Non era stato molto semplice percorrere il cursus degli studi per laurearmi in legge: i miei ce l’avevano messa proprio tutta, fino all’ultima stilla di sudore, per consentirmi di arrivare in fondo col massimo della lode; ed io mi ero impegnato allo spasimo per vedere i loro sacrifici ripagati almeno in parte da quel primo successo.
Subito dopo cominciò l’altro calvario, quello della ricerca di uno studio legale che mi consentisse di arrivare all’esame di Stato, all’iscrizione all’Albo e all’esercizio della libera professione; per fortuna, trovai un piccolo varco in un affermato studio locale che si era trovato temporaneamente disponibile ad accogliere un giovane praticante: la fama di cui godeva non era invidiabile perché molti lo ritenevano legato (se non alle dipendenze) della malavita organizzata del territorio; ma, siccome ‘pecunia non olet’ ed io avevo bisogno di cominciare da qualche parte, accettai serenamente.
Poi ci fu il ‘colpo di culo’ quando arrivò un invito del tribunale a prendersi cura di un gruppo di giovinastri sorpresi in una rissa senza grosse conseguenze; la ‘rogna’ fu scaricata sull’ultimo arrivato, io; ma il ‘pivello’ riuscì a pescare una serie di cavilli, nelle pieghe della legge, che consentirono la rapidissima assoluzione dei ragazzi: quello che nessuno avrebbe mai potuto prevedere, fu che uno sei giovani fosse il figlio di un elemento di spicco delle famiglie malavitose del territorio.
L’abilità dell’’’avvocatino’ fece presto il giro degli ambienti e in poco tempo mi trovai a realizzare tutti i miei sogni, dallo studio tutto mio ad una serie di incarichi che in breve mi diedero fama, successo e soldi; l’unica nota stonata (ma solo nell’intimo dello specchio) era la fama di difensore della malavita che presto mi fu affibbiato e che, sostanzialmente, corrispondeva alla verità; ma ci misi poco ad abituarmi e quasi a godere nel sentirmi definire, nella migliore delle ipotesi, ‘consigliere di Satana’ per l’abilità con cui riuscivo a scovare i cavilli più assurdi per scagionare da ogni accusa persone colpevoli evidenti di reati anche gravissimi; l’unica giustificazione era che si trattava del mio lavoro e che dovevo farlo al meglio.
La frequentazione di certi ambienti mi portò a guardare anche le ragazze di quelle famiglie (il frutto non cade mai lontano dalla pianta) ed in breve anche su quel fronte mi trovai ad essere l’oggetto misterioso di desideri inconfessati finché gli occhioni di Concetta mi inchiodarono e in poco tempo mi ci fidanzai, in parte adeguandomi ai dettami della famiglia, legata a norme e limiti arcaici, ed in parte spostando con lei quei limiti, di quanto era possibile: in sostanza, neppure immaginare di sverginarla prima di averla portata all’altare; in compenso, riuscivamo a sgattaiolare in macchina qualche volte e la convinsi a soddisfarci almeno con le mani e con le bocche; l’apice lo raggiungemmo quando, forse per suggerimento di qualche amica più ‘libertaria’, Concetta mi suggerì di farle il culo in alternativa alla figa: quindi anche il problema del rapporto completo fu risolto con dolcissime inculate a cui lei rispondeva con molta passione.
Dopo cinque anni di un tale andazzo, la convinzione che Alberto e Concetta sarebbero convolati al più presto a giuste nozze era tanto diffusa e radicata che nessuno l’avrebbe mai messa in discussione, soprattutto perché il padre di lei era uno degli uomini più fidati di “Mammoletta”, il capo riconosciuto della malavita locale che doveva il soprannome all’aria fanciullesca ed ingenua con cui torturava e ammazzava le sue vittime, quasi col sorriso sulle labbra: cosciente di questa condizione, non azzardavo neanche pensare per un attimo di rompere il fidanzamento, ma non rinunciavo a dare la caccia a ragazze disponibili da ‘incartare’ almeno per un serata di sesso allegro; naturalmente, il tempo che mi lasciavano libero gli impegni del lavoro (e i dictat dei miei reali padroni) lo trascorrevo volentieri in locali giovani e ‘allegri’ dove la mia fama di ‘consigliere di Satana’ assumeva il fascino del vietato, dell’avventura, del proibito: e molto spesso favoriva le conquiste.
Floriana era la classica ragazza di famiglia piccolo borghese cresciuta nelle nuove periferie che diventavano sempre più centro: dopo un corso di studi regolare fino alla maturità, aveva percorso zoppicando la carriera universitaria e si trovava, a breve distanza dai trent’anni, nella necessità di concludere in fretta un corso di laurea e, soprattutto, di cercarsi un lavoretto possibilmente part time per fare fronte alle necessità quotidiane, soprattutto dopo qualche difficoltà che aveva messo in ginocchio la famiglia; dal punto di vista sentimentale, non sapeva scegliere se sentirsi una stupida che aveva fatto molti errori per eccesso di precipitazione o una sfortunata che non ne aveva imbroccata una buona; soprattutto, si sentiva assai incapace di fare fronte alle disavventure della vita e non aveva nessuna stima della sua bellezza, dagli altri considerata con giudizio unanime indiscutibilmente manifesta.
Il desiderio di ‘esistere’ e di farsi comunque notare l’avevano portata sin da ragazzina ad assumere atteggiamenti aggressivi e a fare scelte al limite del rischio: sue erano le provocazioni più azzardate, dall’altezza dei tacchi alla dimensione delle minigonne, dalle sfide a bere superalcoolici agli sbaciucchiamenti più espliciti, fino alle prime esperienze di sesso nei cessi dei bar, dei pub, dei locali che la banda frequentava; al primo rapporto completo, col vocalist di un gruppo totalmente sconosciuto, senza storia e senza prospettive, ci arrivò solo per anticipare le amiche potenziali concorrenti; di lì, una serie di ‘innamoramenti’ senza nesso e senza possibilità di evoluzioni, fino al ‘grande amore’ risoltosi in una bufala per le strutturali differenze tra i loro mondi.
Alla fine, aveva accettato un lavoro come assistente barman in un pub di nuova creazione dove i suoi istinti in parte erano frenati dal ruolo istituzionale, e in parte erano esaltati dai rapporti interpersonali che lei stessa intrecciava, talvolta senza neppure rendersene conto, solo dimostrando disponibilità ed innata sensibilità: fu lì che mi incontrò e, dopo avermi preso un po’ in giro per la definizione di ‘consigliere di Satana’, intrecciò un rapporto che la rendeva felice di comunicare con una persona di cultura certamente superiore disposta a riconoscerne il valore umano, sociale e culturale; l’unico problema era l’ombra di Carmela che incombeva; ma Floriana, quando partiva per la tangente, ignorava il mondo reale e viveva il suo sogno come realtà concreta.
Sostanzialmente, si sentiva ancora innamorata di Mario, col quale aveva rotto solo da pochi mesi e che comunque rimaneva fisso non solo nella memoria e nella mente ma anche nelle sensazioni fisiche, perché fare l’amore con lui era stato per lo meno sconvolgente: alquanto più anziano, aveva dimostrato una grande maturità nei rapporti sessuali ed ogni volta, a letto, Floriana si era sentita importante e innamorata, raggiungendo vette che neppure si era sognata fino a quel momento; naturalmente, pur rendendosi conto che era un assurdo, era portata a ritenere che con me sarebbe stata la stessa cosa, considerata soprattutto la maturità che dimostravo nel lavoro e nella vita; a deporre contro, c’erano le voci che riferivano di certi condizionamenti impostimi dalla fidanzata che non mi consentivano di esprimersi al meglio a letto; ma Floriana era convinta che, anzi, proprio questo limite poteva diventare un punto di forza: essere all’altezza dei miei sogni sessuali frustrati e lasciarmi sfogare completamente poteva incatenarmi ad un amore impossibile ma irrinunciabile, almeno per lei.
Comunque, dopo aver registrato le sue notevoli difficoltà a rapportarsi con individui ‘normali’ - il medico salutista, il direttore di banca precisino e meticoloso, l’imprenditore leggermente volgare ed altre figure simili di un’umanità molto varia - la ragazza si sentiva attratta da quest’incarnazione del male che non negava nessuno degli addebiti ma riconduceva tutto ad una logica disarmante che la spingeva sempre più decisamente verso il ‘colpo di testa’ dietro al quale, sapeva bene, non c’era solo la gelosia di Carmela ma tutto il mondo perverso che lei rappresentava e dal quale io, checché ne dicessi, ero dominato sia nella vita pubblica che in quella privata.
Come troppe volte già le era capitato, Floriana si sentiva combattuta tra una ‘volontà di essere ad ogni costo’ anche a rischio di scontrarsi con qualcosa di assai più grosso; e le ragioni della prudenza che le suggerivano in tutti i modi possibili di rinunciare ad un’ipotesi impossibile e totalmente illogica: diventare l’amante segreta, ogni momento in attesa che la legittima fidanzata lasciasse libero il suo amato di andarla a scopare; per un po’ di tempo, la ragione prevalse ed evitò in tutti i modi le provocazioni di un corteggiatore, io, che ormai facevo parte dell’arredamento del locale, tanto la mia presenza era fissa nel pub; che la tampinavo e la fermavo sul percorso dal bar a casa, alle tre di notte, per andare a bere un caffè e chiacchierare fino a mattina fatta; che insistevo a regalarle fiori e dedicarle canzoni, con un corteggiamento degno di ben altre situazioni; poi l’istinto fece la sua parte ed è persino inutile dire che alla fine cedette e una mattina, uscita dal pub, quando per l’ennesima volta la invitai a bere qualcosa, accettò di venire nello studio, dove tutti sapevano che avevo realizzato una garconniere nei locali retrostanti l’ufficio vero e proprio.
Non era una sprovveduta, la ragazza, e sapeva perfettamente a che cosa preludeva l’accettazione di quell’invito: quando, chiusa la porta dell’ufficio, la avvolsi in un bacio appassionato degno della migliore letteratura cinematografica, sentì immediatamente salirle alla testa il caldo più vivo dell’inferno e tra le cosce cominciò a scorrerle un rivolo di umori; io. che ero bravissimo nei preliminari, semplicemente stringendola, strusciandomi, carezzandola, la portai all’orgasmo più di una volta; in breve si trovò nuda sul letto della garconniere, a gambe spalancate con me fra le cosce che le succhiavo ardentemente la figa: furono due ore di sesso sfrenato, quasi feroce, di due persone giovani che volevano godersi quei momenti come fossero gli ultimi della loro esistenza; e in quel breve lasso di tempo riuscimmo a percorrere tutti i sentieri del piacere esplodendo più volte in orgasmi al limite dell’umano.
Floriana, quando sentì che già gli automezzi della spazzatura si muovevano in strada, si rese conto che doveva andare via, prima che l’ufficio fosse aperto per le pulizie: per me, farmi trovare addormentato nella garconniere poteva essere giustificato con un eccesso di lavoro; ma lei dovette rapidamente recuperare la sua auto e scappare a casa dove fortunatamente nessuno le chiese conto della notte passata fuori; solo quando ebbe dormito qualche ora e si fu svegliata solo per sedersi a pranzo, si rese pienamente conto di quello che era successo e si rimproverò per avere tirato troppo la corda; ma ormai la frittata era fatta e non le restava che accettare di aver commesso forse un altro errore.
I fastidi arrivarono quasi subito, quando Floriana si rese conto che non avevo affatto intenzione di risolvere la cosa in ‘una botta e via’ come prudenza avrebbe suggerito, ma accentuai la mia corte pressante diventando ancora più assiduo nel pub e al suo bancone di lavoro, ma soprattutto aspettandola ogni volta all’uscita ed insistendo per passare dalla mia garconnière prima di tornare a casa: a parte la frenesia di sgattaiolare via prima di essere sorpresa dagli addetti alla pulizia, la ragazza si rese immediatamente conto che le ventiquattro ore di una giornata, già poche per tutti gli adempimenti a cui doveva fare fronte (primo fra tutti, lo studio) adesso si riducevano assai sensibilmente e le creavano stati d’animo ansiosi e difficoltà a gestirsi tutti gli impegni.
Su un altro versante, furono subito evidenti i rischi connessi all’aver messo gli occhi su qualcosa che la malavita organizzata riteneva suo e che non avrebbe mai accettato di spartire con nessuno: Concetta, che puntigliosamente cercavamo di evitare anche come nome nei discorsi, diventava una presenza incombente e minacciosa non solo per me (che comunque me ne fregavo) ma anche e soprattutto per Floriana che guardava a quella zona grigia della società con atavico terrore e che vedeva l’ombra incombente come un autentico fantasma minaccioso; per porre un argine ai problemi e ai pericoli, ma anche e soprattutto per cercare di dare alla quotidianità una linearità più praticabile, avevo pensato di farle cambiare lavoro per poter vedere più spesso e con calma una donna che ormai mi era entrata nel sangue e non solo perché decisamente più bella di Concetta ma anche più aperta, disponibile e calda, ma soprattutto perché più vivace di intelligenza e capace di passare ore a dialogare spesso contrastandomi con garbo e acume: insomma, con lei stavo benissimo e avrei voluto metterla in condizione di potermi dedicare almeno qualche ora del giorno.
Assumerla nel mio ufficio con una qualsiasi mansione sarebbe stato l’ideale; ma neanche se ne poteva parlare: la scelta poteva essere letta come un aperto rifiuto della fidanzata ufficiale con tutte le conseguenze prevedibili ed ipotizzabili; risolsi allora chiedendo ad un collega di assumerla con funzioni di segreteria per assicurarle un reddito adeguato (certamente superiore a quello garantito dal lavoro al pub) ma soprattutto con orari decenti e la possibilità di dedicarsi alla sua vita, dagli studi all’amore; la scelta non mancò di suscitare qualche mugugno, ma era così logica ed ineccepibile che, pur masticando amaro, Concetta ed i suoi dovettero accettarla e vi furono costretti da ‘Mammoletta’ che in quel periodo aveva un estremo bisogno del ‘consigliere di Satana’ per una causa delicata che rischiava di smantellare tutta l’organizzazione.
Cominciò così per Floriana una stagione di grande entusiasmo: con lo stipendio più alto, si permise di cambiare finalmente macchina e ne prese una (in un autosalone controllato da ‘Mammoletta’) ad un prezzo risibile e scelse il modello più agile per muoversi in città rapidamente; qualche regalino di Alberto, che accettava sempre con difficoltà per non sentirsi ‘mantenuta’ le consentì di migliorare il suo look e di girare sempre con abiti firmati; rinunciò ad impartire le lezioni private a ragazzini duri di comprendonio, che prima le occupavano il pomeriggio e le sottraevano tempo allo studio per l’Università; insomma, la sua vita diventò più ‘umana’ e vivibile, fino all’apice degli incontri con me in una casa che avevo affittato per lei e dove lei esprimeva tutta la libertà di vivere: in quelle ore, sentivo il suo amore alimentarsi e crescere insieme alla soddisfazione di vedere realizzati alcuni suoi piccoli sogni.
Per me, poche cose erano cambiate, soprattutto sul piano della comunicazione con una persona alla quale potevo serenamente esprimere tutto il disagio per la schizofrenia che mi derivava dal sentirmi, su un piano, onesto e desideroso di verità e giustizia; e dover invece, su un altro piano, cercare tutte le scappatoie più indegne e luride per ribaltare situazioni evidenti e rendere innocenti i killer riconosciuti, onesti i ladri conclamati, brave persone gli affamatori di un quartiere; quando riuscivo a ritagliarmi qualche ora da passare con Floriana al riparo del bilocale che le aveva affittato in centro, la possibilità che mi si offriva di sederci insieme sul divano e parlare a ruota libera con un donna che sentivo così vicina al mio bisogno di comunicazione, diventava addirittura assai più importante degli amplessi che consumavamo con una rabbiosa voglia che sembrava atavicamente animalesca, tanto ci impegnavano a prenderci con foga, quasi a lacerarci le carni come animali in lotta per ritrovarci, al momento del’orgasmo, abbandonati l’uno sull’altro quasi invischiati in una pania di amore e di languore che valeva tutti i successi della vita.
Per noi due, giovani innamorati, poterci impossessare del corpo dell’altro e percorrerlo centimetro per centimetro e ricoprirlo di baci, di carezze, di piccoli morsi, di leccate sensuali, era il modo più limpido di urlare un canto alla gioia di vivere, e di vivere insieme, vicini, pelle contro pelle, sangue contro sangue, palpiti su palpiti; per questo, non appena potevamo liberarci anche solo mezz’ora, correvamo a incontrarci e a fare l’amore ogni volta con l’ansia di non perdere l’occasione, come se non dovessero essercene più in avvenire; i nostri amplessi erano autentici scontri in cui ciascuno cercava di fare sentire all’altro il piacere di possedere e di essere posseduto, attraverso non solo la compenetrazione dei sessi nella maniera più intensa ma anche con il corollario meraviglioso delle lingue che lambivano, delle bocche che baciavano, delle mani che percorrevano i corpi, noti ed amati, senza dubbio, ma vissuti ogni volta come continenti sconosciuti e misteriosi.
Tanta felicità, tanta gioia di vivere che sprizzava da tutti i pori non poteva passare inosservata a chi ci frequentava, anche separatamente, considerato che erano limitate all’indispensabile le occasioni in cui ci incontravamo in pubblico; e le solite malelingue non mancarono di riferire a chi di dovere, in primis a Concetta, che cominciò a vivere con profondo dolore il ruolo della ‘cornuta’: non si sentiva animata da un intenso sentimento di amore per me; personalmente avrebbe rinunciato a me a cuor leggero non sentendosi realizzata nel ruolo di ‘promessa sposa’ che le era stato affibbiato e dal quale ormai non poteva più liberarsi; ma la sua condizione di ‘figlia di …’ le imponeva delle necessità a cui non poteva sottrarsi e, mentre aveva già deciso in cuor suo di rassegnarsi all’idea di diventare ‘la moglie del pupillo del capo’, dopo che diventò di pubblico dominio la notizia della tresca del promesso sposo con la giovane barista promossa rapidamente a segretaria, non le fu più possibile transigere e si sentì chiamata ad assumere responsabilità e decisione secondo le leggi non scritte della famiglia: i solo sguardi intensi che suo padre le riservava ogni volta che l’argomento saltava fuori nei discorsi le ricordavano i suoi doveri.
Non tenevo in gran conto gli umori della famiglia di Concetta, anche se sapevo perfettamente quale ruolo avessero nell’organigramma della ‘famiglia di Mammoletta’: il rapporto di grande fiducia che avevo col ‘grande capo’ mi dava quasi certezza di essere un ‘intoccabile’: lo stesso capo, in un colloquio privato tenuto in carcere per un processo in cui era imputato, mi assicurò che ero sicuramente e assolutamente al riparo da qualunque iniziativa del ‘clan’ e che il discorso valeva anche per i miei familiari: non feci caso alla puntualizzazione e non mi resi conto che dalla garanzia restava esclusa Floriana che io consideravo un prolungamento fisico di me stesso ma che, agli occhi di tutti, era una estranea ‘sacrificabile’.
Ero uscito alla solita ora per andare in Tribunale a seguire il processo principe di cui mi occupavo; e come al solito passai dall’edicola dove compravo i giornali: quasi non feci caso all’aria sfuggente con cui l’edicolante mi guardò e notai a malapena, in un richiamo in prima pagina, la notizia di una macchina incendiata in piena notte in una strada vicina; cominciai a riflettere sugli sguardi della gente quando, a mano a mano, mi accorsi che sempre più spesso ero oggetto di profondi sguardi, quasi di compassione, che mi prendevano di mira in tutti gli ambienti conosciuti, a cominciare dal bar dove mi fermai come sempre per fare colazione.
Senza dare peso alle sensazioni esterne, aprii il giornale e, nella cronaca, mi balzò agli occhi la foto a tutta pagina dei resti bruciati di una macchina con una targa che conoscevo: il titolo parlava dell’incendio doloso di un’auto con dentro un’occupante, una ragazza che ben conoscevo per averla amata e per amarla con tutto me stesso; sentii il cuore schiantarsi e il respiro mozzarsi: Floriana era morta bruciata nella sua auto per mano di qualcuno che aveva voluto realizzare una vendetta; un velo rosso mi calò sugli occhi e per un attimo mi sentii letteralmente morire; poi l’abitudine ad affrontare situazioni di emergenze strane, difficili e talvolta pericolose ebbe la meglio: mandai giù il boccone quasi impossibile da digerire, mi stampai sulla faccia un sorriso ebete e decisi di iniziare un percorso che mi portasse definitivamente ad una determinazione.
Non erano molte le scelte: la prima, la più logica e prudente, era ingoiare il rospo, far finta che la cosa non mi toccasse nemmeno di striscio e continuare la vita di sempre, soltanto prefiggendomi di rompere un fidanzamento che ormai mi pesava più di una catena sul cuore ed una nel cervello; la seconda, più ostica ma più soddisfacente, era chiedere conto a ‘Mammoletta’ del gesto della famiglia di Concetta e chiedere una vendetta esemplare; la terza, in mancanza di soddisfazione, diventare un ‘collaboratore di giustizia’ e, con i dati e i documenti a mia disposizione, creare una tempesta nell’organizzazione tale da mandare in galera una grossa fetta della banda, a cominciare da Concetta e dai suoi familiari, senz’altro mandanti dell’uccisione di Floriana; per puro scrupolo professionale, mi feci fissare un colloquio col capo e gli spiattellai immediatamente la richiesta di vendetta su chi mi aveva ucciso la donna amata; la risposta, quasi scontata, fu che ufficialmente tra me e la morta non risultavano rapporti di parentela e che la vendetta richiesta si poteva applicare solo in caso di parenti; mi consigliava di sopportare in attesa di tempi migliori, mi prometteva prebende e premi extra ma rimaneva fermo sulla convinzione che, in mancanza di legami formali, quella morte doveva considerarsi estranea agli interessi della famiglia.
Contattai il giudice che si occupava degli affari di mafia ed ebbi con lui un lunghissimo colloquio che toccò tutti gli aspetti, anche le pieghe più piccole ed improbabili, della mia situazione e alla fine me ne uscii con un accordo preciso e chiaro: sapevo che valeva poco e che, col tempo, la famiglia avrebbe trovato il modo di farmi pagare la mia ‘infamità’; ma la memoria ancora viva e fresca di Floriana mi spinse ad essere ancora più plateale e clamoroso.
Entrai nell’aula di tribunale dedicata al processo a ‘Mammoletta’ e ai suoi accoliti, presi posto al tavolo della difesa, ma non indossai la toga e, sotto lo sguardo meravigliato (ma in molti anche spaventato) di tutti, chiesi al Presidente il permesso di avvicinarmi per conferire; il Presidente convocò me e il Procuratore; poggiai la toga sul tavolo di Presidenza e comunicai che, per sopraggiunte divergenze con i miei rappresentati sull’amministrazione della giustizia, rinunciavo a rappresentarli in Tribunale e rimettevo quindi il simbolo della funzione, la toga, invitando gli imputati a cercarsi un nuovo avvocato difensore.
Dalla zona dove gli imputati erano raccolti si levarono le peggiori ingiurie possibili e il Presidente fu costretto a far intervenire la polizia per placare gli animi; uno dei miei assistenti fu richiamato da ‘Mammoletta’ a conferire con lui e, al ritorno, mi sussurrò che il capo era disposto ad accettare le mie richieste; ma io, che conoscevo bene il mio assistito, confermai al giudice la mia decisione e, al collega che aveva fatto da mediatore, dissi.
“Avverti il padrone che, dopo la sentenza del processo, sarò anche lieto di parlare con lui e di illustrargli la linea di difesa che avevo preparato ma che non ho voluto usare perché la mia assistenza è totale solo con i veri amici; quando mi deludono, li affido a te. Buona permanenza a lui e tanti auguri a te.”
Uscii dall’aula finalmente sereno e mi sembrò che intorno svolazzasse un angelo con le sembianze di Floriana.
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