I coniugi Rossi erano la coppia più interessante e simpatica del rione: lui, Antonio, vicino ai sessant’anni, era una persona distinta, sempre inappuntabilmente elegante, serio ed educatissimo, ma anche cordiale e cortese con le signore, ed era un alto dirigente di un’azienda che aveva sede in un comune vicino, arrivato forse quasi ai limiti della pensione; lei, Nicoletta, di alcuni anni più giovane, era una bella donna matura, che in gioventù doveva aver fatto girare molte teste per la sua bellezza prorompente, insegnava nel locale Liceo ed era apprezzata ed ammiratissima da colleghi, genitori, alunni e dirigenti; era quasi un piacere incontrarli quasi ad orari fissi, per fare la fila a comprare il pane o dal verduraio; più raramente in farmacia o in posta; e la loro vita, naturalmente, era quasi un libro aperto per le ‘comari’ che raccontavano tutto della loro quotidianità, fino alla brutta malattia che colse lei e in pochi mesi la spense.
Antonio divenne così una sorta di oggetto misterioso delle ‘indagini’ di radio serva, che si chiedeva quale sarebbe stata la sorte del vedovo che si presumeva inconsolabile per l’intenso rapporto che i due avevano sempre dimostrato e che li teneva stretti in ogni momento come se vivessero l’uno in funzione dell’altro; a me era capitato spesso di ‘frequentarli’, se così si può dire di persone che si incrociano dal panettiere e stanno spesso anche un’ora in coda per la ressa del momento, scambiandosi le solite stupide amenità sul tempo e sul governo, oppure raccontandosi piccoli particolari marginali della vita quotidiana; qualche volta mi era parso di cogliere uno sguardo più appassionato di lui sul mio decolleté, quando, in primavera o in estate, uscivo con abiti più leggeri e meno oppressivi, oppure, nelle stesse occasioni, sulle trasparenze delle mie gonne e sugli slip che occhieggiavano dagli abiti; il tutto sempre con lo stesso garbo e la stessa eleganza che metteva in tutte le cose e che, in definitiva, facevano piacere e rassicuravano, in qualche modo.
Quando lo rividi la prima volta, dopo la disgrazia, mi affrettai ad esprimergli la mia condoglianza e ad assicurargli la mia vicinanza, se avesse avuto bisogno: in più occasioni mi interpellò per capire come funzionavano certi meccanismi che fino al momento gli erano stati estranei, come il microonde o la lavatrice, i reparti di un supermercato o altre simili amenità, banali e sciocche per chi le frequenta quotidianamente, astruse per chi non ci ha mai avuto a che fare: in quel periodo, notai anche che, quando la ressa era maggiore, tendeva ad avvicinarsi notevolmente col ventre al mio fondoschiena e talvolta ebbi la sensazione della forte erezione di un pene di dimensioni non banali e forse neanche tanto ordinarie; cercai di convincermi che fossero stati eventi casuali determinati dalla condizione di affollamento della sala e che forse una reazione del sesso fosse automatica e non voluta.
Un pomeriggio d’inverno, che lui indossava l’abito intero con sciarpa e cappotto mentre io viaggiavo con pantaloni di panno e giubbotto imbottito, la sensazione fu viva e forte, decisamente voluta e accompagnata da un movimento pelvico che accentuò la spinta del membro duro sul fondoschiena: per assicurarmene, sculettai un tantino e feci poggiare l’asta più opportunamente tra le cosce; allargò le falde del cappotto, quasi a creare un paravento a quello che avveniva sotto la cintura, e spinse delicatamente avanti e indietro simulando un amplesso in piedi; favorii il movimento spingendo, al massimo possibile senza dare scandalo, la schiena contro il suo ventre: dopo una decina di movimenti, lo sentii ad un tratto fremere con tutto il corpo, gemere quasi lamentandosi e alla fine rilassarsi fino a scostarsi; fu netta la sensazione che avesse raggiunto un orgasmo: diradatosi l’assembramento, mi voltai a guardare ed ebbi conferma, dalla macchia d’umido sul pantalone, che aveva effettivamente avuto una forte eiaculazione, fin troppo rapida secondo me, e non gli risparmiai la battuta.
“Troppa tensione o troppo tempo senza?”
Per fargli capire, abbassai lo sguardo sui pantaloni e lui, seguendo il mio sguardo, si accorse che le mutande non avevano arginato il flusso; si affrettò a stringere il cappotto per nascondere il malfatto e cominciò a balbettare scuse.
“Scusami, mi spiace, non volevo. Possiamo parlarne dopo, prendendo un caffè al bar?”
“Guarda che non sono affatto offesa; ma mi piacerebbe parlarne, a lungo e con lealtà; va bene il bar quando usciamo.”
Un quarto d’ora dopo, seduti al bar vicino, ripresi da dove avevo iniziato.
“Cosa ti ha scatenato sul mio fondoschiena, la lunga astinenza dopo la vedovanza o una qualche tensione momentanea?”
“Tu, semplicemente tu; averti desiderato per anni, avere sognato sempre il tuo corpo e, soprattutto, il tuo fondoschiena; ed avercelo adesso, lì davanti, premuto sul mio basso ventre, mi ha spezzato ogni remora e sono esploso con una rapidità imprevedibile. Diciamo però che anche tu hai fatto di tutto per favorire e accelerare il processo.”
“E’ vero: ci ho preso gusto, ma ancora non mi spiego perché desideravi me con tua moglie a fianco.”
“La nostra coppia, nel privato, era l’esatto opposto di quello che presentavamo in pubblico: Nicoletta, sia pace all’anima sua, era la compagna più meravigliosa, più disponibile, più aperta e più perversa che un maiale come me potesse sperare: ci amavamo alla follia, ogni momento della giornata, ma facevamo l’amore come animali, in ogni luogo, in ogni momento, con chiunque ci capitasse di coinvolgere nei nostro giochi sessuali: non credo che molte persone al mondo possano vantare le esperienze che noi due abbiamo realizzato: eravamo irrefrenabili, sincerissimi, leali; quando ti vidi la prima volta e mi prese la voglia di te, la prima a saperlo fu mia moglie, che non volle che ti abbordassi solo perché temeva che mi innamorassi di te e mandassi a scatafascio il matrimonio: forse era anche un po’ gelosa della mia passione per i tuoi fianchi; ma ti stimava anche moltissimo e ti voleva bene, nei limiti della gelosia … “
“Urca … e me lo dici così? E’ una botta assai peggiore di quella che mi hai dato prima, senza farmi godere. A proposito, mi sei debitore di un orgasmo: tu hai eiaculato … e quanto! … io invece sono rimasta a secco, non lo dimenticare!”
“Credi che potrò rimediare?”
“Dobbiamo fare un lungo discorso. Io adesso so abbastanza di te; ma tu forse non sai che io ho da molti anni un compagno a cui sono molto affezionata.”
“Ti sbagli, lo so benissimo; e so anche che per un maledetto incidente ha subito un intervento chirurgico che lo ha privato di certe funzioni fondamentali.”
“Si, è diventato impotente, non è il caso di girarci intorno. Devi sapere che Mario, nella sua impotenza, mi chiede da tempo di non farmi trascinare nel suo ‘fallimento’ e di non sprecare il mio corpo, insomma di trovarmi qualcuno con cui fare sesso più o meno regolarmente. Io mi sono sempre rifiutata, perché per me sesso e amore non possono distinguersi e non ho nessuna intenzione di finire per innamorarmi di uno che mi facesse trovare così bene nei rapporti sessuali da spingermi a lasciare il mio uomo, che è il mio uomo anche dimezzato come è, costretto a rimediare con mano, lingua e aggeggi vari. Per lui, un pene vivo e palpitante non è sostituibile; io preferisco un dildo di gomma o di plastica al rischio di perdere la testa e lasciarlo.”
“Vuoi dire che se ti garantisco che al primo accenno di innamoramento di uno dei due, io scompaio nel nulla e ti lascio a Mario come è giusto che sia, in quel caso faresti l’amore con me?”
“Anche le tue sono parole che potrebbero poi non avere senso; ma se arrivo ad accettarle come autentico impegno, non solo facciamo l’amore ma arriviamo a farlo con la complicità di Mario, in sua presenza e con la sua partecipazione attiva; ma soprattutto tu mi fai realizzare anche qualcuna delle piccole perversioni che facevi con Nicoletta.”
“Vuol dire che ci stai?”
“Vuol dire che vado a casa, ne parlo con Mario e gli chiedo di aiutarmi e sostenermi, che poi cominciamo qualche approccio e, se funziona, mi lascio anche andare, sempre nell’ottica che il mio amore insostituibile è e resterà Mario.”
“Mi piacerebbe essere con voi quando ne parlerete; ma spero che prima o poi ne parlerò anche con lui. Intanto, aspetto di approfondire la conoscenza con te.”
“Okay; adesso però ti saluto e vado a casa; ciao.”
Mi bacia delicatamente sulla guancia, mentre mi alzo; rispondo sfiorandogli le labbra: e scopro che sanno di buono; Mario accoglie la notizia con serenità: era nelle sue previsioni che, prima o poi, quella notizia sarebbe arrivata e cerca solo di valutarne con me la portata; conosce il personaggio e lo ha anche incontrato in una delle rarissime occasioni in cui viene con me a fare spese; sa che si tratta di una persona estremamente affidabile: sono costretta a ricordargli che, come mi ha confessato, ha fatto numerose esperienze di trasgressione sessuale insieme alla moglie il che lo colloca non tra gli affidabilissimi ma anzi tra quelli che possono essere sospettati di volontà di trasgredire e di invitare alla trasgressione le persone che li frequentano con certi intenti; insomma, se poi mi proponesse giochetti particolari con altri protagonisti, la cosa diventerebbe delicata; mi chiede quanta pura ho di affrontare una situazione strana o con più soggetti, se l’amore resta a casa e il sesso viaggia: devo ammettere che ha ragione; alla fine gli chiedo se gli va di incontrarlo: preferisce farlo dopo che almeno ci siamo assaporati noi.
Lascio passare qualche giorno per sedimentare l’emozione della novità, poi chiamo Antonio e gli dico che sono pronta ad incontrarlo per verificare se c’è tra noi abbastanza ‘chimica’ da stabilire una relazione; decidiamo di incontrarci quello stesso pomeriggio in centro; avverto Mario della mia uscita, gli chiedo, se dovessi fare più tardi del prevedibile, di arrangiarsi per la cena e mi preparo alla nuova vicenda; passo alcune ore a controllare il mio corpo, dalla depilazione alla profumazione, dalla scelta dei singoli capi di abbigliamento alle mille prove prima di decidere; ogni tanto, chiedo a Mario di giudicare e con aria molto divertita mi consiglia al meglio; lo vedo sorridere ironico; chiedo perché.
“Sembri una ragazzina che si prepara al primo appuntamento. Sei certa che non stai andando verso un grande amore?”
“Se lo dici un’altra volta, tronco tutto, mando al diavolo te e tutti i possibili amanti con il pene iperuranico che tu mi consigli per raggiungere il nirvana; io amo te e sono euforica per questo nuovo gioco come una bambina che prova una bambola diversa; ma amo solo te e alle bambole rinuncio senza patemi: dimmi che non ti piace che esco con un altro e io resto con te.”
“Io so che devi liberarti di questo legame; è una scelta che non mi rende certamente felice; ma mi fa sentire pieno di entusiasmo per te e spero che quello che farete ti faccia entrare in una dimensione di piacere che non è certo il nirvana ma che almeno ti ridà un gusto profondo per la vita; comincia da questo piccolo passo; per gli altri, avrai tempo per decidere. Comunque, in ogni cosa, anche la più piccola, in tutti i momenti, in qualunque emozione, io sarò con te, specialmente se tu vorrai farmi essere con te, dentro di te, dentro il piacere che ti prendi meritatamente.”
Lo abbraccio con forza e lo bacio con profondo affetto; con quel gesto gli dico che sarà sempre presente in me e nel mio amore, che resterà intatto, fuori da tutto quello che faremo: a parole, poi, mi impegno a raccontargli momento per momento quello che succederà e gli prometto che quello sarà un altro elemento di grande amore tra noi; succede che alla fine, quando arriva l’ora di uscire, deve essere Mario a spingermi fuori quasi a forza, come se volesse scaricarsi dalla colpa di avermi chiuso in casa con la sua malattia, anche se sa perfettamente che sono stata io a scegliere e che adesso sono ancora io a voler cambiare atteggiamento per essere ancora più in sintonia con lui e con il nostro amore: prima di lasciarmi andare, mi costringe ancora una volta a fare una piroetta per ammirare l’effetto del minivestito vertiginoso che mi scopre quasi fino all’inguine le cosce che sono il punto forte della mia bellezza, insieme al fondoschiena che lui prende in giro col termine greco ‘callipigio’ che appunto indica ‘un bel sedere’, stuzzica il mio seno senza reggiseno scherzando sulla forza di gravità che le mie tette combattono restando ritte nonostante l’età; si sofferma a guardare il mio viso che definisce tizianesco e mi bacia leggermente per non sciupare il trucco; gli accarezzo il volto e lo saluto dolcemente: sono certa che stasera ci ritroveremo più innamorati che mai; prendo il cappotto ed esco.
Antonio mi aspetta in un bar centralissimo dove mi siedo per un caffè; gli chiedo che progetti ha; mi dice che vorrebbe andare a cinema; lo guardo sorpresa e gli faccio osservare che ormai i film si guardano sul computer o in tele; mi risponde che non intende affatto guardare un film, al massimo interpretarlo; poiché non voglio ammettere che stia pensando a un’ipotesi fanciullesca come andare a pomiciare in un cinema, gli chiedo come mai abbia avuto questa pensata; mi dice che potevamo agevolmente decidere di andare a casa sua o a casa mia e che sarebbe stato normale; ancora più normale e becero sarebbe stato andare in cerca di un albergo, di un motel o di un b&b: tutte scelte da amanti clandestini; invece, mi dice, quello che stiamo cercando è un dimensione ludica, quasi fanciullesca, del rapporto e che, come per tanti ragazzi, il buio di un cinema è spesso l’ideale per sfogare tensioni sessuali in modi imprevedibili e straordinari; benché perplessa, devo ammettere che c’è una logica, anche se è estremamente pericoloso per personaggi pubblici (e noi lo siamo, in fondo) rischiare di essere beccati in atteggiamenti disdicevoli; mi risponde che l’azzardo è il pepe della pietanza: se non mi va, possiamo fare qualsiasi altra scelta, dalla casa di uno dei due all’hotel alla fuga in automobile in qualche posto strano; mi viene in mente il discorso che mi aveva fatto sui rapporti con sua moglie e capisco che è il caso di sperimentare, come mi ero riproposta, quella novità per verificarne l’interesse; accetto di affrontare il rischio di farmi beccare in flagrante congresso carnale da qualche vigilante pur di ‘giocare’ con la sessualità in qualche modo ‘vergine’ o per lo meno ingenua; scegliamo il locale più vicino e andiamo in galleria, totalmente deserta.
Ci sediamo agli ultimi posti, poggiamo sui sedili di lato a noi i soprabiti: Antonio scopre come una folgorazione il mio abbigliamento super sexy fatto quasi apposta per pratiche sessuali avventurose e giovanili: mi invita a poggiare sulle ginocchia il soprabito e, prima ancora di baciarmi come mi aspettavo, mi infila una mano tra le cosce, nascondendosi col cappotto; sono io a prendergli la testa e a baciarlo sulla bocca, cercando di recuperare il sapore di buono che avevo intuito; mentre io gioco con la lingua a combattere con la sua una lotta a chi domina e a chi irrora di più insalivando tutto l’incavo dell’altro, lui fa arrivare la mano fino allo slip, lo sposta di lato ed entra nella vulva con due dita, di cui una artiglia, col sostegno del pollice esterno, il clitoride e lo titilla fino a farmi bagnare abbondantemente, e l’altro accarezza l’accesso alla vagina che piange tutti i suoi umori e li scarica sulla sua mano; l’orgasmo esplode naturalmente, all’improvviso, con mia grande soddisfazione; per qualche minuto se ne sta fermo con la mano a cucchiaio sul mio basso ventre, quasi per assorbire gli effetti della tensione dell’orgasmo.
Non a caso, mi viene di pensare immediatamente che con Mario quelle pratiche sono quasi obbligatorie, anche se, in verità, la location è particolarmente strana: questo non mi impedisce di avere ancora un orgasmo al pensiero del mio amore in attesa a casa; quasi a ricambiare la cortesia, allungo la mano sotto il suo spolverino, abbasso la zip del pantalone, infilo la mano nelle mutande fino a trovare l’oggetto del mio desiderio, la sua verga che sento finalmente, viva e pulsante, lunga, nodosa e grossa: non mi è possibile nessun confronto, avendo perso da anni il contatto con quel’organo; ma la sensazione è che sia una delle verghe più notevoli che mi sia capitato di manipolare; comincio una masturbazione che cerco di rendere passionale e delicata, intensa e decisa; Antonio mi ricambia infilando una mano nella parte alta del vestito finché raggiunge un seno e prende a titillare un capezzolo; sfilato il seno fuori dall’abito, si abbassa a succhiare il capezzolo provocandomi brividi di lussuria infiniti: tra le vibrazioni del pene nella mia mano e le emozioni della sua bocca sul capezzolo, il secondo orgasmo si aggiunge al primo con rapidità impressionante.
Facendo forza sulla mia testa, Antonio mi induce ad abbassarmi sul suo ventre finché incontro la punta dell’asta con le labbra e comincio a baciarla e leccarla; la bocca è piena della salivazione che ci eravamo scambiati col bacio e la verga scivola nella cavità con elegante dolcezza; io succhio e lecco, dalla punta alla radice; mi abbasso anche sui testicoli che incontro grossi come prugne e duri come il marmo, pieni forse di desiderio represso; non voglio che eiaculi troppo presto e rallento la fellatio; lui mi sposta le mani, si inginocchia davanti a me, nello spazio tra due file di poltrone, e si dedica ad un cunnilinguo che mi appare divino: ogni lappata è un brivido, ogni succhiata del clitoride è una sferzata di energia: si impegna a titillarmi, leccarmi, succhiarmi fino a che un nuovo orgasmo gli esplode addosso e gli inonda tutto il viso; mi invita a seguirlo mentre va a lavarsi; prendo la borsa, lasciando il cappotto, e lo seguo nello spazio di disimpegno dove ci sono i bagni.
Non c’è nessuno in giro, e Antonio non ha un momento di esitazione: mi spinge nel bagno dei disabili, chiude a chiave, mi sbatte contro la porta e, finalmente!, mi bacia con un’intensità che quasi non mi aspettavo: sono abbastanza frastornata dalla situazione che si è creata: ero entrata piena di dubbi ed ora quello che domina sono la sensualità, il desiderio, la lussuria; non aspetto altro che di essere penetrata; mi prende da dietro e si attacca alle mie tette, stringendole in una morsa di passione che mi fa sbrodolare, mi accarezza il ventre e si infila sotto la minigonna dentro lo slip per riprendere a masturbarmi, mentre la sua verga si gonfia tra le natiche, come aveva fatto la prima volta in panetteria; sento che solleva da dietro la falda dell’abito, che apre la cerniera e che mi spinge a piegarmi sul lavandino; so che sta per penetrarmi da dietro e non so se essere felice perché mi consente di immaginare che sia Mario a prendermi o essere delusa perché la prima volta avrei desiderato guardarlo mentre mi violava.
Non c’è tempo per recriminare, ormai la punta della verga è già all’imbocco della vagina e, con un solo colpo, la sento contro la cervice dell’utero: devo nascondere un urlo mordendomi una mano quasi con violenza, tanto è il piacere che la penetrazione mi scatena; da troppo tempo quell’emozione mi era negata e davvero devo dare ragione al mio amore: è tutta un’altra cosa, un’asta viva e palpitante che attraversa il canale vaginale e riempie il ventre fino all’utero; Antonio mi chiede se sono protetta o deve ritirarsi; gli dico di andare fino in fondo senza problemi e mi preparo non solo a sentirlo godere dentro di me ma anche a godere con lui ed esplodere sul suo membro tutta la passione del mio orgasmo; ancora una volta mi mordo la mano perché il mio urlo non arrivi in piazza e, quando sento lo sperma spruzzato sulle pareti della vagina, esplodo in liquida dissoluzione, sdilinquendomi fino a sentirmi quasi morire, cogliendo il senso di ‘petit mort’ che i francesi attribuiscono a certi orgasmi.
Restiamo fermi così per molti minuti, finché il sesso di lui non riprende dimensioni ‘da riposo’ e, naturalmente, scivola via dal mio corpo; Antonio usa dei fazzolettini per asciugare alla meno peggio gli umori di cui è inondato; io realizzo con la carta igienica un tampone per il maltrattato slip, abbasso la gonna e mi sposto in un bagno per signore dove provvedo: a fare pipì; a lavarmi il basso ventre con salviette umidificate che ho in borsa; a cambiare gli slip con quelli che ho portato di riserva; a rassettare alla meglio il vestito che abbiamo strapazzato ed infine a rifarmi il trucco decisamente maltrattato; alla fine, esco dal bagno quasi perfettamente in ordine; rientrata in sala, torno al mio posto, accanto al cappotto, e cerco di capire che film avremmo visto se fossimo stati meno distratti: non mi riesce di cogliere nemmeno i tratti generali della trama; e non mi è di nessun aiuto Antonio, tornato anche lui dal bagno quasi in ordine, che, come me, non ha nessuna idea di cosa fosse; ci scambiamo ancora un bacio appassionato e decidiamo che, come primo incontro, può bastare.
Lo saluto al bar in centro e vado lesta a casa, ansiosa di parlare con il mio amore e di raccontargli lo straordinario e strano pomeriggio che ho trascorso; appena chiudo la porta alle mie spalle, lo sento precipitarsi dal suo studio e lo accolgo a braccia aperte, con tutto l’amore del mondo; non posso smettere di ringraziarlo per l’esperienza che mi ha convinto a fare, perché effettivamente stavo perdendo il senso del piacere fisico del sesso; mi invita a calmarmi, mi accompagna in bagno e mi aiuta a spogliarmi per fare una doccia; si spoglia con me ed entriamo insieme nel box: mentre ci baciamo continuamente su tutto il corpo, mi chiede di narrare e cerco di riportargli esattamente gesti ed azioni, ma soprattutto le impressioni e le emozioni, soprattutto quelle che riguardano la sua presenza in me e nella mia sessualità; gli dico che mi ha fatto piacere essere presa da dietro perché, mentre lui mi penetrava, io operavo un facile transfert e recuperavo in mente le volte in cui era Mario ad entrare dentro di me da quella posizione: si vede che è mentalmente molto eccitato, mi bacia con voluttà e mi inserisce due dita in vagina procurandomi un violento orgasmo, assai più ricco ed intenso di quelli provati con Antonio, perché lì, nel box doccia, domina l’amore tra di noi e gli orgasmi sono più belli, anche con mezzi meno possenti.
Alla fine mi chiede cosa penso che possa nascere da questa esperienza; gli dico chiaramente che non esiste neanche in un paese agli antipodi l’idea che possa innamorarmi di quell’uomo al punto da rinunciare al mio amore assoluto; che se per lui sta bene, posso anche farmi ancora qualche giro in giostra, visto anche che il ‘vecchietto’ ha alle spalle una vasta esperienza che non mi spiacerebbe assaggiare; se a lui non va giù, io mollo immediatamente e questo vale per qualunque momento della storia che si scrivesse dopo questa uscita; mi ripete che le cose, più sono complete, più sono perfette: l’amore solo spirituale è letteratura e spesso noia; il sesso per se stesso è solo bestialità; il sesso usato al servizio dell’amore può essere la formula per stare bene in due (o forse in tre); quindi, se il mio desiderio è quello di amare Mario e vivere l’amore anche quando faccio sesso con Antonio, come in fondo è avvenuto questo pomeriggio, per lui va benissimo perfezionare il rapporto e farlo diventare centrale a noi due; lo bacio con amore e lo invito a farmi fare sesso a suo modo e coi suoi mezzi, ma soprattutto con il nostro amore.
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Aggiunto: 4 anni fa
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Trio