e che imbrattò completamente la pancia e le cosce di mio figlio.
Persi i sensi. Sono sicura che persi i sensi, e non so quanto tempo passò, prima che la sua voce si fece largo nel buio che si era impadronito del mio cervello: “oddio… mamma…”.
Mi accorsi che gli ero crollata addosso. Sentivo solo i nostri respiri affannosi che si univano in un suono ritmico e ipnotico. Mi stava ancora palpando il culo, con forza, ricordandomi che ormai era suo. Gli stavo in braccio e le mie mani gli erano cadute sulla schiena. Credetti di non farcela, ma alla fine riuscii a rimettergliele sulle spalle e a tirarmi un po' su.
La fioca luce che i miei occhi incontrarono quando li riaprii mi sembrò più forte di cento riflettori. Poi mi ricordai che eravamo nel bagno degli uomini di una discoteca, a Rimini. Era luglio, eravamo in vacanza, ed il ragazzo sul quale stavo seduta, che aveva ancora il suo cazzo duro nella mia fica, era mio figlio.
Il suo sperma mi aveva riempita tutta, ed ora gli stava colando addosso, insieme alla cascata di umori che era uscita dal mio corpo. Non avevo mai squirtato in vita mia e non avrei saputo dire se quel liquido che ci stava unendo in una calda sensazione di piacere, fosse squirting. Ma di certo mi stavo rendendo conto che ero appena sopravvissuta all’orgasmo più intenso della mia vita.
Non ero ancora pronta per cedere completamente alla razionalità. Misi la mano destra dietro la nuca del Titty, lo attirai a me e gli sbattei la lingua in bocca.
Quando sentii la sua lingua entrarmi dentro, cercare la mia e ballare con lei, scambiandosi un mondo di sensazioni proibite e sconvolgenti, pensai che non mi sarei più separata da lui. Mi abbandonai alle sue labbra, alla sua lingua e alla sua saliva, e restammo uniti a lungo. Ogni tanto un pensiero mi sfiorava e mi diceva che stavo limonando con mio figlio, mentre il suo cazzo era ancora duro dentro di me.
Ci misi diversi minuti per accettare il fatto che prima o poi ci saremmo dovuti staccare. E quando lo feci mi allontanai solo di qualche centimetro dalla sua bocca e sprofondai i miei occhi verdi nei suoi marroni.
“Amore”, gli dissi sottovoce, “mi piace tantissimo fare l’amore con te…”.
Lo vidi sorridere, e con il suo sorriso mi disse che aveva ormai ceduto anche lui a ciò che non sarebbe dovuto essere. Le sue furono le parole più dolci che mi disse un uomo: “sei una donna stupenda… mi fai impazzire. Mamma…”.
“Si?”.
“Sei una figa pazzesca…”.
Non resistetti oltre e mi fiondai di nuovo nella sua bocca.
Ci baciammo a lungo, come due ragazzini innamorati, mentre continuavo a tenermi il suo cazzo nella fica. Bagnato lui, come ero bagnata io.
Fu solo dopo il millesimo bacio che gli sussurrai: “amore… andiamo…”.
Mi alzai e mi persi in ogni centimetro di quel lungo cazzo che vidi riemergere dal mio corpo.
Ci rivestimmo piano, in silenzio, e quando uscimmo dal bagno non mi accorsi nemmeno di tutti i ragazzi che si erano accalcati intorno alla porta. Non sentii quello che ci dissero. Capii vagamente che qualcuno stava dicendo: “mamma…”, ma non ci feci caso. Strinsi forte la mano di mio figlio e me lo portai dietro.
Cinque minuti dopo eravamo seduti sul sedile posteriore di un taxi, io a sinistra e lui a destra, e mentre le luci della notte ci scorrevano a fianco, mi abbandonai alla sua bocca e mi ci persi dentro. Durante il viaggio non facemmo altro che limonare, incuranti degli sguardi arrapati che il taxista ci lanciava attraverso lo specchietto. Vedere una donna quarantenne che si lasciava sbattere la lingua in bocca da un ragazzino doveva essere veramente uno spettacolo elettrizzante. Probabilmente pensò che quei baci gli fossero costati cari, perché io dovevo sicuramente essere una prostituta.
Questi pensieri ebbero l’effetto di accendermi ancora di più, mentre il contatto intenso e profondo con la lingua di mio figlio mi mandò in estasi. Sentii la sua mano destra accarezzarmi la coscia sinistra e risalirmi fin sotto la gonna. Aprii istintivamente le gambe, per il piacere suo e di quello del taxista. Lasciai che mi infilasse la mano sotto il tanga e che mi toccasse la fica.
Mi sussurrò dritto in gola: “cazzo, mamma… sei fradicia…”.
Non so come fece il taxista a non finire fuori strada, quando sentì che quel ragazzino si rivolgeva alla puttana chiamandola “mamma”. Ma non avevo ancora finito questo pensiero che quella fantastica lingua era tornata a penetrarmi fino in gola.
Arrivammo in albergo troppo presto. Avrei voluto godere sulla sua mano, li nel taxi.
E quando arrivammo in camera crollammo abbracciati sul letto.
Non ci spogliammo nemmeno e ci addormentammo insieme, uniti dal delirio di un’esperienza che avrebbe cambiato per sempre la nostra vita.
Uniti dalla follia del sesso.
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Aggiunto: 4 anni fa
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