(Beyoncé - Single Ladies)
Donna in carriera
E’ difficile da trascorrere una vacanza al mare portandosi addosso la croce della ‘secchiona’ con l’aggravante di un paio di occhiali le cui lenti sono autentici fondi di bottiglia; eppure per tanti anni mi sono esposta all’immancabile ironia, al sarcasmo, agli sberleffi, agli scherzi feroci, ai commenti per lo meno offensivi: in fondo, basta rimanere ai margini delle loro mille avventure, più o meno improbabili, e rinunciare ai sogni assurdi di grandi amori e di principi azzurri i cui cavalli bianchi non si sa dove siano parcheggiati; in realtà, continuo ad aggregarmi, anche se non tutti mi accettano volentieri, quando vanno in gelateria o in discoteca; e mi preoccupo solo di non interferire sulle ‘tragiche’ decisioni se prendere cioccolata o vainiglia e se lasciarsi o no corteggiare dall’ultimo arrivato.
Arrivata alla maggiore età ed agli esami di maturità, ho abbastanza buonsenso da rendermi conto che i problemi sono davvero altri che ‘darla o no alla mia età’: non che l’interrogativo non mi si ponga, specialmente da quando qualcuno dei ragazzi ha cominciato a frequentarmi con un certo interesse come quel ‘Mammoletta’ a cui un atteggiamento un po’ troppo ‘buonista’ ha meritato il perfido appellativo scelto dalla spietata e vergognosa ferocia dei ragazzi: con lui mi trovo a meraviglia e riusciamo a parlare di tutto serenamente senza complessi né pregiudizi; ma è chiaro che l’attenzione maggiore va alle proposte che vengono da personaggi un po’ più ambiti, come il Riccardo che tutte guardano golose e che, a giudicare dal soprannome che gli hanno appioppato, Trivella, evidentemente non risparmia nessuna.
Caderci con lui, è solo questione di qualche minuto: basta che mi dimostri un larvato interessamento per dimenticare i buoni consigli, i suggerimenti e la prudenza più elementare: basta l’emozione del primo bacio ‘vero’ a scatenarmi le viscere e a farmi desiderare di cedere completamente a lui; anche per una ‘secchiona quattrocchi’ l’idea di essere la ragazza del più desiderato della spiaggia è uno stimolo irresistibile; per questo, non obietto niente quando dal bacio passa alle palpate sui seni e sui fianchi, poi entra nel reggiseno e mi fa vedere le stelline titillandomi, prima, e succhiandomi, dopo, i capezzoli appena sbocciati: infine, l’apice del sogno quando la mano mi prende tutta insieme la natura e la solletica con la punta del medio infilata appena un poco dentro.
Ma Riccardo rischia la sua fama se si ferma lì; e poco dopo sento qualcosa di molto caldo e molto duro premermi sull’inguine: il calore si irradia per tutto il corpo e arriva al cervello, impedendomi di rendermi conto di quel che avviene: neanche mi accorgo che mi ha sfilato lo slip del costume ed avverto appena un piccolo bruciore dentro, quando quell’oggetto duro penetra nel mio corpo, lo invade e lo conquista: la sensazione dominante è la visione di un paradiso mai neppure sognato, in cui mi perdo con enorme gioia fino a sentirmi dissolvere in un piacere liquido; a precipitarmi dal paradiso all’inferno basta una sola frase, la mattina dopo, quando io mio presento in spiaggia col più smagliante dei sorrisi, convinta di essere la ‘sua ragazza’ e Riccardo mi fulmina dicendo che è stato un bel gioco e che ogni bel gioco dura poco: di tutta la ‘banda’ della spiaggia, solo ‘Mammoletta’ mi viene vicino, mi prende per la mano e mi accompagna in silenzio a passeggiare sul corso mentre piango tutte le mie lacrime; è la più brutta lezione che potessi avere; e ne faccio ampiamente tesoro; mi ributto sullo studio con maggiore intensità e l’autunno successivo comincio il corso universitario che concludo prima ancora dei termini previsti dal piano di studi.
In quegli anni vissuti lontano della ‘cuccia’ della famiglia, fuori dal ‘recinto’ della casa al paesello, in un ambiente vario e complesso, imparo a gestirmi: in qualche modo, il brutto anatroccolo si scopre cigno, anche se con un paio di inciampi; una volta quando concedo fiducia, amore e sesso ad un collega che, dopo l’esame, rivela il suo senso opportunistico dei rapporti e dice chiaro e tondo che gli sono servita per superare l’esame; e, una seconda volta, ancora più adulta e smaliziata, quando riesco a stento a scappare dalle grinfie di un uomo maturo che vuole avviarmi alla nobile professione dell’escort: probabilmente è lì che nasce la mia determinazione a guardare al maschio come ad uno strumento da tenere nel cassetto e tirare fuori solo in caso di ‘prurito grave’, ma da rimettere via immediatamente dopo.
Sono fortunata, perché contemporaneamente mio padre ha avviato un’attività intensa che ha innalzato la sua bottega artigiana a livello di azienda, prima a conduzione familiare e poi via via sempre più grande ed impegnativa: la laurea in economia, a quel punto, è una sorta di chiave per farmi entrare direttamente nel mondo di lavoro ed assumere impegni che sino a qualche mese prima neanche avrei immaginato; rivelo un talento insospettato per gli affari e per la gestione che mi consentono, in pochi anni, di scalare la vetta delle aziende d’avanguardia fino ad arrivare in cima, con responsabilità ed incarichi che normalmente avrebbero fatto tremare le vene e i polsi; in pratica, mi trovo ad essere una donna di grande potere, fisicamente assai bella e desiderata, con tanta voglia di affascinare, di conquistare, ma solo spazi di manovra e guadagni, senza nemmeno la più piccola concessione al sentimentalismo ed ai sogni da ragazza che ancora mi competono, per età.
Purtroppo, le esperienze vissute (forse male) in gioventù hanno come cauterizzato la mia capacità di soffrire il bene e il male; e la convinzione che il sesso sia un elettrodomestico da usare solo in caso di emergenza o, al massimo, come arma di conquista, prende il sopravvento: approfittando della enorme disponibilità economica, imparo ad ‘affittare’ i bull, scegliendo il meglio del meglio, ad usarli per una sera (al massimo per una notte) e a buttarli tra i rifiuti: naturalmente, le agenzie di cui mi servo sono le più lontane possibili e le meni sospettabili, per cui per tutti ormai sono una sorta di inarrivabile ‘vergine di Norimberga’, nella mia più totale indifferenza; mi concedo qualche distrazione, specialmente quando entro in contatto, per motivi di lavoro, con personaggi particolarmente intriganti, in particolare nel mondo variegato dei rapporti con l’estero dove il pericolo dell’inganno, del gossip, della delusione è ben lontano; mi capita così di intrecciare una storia di qualche mese con un giovane rampante industriale belga col quale mi incontro per notti di fuoco a Parigi o a Londra, a Bruxelles o a Tokyo; molte serate in albergo sono allietate da giovani concorrenti delle più diverse nazionalità, dagli americani ai giapponesi, dai brasiliani ai filippini: tutto sempre e solo all’insegna dell’ ‘usa e getta’ che costituisce il mio motto.
In casa, mi preoccupo abbastanza di salvaguardare l’idea e l’immagine della dirigente ferrea e fredda, senza concessioni ad inutili sentimentalismi, preoccupata soprattutto e solo di conquistare potere e mercati: e la cosa funziona bene per tutti, è accolta con entusiasmo, visto che, in fondo, gli interessi sono tutelati, sia quelli individuali che quelli collettivi; in quelle condizioni, il termine famiglia suona quasi bestemmia; eppure, non mi riesce sempre di evitare un senso di nostalgia quando mi rendo conto che certi obiettivi mi sono decisamente preclusi e che la grande scalata, nel mio caso, può portare solo alla solitudine ed alla sterilità dei sentimenti
Niente, però, è intervenuto mai a darmi anche la più vaga sensazione di un principe azzurro che stesse cavalcando per venire a rapirmi e portarmi in un paradiso che una volta, tanto tempo fa (alla preistoria della mia vita) mi era apparso per un attimo e si era rivelato poi il miraggio nel deserto dell’amore; per questo, ostinatamente mi infilo a capofitto nel lavoro ed ho imparato a gestire mille situazioni nello stesso momento, a decidere con la rapidità del fulmine, ad imporre la mia legge ad ogni costo, anche se ho la certezza matematica di essere in errore: sbagliare non è un verbo coniugabile, per me.
La vita sa essere fonte di grandi sorprese e, quando meno te lo aspetti, ti pone di fronte a situazioni per lo meno particolari; la visita alle aziende del nostro Gruppo è uno dei doveri istituzionali che più mi gratificano perché ogni volta incontro lavoratori che mi ricordavano, per un verso o per l’altro, le mie origini e l’impegno di mio padre a costruire il nucleo di quell’impero; in una di queste visite mi si fa incontro un’operaia e si fa riconoscere come Loredana, una delle ragazze del lido che, al tempo della ‘secchiona quattrocchi’, era stata con me la meno perfida, la più affettuosa; lavora in quella fabbrica ed ha bisogno di un lavoro per suo marito che le pesa sul groppone insieme ai quattro figli che ha sfornato senza criterio; le suggerisco di venirmi a trovare in ufficio dopo le cerimonie e le assicuro che qualcosa si può trovare: le dico di portare anche il marito e noto una certa perplessità, ma, nell’agitazione del momento, non vi do peso.
Quando, però, la segretaria li introduce nel mio ufficio, per poco non mi prende un colpo, riconoscendo, nel marito di Loredana, il Riccardo di deprecata memoria; l’imbecille accenna ad un sorriso e a tendere la mano sperando di essere riconosciuto; lo fulmino con uno sguardo di fuoco e mi rivolgo e lei.
“E’ lui tuo marito? … Trivella ancora con tanto impegno?”
Lei abbassa la testa confusa; il mio segretario personale fa un cenno per indicarmi che ha colto la situazione: questo significa che sono libera di muovermi; faccio presente a Loredana che, per un individuo di poco qualità, senza alcuna qualifica, senza referenze, con un curriculum di attività inesistente, è impossibile trovare un’occupazione che non entri in conflitto con le norme sindacali: per lui, che evidentemente di lavorare non si era mai preso la briga, la cosa suona strana; per lei, che svolge anche attività sindacale, la difficoltà è fin troppo chiara.
“Lo so; io stessa, se tu facessi un’assunzione nepotistica per chiunque, scatenerei il putiferio sindacale; ma esistono dei margini nei quali il ruolo del sindacato è minimo e altri in cui non interferiscono perché sono lavori non ambiti. Non hai un margine in cui collocarlo per togliermelo dalla strada e dalle spalle: te lo chiedo per favore personale, se ancora conta per te quel poco di antica amicizia.”
“Loredana, io voglio aiutarti con tutto il cuore; e non lo faccio certamente per l’individuo, rispetto al quale sai bene che sentimenti provo: lo faccio solo per te e per i vostri innocenti bambini. Ma da quello che mi segnala il segretario, l’unica possibilità è che, proprio nella cascina dove lavori tu (e, detto tra di noi, sarebbe sotto il tuo diretto controllo) c’è un posto da assegnare nella squadra di pulizia: se il Trivella si abbassa a spalar merda di vacca, il posto è suo e, ti ripeto, ne sarei felice per te, anche perché la retribuzione per il tipo di lavoro è abbastanza buona. Credi che possa andare?”
“Va, va, deve andare; e ti ringrazio anche, perché so bene che avevi già altre pressioni per quel lavoro. Evidentemente l’amicizia non è morta, se possiamo parlare così.”
“Adesso vattene, prima che ci sciogliamo come ghiaccioli e mi fai perdere l’aplomb che il ruolo richiede: se capitasse, ti vedrei ancora volentieri; ma solo io e te: tienimi lontano quell’individuo. Ciao.”
Mentre escono, vedo che si incrociano con un’altra persona e che per qualche secondo Loredana si ferma a parlare con lui, mentre Riccardo si tiene a debita distanza; non do peso alla cosa finché il tizio non si ferma impettito davanti alla mia scrivania: mi guarda fisso negli occhi, direi quasi con amore, ed ha un lieve sorriso triste che mi ricorda qualcosa ma non saprei proprio dire che cosa; il fatto che si sia intrattenuto con Loredana mi suggerisce che qualcosa a che fare con il periodo del mare deve avercela e forse anche con la ‘secchiona quattrocchi’, ma non ricordo nessun amico di quel tempo, se non … oddio … ‘Mammoletta’, è proprio lui: ma io non ho mai saputo nemmeno il suo vero nome; comunque, giro intorno alla scrivania e corro ad abbracciarlo; la stretta in cui mi avvolge è affettuosa, di vera, profonda amicizia; ma non posso fare a meno di sentire anche qualcosa che mi preme sul ventre e in qualche maniera mi stimola molto.
Troppe emozioni, in una mattinata: passi per l’incontro con Loredana che poteva essere nell’umano ordine delle cose; passi anche trovarsi di fronte all’individuo che ha condizionato la parte più ‘femminile’ della mia esistenza; ma trovarsi adesso di fronte alla persona che mi è stata così vicina nel momento più brutto della mia giovinezza, non ricordare neppure se conosco il suo nome e sentirmi le budella agitarsi per il famoso ‘prurito’ proprio adesso, proprio con lui; beh, è abbastanza se non troppo per me; cerco inutilmente di imbastire qualche frase senza doverlo chiamare per nome; mi legge nel pensiero.
“Se non trovi altro, chiamami pure Mammoletta: detto da te, mi sembrerà un vezzeggiativo d’amore …”
“Ma tu sai che il tuo nome non me l’hai mai detto?”
“Mi chiamo semplicemente Roberto; ma tu non l’hai mai chiesto perché per te ero solo la spalla asciutta.”
“In questo ti sbagli; se intendi che ti guardavo come amico senza pulsioni ‘altre’ posso anche darti ragione, per allora; per oggi, non so. Ma se intendi dire che ho avuto poco affetto per te o che ho poca memoria della tua spalla quando piangevo, ti sbagli: ti assicuro che nessun orgasmo mi ha soddisfatto come abbracciarti adesso che, tra l’altro, sei un uomo meraviglioso.”
“Attenta a non sbilanciarti, almeno fino a che non avrai saputo il resto … “
“Cosa c’è da sapere?”
“Non sei nata ieri e sai quanta schizofrenia popoli questo nostro mondo. Io sono Mammoletta, innamorato da quasi dieci anni e venuto ad inginocchiarsi alla sua amata come il principe che ha perso il cavallo per strada; ma Roberto è qui latore di proposte operative che potrebbero non piacerti. Chi vuoi ricevere per primo?”
“Aspetta … al tempo … Tu mi ameresti da quando passeggiavamo sulla spiaggia e non tentavi neppure di toccarmi un gomito?”
“Si. Ti da fastidio?”
“No. Mi fa dire che sei stato uno stupido. Io non dirò mai che ero innamorata di te; ma sta certo che, isolata e bistrattata da tutti come ero, se tu avessi azzardato un solo movimento, il resto lo avrei fatto io: avevo tanto bisogno di amore che riceverlo da te, in quel momento, sarebbe stato toccare il cielo; non avevo il senso chiaro dell’amore; ma di te mi sarei innamorata in un attimo: mi eri troppo caro, troppo amico, troppo vicino; fare l’amore con te sarebbe stata la cosa più naturale del mondo.”
“Prima che io scivoli a chiederti oggi quanto sei disposta ad amarmi, parliamo di lavoro che è meglio.”
“Oggi non so se ti può interessare il mio amore, quando ti avrò spiegato il mio pensiero, stasera a cena, perché non ti mollo e ti voglio con me per tutta la sera …”
“… e dopo?”
“Non attacchiamo il carro davanti ai buoi: fermiamoci alla cena … per ora; poi analizzerò dei fatti che mi sono successi quando mi hai abbracciato e, se è il caso, parleremo di dopocena. Adesso, dimmi cos’è questa storia della proposta.”
“Sono qui come plenipotenziario di una multinazionale enorme, di quelle che non puoi combattere perché rappresentano troppi interessi planetari. Questi signori che la dirigono hanno deciso che cresci troppo pericolosamente per i loro interessi: ergo, o ti aggreghi o ti devono distruggere. Lo hanno fatto in Oriente, in India, in Sudamerica: imperi industriali spazzati via perché non hanno voluto piegarsi. Tu devi sentire i tuoi organismi direttivi e decidere. Come vedi, sono tutto tranne che una mammoletta; quella, se ancora ti interessa, la devi cercare a cena, nel rapporto tra me e te.”
“Certo non è facile avere a che fare con la tua schizofrenia: cinque minuti fa mi sarei rotolata con te sul tappeto per fare l’amore più grande e più bello del mondo; adesso devo tirare fuori gli artigli e graffiarti, anche se non c’entri niente e sei solo latore di messaggi che vengono da altrove. Lasciami respirare.”
“Vuoi che me ne vado e ti lascio da sola?”
“Neanche per idea! Voglio che mi porti fuori da qui, anche in un bagno, se necessario, e mi fai fare l’amore, per la prima volta in vita mia, con un uomo che mi ama; e devi anche sopportare che io ti amo solo in parte mentre tu mi dai tutto te stesso. Come vedi, in quanto a schizofrenia, sono all’altezza.”
“Diamine, stai facendo diventare tutto quasi scientifico; vediamo di capire. Io ti amo da vecchio stupido romanticone e per me fare o non fare l’amore è la stessa cosa: ti amo comunque. Tu non sei certa di amarmi ma ti sei agitata ad abbracciarmi, vorresti amarmi e vorresti sentirti amata, vorresti fare sesso con me ma non credi che lo faresti con amore e vuoi che io faccio sesso con te ma mettendoci dentro dieci anni di amore inconfessato. E’ questo che dici in sintesi?”
“Si, con l’aggravante che in presenza di altri dovremo scannarci, non amarci. Ti va di essere il mio principe azzurro, con cavallo, cappello e piuma?”
“E a te va di essere la mia dolcissima amica che si lascia accarezzare, amare e divorare da un poveretto che da anni soffre lontano da te?”
“Io da dieci anni sono proprio quello, nonostante tutto.”
“E in dieci anni non hai visto il mio cavallo scalpitare intorno a te? C’è un posto dove possiamo nasconderci e fare l’amore?”
“Il pannello centrale dietro la scrivania è una porta; dietro c’è un salottino; c’è solo un divano o un tappeto a terra. Credi che possa andare?”
“Per fare l’amore con te? Anche il pinnacolo di un campanile!”
“Vieni, stupido!”
Lo prendo per la mano, lo guido verso la porta nascosta, faccio segno al segretario di sparire; un attimo dopo, chiusa la porta alle nostre spalle, finalmente assaporo la sua bocca sulla mia ed è un tourbillon di sapori che mi investe la bocca, il cervello, il cuore e il ventre che comincia a ribaltarsi e a secernere umori senza fine: sospetto che sia amore, ma ho paura a confessarmelo; cerco di superare il momento di debolezza imponendo la mia presenza e spingendo la lingua e perlustrare la sua bocca; incontra la sua lingua e cominciano ad accarezzarsi, a leccarsi, ad amarsi; ancora avverto il retrogusto dell’amore affacciarsi: ho bisogno di Roberto, voglio tenermi stretta la mia mammoletta ed adorarla come un autentico fiore; il piacere che mi scorre nelle vene e cerca la sorgente per sboccare laggiù, in fondo al ventre, mi fa sentire leggera, spensierata, innamorata; e mi lascio andare, come un pupazzetto in mano al burattinaio.
Riccardo sa amarmi come io desidero, sa accarezzare tutti i punti più sensibili non solo del mio corpo ma soprattutto del mio spirito; mi sussurra continuamente il suo amore e riesco solo con molto sforzo a non urlarlo anche io, che lo amo, che l’ho amato per tutti questi dieci anni; per tentare di arginare la sua fiumana di amore, decido di diventare cattiva e metto in atto tutte le mie abilità amatorie, quasi come seguendo un manuale di sesso, succhiando, leccando, mordicchiando, soprattutto quando mi applico alla fellatio e dimostro la mia bravura: mi gela con una frase.
“A Rio due ragazze insieme mi hanno fatto vedere i fuochi d’artificio nella stanza, tanto erano brave con la bocca, ma senza convincermi; impossibile pareggiarle: forse ci sono riuscite le cinque vietnamite, quelle che mi leccavano inutilmente tutto il corpo.”
Mi blocco raffreddata.
“Parli sul serio?”
“E tu sul serio credi di poter demolire il mio amore con una fellatio ben fatta? Vuoi verificare un amplesso che ti manda ai pazzi? Vuoi vedere come ti lacero l’ano dove già sono passati i TIR?”
“Imbecille! Il mio ano è intatto: solo il principe azzurro avrà quella mia verginità!”
“Allora mi tocca preparami: non abbiamo troppo tempo!”
“Per che cosa?”
“Per sposarci, per avere un figlio nostro, per far esplodere pubblicamente il nostro amore!”
“Tu sei pazzo! Per dieci anni nessuno ha saputo niente della mia attività sessuale; tu vieni ora e in due minuti vuoi dirlo al mondo; io vivo da sola per scelta e tu vieni a cianciare di matrimonio, di mocciosi tra i piedi … “
“Intanto, non sono stato io a dire al tuo segretario che andavamo a fare l’amore …”
“Io non ho detto questo … “
“Ah, davvero? Allora mettiamoci d’accordo. Quando usciamo cosa diciamo? Che abbiamo recitato il rosario? O che abbiamo sfogliato il tuo libro delle favole? Sai, due persone sane, belle, in forma, che si chiudono per qualche tempo in un salotto privato, da sole, sono per lo meno sospettabili di attività sessuali. Tu che ne penseresti, se fossi là fuori?”
“Va bene, facciamo l’amore; ma da qui a parlare di matrimonio …”
“Un momento; io ti stavo solo invitando a non ricorrere a mezzucci per frenare l’amore; io ti sto amando, anche adesso; tu stai combattendo con l’amore e cerchi di spegnere ogni entusiasmo. Perché?”
“Perché ho paura … di innamorarmi … di perdere il controllo .. di fare scelte sbagliate … e trovarmi da sola per strada a piangere senza neanche un Mammoletta che mi da la spalla … Ecco perché non voglio che tu vada al di là dei limiti.”
“Anna, scusa ma non riesco più a seguirti. Tu non hai bisogno di Mamoletta che ti consoli perché fortunatamente non stai piangendo e non hai bisogno di piangere; non vuoi un Roberto innamorato perché mette in discussione le tue certezze; non vuoi un Roberto che fa solo sesso perché tu stessa gli hai chiesto amore. Che devo fare, mi dici? Ti lascio qui e vado via?”
“No, tu resti qui e mi dai amore, tanto amore; e mi fai piangere; e mi fai ridere, e mi fai disperare; e mi consoli; e mi sei vicino; e mi aiuti; e mi strazi; e ti prendi la ma verginità, anche quella che è rimasta solo ideale, anche quella che esiste solo perché io e te siamo vergini nell’amore …”
Sto piangendo, ma non so più se è gioia o se è se è dolore, se è rabbia o se è amore.
“E’ vero, amore, siamo vergini perché tutti e due siamo nuovi di fronte all’altro, anche se abbiamo la nostra vita dietro le spalle; però ci incontriamo per la prima volta, nudi, l’uno di fronte all’altro; e ci amiamo, da tanto tempo anche se non sapevamo dircelo. Adesso, amiamoci sul serio, completamente, con il corpo oltre che con la mente; poi decideremo il futuro e sarà tutto nostro e tutto vergine.”
Mi arrendo definitivamente e lascio che mi accompagni sul tappeto delicatamente; sento che mi spoglia come fossi un delicata bambola di porcellana, ma sento tanto amore in ogni più piccolo gesto; e lo ricambio, con lo stesso amore, con la stessa dolcezza; e lo scopro e trovo il suo corpo che ho spesso toccato, accarezzato, quasi amato, senza rendermi conto della sua consistenza: scopro i muscoli del torace scolpiti come se facesse vita di palestra, ma senza l’artificialità di quelle muscolature, scopro le gambe forti, toniche, due colonne su cui me la sentirei di appoggiare tutta la mia vita; ma soprattutto quando scopro il sesso sbalordisco: per essere una mammoletta, lo stelo è bello lungo e grosso, un membro che non è difficile catalogare come eccezionale per conformazione, per struttura, per dimensione: me ne innamoro a prima vista e me lo passo golosa sul viso, sul corpo; senza esitazione lo porto sul mio pube e mi penetro io stessa, fino a sentirlo profondamente nel ventre, fino a farmi male addirittura, tanto è grosso.
“Ti amo” gli sussurro “ti amo da morire, ti voglio, voglio solo te e per sempre; mandiamo al diavolo tutto e nascondiamoci da qualche parte nel mondo; sii il mio unico, grande, immenso amore; ti voglio per me, per sempre, per tutta la vita …”
Mi bacia quasi a frenare la fiumana di parole; non si muove dentro di me: ne ho sentiti molto fare sesso; è la prima volta che un maschio non si muove sul mio corpo ma il suo membro pulsa con vigore dentro di me e mi stimola; lo guardo stupita.
“Non ti meravigliare: quando l’amore è tanto, il cuore pompa più sangue alle periferie e le vene si gonfiano, quelle del membro stimolano le pareti della vagina ed è come se ti cavalcassi senza muovermi: in pratica, è il mio amore che ti cavalca ed è il tuo che mi stimola ad amarti; noi non c’entriamo più; sono loro che si amano.”
“Io non sono protetta e questi sono i miei giorni fertili; se non stai attento resto incinta ….”
“Yuhhhhh! Tombola, amore e figlio in un sol colpo: non esco neanche se me lo tagli; sto qui e ti insemino, ti mando dentro il mio amore e gli suggerisco di far crescere dentro di te nostro figlio. E se non andasse bene, ti farò tanto di quell’amore che alla fine il figlio me lo darai.”
“Tu sei pazzo!!!! Sai che significa un figlio? Il mio lavoro subisce un arresto letale … “
“Ancora non ti arrendi che tra qualche ora il tuo lavoro non esisterà,la Multinazionale ti assorbe e ti garantisce tanti soldi che bastano a mantenere due famiglie; per la tua soddisfazione, ti lasciano la fabbrica di tuo padre che continua a funzionare come laboratorio artigianale. Questo, dalla tua parte; poi il figlio è anche mio. I miei brevetti mi hanno garantito un castelletto su banche nei paradisi fiscali per cui posso mantenere una città, non solo una moglie e qualche figlio - quanti, tre, quattro? Va beh, lo decidiamo in corso d’opera - Insomma, arrenditi all’amore, accetta di sposarmi e comincia l’altra vita. A proposito, all’atto del matrimonio ti devi far sverginare come hai promesso.”
Posso solo sorridere.
“Stai parlando sul serio?”
“Scusa, in pieno amplesso, mentre sto per ingravidarti, vuoi che sia faceto? Non voglio farti ridere: voglio farti felice come lo sono io mentre sono dentro di te.”
“E allora, che aspetti a riempirmi? Poi, però, mi sposi subito: mia mamma non sarebbe contenta se mi presentassi davanti al sindaco a all’altare con il pancione.”
“Agli ordini, amore. Ti amo.”
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Aggiunto: 5 anni fa
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«E il culo?»