“Venticinque anni di pazienza per te sono solo un momento di rabbia? Non dimenticare che lo sforzo maggiore per realizzare questo equilibrio l’ho sostenuto io: tu ti sei fata coccolare e accettare per quello che sei; poi tu, autarchicamente, hai deciso di cancellare il mio desiderio di rivalsa ed io mi adeguo e ti lascio campo libero. In cambio, mi sgancio da ogni impegno e ti affido alle cure di tua madre. Non mi pare che possa opporti con qualche ragione; e comunque, non credo ti sia consentito di non cambiare niente dopo le rivelazioni di tua madre sulla sua libertà sessuale: credo che sarebbe mio diritto reclamare verginità per verginità, a certe condizioni. Visto che persiste la riserva sulla conservazione sia della verginità che dell’intangibilità di Oreste, io mi ritiro, semplicemente, e ti riaffido a loro: forse troveranno qualcos’altro da sottrarti!”
“Se il tuo problema è il mio culo intatto, se ne può senz’altro parlare.”
“Adesso mi offendete pure! Ti ho già detto che di culi, rotti o integri ma comunque disponibili, se ne trovano in giro: tuo marito ne trova ogni giorno, più o meno; io ne avrei più di uno, stanne certa. Il piacere di rendere pan per focaccia è più sottile, ma non entra nei vostri canoni e quindi diventa improponibile, visto che la vostra libertà sessuale richiede il sacrificio di qualcun altro, maschio o femmina che sia. Continuo a chiedervi, per favore, di andare ognuno per la sua strada.”
“Quindi, ad ogni costo vuoi che io riapra un’antica ferita ormai cicatrizzata.”
“No, chiedo conto della mia ferita rimasta aperta per venticinque anni e chiamo a responsabilità chi l’ha provocata, non solo chi ha rotto l’imene, ma anche chi ha contribuito a creare il trauma che ha portato alla mia sofferenza! Adesso, per favore, non fate fuoco incrociato per colpevolizzare me di danni che avete provocato nella vostra famiglia.”
“Pensi di lasciarmi?”
“Diamine, ma con voi le cose non basta dirle una volta? Non parlo forse italiano? Ho detto che farò il marito e ti garantisco la scopata canonica del sabato sera, ma senza preoccupazione per i tuoi orgasmi; ti lascio campo libero per tutte le tue iniziative compreso il sesso con la tua mamma; mi riservo di farmi qualche bella scopata altrove per recuperare il gusto del sesso comunicato. Non ti sta bene?”
“No! Io non voglio un marito che mi scopa distrattamente il sabato sera, per rispetto istituzionale. Io voglio il mio Franco che per venticinque anni mi ha fatto sentire normale aiutandomi a superare il mio handicap: lo riesci a capire?”
“Certo che lo riesco a capire: non sono né cretino né finto tonto come qualcun altro; ma riesco a capire anche meglio quello che tu dimentichi o fingi che non sia mai avvenuto, che cioè quell’uomo innamorato follemente tu lo hai espulso dalla tua vita quando hai deciso di dimenticare quello che sono stato costretto a soffrire per aiutarti a superare il tuo handicap, perdonando e cancellando le colpe di chi ha stuprato e di chi è stato complice col suo comportamento falsamente libertario e la sua capacità di ignorare il male perpetrato. Quando hai deciso unilateralmente di non tenere presente il mio dolore di tanti anni, cancellando con un colpo di spugna colpe e responsabilità, tu hai ucciso quegli sforzi e l’amore che li ha sorretti. Adesso, continua per la tua strada ma senza di me.”
“Possiamo riesaminare la questione a casa nostra, con calma?”
“Sono pronto a discutere di quello che vuoi quando e dove vuoi; solo, ti avverto che, non essendo oggi sabato e non essendo prevista scopata istituzionale, uno dei due dormirà nella camera degli ospiti.”
Volge al termine una giornata difficile, illuminata senza dubbio dall’incontro tra me e mia figlia, finalmente esplicite nella dichiarazione d’amore anche fisico; ma contrastata fortemente dall’atteggiamento di Franco, suo marito, tenace nel reclamare vendetta al suo dolore e pronto anche, per questo, a rinunciare non solo al rapporto con me che avevamo progettato, ma addirittura a mandare a monte il matrimonio, decenni di grande amore e di una perfetta sintonia con Nicoletta; di tutto, ritiene responsabile anche e soprattutto la mia reticenza ad accettare la responsabilità di antichi avvenimenti, che ne hanno condizionato la vita, e il rifiuto di favorire il suo desiderio di sfogare il rancore accumulato.
Mentre vanno via in un’atmosfera di tempesta che uccide tutti e tre, mi trovo all’improvviso a fare i conti con me stessa e con l’orgoglio che mi ha spinto ad irrigidirmi su certe posizioni; vorrei piangere, perché sono io la colpevole della fine del loro grande amore; ma mi rendo conto anche che piangere sul latte versato non servirebbe a niente e potrebbe solo acuire i sensi di colpa che, dopo tanti anni, sono emersi alla luce e mi opprimono.
Decido allora di inseguirli, letteralmente, e di entrare a piedi uniti nelle loro vite, per cercare di arginare la frana che li sta travolgendo e, se possibile, di evitare la rovina; mi vesto rapidamente e mi precipito a raggiungerli a casa loro: sin dal pianerottolo di casa, mi accorgo che Nicoletta piange a singhiozzi dolorosissimi; suono al campanello e mi apre Franco con una faccia da tempesta; mi fa entrare evitando anche di guardarmi negli occhi: il suo disprezzo mi fa più male di una coltellata; lo abbraccio e per fortuna non mi respinge, come temevo, ma addirittura mi accorgo che il mio corpo lo eccita e il suo membro si gonfia sulla mia figa; insisto a stringerlo a me e cerco di baciarlo, ma si volta dall’altra parte.
“Stronzo, baciami: ti amo; l’ho capito solo adesso; baciami e riprendiamo a parlare, non arroccarti come ho fatto io: due orgogli a confronto non producono niente, né di buono né di cattivo!”
Sembra cedere e si concede: il bacio che ci scambiamo è caldo, appassionato, d’amore vero; Nicoletta si avvicina e ci abbraccia insieme.
“Franco, perché ti ostini ad inseguire una vendetta inutile? Cosa pensi di ottenere? Vuoi soddisfare il tuo personale rancore? Credi di aiutare un mio recupero? Vuoi far male a Vera per non essere stata attenta tanti anni fa? Cosa cerchi, insomma, in questa frenesia di vendetta?”
“Insomma, per le vostre esitazioni devo incassare tutto il dolore e stare zitto?”
“Non ti basta avere il mio amore?”
“Silenzioso e da indovinare?”
“No: caldo, vero, immenso; che peso può avere se lo riesco ad esprimere a parole o lo comunico a gesti?”
“Strano che lo dica una fervente cattolica che dovrebbe sapere che una confessione, se intima e inespressa, non ha valore, mentre se espressa a voce alta dà diritto all’assoluzione dal peccato. E’ la stessa cosa: chi ti ha privato della possibilità di esprimere il tuo piacere dovrebbe pagare!”
“Poi mi ridà la facoltà perduta?”
“No, è chiaro!”
“Allora è solo il tuo ego ad avvantaggiarsene; il tuo rancore ad esserne soddisfatto. Io sto chiedendo di cancellare una brutta storia per continuare a vivere come facevamo prima che mamma raccontasse e tu ti incapricciassi per questa vendetta.”
“Quindi, la scelta è perdonare al papà stupratore e alla mamma distratta e fare finta che non abbia parlato?”
“No; io sono pronta a darti, con amore bada bene, la mia verginità residua, solo se non è per una tua vendetta personale ma per un desiderio d’amore mio che mi concedo e tuo che mi prendi al meglio della tua delicatezza. Ho cercato di dirtelo prima, quando facevamo l’amore io e Nicoletta, ma tu mi hai, anzi, ci hai respinte ed hai deciso che la tua vendetta viene prima anche del nostro amore!”
Ho colpito nel segno e si vede che la sua sicumera traballa: mi bacia sugli occhi, con la dolcezza di un innamorato; poi cerca di giustificarsi.
“Stavo controllando la porta e non potevo distrarmi.”
“Bellissimo il ditino dietro il quale ti nascondi: è quasi più bello dei timori di Nicoletta dietro ai quali mi hai accusato di nascondermi; ribadisci che era solo per prudenza e non per un rifiuto pregiudiziale. Anche cacciare dal letto, dalla vita e dall’amore la tua compagna è un gesto di prudenza?”
“Franco, mamma ha ragione: ti abbiamo offerto tutte e due di partecipare al nostro amore e ti sei tirato indietro. Ti riesce tanto difficile capire che per me riconquistare l’amore di mia madre, conquistare il suo corpo e la passione del sesso è già una grande conquista e che il tuo desiderio di vendetta sciupa tutto, anche quello?”
“Quindi, che tutto sia come è sempre stato?”
“No; ora c’è in più il mio amore esplicito con mamma: quella è già una conquista e lei imparerà a capire le mie reazioni come ci sei arrivato tu; in più, c’è questa esperienza dolorosa che sta per distruggerci e che, se superata, ci lega ancora di più. Perché non cerchi di amarmi, di farmi sentire il tuo amore e di ascoltare il mio con tutti i sensi, escludendo l’udito che non ha mai pesato sui nostri rapporti?”
“Tu conquisti punti anche nell’amore con tua madre e io continuo a pagare il conto!”
Franco vacilla ancora; poi abbraccia Nicoletta con una violenza e con una passione che quasi le provocano dolore; istintivamente, l’abbraccio da dietro per entrare in rapporto fisico coi due e infilo una mano tra i loro corpi per prendere il cazzo di mio genero; ma lui stesso mi spinge verso la figa di mia figlia e la stringo con forza, quasi con rabbia, e la carezzo sensualmente cercando il contatto col clitoride attraverso i vestiti e lo slip; si stringe a lui e sento sul dorso della mano il cazzo che preme durissimo; per stimolare la figa di Nicoletta uso il cazzo, da sotto i pantaloni e le mutande: sembra un gioco assurdo, al limite dell’impossibile; ma la prima ad eccitarsi fino a sentirmi colare sono proprio io che manovro i due sessi; poi vedo Franco sbarrare gli occhi mentre divora in bocca le labbra di sua moglie e la penetra con la lingua fino in fondo; Nicoletta si contorce sulla mia mano e sul suo cazzo come se fosse tarantolata, schiaccia con violenza le labbra di Franco; ad un tratto sembra emettere un gemito, soffocato dalla bocca di Franco, che si blocca quasi spaventato. Si stacca dal bacio e le guarda il viso languido d’amore.
Nicoletta rovescia la testa indietro, si accosta ancora alle sue labbra e, mentre lo bacia, sento che gli dice.
“Non devi lasciarmi, non puoi lasciarmi: io ti amo, ti ho sempre amato, io vivo per te; ti voglio, ti voglio dentro il mio corpo: sfondami, uccidimi, fammi male ma non azzardarti a tentare di cacciami dal tuo letto, dalla tua vita, dal tuo amore. Io non posso vivere senza di te; fammi fare l’amore, fammi sentire il tuo corpo nel mio, fammi godere; non mi lasciare.”
Franco è sbalordito, quasi non crede neanche a quel che sente.
“Non ti lascio, amore, non ti lascio; ho detto una stupidaggine; ero incazzato; non posso lasciarti: anche tu sei la vita per me; non posso vivere senza di te.”
“Portami sul letto e fammi fare l’amore; anzi, no, scopami, con tutta la violenza che vuoi, fammi sentire il cazzo fin dentro il cervello, ma non pensare mai più di far finire l’amore che ci fa vivere.”
Franco la solleva in braccio e la porta verso la camera da letto; io resto inebetita a chiedermi se è stata una sensazione causata dalla situazione o se invece è successo il miracolo e mia figlia si è liberata dalle remore che le impedivano di partecipare alla vitalità del marito; non riesco ad entrare nella loro dimensione di amore, ma mi accosto timidamente alla porta della camera: Franco, mentre sta sfilando i vestiti a Nicoletta, mi vede e mi fa segno di andare sul letto con loro; lei lo vede, mi guarda e mi chiama.
“Mamma, vieni accanto a me, fatti amare anche tu: io credo, anzi sono sicura che essermi lasciata andare con te mi ha consentito di riprendere contatto con l’amore , con mio marito, col mio uomo, col mio cazzo che adesso voglio tutto dentro di me; ma ti voglio vicino, voglio accarezzarti ancora. Franco, non ti dispiace se, mentre faccio con te l’amore con tutta me stessa, limono un poco con mamma?”
“No, anzi, ci limono volentieri anche io: lo sai che sono innamorato pazzo di lei e, soprattutto, delle sue tette e del suo culo; figurati se rinuncio ad accarezzarla mentre ti scopo alla grande, dimenticando per un momento che ti amo ricordandomi che ti voglio, ti desidero, mi piace fare sesso con te, adoro scoparti in tutti i buchi.”
“E allora che aspetti a sventrarmi col tuo mostro meraviglioso?”
Mi sdraio accanto a lei e le carezzo il viso con dolcezza, con un affetto materno, paradossale in quella situazione: ma i ruoli, in quel momento, mi si confondono: la mamma e l’amante diventavano tutt’uno e la dolcezza delle coccole affettive si incrocia col piacere lascivo del desiderio sessuale; stranamente e sorprendendo anche se stessa, nel momento in cui Franco comincia a spingere il cazzo nella figa, Nicoletta si mette a gemere con continuità e lacrimoni caldi le scivolano lungo le gote; continua a ripetere come un mantra.
“Ti amo, Franco, non mi stanco di dirtelo che ti amo, ti desidero, ti voglio; voglio sentirti nella mia figa e te lo voglio anche raccontare, momento per momento, quanto il tuo cazzo mi dà gioia; so che adesso diventa esagerato e scocciante che parli tanto mentre mi scopi, che non recupero niente del passato; ma voglio ascoltarmi mentre te lo dico; hai ragione: se voglio confessarmi, devo farlo a voce alta, sentire che sto parlando e farti sentire la confessione. Ti amo e godo molto con te, di te, di quello che il tuo corpo, ma soprattutto il tuo cazzo, portano nel mio corpo, nella mia lussuria, nella mia vita. Adesso ti sento fin nel cuore, che mi stai scopando e che il mio utero gode di te, della tua violenza, della cappella che mi pressa e mi fa dolere la cervice; ti amo con tutta me stessa e godo molto di più perché posso dirtelo mentre mi stringi i capezzoli e mi fai vibrare; sei un amante meraviglioso e non voglio perderti, per nessuna ragione!”
Mi sposto un poco con la testa e riesco a conquistare una sua tetta che accarezzo a piene mani con un ineffabile piacere sensuale; poi mi chino e prendo in bocca un capezzolo; si leva improvviso e inaspettato il suo urlo.
“Siiiiiiiiiiii, si mamma, si, succhiami fino allo svenimento, torna tu bambina e prenditi le mie tette come io ho preso le tue: fammi sborrare ancora e ancora. Franco, non sai come è meraviglioso sentirti fino in fondo nella mia figa e sentire mamma che mi strappa l’anima dal capezzolo. Vi amo … vi amooooo!!!!! Goooooooodoooooooooo!!!!!. Non uscire, resta dentro di me finché reggi, ti amo, ti voglio dentro per sempre, non uscire mai più dal mio corpo, sono tua e tu sei mio, il tuo cazzo è mio e voglio tenerlo dentro per sempre.”
Franco sembra rilassarsi, deve avere sborrato ma non ha detto niente; il suo corpo enorme, rispetto a quello di sua moglie, la copre tutta e sembra assorbirla in sé; la bacia delicatamente dove può senza muoversi da lei, sul viso, sugli occhi, nelle orecchie, solo fino al collo per tornare poi indietro, sul mento, sulla bocca, lungo il naso fino di nuovo sugli occhi: sento quasi i morsi della gelosia di fronte allo spettacolo di amore puro e infinito che i due offrono al mio sguardo; avrei voglia di buttarmi nella mischia e sentire anch’io nella mia figa il bel cazzo di mio genero titillarmi l’utero fino a farmi esplodere di piacere; ma il tempo è volato senza che ce rendessimo conto ed è ormai l’ora, per me, di rientrare a casa prima di dover rendere conto ad Oreste della mia assenza; raccolgo la borsa, vado da Nicoletta, la bacio e l’avverto che vado.
“Ci vediamo sabato prossimo?”
“Franco è ancora disposto?
“Tu sei sempre dell’idea di darmi la tua verginità anale?”
“Non ci riesci proprio a rinunciare? Potresti rimanere molto deluso.”
“Io sono disposto a correre il rischio, se tu sei pronta a fare il sacrificio.”
“Va bene: faremo come tu vuoi. Ciao.”
Me ne vado, comunque più leggera e serena di come sono arrivata; dai loro atteggiamenti mi pare di poter essere sicura che i dissapori sono stati eliminati, gli equivoci chiariti e che l’amore tra loro abbia trionfato; per una madre questo è il risultato migliore auspicabile; ed io sono soprattutto una madre, anche coi limiti e i difetti che mi hanno, in qualche modo, costretta a riconoscere.
Nei giorni successivi, la preoccupazione maggiore è quella di organizzare per benino le cose in maniera di avere per l’intero week end la casa libera e pronta per il “grande evento” di scopare a tre con mia figlia e mio genero e per il presunto sacrificio della verginità anale alla quale Franco sembra tenere molto e per la quale, invece, io mi sento molto in ansia per motivi che a lui non possono nemmeno per caso passare per la testa.
Un paio di giorni dopo, Nicoletta passa a trovarmi e mi racconta assai felice che con Franco ha ritrovato un’intesa meravigliosa che non si era mai perduta ma che in qualche modo si era un po’ appannata dopo le mie rivelazioni; per un attimo, sono tentata di rivelare a mia figlia la vera natura delle mie titubanze rispetto alla parte più delicata dell’incontro, la mia verginità anale; ma a sentire quanto sono in fibrillazione suo marito e lei per questa nuova “avventura”, mi passa la voglia di parlare e lascio stare; finisce che ci troviamo sul letto abbracciate e ancora completamente vestite e succhiarci la figa senza sfilare gli slip, solo spostandoli il necessario per aprire l’accesso alle grandi labbra, mentre ci palpiamo i seni ed io le lecco il buco del culo che trovo estremamente sensibile e cedevole; mi chiedo per un attimo se lo farà anche lei; ma,evidentemente per un rispetto alla sacralità della primizia che Franco reclama, lascia stare e si rivolge alla figa; esplodiamo, quasi in contemporanea, in un lussuoso orgasmo che ci sconvolge; subito dopo, riassettandoci semplicemente gli abiti gualciti per le recenti manovre sul letto, ci salutiamo perché è quasi ora di pranzo; Nicoletta mi sembra accesa di gioia anche perché, mi dice, racconterà a Franco della nostra sveltina e sicuramente lui la scoperà alla grande.
Il sabato mattina vengono a casa mia: hanno avvertito i figli che potrebbero restare fuori tutto il week end e si sono liberati di qualunque impegno: la loro intenzione è di dedicarsi totalmente e pienamente all’incontro con me, che vivo il momento con una certa inconfessata trepidazione; ci incontriamo comunque scambiandoci baci di passione sin da quando varcano la porta; io indosso solo la mia solita vestaglia senza intimo e sia lei che lui immediatamente infilano le mani sotto il vestito e mi palpano amorevolmente i seni: Franco mi stringe appassionatamente e prende in mano le natiche per sentirmi contro il ventre e farmi sentire la forza del suo cazzo sotto la figa; lo avverto che sarà bene mangiare qualcosa, prima di abbandonarci ai bagordi: a malincuore, si stacca e si libera di giacca e scarpe mentre Nicoletta va in bagno e torna con una mia vestaglia, che appena le copre le chiappe e il pube naturalmente privi di intimo; stavolta sono io che le afferro la figa a mano piena, infilo un dito e la masturbo delicatamente per qualche secondo: geme di piacere, con mia grande gioia, ed è poi lei a ricordarmi che è meglio rinviare l’incontro a dopopranzo.
Anche mentre mangiamo, però, cerchiamo tutte le occasioni per baciarci e toccarci, alternativamente in coppia o anche tutti e tre, ed io ho l’occasione di assaggiare direttamente la consistenza del cazzo di Franco, che trovo meraviglioso, dal momento che si è tolto pantaloni e camicia ed è rimasto in boxer; prima ancora di aver finito di mangiare, io e Nicoletta ci stiamo dirigendo alla camera da letto mentre suo marito si attarda a sorseggiare il caffè e a fumare una sigaretta; ci fiondiamo sul letto, dopo esserci liberate della vestaglia, e ci lanciamo in un vorticoso giro di baci su tutto il corpo, dal viso alla bocca, dalla gola alle tette, dall’ombelico alla figa; mia figlia denuncia orgasmi continui ed intensi, accompagnati stavolta da sani gemiti di lussuria e da urli disumani, quando le mie dita riescono a trovare il punto giusto per farla godere o la mia bocca le succhia il clitoride come gli facesse un pompino.
Franco, che è sopraggiunto, si lancia sul letto e si colloca tra di noi, baciando, leccando, succhiando, strizzando a casaccio tra tette, cosce, ventri, inguini e fighe senza molto badare a dove va; ad un certo punto lo sento entrarmi in figa con decisione e con dolcezza, una sensazione strana che mi prende e che mi fa esplodere in una sborrata colossale: quando il suo cazzo picchia con forza sulla cervice dell’utero, lancio anch’io un urlo disumano e un rumore strano e violento (ma che io conosco bene) li fa sussultare per un attimo, quasi sorpresi e meravigliati; poi Franco annuncia.
“Nessun problema; hai avuto un orgasmo anale e il suono è proprio questo.”
Riprende a limonarmi e gli chiedo di dedicarsi anche a Nicoletta; il cazzo, ancora durissimo, passa dalla mia alla figa di mia figlia; ed essendo lei sovreccitata per la precedente scopata mia, sborra con pochi colpi accompagnando l’orgasmo con un lunghissimo gemito d’amore; le monto sopra, a 69, e prendo a leccarle la figa; lei mi passa a spatola la lingua tra l’ano e la vulva: ad un certo punto mi accorgo che richiama l’attenzione del marito sul mio ano, con un’espressione di meraviglia: non ci faccio molto caso, perché sto godendo: e neppure vedo che, subito dopo, lui si è alzato ed è uscito dalla camera.
Mentre io e Nicoletta ci lanciamo in un giostra di leccate golose e furiose su tutti i genitali, Franco è andato nel salone; successivamente avrei saputo che ha preso il mio telefonino dalla borsa, ha osservato la rubrica e la lista delle chiamate, individuato il numero di Ottavio, il mio amante segreto, e lo ha attivato; l’altro, visto il nome sul display, risponde.
“Ciao Vera, ma non eri impegnata oggi?”
“Non sono Vera, sono Franco.”
“Ah, il marito di Nicoletta. Come mai?”
“Siamo qui da Vera e stiamo facendo il gioco delle verità: da quando te la scopi?”
“Saranno una decina di anni, ormai.”
“Com’è Vera a letto?”
“Calda, focosa, inarrestabile.”
“Lo fa con tutto, anche col culo?”
“Direi soprattutto col culo.”
“Altra verità da scoprire: glielo hai rotto tu?”
“No; è arrivata già con un tunnel aperto. Perché?”
“Ti ho detto: facciamo il gioco della verità: lei addirittura si spacciava per vergine.”
“Non hai verificato? Si vede chiaro che il buco è abituato al cazzo, anche al mio che, modestamente …”
“Te la passo.”
A quel punto, Franco mi stacca dalla figa di Nicoletta e mi passa senza una parola il telefono.
“Si?”
“Ciao bella; stai scopando con tua figlia e tuo genero?”
“Ottavio! Perché hai chiamato?”
“Io? No, è stato Franco che mi ha chiamato per sapere se ti scopo nel culo.”
“Ahhh; si, va bene; ci vediamo come al solito.”
Nicoletta sta piangendo silenziosamente in un angolo.
“Perché, mamma? Perché hai detto tante bugie? Quante ne hai dette ancora e quante ne dirai? Non capisci che è quasi peggio di quel maledetto giorno; tu hai tradito la lealtà, l’amicizia, la fiducia. Cosa ti costava dire che avevi il culo rotto? Perché difendere la bugia della verginità?”
“Perché non sono fatta come voi; perché ho dei tabù da rispettare e difendere anche se non ci credo e non li amo. E’ vero: vi ho ingannato; anzi, no, ho ingannato Franco, per il quale ho solo tanto affetto, te lo avevo pur detto. Io volevo fare l’amore con te; tu hai voluto che ci fosse pure lui e ti ho risposto che avrebbe fatto quello che voleva con la mia appassionata partecipazione; ma non avevo promesso né amore né verginità; ho cercato di difendere il mio tabù con la storia della paura dei danni; mi avete costretto a promettere una verginità che non c’era; ho giocato a recitare sperando che un miracolo vi impedisse di vedere che ero sfondata di culo, Adesso però mi sono rotta di inventare con tutti, da tuo padre a tutta la famiglia, oltre che con la società intera. Se proprio vi dà tanto fastidio il mio comportamento, vi prego di andarvene e di non rompermi più i coglioni; sono stata bene senza di voi; sarei stata felice di dividere con voi amore e sesso; se siete tanto puritani, mi rifugerò nel mio rapporto clandestino che la società mi impone e tanti saluti a voi, al vostro libertinaggio e alle vostre scopate multiple e libere. Ora due sono le ipotesi: mi lasciate qui a leccarmi le mie ferite; in quel caso, per favore, ricordatevi di me solo a Natale e a Pasqua, per le telefonate di auguri, possibilmente brevi; oppure tornate a letto con me, scopiamo come avevamo voglia (perché ne avevate voglia, prima di scoprire che il mio ano è nero per l’abitudine a prendere cazzi) fino a che non saremo stremati e scoperemo tanto, tantissimo, ogni volta che ne avremo voglia. E dovete subito scegliere, senza polemiche e senza trattative. Ti va di scoparti tua madre? Ti va di inculare tua suocera? Bene: io sono qui; a voi la prossima mossa.”
Franco si rivolge a sua moglie.
“Senti così intenso il desiderio di fare sesso con tua madre?”
“L’unica persona con cui mi interessa fare l’amore, - non sesso, amore - è mio marito, sei tu; gli altri non esistono. Da quel che capisco, neanche mia madre ha bisogno di me, col cazzo di cui dispone da anni. Andiamocene a casa nostra: a Natale, se ce ne ricorderemo, faremo, fra gli altri, gli auguri anche a lei. Ciao, mamma; divertiti!”
E usciamo.
La logica di Vera
Sono passati sei mesi dal mio pensionamento e la mia vita è precipitata in una sorta di ‘baratro dell’oblio’ che mi ha fatto sentire sempre più esclusa dalla vita di persone che fino a un anno fa sembravano non poter fare a meno di me; e mi accorgo solo adesso che si trattava prevalentemente di assoluti estranei, persone conosciute solo per le occasioni specifiche: alunni, genitori, colleghi, insomma tutta l’umanità che gira intorno ad una persona, in genere, e ad un’insegnante in specie, soprattutto quando si vive e si insegna in un piccolo centro; nel novero, brillano per assenza i familiari coi quali solo adesso mi accorgo di avere avuto un rapporto quanto meno distratto da altri interessi: solo di recente ho scoperto che è stato un atteggiamento colpevole e che qualche errore ha avuto conseguenze dolorose ed irrimediabili, anzi rimediate in parte da alcuni ma non sopportabili da qualcun altro.
Dopo lo scontro con mio genero, Franco, il rapporto con Nicoletta, mia figlia, si è interrotto di nuovo: ci eravamo connesse solo da poco, con le mie confessioni sul passato e le sue rivelazioni sulle vicende dell’infanzia; e adesso siamo di nuovo lontane come in due galassie e non conosco nessun percorso per arrivare a ricontattarla: decido di telefonarle accampando una qualsiasi scusa, pur di provare a riprendere il filo del dialogo.
“Ciao, Nico: sono Vera; ti disturbo? Avrei bisogno della ricetta del tiramisù. Come state ?
“Ciao, Vera: mi dispiace ma capiti in un momentaccio e non ho neanche il tempo per guardarmi allo specchio. La ricetta la trovi in internet, come ormai tutto, ed io ti devo lasciare perché devo preparare i bagagli per Guido.”
“Guido parte? E dove va di bello?”
Sento che sta cercando di trattenere le lacrime.
“Non va da qualche parte, SE NE VA in Inghilterra, dove ha trovato il lavoro e l’amore.”
“E non sei contenta che trovi una sistemazione?”
“Mamma, fammi il favore, VAFFANCULO; io sto qui a piangere da una settimana, con la prospettiva di piangere ancora per un mese; io soffro perché sto per perdere in un solo colpo i miei figli, la mia vita; e tu ti metti a fare la stronza dall’alto del tuo cinismo? O anche questo atteggiamento è una delle tante recite della tua vita? Mio figlio parte e forse lo rivedrò a spizzichi nei prossimi anni; mia figlia se ne va pure lei, col suo compagno, in Spagna; ed anche lei ha promesso che una o due volte all’anno, capisci, più o meno ogni sei mesi, troveremo il modo di abbracciarci. Io, per questa cosa, sto morendo e tu hai la faccia tosta di suggerirmi di stare contenta perché si sistemano? Io non ci riesco: sono certa che Ramon tratterà Simona come Franco ha fatto con me e che sarà ancora più felice di me; ma la preferirei morta, se servisse a tenermela qui, con me, per sempre; lo stesso vale per Guido; ma questi discorsi non valgono per te. Quindi, non rompere. Leggiti la ricetta su Internet e stammi bene.”
Riattacca ed io mi ritrovo ancora più sola, arrabbiata con mia figlia che neppure cerca di capire che usavo un luogo comune per superare il dolore; dispiaciuta un poco perché Guido se ne va, ma in fondo convinta che i giovani debbano farsi la loro vita dove meglio possono; io non avrei nessun diritto a giudicare perché non mi sono occupata affatto dei miei, ma loro ce l’hanno fatta, anche senza di me, anche se con qualche difficoltà, soprattutto Nicoletta, che poi hanno saputo superare; chi invece sta veramente male, adesso, sono io che, con la morte improvvisa di Ottavio, mi trovo da sola a dovermi gestire una vita che per la prima volta sento vuota e stupida; decido di dedicarmi al tiramisù, anche se io non mangio dolci e in casa non c’è mai nessuno, per cui finirà nella pattumiera; avevo messo da parte il numero di cellulare di Guido; lo trovo e lo digito; mi risponde subito.
“Ciao, come ti butta?”
“Non è un bel momento. Tu invece mi dicono che stai per fare il grande passo … E non pensavi neanche di passarmi a salutare un momento prima di sparire nelle nebbie londinesi?”
“Pensare, ci ho pensato molte volte; è fare che richiede tempo e determinazione e non ne ho avuto; ma, se sei libera, vengo adesso stesso a salutarti.
“Ti aspetto.”
Dopo meno di dieci minuti bussa alla mia porta e lo accolgo con molto affetto; non sembra entusiasta di quella visita.
“Mi pare che non ti faccia piacere abbracciarmi … “
“No, no, ti sbagli; piacere me ne fa tanto: e il fratellino, come senti, ha già alzato la cresta; diciamo che la passione c’è ma la fiducia è sparita e con essa l’amore. Sono stato il primo a cui hai rifilato la favola della paura che, se davi il culo, non avresti trattenuto le feci; ma intanto il tuo culo era già un tunnel ferroviario.”
“Ma che ci avete, voi, con il culo vergine? è un mito per caso?”
“No, niente mito del culo vergine; mito della lealtà; difficoltà ad accettare una troia. Ma, visto che quella sei, considerato che sei rimasta senza cazzo e che, piuttosto che scopare con tuo marito, vieni a chiederlo a me, considerato che, fino a Londra, di figa non ne avrò, una bottarella te la dò volentieri, tanto per spazzare le tue ragnatele e rinfrescare la memoria al mio cazzo. … “
“Sei impietoso! … “
“Solo un po’ di sano cinismo appreso da mia nonna. … “
“Va bene; intanto, allora, scopami come faresti con una vera troia.”
Ho appena finito di parlare che mi trovo premuta a terra, in ginocchio, e davanti a me si erge l’obelisco del suo cazzo, al massimo dell’erezione, e Guido me lo sbatte in gola con forza: è feroce, il ragazzo; ma tengo botta e prendo a succhiarlo con amore fino a che si arrende alla dolcezza del mio pompino e mi lascia fare; lo guido fino al divano, lo faccio sdraiare, mi accoccolo in ginocchio tra le sue gambe senza mollare di un millimetro la sua virilità prorompente e comincio ad adorarlo con la lingua e con le labbra: lo percorro tutto, dal basso all’alto e viceversa, e succhio la cappella come un dolce goloso; mi preme sulla testa e cerca di spingere la punta fino all’esofago, quasi volesse soffocarmi o farlo arrivare fin nello stomaco: la figa freme e fibrilla, gli orgasmi si susseguono, piccoli, dolci, rapidi, fino a che arriva quello conclusivo che mi esplode in testa, prima che nella figa, e si manifesta con un urlo bestiale; trattiene il cazzo fermo nella bocca assorbendo l’urlo che si scioglie in un sibilo ai lati dell’asta.
“Grande sborrata. Adesso ti rompo il culo!”
Sembra quasi che Guido sia più furbo e concreto del padre: se ne fotte delle promesse di verginità, vera o presunta, e bada al sodo, a mettere dentro il cazzo e godere, … ‘esattamente come fece il padre con Nicoletta, quando la sverginò impietosamente, complice la mia assenza’: per la prima volta sento il senso di colpa aggredirmi e la rabbia di Franco mi risulta giusta, sacrosanta; e, per converso, appare ancora più evidente il mio cinismo disumano espresso in tante dichiarazioni: l’unica motivazione che riesco a fornirmi è il desiderio di sopravvivenza che mi spinge sempre più in basso.
Guido si è spogliato nudo e mi ha spogliato: mentre ancora non mi sazio di guardare il suo corpo muscoloso e rassicurante e il cazzo ritto come un obelisco, un po’ meno rassicurante, lui mi obbliga a sdraiarmi bocconi sul letto e mi accarezza le natiche e i lombi amorevolmente: sembra quasi un massaggio terapeutico, ma è una lussuriosa carezza su tutto il fondoschiena che prelude all’inculata vera e propria e me la fa desiderare come la soluzione più dolce alla lussuria che il ragazzo ha scatenato in me.
“Perbacco, mi ecciti da morire con questo tuo meraviglioso cazzo: dovrei gustarne più spesso e più numerosi.”
“Hai mai frequentato un club privè? … Io ne ho sentito parlare dai miei e so che è un posto affascinante. … Dovresti chiedere a Franco e Nicoletta di farti fare l’esperienza; mio padre è una mezza autorità in alcuni e se glielo chiedi col giusto garbo, può farti passare una serata da sogno, o da incubo, a seconda dei punti di vista.”
Mentre parla, Guido mi è montato addosso e si strofina con tutto il corpo sulla mia schiena: la bocca scivola a baciarmi e mordermi con forza il collo nella parte posteriore sotto la nuca, strappandomi brividi di piacere inusitato; sotto, invece, il cazzo si è appoggiato nel solco tra le natiche e vi si struscia come i ragazzini fanno fra le cosce delle femminucce, prima di sverginarle; anche questa fase a Nicoletta è stata negata, perché non era già più vergine quando si è concessa a Franco, mi trovo a meditare; ma mi consolo con la convinzione che lui è stato poi un grande amante, anche per una con le sue difficoltà: peccato che non ne possiamo tenere conto, nella logica del lasciar vivere!
Il gioco preliminare dura poco; subito dopo, mi fa sollevare in ginocchio, poi mi mette carponi, e mi lecca accuratamente e amorosamente il buchino, penetrando con le dita progressivamente aumentate da una a tre; poi sento il fresco del lubrificante scorrermi dal coccige fino all’ano e lì infilarsi nel canale intestinale con l’aiuto del suo dito che lo distribuisce abbondantemente su tutte le pareti e poi anche sull’asta prima di accostare la cappella al buco: sento il cazzo scivolare dentro senza nessun fastidio per i miei tessuti; anzi, la progressiva penetrazione genera solo intenso piacere che esprimo con gemiti dolci e continui.
“Sfondami, amore … cosìììììì … chiavami adesso, fammelo sentire fin nello stomaco. … Che cazzo che hai!!!!!! Sei un grande amante. Peccato perderti: un cazzo così bello che emigra … lasciamene un grande ricordo, inculami con tutta la violenza di cui sei capace!”
Non si fa pregare e sbatte con tutte le sue forse contro il culo, contro la schiena, contro la figa, indirettamente; e mi fa sborrare come una vecchia fontana, a spruzzi, a fiotti, a cascata: di momento in momento il suo ritmo cambia e gli orgasmi si susseguono; sono al settimo cielo: era troppo tempo che non scopavo così con gioia; chissà se Franco scopa con altrettanta gioia e sapienza … chissà se avrà ancora voglia di scoparmi, ora … devo parlarne con Nicoletta … devono capire che io sono fatta così e che devono avere tanta pazienza … tanto amore quanto io non ne so avere; devo parlare …. A tutti e due.
Guido ha intanto perso il senso del limite e mi sbatte come un vecchio tappeto: i suoi colpi sconvolgono me, il letto, la stanza; è una furia scatenata quella che fa uscire il cazzo fino alla punta e poi lo spinge dentro con un vigore da prima penetrazione: non c’è amore nel nostro ‘scontro’ sessuale, ma solo passione, libidine, lussuria, voglia di possesso: stringo tutti i muscoli del retto e il cazzo rimane imprigionato nel mio ventre; benché faccia enormi sforzi, non riesce a tirarlo via ed è costretto a chiavarmi come voglio io, fino alla morte, fino ad una sborrata che è un’alluvione per il mio povero culo slabbrato; alla fine, lo lascio sfilare via e stringo l’ano al massimo, sperando di non far colare niente, mentre mi tampono con un fazzolettino e mi precipito sul water a scaricare sborra, umori e dio sa cosa.
Quando rientro in camera, Guido se ne sta sdraiato supino, col cazzo avvolto in fazzolettini che ha usato per pulirsi, con lo sguardo beato ed ebete di chi ha goduto intensamente ed è profondamente soddisfatto.
“Se avessi fatto capire che era così strafigo scoparti nel culo, anziché fare la verginella spaventata, sai che inculate ci saremmo fatti, o anzi ti saresti fatta tu e non solo con me, con questo tuo straordinario culo. Adesso però temo che dovrò lasciarti, perché i preparativi di viaggio mi prendono molto e sono in grave ritardo.”
Va in bagno a lavarsi e, al ritorno, si riveste, prende le sue cose ed accenna ad andare via; lo fermo e lo costringo ad un abbraccio da addio tra due innamorati.
“Mi penserai qualche volta? … Ti farai sentire? … Riusciremo a vederci, prima o poi? … Avrò un posticino nel tuo cuore?”
“Come nonna, forse riuscirò qualche volta a pensarti, persino a parlarti per telefono o per skipe; come amante, non nego che il tuo culo occupa spazio nella mia memoria. Ma so che è l’ultima volta che ci vediamo; e non credo che ci rivedremo più. Ciao, amore mio!”
La sua uscita mi lascia un senso di vuoto dentro che mi spinge quasi a lacrimare; ma mi faccio forza, perché la vita continua e cerco di recuperare le energie per affrontare gli impegni successivi, primo fra tutti il rapporto con Nicoletta che è la mia priorità assoluta.
La logica di Nicoletta
Altro che l’annus horribilis della regina! Il mio è stato orribile, terribile, angoscioso, spaventoso e chi ne ha più ne metta: è cominciato col pensionamento di mamma che ha dato la stura, chissà perché, ad una ‘seduta di autocoscienza’, come un tempo si chiamavano certe pubbliche confessioni, dalla quale è emerso in buona sostanza che la parvenza di santa donna vittima di un marito maiale era più apparente che reale, perché sotto gli abiti monacali si nascondeva una troia non da poco che aveva stabilito una giornata per il sesso libero rispettato puntualmente per quarant’anni; aveva coltivato un amore clandestino e parallelo per dieci anni; ne aveva fatte di tutti i colori in tutti i buchi ma spacciava ancora per vergine il culo giocando anche a prometterlo e a ritrattarlo; non posso negare che, in compenso, fare l’amore con lei mi ha indotta, non so perché, a sciogliere tute le riserve accumulate contro l’espressione chiara e verbale del piacere sessuale (godevo solo in silenzio totale) e, in qualche modo, mi sono liberata dall’oppressione della memoria di mio padre che mi violentò da ragazzina; ho deciso quindi di cancellare il passato e di godermi il presente a cominciare dall’amore anche fisico di mia madre che mi dà piacere, serenità e sicurezza
Non è d’accordo mio marito, Franco, che a questo punto sente completamente vano e stupido il sacrificio compiuto per venticinque e più anni, ad accettarmi con la mia difficoltà ad esprimere il piacere: per tutto questo tempo, ha dovuto studiare le mi reazioni corporee per arrivare ad intendere un linguaggio non verbale per ‘ascoltare’ le mie reazioni non solo quando facevamo l’amore ma anche quando facevamo sesso sfrenato dopo che, avendo scoperto il piacere della trasgressione, l’avevo convinto a fare l’amore in tutti i modi, rimanendo io e lui i punti centrali di riferimento e facendo ruotare intorno a noi un mondo di sesso che godevamo intensamente, io sempre silenziosamente.
Franco si è violentemente adirato quando ha scoperto che la colpa di mia madre era ben più grave di quanto avessimo pensato, perché la sua assenza non era solo un dovere professionale ma una scelta tesa anche alla soddisfazione sessuale dei suoi conflitti col marito che avevano poi travolto me e la mia ingenuità; ancora di più, si è adirato quando ha scoperto che io volevo dimenticare e lei, accampando il rispetto della mia volontà, voleva continuare a tacere su tutto, avallando l’operato del marito; non lo ha detto, ma lo deve avere turbato che, dopo che per anni aveva provato a farmi uscire dal silenzio, io ho cominciato a parlare del mio godimento subito dopo avere scopato con mia madre: so che si è sentito umiliato, ma non posso farci niente; mamma però ha colmato ogni misura quando gli ha fatto scoprire che non solo aveva un amante fisso da dieci anni ma addirittura il suo culo era stato attraversato da cazzi da almeno un ventennio, mentre lei lo proponeva come vergine per cementare un rapporto a tre che lui aveva sempre sognato, io, lui e lei.
Il punto morto a cui si è arrivato è angosciante: da un lato, c’è Vera, che si atteggia a troia cinica e superiore a tutto e tutti; in pratica, si comporta peggio di Oreste, mio padre, che cerco di ignorare ma che comunque è presente, soprattutto con le ragazzine di cui va a caccia; intanto, continua a tentarmi e ad affascinarmi con le sue profferte di amore saffico che mi ha ‘liberato’ e che mi attira molto ma che, praticato senza la presenza di Franco che era imprescindibile fino a ieri, si configura automaticamente come slealtà, tradimento e comporta perdita di fiducia e fine dell’amore; dall’altra parte, Franco che è diventato improvvisamente categorico: ha sofferto e soffre, ha pagato e sta pagando, rivendica un risarcimento che io e mamma, con il nostro buonismo, neghiamo; poiché non può decidere né prevaricarci, sta male, si è allontanato e minaccia la fine del nostro amore.
Dulcis in fundo, sia Guido che Simona, i nostri figli, hanno deciso di trasferirsi all’estero, lui in Inghilterra lei in Spagna, per la certezza del lavoro e per seguire il loro amore: Franco è straziato, anche se non lo dimostra in nessun modo; io sto morendo dentro, perché sono crollati tutti i pilastri che mi sostenevano: se ci aggiungo che non ho mai lavorato e che, in caso di divorzio, dovrei chiedere l’ospitalità del mio carnefice, mio padre, perché altri riferimenti non esistono, vedo la mia vita sull’orlo di un brutto precipizio; mia madre, per non confessare la sua solitudine, mi ha telefonato per chiedere la ricetta del tiramisu, lei che non mangia dolci e non può mangiarne e che vive in una casa vuota 24 ore al giorno: l’ipocrisia che Franco odia e che Vera adotta come metodo di vita.
La logica di Franco
Nei miei cinquant’anni di vita e nei miei trenta di professione di avvocato, ne ho conosciute di troie; ma, per trovarne una come mia suocera, credo che dovrei girare il mondo, frequentarne qualche milione e trovarmi poi a tornare al punto di partenza per dichiarare che non esiste al mondo una che le stia alla pari,
Cominciò con l’ingenuità fanciullesca di farsi mettere incinta a meno di 20 anni: ma già su questo, a mente fredda, ho qualche dubbio, perché, di fronte ai genitori che suggerivano un qualche ragazzo di buona cultura ed educazione, preferì un rozzo muratore che scopava senza precauzioni, forse per testarda ribellione alla logica altrui, come avrebbe fatto per tutta una vita; poi passò al tradimento sistematico, programmato anno per anno, con la scusa degli esami di Stato: intanto, la bestia che aveva sposato, durante una sua assenza, violentava la figlia procurandole un trauma che le inibiva la capacità di comunicare il piacere sessuale, risultando gelida e asessuata a chi non la conoscesse, ma anche grande dolore a chi ci viveva insieme.
Per reagire con la tigna al marito puttaniere si fece un amante clandestino e se l’è gestito per decine di anni, scopando in tutti i buchi, ma ostentando un inventato timore per l’inculata con la favola metropolitana delle feci non trattenute; e con quell’aura ha continuato a crogiolarsi per anni, fino a rendere la presunta verginità anale oggetto di una sorta di riffa o di un ricatto biologico; poi, si è ripresa la figlia scopandosela e ridandole, per miracolo forse, la facoltà di esprimersi. Da un lato, ha scatenato il mio odio personale e il mio rifiuto ad accettarla; dall’altro, Nicoletta, mia moglie, è stata invece affascinata dal rapporto saffico; lo scontro è arrivato alla punta più alta: per soprannumero, i nostri figli hanno deciso di emigrare ed io non posso impedirglielo, anche se si portano via gran parte della mia vita.
La resa dei conti
Vera non è donna da arrendersi alle prime difficoltà: da quando si è incontrata con Guido, sta cercando ogni spiraglio per entrare in rapporto con Nicoletta: rompere il muro dell’ostilità di Franco è quasi impossibile, per lei; Nicoletta invece può aggirarlo e indurre il marito a darsi da fare per aiutare la suocera ad entrare nel circuito dei privè dove dovrebbe essere facile trovare cazzi freschi per sollazzarsi; il difficile è smuovere Nicoletta in una fase in cui le sue energie sono tutte tese ai figli che partono; per questo, aspetta che la partenza dei due sia un dato di fatto per tornare all’attacco, stavolta bussando direttamente alla porta di Nicoletta quando sa che è in casa mentre il marito è in studio: con determinazione, ma anche con una certa sfacciata improntitudine, si presenta con la faccia contrita a parlare della scelta dei nipoti.
“Ciao, Nico, come va?”
“Come vuoi che vada? Sono giù, sono distrutta; mi sento vuota, mi sento inutile; mi crolla tutto addosso, mio marito, i miei figli, tutto.”
“Non fare così; qui c’è ancora la tua mamma che ti ama e ti aiuterà a superare anche questo momento.”
Con molto garbo e con molto tatto, Vera riesce a fare breccia nelle ansie di sua figlia e la convince che sdraiarsi con lei sul letto le farà solo bene; una volta distese, si ricorda perfettamente del piacere che Nicoletta provava a sentirsi succhiare i capezzoli e attacca direttamente il seno, difeso peraltro solo da una vestaglia e da un reggiseno che immediatamente cedono all’attacco; dopo circa una mezz’ora di leccate, di succhiate, di morsi e di carezze libidinose sul seno, Vera passa a carezzare l’inguine e si impossessa del clitoride che succhia con accanimento; ricordandosi del dildo, apre un cassetto della testiera e lo trova immediatamente; in un attimo, Nicoletta si sente penetrata in figa e in culo, alternativamente, mentre con la bocca sua madre la manda ai matti facendola sborrare in continuazione: il dato significativo è che ogni emozione è sottolineata da Nicoletta con gemiti ed urli che confermano il superamento del suo trauma; di due cose si preoccupa principalmente Vera: una è evitare il 69 per non riproporre a Nicoletta lo spettacolo del suo ano maltrattato che aveva determinato il rifiuto l’ultima volta: in alternativa, suggerisce ed accetta di farsi masturbare senza sfilare lo slip ma solo spostando la striscia sulla figa; l’altra, è tenere buon conto delle abitudini familiari e non farsi sorprendere dal ritorno del marito che non avrebbe visto di buon occhio la ripresa di contatti; sicché, ancora prima di mezzogiorno, si è già rivestita e torna a casa lasciando Nicoletta languida e soddisfatta per la breve ma intensa seduta di sesso.
Ma i rapporti tra i due richiedono ancora che Nicoletta dica tutto a Franco e lei tiene fede al costume; lui borbotta qualcosa per protestare ma alla fine non discute; invece, Vera nel pomeriggio telefona ancora a sua figlia ed accenna ai rapporti extraconiugali che ha avuto in passato e ai locali che ha frequentato in quella logica; Nicoletta ci tiene a precisare che ha sempre fatto le cose solo in compagnia, con la complicità e con l’assistenza di suo marito ‘cosa che a te risulta estranea’ aggiunge senza esitazione; accenna a rapporti vari, dallo scambio alla doppia coppia, dalla gangbang alle orge agli episodi di glory hole e a tutte le altre pratiche possibili in ambienti come i club privati; insiste comunque a ribadire che ha fatto sempre e solo tutto al braccio di Franco, stretta a lui e con la sua complicità totale: Vera, naturalmente, obietta che, una volta avviata, una donna deve anche essere in grado di autogestirsi; la figlia tronca qui il discorso; ma, prima di salutarla, la madre le chiede se se la sente, eventualmente, di convincere Franco a portarle tutte e due in un club privè, per una serata senza pensieri; Nicoletta osserva che, con il risentimento di Franco nei suoi confronti, la vede difficile; ma promette che ci proverà.
Franco non è solo restio: si oppone con tutto se stesso anche all’idea che madre e figlia lo coinvolgano in qualcosa che abbia a che fare col sesso, dopo quello che gli hanno combinato fino al culo sfondato; ma Vera è tenace ed insiste più volte con Nicoletta, sempre più evidentemente succuba della madre e quindi pronta ad insistere a sua volta con Franco che rischia di perdere la pazienza; finché anche lui sembra cedere e promette di aggregare Vera alla prima occasione di visita ad un privé; poi pone un quesito strano.
“Nel caso che nel privé le strade si dividessero, tu a chi ti accompagneresti, a me o a tua madre?”
“Che domande fai? Perché le strade dovrebbero dividersi? Se andiamo insieme, si sta insieme.”
“Senti, anima candida, tu parli di tua madre con tanta fiducia: io parlo di una troia che conosco; come ti ha detto? ‘una volta avviata, una donna deve anche essere in grado di autogestirsi’: cosa credi che significhi? Per me significa: portatemi al privè e lasciatemi fare da me. Vuoi fartelo confermare?”
Telefona per chiedere conferma e vera, naturalmente, dice che per lei è così: massima libertà.
“Allora, Nicoletta, ti ripeto la domanda: massima libertà come lei, con lei oppure massima solidarietà, complicità con me?”
“Tu non puoi impegnarti a starle a fianco?”
“Se lei stesse a fianco a noi, non ci sarebbero problemi; visto che lei si allontanerà, mi chiedi forse di schiavizzarci a lei? Ti rendi conto di quanti pericoli incontrerà tua madre da sola? Non credi che sia proprio questo che cerca, i pericolo, la sfida? Tu forse non sai che è morto Ottavio, che si sente sola e che sfida anche il diavolo. Vuoi ancora che la portiamo al privè? E tu con chi starai?”
“Lascia che ci pensi un poco.”
“Pensaci; io intanto penso se devo ancora dare corda per impiccarsi, a lei ma anche a te, che ancora una volta stai lì a tentennare e alla fine non so se sceglierai il peggio, come sempre.”
“Non riesci proprio a darmi fiducia?”
“Cara amica, io ti do fiducia portandoti al privè; se poi vuoi andartene, non è più semplice fiducia, è incoscienza perché qualcuno al pronto soccorso ce l’abbiamo portato, se ricordi.”
Non servono più chiacchiere; Franco decide di giocare l’ultima carta e se, come teme, andrà male, è già deciso a cancellare tutto il passato e a ricominciare con un’altra donna, che non sia dominata dalla famiglia nel bene e nel male.
Arriva il sabato e vanno, Franco, Nicoletta, Vera ed una coppia di amici, Nicola e Susanna, con i quali hanno già condiviso esperienze di quel genere; all’ingresso, non fanno nessuna difficoltà a Franco, che è azionista e amico dei proprietari e ben noto al personale di servizio che anzi lo colma di attenzioni; entrano nella sala da ballo e Vera trascina Nicoletta sulla pista, dove si muovono sensualmente; due giovani molto aitanti e ben messi immediatamente le accalappiano e si mettono a pomiciare con la scusa del lento; Franco capisce che sta scattando il primo errore e si avvicina; rivolto ai giovani, chiede.
“Quanto?”
“Cento una botta cinquecento la notte.”
Le due guardano stupite; chiedo al ragazzo di spiegare.
“Noi lavoriamo qui e scopiamo a pagamento.”
Vera e Nicoletta si ritraggono quasi spaventate: erano convinte di aver fatto la grande conquista al primo colpo e si trovano ad avere a che fare con dei puttani a pagamento.
Quando tornano al divanetto, Nicola si sta scompisciando dalle risa e prende in giro Nicoletta.
“Con tante esperienze, ancora non sai che ci sono i bull a pagamento? Perché non ti affidi a Franco, come hai fatto sempre?”
“Perché viene un momento che il marito si deve fare da parte e lasciare la moglie libera anche di sbagliare, se necessario.”
E’ stata Vera a rispondere; con lo sguardo Franco chiede a Nicoletta se è d’accordo; Susanna glielo chiede apertamente e lei accenna ad un muto si; lui allora le dice che ha fatto la scelta richiesta; quindi, vada con la madre; lui si ritira dalla vicenda.
“Io vado a casa; voi prendete un taxi e, forse, è meglio che vi fate portare da tua madre; a casa, non ti voglio più.”
“No aspetta; scusa, non volevo dire si, non l’ho detto. Sono venuta con te, sto con te, sono tua, non voglio perderti, non puoi abbandonarmi. Riflettici, per favore: Simona in Spagna, Guido in Inghilterra, se mi lasci, non mi resta che tornare a casa di mio padre. Non mi costringere a questo!”
“Nico, io non ho mai smesso di amarti; non ho mai smesso di pensare che l’influsso dei tuoi su di te è quello che ti ha distrutto parte della vita; ti avevo avvertito che questa scelta sarebbe stata necessaria e ti avevo invitato a non sbagliare: se il giusto è dalla parte di tua madre, vai con lei e affronta l’ignoto; io e Nicola abbiamo accompagnato qualcuna al Pronto Soccorso, vero Nicola … faremo accompagnare anche voi che siete le candidate perfette, per ignoranza, inesperienza e debolezza. Oppure, vieni con noi come abbiamo fatto tante volte e lascia che tua madre sperimenti il privè in solitaria, a suo rischio e pericolo.”
“Ma sei proprio sicuro che è a rischio?”
“Io non ho le certezze di tua madre; so che ci sono molti pericoli, li abbiamo visti, ci siamo caduti, li abbiamo evitati. Lei è superwomen, onnipotente e onnisciente; per conto mio, vada a farsi fottere: e mai espressione fu più felice!”
Rivolgendosi poi a Vera con un fare ancora più sprezzante.
“Senti, gran donna che sa tutto, qui c’è la zona ristorante e quella della discoteca: qui ci sono solo escort, maschi e femmine, ed è tutto a pagamento; se cerchi sesso gratis, devi spostarti al privè vero e proprio, che comincia in quel corridoio.”
E le indica l’ingresso del percorso che porta alle sale interne; rivolto alla coppia di amici, li invita a muoversi autonomamente, perché certamente Nicoletta non vorrà muoversi dalle costole della madre e impedirà a loro due di vivere la serata che avevano pensato; Nicoletta che ha udito conferma e chiede scusa, perché non se la sente di abbandonare del tutto sua madre. I due, a malincuore, si avviano al percorso privè e subito dopo incontrano una coppia conosciuta con la quale si appartano.
Vera intanto si è avviata al percorso e Nicoletta le sta dietro, trascinando anche Franco; lui cerca di farle capire che lo sta obbligando a fare qualcosa che non è nella sua natura, accodarsi ad una persona che non stima e che forse non ragiona; ma lei fa un milione di promesse di dedizione assoluta che si impegna ad assumere se lui le permette di essere vicina a sua madre che secondo lei è un po’ agitata ma non folle; la vedono che entra in una sala con al centro un letto e intorno sedie per ora vuote; Franco scuote la testa perché sa che cosa significa e Nicoletta cerca di richiamare sua madre che non la cura; una decina di maschi sbuca dal nulla ed occupa le sedie; Vera si stende sul letto ed in un attimo si trova tre uomini addosso; dopo cinque minuti ne ha già scopati la metà e si trova in croce a prenderne cinque, in culo, in figa, in bocca e per ciascuna mano; Nicoletta ha gli occhi sbarrati, è spaventata a morte e non urla perché il terrore l’ha bloccata.
“Franco, cerca di fare qualcosa; per favore, liberala da quella situazione. Non puoi proprio fare niente?”
“Nico, dovrei avere almeno un coltello o una pistola da spianare contro dieci selvaggi scatenati perché vedono una figa, neanche tanto fresca: significa che ucciderebbero per scopare; se vuoi, posso fare ancora una sola previsione, poi mi sono rotto e vado via. Se entriamo e cerchiamo di portarla via, tua madre si ribella a noi: scommetti?”
“Proviamoci, per pietà!”
Entriamo nella sala e devo allontanare con la forza e le minacce chi cerca di buttarsi addosso a mia moglie; quando raggiungiamo Vera e la invitiamo a venir via, ci scaccia rabbiosa.
“Che cazzo volete? Mi sto spassando alla grande! Andate a fare in culo, se vi fa piacere; io lo faccio qui. Non sai che ti perdi, figlia mia!”
Nicoletta singhiozza mentre cerco di sottrarla all’assalto dei maschi che la vorrebbero aggredire; mi rivolgo ad uno della sorveglianza e l’avverto che la signora, sola, è in balia di scalmanati; preme il pulsante rosso e intervengono dei buttafuori per alleggerire il peso su Vera che continua a gridare stupidamente e gioiosamente; ad un tratto vedo Oreste nel gruppo che fa ressa all’ingresso.
“Adesso se la scopa anche tuo padre, finalmente!”
Nicoletta dapprima non capisce, poi individua l’uomo e si porta le mani alla fronte.
“Mio Dio, adesso l’ammazza, se la vede. Dobbiamo fare qualcosa!”
“Cosa suggerisci? Vai là e gli proponi ‘papà, scopami ancora’? o prendi la pistola e lo costringi ad uscire dal locale? L’unica cosa che non dovevamo fare l’abbiamo fatta, portare una ninfomane al privè.”
“Mamma non è un ninfomane?”
“Quando vedremo i filmini mi dirai se è una persona normale o un ninfomane.”
“Che filmini?”
“Quelli che la proprietà realizza per gli utenti o per le questioni legali.”
“E adesso che possiamo fare?”
“Nico, mi hai rotto i coglioni; ero uscito per una serata di divertimento; sono due ore che mi chiedi cosa possiamo fare: per chi? Perché? Che c’entriamo noi con la figa sbiellata, il culo spanato, la bocca straziata, le tette umiliate di quella stronza di tua madre che, per affermare la sua libertà, da cinquant’anni fa la puttana: ricordi che andava a fare gli esami di stato per esercitare il suo diritto alla libertà di sesso? Ecco, è ancora la stessa stronza e, se ci fosse una vergine in attesa, farebbe la stessa fine tua.”
“E’ vero; ma è ancora mia madre: se vuoi rifiutarmi per mia madre, fai pure; io anche davanti a quella pattumiera ricoperta di sborra ti dico che è mia madre e che devo prendermi cura di lei soprattutto quando è così fragile ed esposta. Ho sbagliato ad accettare di portarla e sono stata una stronza perché ti ho convinto a farlo. Adesso, o sopporti o mi lasci e te ne vai. Io resto.”
“Limpido, chiaro, lucido. Con la stessa lucidità ti avverto che è l’ultima che mi hai fatto; Per ora, sto qui e ti sono vicino; alla prossima, divorzio per direttissima.”
La situazione è leggermente migliorata e l’intervento della sicurezza ha liberato Vera dall’aggressione; ma è conciata male, sanguina dalla figa e dal culo; si lamenta del dolore e ride dalla gioia; portano una barella e la caricano sull’ambulanza che è stata chiamata; in un silenzio tombale, Franco si avvia con Nicoletta alla macchina; avvertono in reception che chiamino, quando sarà necessario, un taxi per la coppia che era con loro e che addebitino il costo a lui; montano in macchina e si accodano all’ambulanza.
Dopo un’oretta, Vera viene dimessa perché le ferite non sono gravi; con aria snob entra in macchina; Franco guida in silenzio fino alla casa di Vera; qui giunti, le donne scendono; quando lo sportello è chiuso, Nicoletta avverte che si ferma dalla madre per curarla.
“Questa è la tua firma sulla domanda di divorzio. Ci vedremo in tribunale.”
Mentre torna a casa, Franco telefona ad Elvira che da anni aspetta che lui si decida a divorziare per entrare a pieno diritto nella sua vita.
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Incesti