Il mio matrimonio con Carla dura ormai da dieci anni con vicende alterne ma complessivamente non insoddisfacenti.
Molti problemi sono sorti nel corso degli anni per il carattere piuttosto capriccioso di mia moglie, favorita in questo da un certo lassismo dei genitori che stravedono per questa figlia unica e le concedono molto al di là del lecito; ma anche per un certo permissivismo mio che, innamorato cotto, non ho mai saputo dire di no alle sue pretese di autonomia, di autorità, di prepotenza.
E’ cominciato con l’interruzione degli studi quando era vicina alla laurea; non c’è stato verso di spiegarle che il diploma, anche appeso in cornice o conservato in un cassetto, è comunque una garanzia, in caso di necessità.
Convinta invece che gli studi sono quella cosa ‘con la quale o senza la quale si rimane tale e quale’ e che l’esperienza è più maestra di qualunque studio, si è ritirata irrevocabilmente e, quando ha cercato un’occupazione decente e ha dovuto riconoscere che il diplomino sarebbe stato utile, ha saputo solo mandare al diavolo il mondo e rinunciare anche a cercarsi un lavoro alternativo, per non schiavizzarsi alla casa e al ruolo di massaia.
Una struttura particolare dell’utero le impedisce la riproduzione e, quindi, neppure al ruolo di mamma ha potuto legarsi con un qualche esito; per molti mesi si è scaricata sbraitando nei cortei femministi e impegnandosi negli incontri di autocoscienza da cui esce sempre più confusa ma determinata soprattutto ad aggredire.
Siamo costretti, suo padre ed io, a mettere in campo tutte le conoscenze e le possibilità per farle ottenere un lavoro non indecoroso, a metà tra la segretaria e l’archivista, nel quale sembra per qualche tempo adattarsi senza problemi.
Ma, con uno scatto tipico, all’improvviso mi arriva addosso come un caterpillar con la dichiarazione.
“Io stasera vado a cena con il mio principale; dopo può anche succedere altro, ma io non rinuncio alla mia carriera per fisime medioevali che non sono mie. Non cercare di fermarmi se non vuoi che ti faccia veramente male.”
“Lungi da me l’idea di tentare di impedirti di farti male. Auguri.”
Vado allo studio, che condivido con altri avvocati, e prendo in disparte Rosetta, la mia segretaria personale, della quale conosco benissimo il grande amore che prova in silenzio per me.
“Rosetta, per stasera hai impegni?”
“Perché me lo chiedi?”
“Mia moglie ha da fare e passa la notte fuori. Pensavo di trascorrere con te una bella serata.”
“Elegantissima, elegante, borghese, casual, zingaresca?”
“Che diavolo dici?”
“Come vuoi che mi vesta? Dove pensi di portarmi?”
“Io vengo dove decidi tu; deve essere la tua serata, non la mia!”
“Rustico discreto. Okay. A stasera.”
Torna nel ruolo e passiamo la giornata a lavorare sodo.
Alla chiusura dello studio, vado a casa, che trovo deserta; metto in una valigetta un po’ di effetti personali ed alcuni ricambi sufficienti almeno per un paio di giorni, mi metto ‘ in tiro ’ con uno spezzato elegante, salgo in macchina e vado a casa di Rosetta che scende non appena citofono.
Si è vestita con gusto sobrio ed elegante, con una gonna in tartan, ampia fin sotto il ginocchio, ed una blusa vaporosa che si gonfia meravigliosamente sul seno generoso; scarpe a tacco basso (quattro o cinque centimetri) ed aria sbarazzina con trucco leggero e capelli raccolti a coda.
“Sei bellissima!”
La accolgo con amore sincero e profondo: per la prima volta dopo cinque anni trascorsi a lavorare gomito a gomito, mi rendo conto di quanto fossi in realtà preso da lei e dalla sua fresca bellezza; solo la stupida monotonia del lavoro e la seriosità imposta dai ruoli mi hanno impedito di accettare l’amore che tante volte mi aveva offerto e di ammettere che provavo per lei sentimenti non banali, costretti sotto un tappeto solo dalla stupida fede in un matrimonio religioso che alla fine si rivelava ipocrita e pernicioso.
Mentre ci sediamo nella trattoria che ha scelto, in un punto suggestivo e a me sconosciuto della città, un messaggio di Carla mi proclama cornuto e mi annuncia la sua ‘rinascita’.
Poiché conosco Carla e i suoi limiti, chiudo l’apparecchio e lo spengo.
A Rosetta che mi guarda interrogativa, dico che mia moglie ha deciso di darsi alla pazza gioia e che la cosa non mi tocca, visto che con lei mi sembra di potermi definire felice; allunga una mano sul tavolo, sfiora la mia e mi chiede con ansia.
“Ce la fai ad innamorarti, solo per stasera, di una povera sciocca che da cinque anni non vede che te?”
“Se ti dico che, dopo tanti anni, per la prima volta mi accorgo di quanto mi sei cara, di come desidero il tuo bene, di come ti sento vicina e dolcemente mia, mi credi?”
“Ti crederei anche se avessi le prove che stai mentendo; vorrei che me lo ripetessi; ho bisogno di sentirtelo dire per sentirmi finalmente innamorata non di un’astrazione, ma di una persona vera.”
“Ti amo, Rosetta, ti amo davvero e da questo momento voglio stare con te, a qualunque costo.”
Si alza, mi viene vicino, mi abbraccia e appoggia la testa nell’incavo della mia spalla.
“Se anche durasse solo questo istante, mi basta per riempirmi d’amore per te.”
“Vuoi che comunque mangiamo o dobbiamo andarcene?”
“Andarcene?!?! Non sia mai detto. Ordina e godiamoci questi momenti irripetibili.”
Non è una cena, è una carezza continua, eternamente insoddisfatta, che ci fa compiere gesti di cui forse a freddo ci vergogneremmo ma che, in quel momento, nella piazzetta fresca, sulle sedie di paglia, ad un tavolo con una tovaglia di carta, risultano quanto di più dolce e coinvolgente possiamo esprimere.
Le pietanze passano senza che ce ne accorgiamo e abbiamo finito senza avere aperto gli occhi dal sogno.
“Dove vuoi che andiamo?”
Me lo chiede semplicemente, linearmente, dopo che il cameriere ha sparecchiato.
“Non vorrei andare in un albergo. A casa mia, non so cosa può succedere: temo che mia moglie possa andarci col suo nuovo amante; forse in studio … c’è un ambiente riservato adatto ad un incontro …”
“Sei pazzo?!?!?! … Non ci verresti a casa mia? Non è gran che, ma come nido d’amore può andare … e, fino a questo momento, è solo di un nido d’amore che abbiamo bisogno. … “
“Non osavo pensarlo; mi va bene casa tua, per stasera e per l’avvenire, se vorrai.”
“Per ora, andiamo. Per l’avvenire, cominceremo domattina a pensare … “
Accendo per un poco il telefonino e vedo che sono stato letteralmente inondato di messaggi, wathsapp, comunicati, e mail, video e non so quante altre cose che Carla sta usando per aggiornarmi sulle sue evoluzioni sessuali: attivo un’apposita app per salvare il tutto e richiudo.
Andiamo a casa di Rosetta, un appartamentino decoroso ed elegantemente arredato dove la ragazza è riuscita a raccogliere il meglio per avere una sede di vita adeguata e funzionale; la prima cosa che mi colpisce è l’estremo ordine; ma mi bastava, per questo, osservarla al lavoro: la meticolosità applicata alla vita privata le consente di tenere in ordine perfino i pensieri.
L’altra cosa notevole è il garbo degli accostamenti che rende piacevole la vista di tutto: mi accorgo che, stupidamente e forse fanciullescamente, sto cominciando a guardare Rosetta come l’essere perfetto a confronto col mostro Carla in questo stesso momento; ma anche una ‘botta di razionalità’ imposta mi conferma solo che è stupendamente brava e meravigliosamente dolce.
Persino lasciarsi andare alla passione e baciarsi con una violenza che difficilmente ritrovo nella memoria diventa un elemento inconfondibile del suo personale marchio nelle cose che usa, che vive, che la riempiono: ho quasi paura ad immaginarmi cosa sarà fare l’amore con lei; e, in questo momento, è la cosa che desidero di più al mondo, senza nessun riferimento alla causa determinante.
Fa bene anche l’amore, la mia Rosetta (ormai la sento mia); e riesce a farmi toccare vette paradisiache senza ricorrere a nessun particolare elemento, trucco o mezzuccio: mi ama semplicemente, con l’entusiasmo della neofita, con la passione di chi ha atteso tanti anni, con la gioia di chi aspettava solo me: quando mi accorgo che va a controllarsi nel bagno e mi propone di fare l’amore senza precauzioni, intuisco che desidera farsi inseminare da me.
Già altre volte mi aveva detto chiaramente che quel che voleva da me era solo un figlio, non la convivenza o un matrimonio, ma solo quel figlio che desiderava con tutte le sue forze e, possibilmente, con un uomo di cui apprezzava solo grandi qualità non conoscendone vizi; quando ci accoppiamo e sento che sto per arrivare al culmine, provocatoriamente le chiedo.
“Amore, sei sicura di volerlo? … Allora poi mi dici come lo chiameremo e se mi consentirai di riconoscerlo come mio.”
Per tutta risposta, mi abbraccia stringendomi fino a farmi e farsi male, mentre io inondo il suo ventre del seme da cui nascerà nostro figlio.
Quando si è rilassata, mi chiede con aria spaventata.
“Ti sei offeso?”
“Perché hai cercato di farti inseminare? No, non sono offeso; sono felice; sono l’uomo più felice della terra perché mi dai un motivo di vita vera. Non so se vivremo insieme o se addirittura ti potrò sposare; ma sono convinto e so con chiarezza che sarai il mio amore e che il figlio che nascerà sarà la mia eternazione, insieme a te se vorrai stare con me.”
“E a Carla non pensi? Cosa ti dirà?”
“Sai l’ultima cosa che mi ha detto Carla uscendo è stata: ‘Non cercare di fermarmi se non vuoi che ti faccia veramente male.’ Io le dirò la stessa cosa e la mia segretaria d’ufficio dovrebbe sapere che quando voglio fare male sono pericoloso.”
“Ma io non voglio che vi scanniate per me!”
“Non per te, povero amore mio; PER ME, SOLO PER ME E PER MIO FIGLIO; per noi due ho il diritto, no ho il DOVERE di uccidere chiunque voglia fare male a me, a lui o a te.”
“OK. Stiamo attaccando il carro davanti ai buoi; neppure sappiamo se mi hai inseminato … “
“Quando lo saprai?”
“Tra un paio di settimane.”
“Vuoi dormire o facciamo ancora l’amore.”
“Guarda che di amore non se ne fa mai troppo; ed io sto aspettandoti da cinque anni …”
Mi sveglia alle sette e mezza, preoccupata di andare in orario al lavoro.
Riaccendo il telefono e chiamo l’ufficio; alla ragazza che rispondo dico di avvisare i soci che io e Rosetta arriveremo forse nel pomeriggio; abbiamo una pratica da seguire fuori sede.
Non serve altro e Rosetta si può rilassare.
Devo lasciarla, però, almeno per la mattinata.
Vado a casa mia, chiamo un artigiano che conosco da tempo e gli do indicazioni perché isoli la camera degli ospiti e il relativo bagno dal resto dell’appartamento e consegni solo a me le chiavi della porta che li dividerà; cambi la serratura della porta di servizio, che dà per l’appunto sulla camera degli ospiti, e che anche di quella consegni le chiavi solo a me; lo lascio al lavoro, vado a casa di Rosetta e le chiedo di indicarmi la via verso la trattoria di ieri sera.
Nel pomeriggio andiamo all’ufficio e, finalmente, ascolto e guardo tutte le nefandezze che Carla mi ha mandato, con aggressioni verbali, documentazione di amplessi selvaggi anche nel nostro ‘talamo’, insulti, minacce e chi più ne ha …
Trasferisco tutto su un supporto esterno e lo scarico, per sicurezza, in copia anche sul computer personale.
Alla chiusura dello studio, chiedo a Rosetta cosa pensa di fare nella situazione in cui, purtroppo, l’ho messa, se cioè se se la sente di venire a stare in casa mia, nella parte degli ospiti che ho isolato, col rischio di sgradevoli incontri con Carla; se preferisce che ci sistemiamo da lei in qualche modo; o se, invece, è meglio vivere separati e incontrarci quando ne abbiamo voglia o bisogno.
Mi dice che se la sente di affrontare la vita a due in uno spazio risicato: quello di casa mia è stimolante, anche se rischioso; quello di casa sua è meno comodo ma più fascinoso: optiamo per casa mia, organizzandoci i tempi.
Arriviamo, entrando dal retro, che nell’altra ala non c’è nessuno e possiamo prepararci una cena ‘normale’ senza problemi di alcun genere; quando abbiamo soddisfatto questa esigenza, avvertiamo che qualcuno è alla porta; Rosetta si ritira nella camera ed io affronto mia moglie che non è sola, ma accompagnata dal suo capufficio.
“Lui stasera dorme con me. Tu ti arrangi nella stanza degli ospiti.”
“La stanza degli ospiti, da questa mattina, è un’ala distinta dell’appartamento; vivremo da separati in casa e non voglio sapere niente di te, ti prego di non interferire con la mia vita.”
“Altrimenti?!?!?”
Il tono è apertamente minaccioso.
Telefono al suo avvocato (e forse ex amante); gli spiego sommariamente le cose e gli dico che il collega Rossi ha pronta l’istanza di annullamento alla Sacra Rota perché Rosa è sterile e lo sapeva da prima del matrimonio: con la sua sola rendita, se annullano il matrimonio, resta per terra; se non le fa abbassare la cresta, domani la domanda parte e Carla è a piedi.
Passo il ricevitore a lei e l’avvocato la convince che sta giocando col fuoco e, fino a quando non avrà la promozione soprattutto economica, l’annullamento la distrugge.
Sembra calmarsi; ma non ho il tempo di verificare perché me ne vado; solo, uscendo, avverto.
“Non ti azzardare a disturbarmi, qualunque cosa senti …”
Quando ritrovo fra le braccia Rosetta, lei mi sussurra.
“Però, questa clandestinità quasi quasi mi diverte!!!!!”
La faccio tacere con un bacio e la spingo sul letto dove per buona parte della notte ci rotoliamo nelle lenzuola con un amore pazzo e sfrenato.
La mattina, quando ci svegliamo, dall’assenza di rumori ci rendiamo conto che siamo soli in casa; passo nell’altra parte e verifico: chiaramente, per essere in ufficio, sono già usciti: io e Rosetta possiamo prendercela comoda e ci fermiamo a fare colazione con calma.
Nell’intervallo del pranzo, ricevo la visita di mia moglie che vuole capire meglio la storia dell’annullamento; ha già telefonato a suo padre, illustre avvocato, e viene insieme a lui.
Parlando col padre e ignorando volutamente lei, spiego che la malformazione di Carla era nota da prima del matrimonio, che il Diritto Canonico prevede tra le cause di annullamento, la mancanza di eredi; cerca di capire perché siamo a quel punto: lei non gli ha detto niente.
Lo invito a farsi spiegare dalla figlia e li licenzio perché il lavoro mi prende: gli urli del padre arrivano fino al mio primo piano, quando evidentemente con la solita arroganza Carla gli ha fornito la sua versione; il padre torna su e mi chiede il favore di ascoltarlo ancora un momento: davanti alla stessa figlia, mi avverte che, se dovessi far annullare il matrimonio, loro non si riprenderebbero la figlia e che lei , per quello che li riguarda, potrebbe anche andare a battere; Rosetta che, necessariamente sente tutto, visto che hanno parlato apertamente nel mio studio, mi guarda con occhio languido e mi fa segno di calmarmi.
“Se non mi esasperi; se fai il tuo comodo e non calpesti il mio, posso anche sopportare la separazione in casa; ma se, anche una sola volta, mi indicate come ‘il povero cornuto’ te la vedrai con la Sacra Rota. Arrivederci, avvocato, e si ricordi che gran parte della colpa è vostra!”
Passano sei mesi: la situazione lavorativa di Carla non si sblocca, nonostante le nottate di fuoco di cui sento netti i rumori nella camera da letto e che non fanno scattare la promozione dalla quale tutto è dipeso; la storia tra me e Rosetta è ormai assai importante, diventata di pubblico dominio e ingigantita dallo stato interessante di Rosetta il cui pancione diventa sempre più evidente: stranamente, tutti sanno che il figlio è mio, tranne la mia cara mogliettina che non ne fa nessun cenno nei rari incontri agguerriti che ottiene con me.
Una mattina siamo in cucina, io e Rosetta, a fare colazione, quando, improvvisamente, Carla, che era uscita per andare al lavoro, rientra inaspettata e ci sorprende: siamo però già completamente vestiti ed è facile dichiarare che Rosetta è passata a prendermi per una pratica fuori sede; entrando, Carla getta sul tavolo una busta a me destinata; le rimprovero aspramente per aver preso posta non sua e violato la mia privacy.
Cerca di obiettare che non c’erano mai stati segreti e che con quel notaio non le risultavano pratiche in corso.
“Ti ricordi per caso chi ha detto: ’Non cercare di fermarmi se non vuoi che ti faccia veramente male.’ Bene, ora sono io che lo dico a te e ci aggiungo che sei totalmente fuori dalla mia vita, che non hai diritto a niente di quello che mi compete o che mi riguarda; devi perfino dimenticare che esisto. Io ci sono per te solo fino a quando devo pagarti le spese perché da sola non ce la fai; per il resto, per tutto il resto devi sparire, annullarti, disintegrarti. Chiaro?”
Rosetta interviene a calmarmi.
“Dai, Mario, non è così grave; vedrai che non si ripeterà più.”
Carla è tra l’inferocito e l’umiliato, non so più se rabbiosa o addolorata.
Se ne va in camera e va a cambiarsi d’abito.
“Come mai ti ha indisposto tanto quella busta?”
“E’ un atto di vendita.”
“Se non vuoi dire altro, sta pure zitto.”
“No, adesso voglio dirti tutto. Il notaio mi ha mandato l’atto ufficiale con cui i nonni del bambino che porti in grembo hanno deciso di acquistare l’appartamento dove vivi; è intestato a te ma è per il nascituro: è costume nella loro civiltà assicurare a chi nasce un tetto sicuro; anche i miei i regalarono questa casa per essere certi che avessimo un tetto sulla testa.”
“E se non volessi accettare?”
“Puoi respingere l’atto, si cambierebbe l’intestazione e sarebbe attribuito al padre del bambino: cambia solo il gesto d’affetto dei nonni al nipote.”
Rosetta non può parlare; invece Carla non smette di intervenire a sproposito.
“Ma, insomma, chi è il padre del bambino?”
La guardo inferocito; mi fa un gesto annoiato; Rosetta tace; l’altra insiste.
“Allora, cos’è questo segreto? Non si può sapere chi è il padre?”
“Rosetta, andiamo a lavorare; qui c’è solo da perdere acqua e sapone … “
Naturalmente, la litigata scoppia in auto: Rosetta non accetta la mia scelta e il gesto, assolutamente imprevisto, di acquistare l’appartamentino dove abita; ed è perfettamente inutile insistere che in definitiva lei stessa l’ha definito ‘nostro nido d’amore’; la sua coscienza si ribella all’ipotesi di ‘vendere’ il suo amore.
Decidiamo che andrò dal notaio e farò cambiare la titolarità a mio vantaggio per evitare dubbi di coscienza, che immediatamente si ripropongono proprio in quel momento con l’idea che lei stia rifiutando il mio amore e la mia dichiarazione di paternità; arriviamo in ufficio baccagliando sull’argomento e, dopo poco, è un quesito professionale senza risposta, almeno finché Rosetta non si acquieta e prende l’atto di vendita riservandosi di ripensarci.
Per la festa annuale dello studio, che organizziamo in un locale discreto del centro, ci sono tutti, compresa Carla, la mia ormai ex moglie che ancora non è in grado di andarsene, perché non ha avuto la promozione di grado e, soprattutto, di stipendio; Luciana, moglie del principale di Carla, che, non invitata da nessuno, si è imboscata in nome di un’antica frequentazione coi familiari di Rosetta; e questi ultimi, che si ricordano poco e male di lei.
Mentre fervono i complimenti e le formalità, Luciana chiede a Rosetta chi sia il padre del bambino; tutti la guardano con meraviglia tranne Carla che sembra ignorare veramente: quando tutti gli occhi si appuntano su di me, le due sembrano finalmente capire e Luciana si congratula; poi mi guarda stupita e osserva.
“Ma io credevo che tua moglie fosse lei.”
E indica Carla.
“Esatto; ma lei non può avere figli … “
“Ah, anche lei … “
“Perché ‘anche’? Chi altro?”
“Amilcare, mio marito, il suo capufficio; proprio una bella coppia.”
“Scusi, ma lei che ruolo ha?”
La mamma di Rosetta improvvisamente ricorda.
“Lei è la proprietaria della fabbrica ‘Gribaudo’; adesso mi ricordo; Rosetta, tu non ti ricordi di Luciana?”
“Si, mamma; adesso che l’hai detto, mi ricordo. Ciao. Nonostante tutto mi fa piacere rivederti.”
“Perché ‘nonostante tutto’?”
“Vuoi farmi credere che non ti rendi conto di quale strana situazione ci sia adesso, tra Mario, Carla, tuo marito e me?”
“No; io so solo che tu aspetti un figlio, da un padre che ruberei anche alla moglie di Satana, specialmente quando vedo con che occhi innamorati ti guarda. Mi spieghi come hai fatto a farlo innamorare e farti inseminare?”
“Per la inseminazione, devo ringraziare Carla e tuo marito. Quando lei decise di andare con Amilcare, Mario venne a consolarsi tra le mie braccia; io che da sempre ne ero innamorata alla follia, mi accertai di essere fertile, non mi protessi e ci feci l’amore; quando lui prese coscienza, gli esplose la passione che forse aveva tenuto nascosto per fedeltà alla moglie. Ora siamo innamorati; avrò il figlio che volevo; se sarà possibile, vivrò con loro e per loro; se non sarà possibile, vivrò solo e per sempre con mio figlio.”
“Ti puoi distrarre una mezz’oretta? Il tempo di farmi inseminare e te lo riporto intatto come me lo consegni?”
“Non è né un pacchetto né un giocattolo. Se veramente hai voglia di farti possedere da Mario, CON AMORE, SAPPILO: SOLO E SEMPRE CON AMORE, devi chiederlo a lui: forse non gli dispiacerebbe piantare a tuo marito due corna che gli durino tutta la vita del figlio che nascerebbe.”
“E tu?”
“Io voglio da Mario l’esclusiva dell’amore, non quella del sesso: se e fino a quando sarò il suo vero ed unico amore, quello che fa tra le lenzuola appartiene a lui, alla sua libido ed alla sua coscienza; il giorno che l’amore muore, me lo deve dire serenamente e lealmente: piangerò di certo, non so se tanto o poco; ma poi andrò per la mia strada.”
Luciana non ha affatto scherzato.
Approfittando della buona fede e della distrazione di Rosetta, mi trascina nei bagni del locale e, quasi violentandomi, riesce a farsi possedere: in parte per un desiderio di vendetta contro suo marito, in parte per ricambiare il gesto a mia moglie, in parte perché la donna mi piace, non mi sottraggo.
Al ritorno in sala, mi vergogno come un ladro e cerco immediatamente Rosetta.
Non ho neppure bisogno di parlare: mi accarezza il volto, mi bacia (per la prima volta apertamente, in pubblico, alla presenza di Carla assolutamente interdetta) e commenta.
“Non devo perdonarti una debolezza; ma rimproverarti di aver ceduto alla vendetta, questo si. Ti amo. Spero che non ti succeda spesso: non so fino a che punto la mia pazienza possa sopportare.”
“Ho sbagliato; ma so essere un buon compagno e te lo dimostrerò.”
Stavolta siamo obbligati a tornare a casa tutti e tre, perché nell’appartamento di Rosetta si fermano i genitori venuti a trovarla: Carla è chiaramente shoccata di fronte alla rivelazione della mia paternità ed è oppressa da mille interrogativi a cui non saprà mai dare una risposta.
“Dio mio, cosa farai adesso? Cosa farò io? Che ne sarà di me, di te, di noi, di voi? Mi gira la testa!”
“Perché ti preoccupi tanto? Quando ti daranno la promozione e lo stipendio più alto, io farò annullare il nostro matrimonio e sposerò Rosetta che è la madre di mio figlio! Tu potrai scegliere con chi organizzarti una nuova esistenza, cercando di trovarlo tra quelli in grado di seguire i tuoi capricci, di sottostare alle tue angherie, di vivere a modo tuo e di non pesare i capricci che sconvolgeranno le loro esistenze. Non sarà facile, ma ce la puoi fare.”
“E Rosetta?”
“Tu non preoccuparti per Rosetta: Se mi accetta coi miei limiti e i miei difetti, occuperà senza problemi il posto a cui tu hai rinunciato tanto allegramente. Se non riuscirò a mandarti via perché non ce la farai mai ad essere indipendente economicamente, resterà con me in questa casa e tu ti ritirerai nello stanzino e sarai la collaboratrice domestica di cui c’è tanto bisogno, se vedi lo stato in cui versa la casa per incuria e per mancanza di interesse da parte della padrona di casa. Se non vuole spartire con te la casa, se ne va nel suo appartamento ed io le sarò vicino, moralmente e fisicamente, in ogni momento del giorno e della notte. Prova a pensare all’amore; con l’amore tanti problemi si risolvono, anche i nostri.”
Rosetta ha qualcosa a dire.
“Mario, scusa ma devo farti presente che il rimpiattino tra le due ali della casa va bene finché siamo solo io e te; quando ci sarà nostro figlio, avrò bisogno di spazio per la sua crescita; e questo non si trova né nell’appartamento mio né nell’ala che occupi tu del vostro appartamento. Solo questo volevo dire, e solo per precisione.”
Passano i tre mesi che mancano e nasce Vittorio: Rosetta accetta di farlo battezzare col nome di mio padre, in omaggio ad una tradizione paesana che prevede il passaggio del nome da nonno a nipote; naturalmente, i miei sono in prima linea all’ospedale, quando il nipotino nasce; Rosetta scopre così che il nonno non ha fatto la donazione al nipote e che i soldi della transazione sono miei: ma ormai il bimbo è nato, è bello, sta bene e non è il caso di muovere niente.
Mio padre invece avverte ‘la mamma di suo nipote’ che lui è abbastanza ricco da potersi permettere un regalo importante al ‘bastone della sua vecchiaia’ e che già sono state avviate le pratiche per acquistare un appartamento serio, nuovo e grande, permutando nel calcolo anche il piccolo già in suo possesso, perché il nipotino abbia tutto lo spazio che serve e la sua mamma possa respirare e non soffocare stretta tra bagnetto e angolo cottura.
Con mia enorme sorpresa, Rosetta non batte ciglio; anzi, abbraccia con affetto il nonno e la nonna di suo figlio da cui si sente ad un tratto come adottata.
La vicenda però non accenna a concludersi.
Una mattina mi viene annunciata la visita della signora Luciana Gribaudo: poiché non abbiamo rapporti di lavoro con quella azienda, mi chiedo cosa possa volere; Rosetta è tra incuriosita e preoccupata; quando la donna entra, mi avverte che quanto ha da dire è strettamente personale; memore dell’errore al ristorante, le ribatto che la mia segretaria è lì perché sa mantenere i segreti e stavolta le cose si faranno alla luce del sole.
“Sono incinta … di te!”
Le risponde Rosetta.
“Non era quello che volevi?”
“Certo; e ne sono felicissima.”
“Quindi?”
“Nell’atto di nascita dirò che il padre naturale sei tu; ma il bambino o la bambina sarà Gribaudo e si assumerà la responsabilità della Ditta: è anche per questo che ho voluto un figlio e l’ho chiesto ad un uomo di qualità; formalmente, tu sarai solo nelle carte più riservate e la tua paternità la conosceremo solo io tu e Rosetta; anzi, a te devo chiedere scusa per averti sequestrato un poco l’uomo che ami; ma ti assicuro che era per un’ottima causa.”
“Nessun problema; forse, addirittura, come è successo a noi tanti anni fa, potrebbero incontrarsi i nostri figli, Vittorio e … “
“… Mario, questo te lo dovevo; si Vittorio e Mario potranno giocare insieme; e, se vi sta bene, potremmo essere zia Rosetta e zia Luciana, per i bambini.”
“E ‘zio Mario’ per il piccolo Mario, no? Dai, almeno questo; come tutti quegli zii che sai bene che non sono parenti ma che ti sono vicini lo stesso.”
“Va bene; e questa è fatta, mi pare. Ora l’altra questione … “
Siamo tutti e tre sospesi.
“La fabbrica attraversa un brutto momento: ce la farò e ce ne sono tutti gli elementi; ma alcune stupidaggini di mio marito vanno corrette per evitare oneri inutili.”
“A che ti riferisci?”
“Intanto a lui stesso; gli ho dovuto revocare incarichi e mansioni: adesso se ne sta in casa a fare lo sguattero con la minaccia dell’evirazione chimica se non riga dritto e della condanna alla miseria nera se mi fa perdere le staffe. Ma ho dovuto anche licenziare molto personale pletorico che aveva assunto per i suoi piaceri personali. E, purtroppo, una delle prime è Carla. Il suo avvocato mi ha detto che il danno peggiore lo faccio a te, che non puoi chiedere l’annullamento del matrimonio senza crearti assurdi sensi di colpa; ma, credimi, non posso fare altrimenti. Devi cercarle un’altra collocazione, se ti riesce in questo periodo di crisi.”
“Oppure tenermela in coste e cercare mediazioni diverse. Va bene. Grazie di tutto, riguardati e cura te e il figlio che aspetti.”
“Stavi per dire ‘mio’ figlio: è così?”
“Anche se fosse, non sarebbe un’invenzione; e non è una colpa essere orgogliosi dei figli e, soprattutto, delle mamme. Ciao.”
Va ad abbracciare Rosetta e le sussurra.
“Spero che risolverai.”
“Ce la farò. Anzi, ce la faremo, io e Mario. Ciao.”
Non c’è dubbio che la botta è dura, soprattutto per Carla, che si presenta alla porta dello studio poco dopo: ha la cera di chi è stato appena travolto da un bulldozer e ancora non si riprende; è Rosetta a vederla e la invita ad entrare da me.
“Cosa ti è successo?”
“Tutto, tutto mi è successo. Dopo un anno di imbecillità, Amilcare mi ha scaricato, perché è stato ‘messo in quarantena’ dalla moglie e non conta più niente in fabbrica. Inutile sperare di potermi elevare socialmente ed economicamente. Licenziata!”
“Questo ce l’ha appena comunicato Luciana.”
“E’ venuta a dirti che l’hai inseminata?”
“E’ sulla bocca di tutti, ormai!”
“Già! Quindi ti ha anche detto che mi ha licenziata?”
“Si; ed ha aggiunto che, per via della crisi in atto, non hai speranza di trovare occupazione!”
“Mi puoi aiutare?”
“Non so come; non so perché; non so in nome di che cosa.”
“In nome di dieci anni d’amore. E’ vero che l’undicesimo ha distrutto tutto il buono che c’era nei dieci; ma per dieci anni siamo stati una bella coppia di innamorati; puoi scavare là dentro e cercare qualche appiglio per darmi una mano?”
“Devo pensare; una via ci deve essere, ma non so vedere.”
“Forse ho visto io!”
Ha parlato il mio giovane assistente, Rossi, che ci conosce da anni e da sempre lavora nello studio.
“Che novità hai?”
“Nessuna novità: tutta roba vecchia. Carla, cosa ricordi dell’esame di archivistica che sostenesti all’Università?”
“Beh, abbastanza; sono ancora in grado, spolverando qualche vecchio volume, di organizzare e tenere un archivio.”
“Hai uno statino di quell’esame?”
“Si. Deve essere a casa, tra le mie cose di gioventù; ne sono certa perché ci ho guardato qualche giorno fa e c’erano tutti gli esami superati.”
“Beh, Mario; noi abbiamo bisogno di mettere a posto l’archivio, di sistemarlo e di informatizzarlo; ci sarebbe bisogno di due specialisti, uno per la sistemazione e uno per l’informatizzazione; meglio ancora se uno solo potesse coprire i due ruoli. Tu come stai ad informatica?”
“Ho seguito molti corsi e mi ci muovo benino.”
“Ecco la mia proposta. Lo studio assume Carla per riorganizzare e seguire l’archivio. E’ consentito senza problemi legali perché si tratta di un incarico ad alta qualificazione e si può operare per chiamata diretta: basta lo statino dell’esame e, se ci sono, i certificati dei corsi di informatica. L’assunzione avviene con regolare contratto e con paga sindacale, che certamente non le consente di vivere agiatamente. Se però, contemporaneamente, vi accordate per un divorzio consensuale per il quale tu le passi un’integrazione che le consenta di vivere, non ti liberi del matrimonio ma fai spazio a Rosetta per essere la tua compagna di vita. Io ci penserei, fossi in voi.”
Ci guardiamo tutti e tre; e, in fondo al tunnel, si vede già una flebile luce.
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