Mio padre non vuole assolutamente che frequenti la fabbrica; ma i miei studi universitari, di economia con specifico interesse all’attività industriale, mi portano inevitabilmente a vedere lui e la sua attività come campo specifico di ricerca per i miei studi e per la tesi che penso di elaborare per la laurea.
E’ quindi naturale che segua assai da vicino il suo lavoro e le occasioni di incontro e di dibattito che in fabbrica si realizzano con grande frequenza; né sono poche le occasioni in cui la mia conoscenza si rivela anche utile e sono felici, i suoi collaboratori, del mio intervento nei dibattiti: per la maggior parte di loro, sono predestinata, quando mio padre si ritirerà, ad ereditare io il suo ruolo e ad affrontare il percorso ancora molto difficile della partecipazione all’attività produttiva in ruolo da industriale, un mondo maschile e maschilista sia per la presenza dominante sia per il potere decisionale.
Un altro elemento mi contrappone inevitabilmente a mio padre, il fatto stesso che io sia donna: aveva sognato solo e sempre un figlio maschio a cui affidare il compito di succedergli senza patemi, ma si trova con una figlia femmina, per di più agguerrita e determinata a ‘fare il maschio’ in un mondo che non accetta volentieri le donne.
Molte volte mi sono sentita quasi umiliata per il fatto che non aderisco al suo modello ideale, mentre lui per me, fin da quando ero molto piccola, si è presentato come il mito, l’eroe, ‘l’uomo per me’: non può sapere, il mio papà (e non l’avrebbe mai accettato) che io rifiuto la corte di tutti i ragazzi (che pure sono tanti e non banali) che sbavano per fare l’amore con me, per potermi accarezzare o baciare, per uscire almeno a cena o a passeggio; e che lo faccio perché da sempre il mio ‘principe azzurro’ è lui e che da sempre ho deciso che solo lui è degno di farmi conoscere l’amore e il sesso, di sverginarmi.
Ci trasciniamo in questo equivoco per alcuni anni, almeno quelli dell’Università, quando studio come una matta e non accetto la corte di nessuno; passo intere giornate in fabbrica, a parlare coi suoi più fedeli collaboratori, senza curarmi della moda, dello shopping o delle discoteche; lui è spesso nero perché non mi vede frequentare amici, non mi vede farmi bella, non ha nessun errore, nessun capriccio, nessuna stranezza da rimproverarmi come tutti i padri del mondo: soprattutto, è terrorizzato dall’idea che, nata femmina e non maschio, pare che neppure mi proponga di assicurargli quel nipotino che avrebbe almeno in parte alleviato la sua pena; io sono più nera di lui, perché non riesco a catturare la sua attenzione sul mio corpo che, sbocciato ormai, cresce e si definisce come quello di una gran bella donna che non rifiuta l’eleganza ma la trascura per stare in fabbrica, vicina al suo principe azzurro.
Quando si ammala, devo decidere che anche io mi devo rassegnare alla realtà e che, per le mie utopie, non c’è più spazio; continuo a frequentare la fabbrica quasi quanto un dirigente qualsiasi, ma accetto anche qualche corteggiamento e commetto l’errore di tutte le ragazze, farmi indurre a fare sesso, in tutti i modi, da giovani pappagalli abili ed smaliziati.
Esaurita quella che considero quasi una ‘pratica burocratica’, decido che l’amore e il sesso scendono all’ultimo posto nei miei impegni e nelle mie aspirazioni; comincio invece a guardare molto attentamente al futuro ed all’ipotesi, appena laureata, di prendere davvero le redini dell’azienda, prima affidandomi agli uomini che con mio padre l’hanno resa grande e poi facendomi le ossa con la pratica.
La laurea arriva presto, per fortuna anche prima che mio padre se ne vada, logorato dal male, e che mia madre lo segua, forse distrutta dal dolore.
Mi convinco che è arrivato il momento ineluttabile della mia formazione: con la guida sapiente dello staff comincio a districarmi nelle spire, anche le più pericolose, della lotta a coltello tra produttori, rivelo un talento innato per intuire le scelte di mercato opportune e favorevoli, do slancio al lavoro e fiducia ai dipendenti: nel giro di un paio di anni realizzo la scalata all’organigramma dell’associazione degli industriali e, senza neanche passare dalla ‘gavetta’ dei ‘giovani industriali’, mi trovo a dialogare alla pari coi personaggi più importanti dell’economia del Paese.
Antonio è il più vecchio amico di mio padre, quello partito con lui con un laboratorio artigianale, che mi ha tenuto sulle ginocchia quando neanche camminavo, forse l’unica persona al mondo che ha avuto un qualche sentore della mia latente passione incestuosa di cui mio padre non ha voluto nemmeno avvertire l’odore lontano; è quasi una necessaria evoluzione dei tempi a spingerlo a prendermi da parte e cercare di convincermi che, proprio per il rilievo raggiunto, ho bisogno di un maschio, non uno troppo imbelle perché lo annullerei e quindi meglio farne a meno; e neppure uno troppo forte, perché lo scontro procurerebbe solo danni; mi consiglia qualcuno determinato ma lontano dal mondo della produzione, un intellettuale, per esempio, meglio ancora un poeta ma non fragile.
Scherzando, gli chiedo se vuole consigliarmi anche l’abito da sposa; mi da un buffetto affettuoso e mi dice.
“Bada, Maria, che non sto dicendo che devi sposarti; neanche che devi conviverci, al limite; ma devi avere qualcuno a cui affidarti, soprattutto quando vuoi staccare dal lavoro, dal mondo, dalla realtà: ti dicevo di un poeta, proprio perché, conoscendoti, credo che dedicarti alcune ore alla settimana, anche poche, ad attività distensive come la poesia, la narrativa, le chiacchiere inutili della politica, il gossip, insomma mandare in vacanza il cervello per qualche ora alla settimana può solo giovarti. E, scusami ma devo dirlo, anche fare un poco di sesso non fa niente male anche ai lavoratori: se proprio vuoi, fai come i bancari, il sabato sera e via; ma almeno quello devi farlo.”
“Mi stai dicendo anche tu, come mio padre, che ho il ‘dovere’ di fare un figlio?”
“No, ti sto dicendo di fare l’amore; se non arrivi ad amare perché ti sei inaridita, fai sesso, prendi un bull e copula una volta alla settimana; ma non ti far assimilare alle macchine, non diventare tu stessa una macchina. Sei troppo bella e ti voglio troppo bene per vederti sfiorire tra vecchi ingranaggi e polvere di limatura. Hai già quasi trent’anni. Datti una mossa, per piacere.”
“Se non fossi sposato, lo chiederei a te.”
“Gia!!!” E io ti porterei la fabbrica anche nel letto: lo vuoi capire che devi distrarti, piccola mia?”
“Ho capito. Ti prometto che ci penserò un tantino e risolverò anche questo problema; spero solo di trovare qualcosa di veramente valido: le esperienze fatte, anche coi sogni e le romanticherie, non hanno lasciato un buon ricordo.
“Non so che dirti, figlia mia; posso solo augurarti di risolvere al più presto.”
Effettivamente, il problema non è semplice: senza una vita attiva e partecipata, senza amicizie o conoscenze, ho poche occasioni per frequentare il mondo esterno e quindi di conoscere persone nuove e, possibilmente, interessanti.
Incarico la mia segretaria personale di selezionare eventi particolari, possibilmente non banali ma abbastanza mondani, e di valutare a quali posso partecipare: trova immediatamente mostre, concerti, spettacoli teatrali e cene di beneficenza dove potrei perseguire il mio obiettivo; mi costringo a farmi un guardaroba ‘mondano’ e comincio a partecipare a serate ‘ufficiali’ nelle quali comunque riesco ad imporre la qualità della mia presenza e mi accorgo di avere un peso non marginale nella piccola società borghese del territorio.
Incontro Mimmo ad una mostra: lo trovo molto interessante, affascinante, colto e buon parlatore; passo con lui alcune ore veramente deliziose; mi impedisco di andarci a letto, anche se è evidente che lo vogliamo ambedue perché non voglio lasciarmi dominare dalla frenesia del momento, come se fosse necessario o ‘doveroso’ trovare subito un compagno di ‘vacanza mentale’; il giorno seguente ritengo però obbligatorio andare a trovare Antonio nel suo ufficio, dargli un bacio filiale e ringraziarlo perché, effettivamente, avevo visto, nella serata trascorsa, le linee di comportamento che lui aveva indicato.
Entrando nel mio ufficio, trovo un meraviglioso fascio di rose con un biglietto in cui Mimmo mi invita a cena, in un posto molto elegante, per quella sera: mi sovviene che avevamo parlato di questa ipotesi collocandola in un futuro indefinito; ma ha bruciato i tempi ed ha deciso per me.
Comincia da quell’invito la nostra storia che poggia su un solido fondamento di chiarezza assoluta e di autonomia: facciamo l’amore volentieri e bene, anche spesso sostanzialmente (almeno, i relazione ai miei impegni) ma lui non chiede ed io non voglio che si trasferisca da me; manteniamo la personale autonomia con l’impegno, però, della massima lealtà e chiarezza; non ci imponiamo né limiti né obblighi, ma decidiamo spesso di ‘rubare’ i week end per passarli da innamorati in posti deliziosi e sempre nuovi; trascorriamo insieme lunghe ore ad essere bambini, se ci va, o a corteggiarci come adolescenti, a fare sesso da adulti o a sconvolgerci come folli: la ‘vacanza mentale’ auspicata da Antonio sembra funzionare perfettamente ed io mi trovo ad essere sul serio ricaricata ogni volta che stacco dalla realtà del lavoro per gettarmi, come Alice nel paese delle meraviglie,nel mondo fatato e sostanzialmente effimero di Mimmo.
Per circa due anni la ‘ricetta’ funziona alla grande e la nostra intimità sembra crescere sempre di più: ora Mimmo ha le chiavi del mio appartamento e quelle della mia auto; viene a stare da me anche per più giorni, se ne ha voglia, e si muove con la mia macchina; poiché i soldi non sono un mio problema, gli consegno anche una mia carta di credito per l sue necessità e non ho mai nessun motivo per pentirmene o rammaricarmene.
Nel ruolo di sempre crescente impegno che ho acquisito nell’associazione, mi vedo spesso obbligata a incontri, stages, convegni, pranzi e cene di lavoro che per la verità accetto sempre con qualche riserva, ma che fanno ormai parte integrante della mia attività; qualche volta sono anche costretta a viaggi e soggiorni lunghi, finora solo in Italia; ogni giorno, ci si trova di fronte a sfide nuove, ad impegni di alto livello, insomma a combattere autentiche battaglie per la sopravvivenza e l’autonomia, soprattutto dalle onnivore multinazionali che premono da tutte le parti.
In uno dei tanti pranzi officiali, mi trovo a fianco ad un uomo molto affascinante, elegante, bello, dai modi fini e quasi nobili, per certi versi, insomma uno molto diverso dal contesto, che si fa notare per il garbo, il portamento, il fisico atletico, la buona parlantina e l’eloquio avvincente: scopro che è il figlio di uno degli industriali più vecchi e potenti del territorio; le ‘voci di corridoio’ mi avvertono che è poco interessato alla produzione industriale, che rappresenta solo per convenzione suo padre in certe cerimonie ufficiali.
Mi aggancia quasi immediatamente complimentandosi per l’abito; ricambio e noto che, sul tavolo, accanto al coperto, ha poggiato un libricino di poesie che proprio la sera prima ho letto prima di dormire; scivoliamo a parlarne e a quel punto pare scatenarsi: scava nella mia conoscenza fino a disorientarmi, riesce a farmi sentire sensibile, delicata ammiratrice di poeti e di poesie; lo fermo immediatamente e gli dico che se è solo intenzionato ad agganciarmi sta perdendo il tempo perché il centro del mio mondo è il lavoro e che già a stento sopporto Mimmo.
Quando sente il nome si blocca quasi folgorato, mi invita a ripeterlo e mi chiede quali sono i miei rapporti con lui; cerco di spiegarglieli, anche se non è semplice definire certi modi di essere; si limita a tirare fuori una foto e a mostramela.
“E’ lui?”
Non posso negare un’evidenza lapalissiana: è lui; ma quella a fianco chi è?
“Potrei dire la mia compagna, la mia fidanzata o un altro sinonimo; considerato il tipo di rapporto posso solo dire che è una persona sleale che sta tradendo il fondamento del nostro rapporto.”
“Allarga il concetto ai due e sarai nel vero. Dove è stata scattata?”
Mi racconta che la sua ‘fidanzata’, che di professione dichiara di fare la modella ma non lavora per nessuna agenzia conosciuta, ogni due settimana si inventa una sfilata in qualche capitale europea; indagini precise di un’agenzia investigativa da lui incaricata hanno comprovato che si incontra con quel tale in un albergo a un centinaio di chilometri dalla nostra cittadina e che la loro tresca va avanti da quasi un anno.
La mazzata è dura e non l’assorbo immediatamente: evidentemente devo essere impallidita perché Guglielmo (così si chiama il mio commensale) mi chiede se ho bisogno di qualcosa; lo rassicuro, bevo un po’ di vino e recupero.
“Cosa hai in animo di fare?”
“La rottura è il primo, più semplice passo. Ma non mi dispiacerebbe organizzargli una qualche sorpresa che li metta in ridicolo.”
Mentre noi ci perdiamo nei nostri ‘tradimenti’, gli altri discutono di una ipotesi di ‘convegno riservato’ (insomma qualcosa di semiclandestino) per discutere della strategia contro le multinazionali; si è arrivati al punto di scegliere l’albergo per l’incontro; propongo quello della tresca di Mimmo e della modella, non so neppure perché, forse perché sono rimasta nella logica della sorpresa; chiedo a Guglielmo se lui è della partita.
“Mio padre ci sarà; come dovunque, io sono libero di scegliere se essere e in che veste.”
“Ci pensi tu al tiro mancino a devo occuparmene io?”
“Tu cosa fai?”
“Intanto, devo bloccargli le carte di credito a mio nome: non credo che, poi, avrà molto margine di azione. Però, ti rendi conto? Mi tradisce a mie spese!!! In fondo, è anche da ammirare, come truffatore.”
“Vale anche per me; ma lei è più scaltra e fa pagare a lui per non lasciare altre tracce.”
“OK. Visto che abbiamo la sorpresa dalla nostra, credo che si può anche improvvisare un tantino. Per ora è importante avere una motivazione formale per essere all’hotel contemporaneamente.”
“Ma io so che la sera si trasferiscono al club privè annesso.”
“E’ vero: lì c’è il privè; come ho fatto a dimenticarmene?”
“Ma lo conosci?”
“No, lo posseggo; questo non te l’ha detto l’Agenzia?”
“Urca, allora ci sarà da divertirsi.”
Si decide di tenere l’incontro all’hotel che ho indicato e la data è quella prevista per il ‘week end d’amore’ di Mimmo.
“Allora, ci vediamo all’hotel e poi ci organizziamo.”
“Non possiamo vederci una volta qui, prima del convegno?”
“Vuoi offrirmi la spalla asciutta?!”
“Se tu la offri a me …”
“Va bene, fatti vivo per pranzare o cenare insieme, ti va?”
“Lascia fare a me.”
Guglielmo è di parola: due giorni dopo telefona in ufficio, chiede se posso incontrarlo e, dopo dieci minuti, è davanti alla mia scrivania.
“Sai che metti soggezione in questa condizione?”
“La smetti di fare lo stupido? Lo sai che io faccio questo lavoro; non posso permettermi di passare i giorni a leggere poesie.”
“Maria, non ti inalberare così per niente; io capisco perfettamente te, il tuo lavoro e il tuo ruolo; ho apprezzato molto di trovare in quell’ambiente una persona che parlasse con me di poesia; te ne sono ancora profondamente grato. Se il tuo lavoro te lo consente, stasera vorrei cenare con te in un posto dove si fa anche musica, anche solo un piano bar. Puoi ?”
“Scusa la brutalità: pensi o speri che ci sarà un dopocena?”
“Io non leggo come gli aruspici nelle viscere delle vittime sacrificate; andiamo a cena; se succede qualcosa, non siamo nati ieri; se tutto rimane sotto la meravigliosa cappa dell’amicizia, saprò apprezzarla.”
Squilla il telefonino: è Mimmo e, sinceramente, non me l’aspettavo.
“Cosa c’è?”
“Vogliamo vederci stasera?”
“Se hai qualcosa di importante d dirmi, si può vedere; altrimenti ho già un impegno.”
“No, solo speravo di passare una serata con te.”
“Allora, mi spiace ma l’altro impegno è precedente e forse anche più importante. Può darsi che vada oltre la cena.”
“Intendi dire, a letto?”
“Non precisamente; ma può essere. Gli accordi sono: massima lealtà. Stasera ho una cena; forse potrebbe diventare qualcosa di più: io, per lealtà, ti avverto, cosa che tu mi pare non abbia fatto.”
“Perché dici questo? Io non ti ho nascosto niente.”
“Va bene; verificheremo, prima o poi. Comunque, stasera ho da fare. Ciao.”
“Era il tuo lui?”
“Già!”
“Quindi non escludi che qualcosa possa succedere.”
“Ci tieni molto?”
“A stare con te? Si, tantissimo. A parlare con te? Infinitamente. Ad ascoltare musica con te? Senza dubbio. Ad amarti inutilmente? Se mi succederà, lo saprai e non solo dalle mie parole. A fare l’amore con te? Non lo escludo; ma è l’ultimo dei problemi. Il primo è stare con te e guardarti e ascoltarti e parlarti e divorarti con gli occhi: esattamente quello che sto facendo qui in questo studio asettico e senza anima; ma che, se ci sei tu, diventa un paradiso.”
“La smetti di solleticarmi con le parole? E se poi mi innamoro?”
“Benvenuta al club degli innamorati; io sono già iscritto e ti aspettavo.”
“A che ora?”
“Alle 20, ce la fai?”
“Alle 20, a casa mia; sai dove abito?”
“Anche papà ha un ottimo servizio di spionaggio. So tutto di te, tutto quello che sanno gli altri; quello che sapremo solo noi due va costruito da stasera in avanti. Ho ascoltato la tua telefonata. Sei straordinaria!”
Lo caccio via scherzosamente.
Dopo l’ufficio, mi precipito a casa e, per la prima volta, forse, nella mia vita, mi precipito in bagno per una doccia rigenerante e mi curo minuziosamente di me e del mio corpo: scopro che dovrò dedicare più attenzione al fisico; ma per ora è meglio essere come sono, naturale e me stessa.
Puntuale come la morte, Guglielmo mi suona al citofono alle 20; scendo e mi accoglie letteralmente a braccia aperte, come un vecchio amico o un appassionato innamorato; lo bacio sulle guance; striscia, come per caso, sulla bocca e mi stampa un bacio sulle labbra; lo minaccio scherzosamente.
La serata è meravigliosa: il locale è intimo, in penombra, con persone che si muovono quasi delicatamente, camerieri che servono attenti a qualunque esigenza; la musica è dolce, carezza i sensi e i sentimenti; la sua mano attraverso il tavolo viene ad intrecciarsi alla mia: sento che le mie riserve crollano; forse sto innamorandomi.
Mi bacia a sorpresa, attraverso il tavolo, sporgendosi acrobaticamente.
Faccio finta di rimproverarlo, ma vorrei che lo rifacesse con maggiore intensità; lo rifà. In piedi, abbracciandomi con amore: mi sento avvolta dalla sua passione, accarezzata dalle sue labbra, dalle dita che mi scivolano sulle braccia, sulle spalle: nessun accenno a sesso o voglia; è semplicemente l’esaltazione dell’amicizia; mi porta lentamente sulla piccola pista da ballo e mi si stringe: non balliamo; ci teniamo abbracciati per sentire il corpo dell’altro; non riesco a sentirmi eccitata; non avverto reazioni del suo sesso, anche se i due inguini sono stretti; è come se l’amore dominasse e riconducesse tutto al cuore, al cervello, al massimo alla bocca e ai baci.
“Commetto peccato se dico che adesso vorrei fare l’amore con te? Tu non sei eccitato? Io non lo sento.”
“Le cose hanno i tempi che meritano; questo è il tempo dell’amore; quello della passione verrà e sapremo viverlo come merita; per ora so soltanto che vorrei sciogliermi in te e ti vorrei far entrar dentro di me, vorrei che diventassimo un solo individuo, androgino, con le tue le mie caratteristiche. Questo non è ancora amore; quando sarò anche eccitato, allora saprò di amarti.”
“E io che sono anche eccitata?”
“Tu sei una donna, hai il dovere/diritto di eccitarti più presto; ti amo, te ne rendi conto? Ti conosco da due giorni e vorrei assorbirti in me. Questo è amore, Maria: aspetta a convincertene e poi decidiamo cosa saremo.”
“Basta parlare. Andiamo a casa mia e fammi fare l’amore con tutte le energie che hai; ho voglia di sentire la tua chimica divorarmi; vuoi farmi felice?”
Ci avviamo e quasi lo costringo a portarmi a casa, a salire con me e, chiusa la porta, mi aggrappo a lui con una passione che non pensavo di poter provare.
“Mi stai facendo impazzire; cosa mi succede? Tu riesci a capirci qualcosa?
“E’ così difficile capire me, figurati come posso capire te: mi trovo ad amarti come un ragazzino ai primi palpiti ormonali e, intanto, a casa mia c’è una donna convinta che la voglio ancora; e da qualche altra parte c’è qualcuno che spera di poter contare ancora su di te. Stiamo facendo un bel casino!”
“Guglielmo, la porta è dietro di te, la tua auto è giù: vattene e dimenticami; piangerò solo il necessario, stasera, per un sogno meraviglioso durato una cena; oppure vieni di là con me, facciamo l’amore e decidiamo su che basi vogliamo costruire una storia meravigliosa.”
E’ forte, l’uomo: mi solleva facendomi sedere sulle braccia e mi attacco al suo collo; mentre va verso la camera, bacio il suo viso per tutto il profilo; sento che l’amore monta dentro di me e, come il maledetto mi ha anticipato, comincio a colare perché anche vagina e utero vengono coinvolti, finalmente, dal piacere dell’amore; mi poggia delicatamente sul letto e comincia a spogliarmi; cerco di aiutarlo, ma me lo impedisce.
“Sei un regalo della vita; io i regali me li scarto da solo, non consento ad altri di farlo per me.”
“Ed io come faccio a scartare il mio regalo della vita?”
“Verrà il tuo momento e sarai meravigliosa.”
Ha cominciato a toccarmi intimamente e sento che si avvicina alla vulva a passi giganteschi: sono ancora completamente vestita, le sue dita sono in vagina e la sua bocca divora la mia; mi monta un primo orgasmo violento e non cerco di arginarlo; urlo da bestia macellata e piango, e rido, e urlo, non so più cosa faccio.”
“Si può provare tanto piacere a fare l’amore?!”
“Se lo provi, è vero. Sei contenta?”
“Sono felice. Posso cominciare a chiamarti amore mio?”
“L’hai fatto; anche tu sei il mio grande amore e te lo ripeterò sempre.”
“Niente impegni, per ora. Il contratto matrimoniale lo stendiamo dopo, quando saremo più lucidi. Per ora, amami con tutte le tue forze e rispetta le premesse, adesso voglio l’amore anche dal tuo sesso, il mio ha già fatto il suo dovere.”
Si spoglia in un attimo, mantiene solo lo slip e, a guardare, la dotazione è di quelle che fanno sognare; lo bacio dappertutto, dalla bocca ai capezzoli e poi giù lungo il ventre fino all’ombelico; mi prende la testa e mi obbliga a saltare il pene per spostarmi sulle cosce; mi inebrio del sapore dei suoi muscoli; lecco con lussuria l’interno delle cosce e il retro delle ginocchia, ritorno sulle cosce e mi spingo in mezzo, fino ai testicoli; finalmente la mia lingua impatta con la mazza che preme nello slip ormai ridotto a gabbia di contenzione: lo afferro coi denti e lo tiro giù; una mazza di carne formidabile si innalza davanti al mio viso e io la vado a catturare nella bocca: mi ci voglio soffocare, a furia di spingerla in gola; mi obbliga a fermarmi.
“Non saltiamo passaggi: ora è il momento di fare l’amore, quello limpido, cristiano se vuoi, forse missionario, per rimanere coerenti; poi avremo campo per dimostrare quanto piacere sappiamo dare e quanto ne sappiamo prendere; per ora vorrei fare solo e semplicemente l’amore, con una donna meravigliosa di cui mi sto innamorando.”
Mi rilasso e mi lascio adagiare supina, sollevo le ginocchia, quasi a comando, e mi apro tutta; mi viene addosso e si stende su di me, mi fa sentire il corpo suo su tutte le parti corrispondenti del mio corpo e mi gusto il piacere dei capezzoli sui capezzoli, dell’ombelico sull’ombelico, del pube sul pube; allungo una mano, scavo un poco tra i peli del pube, afferro la sua verga e la deposito all’ingresso della vagina: comincia a spingere delicatamente e lentamente ed ogni movimento è per me orgasmo che si scatena: quando la punta urta la cervice, io sono un lago di umori scaricati dalla vagina, gemo e mi lamento, sono in paradiso e lo comunico a tutte il mondo.
“Ti amoooooooo.” E’ l’unica cosa che posso dire.
Mi cavalca con immenso amore e sento che il suo orgasmo monta con lui, finché mi esplode dentro con effetti devastanti sul mio orgasmo.
“Oh, Dio: non ti nemmeno chiesto se eri protetta …”
“Non ti preoccupare. Io da te stasera accetterei anche un figlio, anzi lo reclamerei per assicurarmi che qualcosa di grande si conservi di una serata così meravigliosamente intensa. Comunque, non ci sono problemi. Ti amo, tanto, tanto, tanto.”
“La chimica c’è: mi pare chiaro. Adesso dovremo solo valutare quanto vicini e quanto insieme vogliamo stare. Io sarei felice di viverti ogni giorno, anche con i tuoi impegni e le tue difficoltà: lo faccio già con mio padre che non mi condivide e si fa pesare molto; ma per fortuna conta sui miei fratelli che sono di altra tempra. Con te vengo a vivere anche da questo momento, a una sola condizione: sei mia e non ti concedi ad altri, neanche se ci accordiamo in due; sono gelosissimo, quanto più ti amo, tanto più sono geloso e esclusivista.”
“Guglielmo, amore; parliamone tra qualche mese o anche fra qualche anno; aspettiamo a vedere se u altro Guglielmo mi mostra le foto del mio compagno con un’altra.”
“Campa cavallo … se ti chiedo di essere mia, ho già deciso che ho intorno a me i tuoi paletti di proprietà, invalicabili per tutti. Io, fino a questa sera, non avevo mai tradito la promessa … alla modella (meglio che tu non conosca neppure il nome); da questo momento sarò solo tuo, sempre che tu non venga meno alla fiducia. Vuoi essere la mia compagna?”
“Si voglio essere la tua compagna, la tua donna, la tua fidanzata, tua moglie, voglio anche essere solo tua, a costo di far inorridire tutte le femministe del mondo. Ma se deludi le mie attese, giuro che ti uccido,a anche a mani nude se mi riesce. Non pensare nemmeno per errore di dare il tuo sesso ad un’altra. Ti è chiaro?”
“Come il sole, come quest’amore che ci sta invadendo.”
Facciamo l’amore per tutta la notte e, la mattina seguente, devo dare molte spiegazioni sul mio scarso rendimento sul lavoro; per fortuna, ho una buona capacità di recupero; appena decido di svegliarmi con una doccia e riaccendo il telefonino, trova una caterva di chiamate di Mimmo per tutta la notte; ho appena guardato che di nuovo squilla.
“Che c’è?”
“Dov’eri, che non rispondevi?”
“Ero a casa, nel mio letto.”
“Con chi?”
“Al momento opportuno, saprai tutto, quello che hai detto e quello che hai taciuto, quello che hai fatto e quello che non hai fatto, quello che ho deciso e quello che farò. Fino a quel momento, per favore non mi turbare: ho un’azienda da mandare avanti.”
“Va bene, scusami, buona giornata.”
Come prima decisione, comunico alla banca di bloccare le carte di credito e gli assegni che avevo dato a Mimmo; quando lui si presenta in ufficio per riprendere il discorso, gli dico chiaro che la sua presenza in ufficio è sgradita e che lo avevo sempre avvertito di tenersi lontano dal mio posto di lavoro; gli impongo di consegnarmi le chiavi della macchina e quelle del mio appartamento.
“Mi stai cacciando via?”
“Te ne sei andato già da un anno, non lo sapevi?”
“Io non capisco.”
“Peggio per te. Vai, per favore; lasciami lavorare.”
Fortunatamente è già tempo di andare al convegno; Guglielmo mi chiede di fare il viaggio insieme e non ho difficoltà a concederglielo, con l’unico avvertimento che quando guido non amo essere disturbata: se sente il desiderio o la necessità di scambiarci effusioni, si metta lui alla guida , se resiste, sarò io a pascermi del suo corpo mentre andiamo; mi confessa che anche lui quando si eccita tende a non mantenere il controllo: stabiliamo che, un’altra volta, viaggeremo con l’autista e, sul sedile posteriore, faremo sesso da scandalizzare satana; naturalmente, una risata è inevitabile; lo avverto che in hotel il comportamento dovrà essere irreprensibile, con gli altri industriali almeno fino a che la nostra relazione non sarà ufficiale, con la sua fidanzata a e il mio compagno fino a che non saranno stati scoperti gli altarini; promette che mi amerà senza parlare e senza toccarmi.
Lavoro con il gruppo tutto il pomeriggio di venerdì e la giornata di sabato; naturalmente, nella notte tra venerdì e sabato Guglielmo viene in camera mia e facciamo l’amore alla grande; Mimmo mi telefona per avvertirmi che andrà via per il week end e non dice dove; io lo avverto che sono ad un convegno di industriali e ne avrò per tutto il fine settimana; dopo la cena del sabato sera, decidiamo, io e Guglielmo, di andare nel privè: approfitto del mio ruolo di potere (sono la proprietaria anche del privè che ha sede negli interrati dell’hotel) per farmi fornire maschere che coprono il volto e falsano la voce, per me e per lui; quando le riceviamo, ci divertiamo come bambini a parlarci con voci falsate.
Entrati nella sala grande, con bar. tavolini e pista da ballo, prendiamo posto ad un ’tavolo strategico’ che ci consente di tenere sott’occhio tutto l’ambiente; dopo non molto vediamo arrivare i nostri ex amati che sembrano avere immediatamente problemi con la cassa; intuisco e attendo che squilli il telefono: difatti, dopo poco vedo che Mimmi digita sul display e il mio cellulare prende a gracchiare.
“Che ti succede? Non dovevi essere chissà dove?”
“Si, ma devo pagare un conto e la carta risulta rifiutata.”
“Beh? Che vuoi che ci faccia? Anche io sono fuori, sono impegnata moltissimo, è sabato sera e che posso fare per la tua carta che poi, a pensarci, non è mica tua: tu ne approfitti ma il conto è mio.”
“No, niente, scusami, pensavo …”
Riattacca; vedo che fa altre prove, poi è lei che dà una carta che, come sapevamo, viene respinta; stavolta è Guglielmo a dover recitare la manfrina; si arrendono e forse lui attinge da un suo conto separato.
Intanto, un’orchestrina ha attaccato dei ballabili e sulla pista qualcuno si agita già; guardo negli occhi Guglielmo che coglie al volo la sfida.
“Tu come te la cavi?”
“Da giovane, mi piaceva un casini ballare specialmente quelli lenti, per ‘pomiciare’ come si diceva al tempo.”
“Ti andrebbe di pomiciare con me al ritmo di un lento, sotto gli occhi di tutti?”
“Perché no?”
Sulla pista molte coppie si sono già lanciate ed è evidente che il ballo è una scusa per comunicarsi amore e sesso; anche Mimmo e la modella si sono lanciati e si danno un gran da fare; lei mi apparve molto bella, assai ben messa, molto sensuale e provocante.
“Ma non ti accorgi che nel cambio ci perdi? Lei è una bellezza.”
“… traditrice, infedele, quindi stupida perché a giudizio di tutti sono assai più bello e più ricco.”
“Quindi, ci ho guadagnato solo io … “
“Sei matta? Io ci ho guadagnato una donna intelligente, sensibile, disponibile, forte, tenace e chi più ne ha più ne metta. Taci, va’ che non c’è paragone: oggi ho fra le braccia, anche materialmente, la donna più bella del mondo.”
“Boom; quante ne spari! Vediamo se riesci a portarmi all’orgasmo; mi pare che a freddo non ti ecciti molto … “
“Perché mi provochi? Davvero vuoi sentirmi sessualmente vicino?”
“Io si; a te da fastidio?”
Mi stringe come un fuscello, sento il ventre premuto dal suo e la sua verga che di botto si alza frale mie cosce: non avevo affatto pensato a una cosa del genere: lo guardo estatica.
“Amore, ma sei proprio tu? Perché non me l’hai fatto mai sentire così?”
“Forse perché non suonavano un lento e tu non mi avevi chiesto di ballare.”
“Allora ti ordino di portarmi all’orgasmo e di lasciarmi urlare quando ci arrivo: il sassofono coprirà le mie urla.”
Comincia a strusciarmi sul suo corpo, sento l’asta che mi stimola addirittura il clitoride, tanto sono sapienti le movenze e, complice la musica, io vado sempre più su di giri, forse mi sto innamorando da pazzi ed alla fine esplodo con un urlo che effettivamente il sax provvede tempestivamente a coprire: temo che il mio slip sia da strizzare; mi abbraccio languida a lui e ne ascolto il cuore impazzito.
“Sai, devo cambiarmi le mutande, ho avuto un’eiaculazione enorme.”
“Sei venuto nelle mutande senza toccarci?”
“Perché? Tu no?”
“Anch’io; ma io non rischio i pantaloni.”
Vado al guardaroba e cerco di spiegare che abbiamo bisogno di un cambio d’intimo: non deve essere un evento raro, perché la ragazza addetta mi fornisce due buste chiuse con l’occorrente; chiedo se c’è da pagare; per me, no, naturalmente; chiamo Guglielmo, andiamo in bagno e ci cambiamo, asciugandoci anche con tovagliette contenute nelle buste.
Tornati al tavolo, troviamo il direttore che ci chiede di partecipare ad un anomalo ‘gioco delle verità’; Guglielmo accetta perché si diverte come un bambino; mi accodo.
Cominciano a porre a tutte le coppie domande insidiose del tipo in che rapporto siete, da quanto vi conoscete, da quanto fate sesso ed altre simili; i nostri ex amori sono della partita e giocano abbastanza pulito, rivelando che si conoscono da un anno, che sono ‘irregolari’ perché in coppia con altri partner e in qualche modo ‘clandestini’.
Quando arriva il nostro turno, un poco barando, diciamo che non abbiamo mai fatto sesso tra noi, ma con altri partner che ci stanno bellamente tradendo, che ci stiamo appena conoscendo e che forse qualcosa nascerà: la situazione appare così incredibile che è proprio Mimmo a strepitare che vogliamo passare per vergini ma non può essere vero: ci scambiamo un’occhiata e Guglielmo mi fa segno che adesso basta; escludo il disturbatore di voce e col mio tono naturale gli urlo.
“Imbecille, sta’ zitto; sei solo un povero imbecille presuntuoso. E’ da un anno che fai sesso con lei, l’hai detto tu. E questo sarebbe il tuo impegno alla lealtà? Te l’avevo detto che sarebbero arrivati al pettine, i nodi.”
“Maria?!?!?!?!”
Mimmo è stravolto; ma Guglielmo ha addirittura tolto la maschera e la modella lo guarda inebetito, senza la forza di proferir verbo.
“Ed ora?”
Riesce ad articolare quando si è un po’ ripresa.
“Ora andate a casa di Mimmo e vivete felici e contenti col vostro amore. Noi abbiamo deciso che staremo insieme, se ci riesce, per tutta la vita; e l’unica cosa di cui non sentiamo nessun bisogno è una coppia di bugiardi matricolati, che pretendono di essere mantenuti e trascinati come una palla al piede, assolutamente non in grado di rispettare gli impegni e incapaci anche di cautelarsi, tant’è vero che vi abbiamo scoperti con le dita nella marmellata.”
Guglielmo mi abbraccia, mi bacia con passione e mi fa il verso.
“Per tutta la vita: ma solo se ci riesce; e chi non ci riesce è un uomo morto … o una donna morta?”
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