Ho sempre ascoltato con diffidente ironia i discorsi delle amiche, o anche delle semplici conoscenti, che parlano di incontri occasionali e sconvolgenti in una situazione assai banale e normale come il giro degli scaffali del supermarket: l’idea che un occasionale incontro - scontro di carrelli con uno sconosciuto piacente e disponibile possa portare ad un rapporto anche solo occasionale, mi sembra al di là di ogni possibile fantasia e derido volentieri chi esprime la speranza, più o meno esplicita, di vivere un’occasione particolare come quella che si narra, non si sa se per leggenda metropolitana, per invenzione casuale o per autentico aneddoto, intorno ad un amore nato appunto da una di quelle occasioni.
Il buonsenso porta a rendersi conto che la situazione è di quelle che si prestano poco o niente a scatti improvvisi di entusiasmo sessuale: mentre si tastano carciofi o pomodori, è assai difficile che il pensiero vada ad un cazzo da manipolare; quando anche si dovesse verificare il miracoloso attimo, il percorso per arrivare a concludere è fuori da ogni logica, per mancanza del tempo necessario ad un approccio; più ancora, quand’anche si arrivasse a stabilire un contatto, la location sarebbe un problema enorme: dove te lo scopi uno sconosciuto, incontrato per caso nei corridoi di un supermarket, anche se ne avessi la voglia più intensa possibile? Razionalmente, l’ipotesi sembra più campata in aria che riferibile ad una qualsiasi realtà.
Quasi per sfidare i luoghi comuni, o per accettare la sfida che implicitamente da essi arriva, mi ficco in testa di passare una mezza giornata nel supermarket con l’obiettivo premeditato di concupire uno sconosciuto e, possibilmente, scoparmelo sul posto; la prova è ardua, in primo luogo per la quasi totale mancanza di soggetti affascinabili: i pochi maschi presenti nei corridoi di un supermarket, nella migliore delle ipotesi, sono palle agganciate al piede di massaie decisioniste che li trattano da paggetti e li pilotano come piccoli automi; qualche single spaesato si incontra, ogni tanto, ma quasi sempre si tratta di individui più da consolare, se non da compatire, che da corteggiare; i pochi che potrebbero meritare una qualche attenzione sono diffidenti e difficili da contattare.
Provo comunque a cercare e alla fine incontro qualcuno che potrebbe valere la pena: in particolare, noto un distinto signore dall’apparente età di circa sessanta anni, bene in forma ed abbastanza elegante, che si muove con qualche impaccio tra lo scatolame multicolore accalcato sugli scaffali: appare evidente che quello non è il suo mondo (forse un dirigente d’azienda o di ufficio pubblico) e fa molta fatica a scegliere.
Urtare il suo carrello col mio e profondermi in scuse è la cosa più semplice e naturale del mondo; da lì, passo agevolmente alle presentazioni (solo il nome, naturalmente) e, mentre chiedo cosa stia cercando di preciso, in un momento di giustificazione non richiesta mi racconta che di questo si occupava sua moglie, morta da poco, e che adesso deve fare tutto un percorso di conoscenza per arrivare a cavarsela; scherziamo amenamente sui temi connessi, pubblicità, persuasione occulta, sistemazione dei prodotti ecc., e mi accorgo che, in fondo, l’uomo mi attizza e non poco: crolla la prima delle mie ironiche obiezioni; non è colpo di fulmine ma la figa si bagna e questo è buon segno.
Comincia la fase delicata, concupire il soggetto e fargli salire la pressione: ovviamente, mi sono acconciata all’uopo, con un fuseaux viola che sostiene, comprime e disegna: il mio culo, in quel capo d’abbigliamento, è un monumento al sesso realizzato da un grande scultore; sopra, una camicetta vaporosa (siamo in primavera) che lascia abbondante margine per ammirare il mio seno possente appena sottolineato da un reggiseno elegante e poco invasivo, con i capezzoli in piena evidenza, soprattutto quando, come in quel momento, la figa spinge e li sostiene eretti; ho la sensazione precisa che già i suoi occhi vedano girandole multicolori e diventino strabici per la meraviglia.
Per accentuare la seduzione, in più di qualche occasione, faccio in modo da collocarmi davanti a lui e spingergli il culo contro la patta che ho già visto gonfiarsi: la faccia quasi terrorizzata per il possibile scandalo e, al tempo stesso, l’improvviso tocco della mano, la prima volta come reazione istintiva e le successive come autentica scelta di accarezzare, mi danno il senso che una seconda mia obiezione è andata a farsi fottere: si può benissimo concupire, sedurre, provocare e avviare un contatto; basta scegliere modi e tempi; al primo angolo buio dove ci incastriamo, mi attira sul suo ventre prendendomi da dietro per le tette ed io gli strofino il culo sul ventre fino a farlo sdilinquire dal piacere.
Con l’aria stravolta di chi è uscito da un sogno, comincia a seguirmi come un cagnolino per tutto il percorso degli acquisti, soprattutto miei: lui ha bisogno di due scatolette in tutto; arrivati alla cassa e risolto il problema del pagamento, ci avviamo al parcheggio sotterraneo; si offre di aiutarmi coi miei pacchi, che non sono peraltro una gran cosa; poggiamo le sue scatolette nella macchina e ci dirigiamo alla mia che avevo parcheggiato, forse in previsione di qualcosa, nell’angolo più buio del garage: scarico le borse e vado a riporre il carrello, mentre lui le sistema nel bagagliaio; quando torno, mi siedo al volante e lo invito a sedere sul sedile del passeggero.
Appena si è seduto, sbottono la camicetta, sposto il reggiseno e rendo accessibili le tette; si lancia a succhiare un capezzolo e vi si attacca con la foga di un poppante in astinenza; lui non lo sa, ma per me è il gesto più stimolante possibile: quando sento i capezzoli stretti tra labbra e il rumore che fa il maschio mentre succhia, la figa comincia ad andare in ebollizione e raggiungo immediatamente un orgasmo enorme: trattengo a malapena l’urlo che mi sgorga spontaneo; non posso sfilarmi i fuseaux nel parcheggio sotterraneo di un supermercato e decido per la soluzione più ovvia: gli apro la patta e tiro fuori il biscione, una bestia di una ventina di centimetri a rischio di esplosione per eccesso di eccitazione; decido di non perdere molto tempo e lo imbocco al primo colpo; sento che reagisce con una spinta pelvica quasi pericolosa e con un sospiro profondo che denuncia il periodo di astinenza.
Sono molto brava con la bocca e i miei pompini sono stati sempre apprezzati e lodati: il poveretto ne fa le spese e in pochi secondi è a contatto col paradiso; infilo una mano fra le cosce per masturbarmi e verifico che il pantalone è bagnato quasi fino all’ombelico; afferro il clitoride che la stoffa già stimola di per se e in dieci colpi arrivo all’orgasmo, col cazzo che nella bocca mi solletica le papille e arriva fino al velopendulo: mi piace sentire in bocca il sapore della cappella liscia come seta che mi sbatte sul palato e sulle guance, mentre la lingua la lambisce da tutte le parti: godo molto a verificare i nodi dei vasi sanguigni che coronano l’asta e che sotto la lingua sembrano gonfiarsi, mi eccita aspirarlo in gola fino a soffocare; succhio e lecco,mordicchio e stringo tra le mani l’asta fuori dalla bocca e i coglioni grossi come prugne e gonfi di sborra; non c’è molto tempo e il pericolo di essere visti da macchine in entrata o in uscita è comunque alto; mettendo a frutto tutta la mia sapienza, con poche succhiate profonde e intense, faccio sgorgare dal cazzo una fiumana di sborra che mi coglie di sorpresa e mi riempie completamente la bocca: stento a tenere lo sperma dentro e lo lascio scivolare dai lati fino a colare sul mento, sulla camicetta, sui pantaloni, tanto è ricca e lunga la sborrata.
In quel momento squilla il telefonino e leggo sul display che si tratta di Elio, il compagno che non vive con me ma che dorme spesso da me e mi scopa con amore da oltre dieci anni; farfuglio una risposta e lui prima si spaventa, poi si insospettisce e chiede che cosa mi succede; invento una qualche scusa e lo rassicuro che sarò da lui entro dieci minuti, come d’accordo: licenzio il mio complice, metto in moto e mi precipito all’appuntamento.
L’odore di sesso è forte e non vale a niente lasciare aperto il finestrino; di più, quando ci incontriamo, la prima cosa che nota è l’umido sul pantalone, dall’ombelico alla figa, e le macchie su camicetta e pantaloni: raccoglie il liquido con un dito, lo assaggia e sentenzia.
“Questa è sborra! Che cazzo stavi facendo?”
Lo mando al diavolo accusandolo di essere un controllore fiscale e poliziesco; mi rifiuto di dargli qualsiasi risposta; si siede a fianco e in silenzio andiamo a casa dove eravamo d’accordo di pranzare; l’atmosfera è surreale: non una parola per tutto il pranzo, lui guarda la televisione ed io sfaccendo con l’aria di chi non ha niente da dire: eppure so che sto commettendo un errore, perché il fondamento che ha stabilito per il nostro rapporto è la libertà assoluta, soprattutto di scopata, ma anche e soprattutto la lealtà ad ogni costo, anche se dovesse far male; so che sto venendo meno al principio di lealtà, ma non mi va di confessare una stupidaggine senza senso.
Ho, però, la percezione che sto cominciando a scavare un baratro tra noi quando il silenzio si prolunga anche dopo, quando lo costringo a stendersi con me sul letto e comincio a tentare un approccio sessuale; la sua immobilità totale mi dice che se non chiarisco la questione della sborra sui pantaloni, lui si rifiuta di comunicare e, dal momento che fare l’amore, per lui, è soprattutto comunicare, temo che stia scivolando verso decisioni drastiche; mi do da fare con baci carezze, succhiate e sollecitazioni varie e riesco a procurargli un’erezione: senza parlare gli monto addosso e mi impalo di figa, lo cavalco con foga fino a sborrare, ma sento che resta rigido nel mio ventre senza partecipare; dopo la seconda mia sborrata, mi sgancio, mi stendo a fianco e dormo; quando mi sveglio, Elio non c’è più; sul tavolo, un biglietto mi avverte che aveva un appuntamento e che ci rivedremo.
Sono passate un paio di settimane e l’episodio del supermarket sembra superato: sembra, perché in realtà Elio continua a mantenere un atteggiamento molto sostenuto e fa l’amore con me in maniera diversa: anzi, non fa più l’amore, mi scopa o al massimo fa sesso; ero abituata a sentirlo parlare durante ogni amplesso, a sentirmi dire cose dolcissime, a farmi raccontare e a raccontare avventure fantastiche dello spirito, a sentirlo fermo nel mio corpo, col cazzo ben piantato in figa o in culo, per sentire la passione che mi trasmetteva; adesso mi monta, si scatena con tutta l’abilità che gli riconosco da sempre, mi fa avere decine di orgasmi senza mai fermarsi; poi, quando ha deciso, mi scarica una colata di sperma nell’utero, nell’intestino o in bocca come gli gira al momento, e si stacca, quasi scappa da me; continuo a non sentirmi in colpa per un pompino ad uno sconosciuto e non voglio dargliela vinta: se vuole la guerra fredda, anch’io so combatterla.
Finché, una mattina, girando per lo stesso supermercato ma senza intenzioni di caccia, mi imbatto in un commesso particolarmente eccitante, fisico muscoloso ma non palestrato, corpo asciutto e, ben evidente, una patta di notevole stazza; si occupa di listelli di legno ed io sono appunto in cerca di qualcosa per sostituire un battiscopa logorato; mi avvicino per chiedergli lumi, ma non riesco a togliere lo sguardo dal gonfiore della patta; e lui lo ha ben chiaro perché ogni tanto si liscia il davanti del pantalone e carezza il volume che lo riempie provocandone una piccola ulteriore crescita; poiché il tipo di legno che cerco non figura tra quelli in mostra, mi dice che forse può cercarne nel magazzino che si trova giusto alle sue spalle; naturalmente, nel dirlo, si accarezza e sostiene a lungo il cazzo quasi offrendomelo; mi lecco le labbra, quasi involontariamente, e decido di seguirlo.
Entrato nel magazzino, mi guida in un angolo riparato in mezzo ad assi in piedi a parete, abbassa senza esitazione la cerniera, tira fuori il cazzo e mi mette in mano una bestia di ventidue o ventitre centimetri che mi ingolosisce già solo a guardarla; accenno ad abbassarmi per prenderlo in bocca, ma mi blocca e fa cenno alla porta; mi prende il polso ed accenna ad una sega; prendo la sua mano e la porto sulla figa, che il fuseaux lascia praticamente aperta al ditalino: cominciamo così una masturbazione reciproca, in piedi, nell’odore da segheria che domina, con la paura fottuta che qualcuno entri e scateni uno scandalo; ma non me ne fotte niente: l’unica cosa importante è quel gran cazzo nervoso, vibrante, appassionante, amabile che mi palpita in mano e che cerco di portare all’orgasmo il più lentamente possibile per non affrettare la conclusione; sono necessari non più di dieci minuti: dopo meno di cinque, ho già avuto un orgasmo stratosferico che fa bagnare il fuseaux fino alle ginocchia; mi sposto un poco davanti a lui aspettando lo spruzzo di sperma che deve seguire alla manipolazione: esplode quasi all’improvviso, almeno senza che ne abbia coscienza, e il primo fiotto mi finisce diretto sui pantaloni, segnati forse da una cattiva sorte, almeno nei rapporti col cazzo.
Si ricompone immediatamente e mi sussurra.
“La prossima volta, se ti va, cerchiamo un posto migliore.”
Non rispondo: in fondo non ho nessuna voglia di ripetere l’esperienza: mi ha affascinato il cazzo quasi in vista, ma anche questa è una brutta trasgressione agli accordi con Elio; e stavolta forse è proprio il caso di parlargliene prima che ci arrivi da solo; poi osservo che, in fondo, si tratta solo di una sega e ci ripenso: quasi evocato dai miei pensieri, mi chiama al telefono e mi ricorda che mi sta aspettando a casa mia da una mezz’ora; mi precipito all’auto e torno a casa, dimenticando la larga macchia dei miei umori e quella, più grave, del fiotto di sperma: è la prima cosa che Elio vede; la assaggia e non dice una parola; entriamo in casa, pranziamo come era previsto, in assoluto silenzio, mi porta sul letto e mi sbatte a lungo, come un tappetino, come uno zerbino, come uno straccio vecchio.
Per non continuare a farmi bistrattare, lo rovescio sulla schiena e mi impalo, stavolta di culo per stimolarlo di più; così impalata, mi agito come un’anguilla e sento che gli provoco emozioni feroci che leggo sulle sue espressioni del volto, ma che registro anche più forti nel mio ventre agitato da voglia e da goduria; ma tutti i miei contorcimenti non valgono a fargli raggiungere l’orgasmo; invece tutte le mie energie sono puntate sul momento in cui lo vedrò esplodere.
“Cosa c’è? Non ti va di godere?”
“Chi lo dice? Io sto godendo da matti.”
“E non sborri?”
“No. Che importanza ha una sborrata? Io sto godendo. Che importanza può avere uno spruzzo di sperma?”
“A me la tua sborrata dà un senso di felicità.”
“A me non dà le tue stesse sensazioni; visto che hai imparato a prenderti altrove questa felicità, che ti posso dire? Vai e godi!”
“Stai esagerando: non è come tu credi!”
“Io non credo niente; io so che sei venuta una volta con una macchia di sborra fresca e non hai voluto spiegare; che sei arrivata oggi con un’altra macchia di sborra fresca, non dalla stessa sorgente a giudicare dal sapore, e ancora non hai spiegato niente. Poi mi parli di quello che io credo. Chi te l’ha detto in che cosa credo?”
“Volevo dire che le cose non sono così gravi come sembrano!”
“Questo lo volevi dire e l’hai detto. Cos’è che non vuoi dire e non dici?”
“Non ho niente da dire.”
“Allora non diciamo niente e non rompere i coglioni: sei tu che hai cominciato chiedendomi della mia sborrata.”
“Vuoi ripensare il nostro rapporto?”
“Ci sono ancora tante altre cose che mi vuoi attribuire senza sapere niente? Primi mi dici che non è come io credo e io non credo niente; ora mi chiedi se voglio ripensar il rapporto ed io non ho detto una parola in proposito. Vuoi fare il mio suggeritore o sono libero ancora di pensare?”
“Tu continua a dimostrarmi che sono una stupida: io mi comporterò ancora più da stupida; peggio per te! … Mi ami ancora? Questa non è un’attribuzione; è una domanda.”
“Ti amo come ti ho sempre amato, come ti amerei qualunque cosa tu facessi, se tu fossi leale.”
“Va bene: ammetto che sono stata sleale; ma non voglio dirti né come né dove né perché; il quando lo sai. Mi ami ancora?”
“Si, ti amo; per questo non posso sborrare a comando o fare solo sesso. Quando mi tornerà il desiderio di amarti, ne riparliamo.”
Non siamo contenti di come si sono messe le cose, ma cerchiamo di tamponare la crisi e per qualche giorno ci comportiamo come innamorati veri; addirittura Elio decide di fare una cosa che gli ha sempre ripugnato: accompagnarmi a fare spese al supermercato; stupidamente, accetto, pur cosciente di tornare sul luogo dei delitti con un abile investigatore a fianco.
Girando per i corridoi, mi trovo a passare davanti agli scaffali del legno e il commesso è là, accenna con una mano ai bagni che sono a breve distanza; io non capisco, lui si prende il cazzo tra le mani e me lo agita in fronte; poi col pugno accenna a scopare e indica di nuovo i bagni; capisco che vuole scopare con me e mi invita ad andare nei bagni per farlo.
In quel supermarket i bagni sono solo tre, uomini, donne e personale: per uomini e donne la chiave è alla reception, il personale ne ha una privata; mi sposto col carrello in un nuovo spazio e dico ad Elio di aspettarmi che vado a verificare una cosa; mi precipito dal commesso che, appena mi vede, va verso i bagni, apre, mi lascia passare ed entra dietro di me, va nel bagno delle donne e mi prende alle spalle, per le tette, sbattendomi con forza il cazzo sul culo: lo sento crescere a dismisura e allungo dietro una mano ad afferrarlo; lo manipolo un poco da sopra al pantalone mentre lui fa lo stesso con la mia figa da sopra al fuseaux; sentiamo che c’è del movimento nel cesso a fianco ma lui mi fa cenno di non badare; di colpo mi abbassa insieme pantalone e perizoma e mi appoggia il cazzo fra le natiche: so che il tempo non è molto e che devo accontentarmi di una sveltina; dirigo la cappella alla vulva e spingo il culo indietro; l’asta entra agevolmente, visto che sono già ampiamente bagnata, e sento che lui gode molto a picchiare con forza sul mio culo col ventre; ad un tratto, sento che tira fuori il cazzo e mi sento quasi vuota, ma solo per un attimo perché subito dopo la punta della cappella mi preme sull’ano e lo viola: il piacere è tale che non accenno neppure a rifiutare.
Comincia così la più potente e veloce cavalcata che io abbia subito: il cazzo è abbastanza lungo e abbastanza duro per penetrare fino in fondo, fino a che i coglioni picchiano sulla figa grondante; i miei orgasmi ormai si sono trasformati in un torrente continuo di umori che sgorgano naturali e finiscono sul rotolo di carta che ho avuto la prudenza di porre sui pantaloni per non bagnarli ancora: per una decina di minuti sento che mi violenta il culo con una energia giovane e meravigliosa, sento che il mio retto accoglie con amore le sensazioni di libidine che il cazzo mi offre; finché, soffocando un urlo, lui esplode nel mio ventre ed io scarico un’ultima dose di umori nell’ultimo orgasmo; per necessità, lui scappa via e mi lascia a sistemarmi e a godermi il mio ultimo orgasmo; mi sono completamente dimenticata di Elio; e stavolta sono veramente colpevole: quando esco, ricomposta alla meno peggio, lo trovo là dove lo avevo lasciato; accampo un milione di scuse per averlo trascurato; non dice una parola; mi indica la reception e mi impone.
“Fatti dare la chiave dei bagni!”
Lo guardo stupita: perché vuole la chiave dei bagni? Il suo sguardo è gelido, il tono inflessibile; mi ordina di nuovo di prendere la chiave; benché interdetta, lo faccio e, al ritorno, mi guida ai bagni, entra in quello dei maschi; con un gesto deciso stacca il portasapone e mi invita a guardare: la scena è quella del cesso dove due minuti prima mi facevo inculare alla grande; mentre torniamo fuori, apre il telefonino e mi fa vedere un video girato da lui in cui tutta l’inculata è, per così dire, storicizzata; capisco che, più furbo di me, ha notato le manovre tra me e il commesso, ci ha spiato mentre entravamo nei bagni, si è fato dare alla reception la chiave per il pubblico ed è entrato nel bagno degli uomini, ha staccato il portasapone (forse sapeva già di quella spia nei cessi) e da lì ha ripreso col telefonino tutta la mia performance: senza parlare, mi prende le chiavi della macchina, accosta il carrello ad un angolo e se ne va verso l’uscita senza merce; non so che fare, poi capisco che la cosa più logica è seguirlo, costi quello che costi; arrivati alla macchina, mi porge le chiavi.
“La macchina è tua; accompagnami alla mia; mi fermo solo il tempo di prendere le poche cose che ho lasciato da te.”
“Perfetto! Le corna ti prudono e tu mi molli anche se sono la tua donna da più di dieci anni; ero quasi vergine quando ti ho conosciuto e tu, da maschio alfa, mi hai imposto tutto il tuo modo di concepire la vita e il sesso, mi hai insegnato a fare le peggio cose e a farle con te, per me e per te, con tutto l’amore del mondo; tu mi hai plasmato secondo un tuo modello senza curarti se quel modello mi stava bene. Ora io ho la sensazione che in quel modello ci sto stretta. Ti ho tradito? Si, vero! Ti ho fatto le corna? Si, vero! Ti amo? Si, verissimo! Mi ami? Si, altrettanto. Adesso ti siedi con me e le regole le scriviamo insieme: io non ho con te nessun obbligo se non quelli che nascono dall’amore e dall’accettazione reciproca, quindi, posso scopare quando dove come e con chi mi pare. Se tu rispetti le basi del nostro incontro, mi dai amore, tantissimo amore, tutto quello che sei capace di dare. Tu puoi a tua volta scopare quando quanto come e con chi ti pare, ma ti impegni a non amare un’altra più di quanto ami me; se ti succede, mi avverti per prima così posso rassegnarmi e cercare un palliativo. Se ti sta bene, la nostra vita prosegue com’era, da innamorati separati che non stanno tanto a controllarsi e a giudicarsi; se non ti sta bene, puoi anche andartene, ma ti giuro che farò di tutto per farti tutto il male possibile, per farti pagare la tua arroganza da maschio alfa, a costo di rimetterci anche la vita.”
“Cosa dovremmo fare secondo te?”
“Niente. Per quel che mi riguarda, puoi anche mettere in rete quel filmato; la didascalia ce l’aggiungo io nel commento ‘così scopa nei cessi la donna che diceva di amare’; poi però pubblico anche le nostre memorie, con luoghi persone e foto: quelle della ex Jugoslavia, della Slovenia, dell’Istria, dei club privè, delle orge, delle ammucchiate, finanche delle tue sedute omosessuali coi cazzi che ti sfondano; o credi che tutto quello che abbiamo vissuto e condiviso sia niente di fronte ad un pompino, una sega ed un’inculata nel cesso del supermarket? Perché queste sono le colpe che mi addebiti, pensa: una sega, un pompino e un’inculata: ti ricordi quanti cazzi mi facevi soddisfare, ogni sera, al ‘Cocorito’, per realizzare gli scambi che ti interessavano con femmine meravigliose e sempre nuove? Tu ti scopavi tutte quelle che ti piacevano, io mi prendevo i cazzi corrispondenti e tu mi sbolognavi il tutto come ‘momenti di crescita’ ed insistevi a spiegarmi che tutto avveniva all’interno del nostro amore, perché tu mi amavi infinitamente e le scopate erano un corollario accessorio. Questi di adesso, ti ripeto una sega un pompino e un’inculata, ti pesano sulle corna e diventano motivo di rottura perché contravvengono alle regole che tu, maschio alfa, hai dettato alla tua povera adoratrice scema. Te lo ripeto: Sticazzi; sei ancora il mio uomo e io sono ancora la tua donna; se ti prude un poco la fronte, dovrai grattarti con l’amore che ti ho dato e che ti continuo a dare; ti potrai consolare con la mia pazienza, visto che ti ho lasciato in pace e non ti ho mai chiesto di venire a vivere con me, perché questo ‘ti procurava l’orticaria’. Adesso sono stufa: quindi, o te ne vai via oppure, se vuoi, torni con me, riprendiamo il carrello, facciamo la spesa e ci amiamo come prima di questo incidente.”
Scende dalla macchina e io lo seguo; mentre andiamo verso il supermercato, mi cerca la mano e la stringe; forse pace è fatta, ma i colpi di coda sono sempre in agguato; e so che un maschio alfa non accetta serenamente una sconfitta.
Esattamente un mese dopo cade l’anniversario della nostra relazione, insomma della nostra prima scopata; ed è tradizione ormai consolidata che, in un qualche modo, la celebriamo: per quest’anno ho chiesto da mesi ad Elio di festeggiare cenando a lume di candela come due innamorati veri, in un ristorante dove siamo spesso andati e dove siamo quasi diventati di casa per le numerosi occasioni che vi abbiamo celebrato, sia per il lavoro che per il nostro amore; lui ha detto di si ma temo che, come talvolta gli capita, possa dimenticare; glielo ricordo molte volte e mi risponde con vaghi assensi.
La mattina fatidica la passo a farmi bella, tra estetista, parrucchiere e gli acquisti dell’ultimo momento: vorrei che fosse una serata indimenticabile, per tutti e due e che servisse anche a ricucire lo strappo che, inutile negarlo, tra noi c’è stato; e spero proprio che niente intervenga a interrompere la tenerezza della serata che immagino per noi; Elio non si vede per tutto il giorno e il telefonino lo dà irreperibile; vaghe informazioni mi hanno fatto cenno a impegni di lavoro che potrebbero trattenerlo fuori città; ma, in cuor mio, io prego con tutte le mie forze che non sia così: arrivare a sera è un autentico tormento; la cena è prenotata per le otto, ma alle sette sto già agitandomi e vado al ristorante anche se so che è stupido arrivare così in anticipo; mi viene incontro il principale, nostro amico, e mi consegna un pacchetto che Elio ha lasciato per me per questa sera: fatico a trattenere le lacrime temendo il peggio; apro con mani tremanti e trovo una scatola da gioiellieri, per anelli; dentro, una piccola vera; a fianco, un bigliettino con gli auguri di buon anniversario e, con un punto di domanda, di prossime nozze.
Non so cosa pensare: mi piacerebbe credere che sia una proposta almeno di convivenza, superando le difficoltà che negli ultimi tempi ci siamo creati; ma temo anche, al tempo stesso, che sia un ulteriore invito a cercarmi altrove il convivente vista la sua allergia alla situazione di comunità; sono idrofoba, se mordessi qualcuno l’avvelenerei; sono disperata per come mi tratta male con raffinatezza; sento dolore in tutte le fibre del corpo, specie quelle che uso quando faccio l’amore perché è con quelle che ho determinato la crisi; il proprietario del ristorante mi guarda preoccupato e cerca di rassicurarmi che Elio quando gli ha consegnato il pacchetto, era sereno, quasi felice; ma io mi chiedo dove sia e, soprattutto, con chi sia; squilla il telefono: finalmente, è lui; mi chiede come sto e non sono in grado di articolare parola per la rabbia, per la gioia di sentirlo, per la paura che mi voglia lasciare la sera dell’anniversario; mi chiede di tornare a casa, dove c’è la festa; sbatto giù il telefono, guardo disperata il padrone del locale ma lui mi fa segno che è tutto a posto; si raccomanda che mi calmi prima di guidare, altrimenti rischio incidenti; torno a casa mogia come un cane bastonato, apro la porta e trovo buio, mi dirigo alla camera e lo vedo nel salone, seduto alla tavola, in abito scuro, con una candela al centro e coperto per due, persino il secchiello per il vino; vorrei ammazzarlo, ma gli volo in braccio.
“La festa è qui, non in un anonimo ristorante; è a casa nostra: la fanno il nostro amore, la nostra capacità di ricominciare … e anche le nostre meravigliose scopate: da cosa preferisci partire?”
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