La cerimonia del saluto è il momento più penoso del pensionamento: la consegna della medaglia (o dell’orologio o di qualunque altra testimonianza) accompagnata dalle frasi di circostanza e dalla professioni di amicizia e di stima dei colleghi (alcune anche molto sincere e sentite, in verità) sono un apparato scenico per una realtà ineluttabile, la fine di una fase importante della vita di una persona; si pensa che il pensionamento sia l’anticipo della morte per molti, che non reggono a lungo senza il supporto delle abitudini quotidiane che il lavoro impone; e si ritiene anche che per le donne sia più agevole inventarsi una nuova dimensione in cui collocarsi per non sentirsi completamente inutili ed emarginati.
Io so che la cerimonia di commiato dalla scuola mi pesa, molto più di quanto gli altri possano capire; ma non è per il distacco dai colleghi o per la proclamata solidarietà della direzione, che mi prende il magone; piuttosto per quella sparuta pattuglia di studenti, specialmente quelli più grandi, che aspettano davanti all’ingresso per testimoniare il loro dispiacere perché perdono una guida ed una compagna di viaggio: per quelli, piuttosto, il rammarico è forte; ma appartengono anche loro ad una realtà da cui mi devo staccare per muovermi in una nuova dimensione; gli abbracci, i baci, le lacrime, sono sinceri: domani mattina, con chi mi sostituirà, saranno presto solidali e concordi come lo sono stati con me; è solo legge di vita.
Alquanto diversa è l’atmosfera familiare, dove si intrecciano opinioni e prospettive varie e non ben definite, vista anche l’ampiezza del “clan” che la mia frenesia di vita ha generato: due figli ormai più che adulti, sposati ed ognuno con due figli più che maggiorenni costituiscono, con me ed Oreste, mio marito, un gruppo di dieci persone che riempie un bel tavolo, alla gelateria dove andiamo per festeggiare la fine di un capitolo di vita o, si spera, l’inizio di un altro non meno importante, visto che ora “la nonna” potrà forse essere più a disposizione della famiglia: quindi l’atmosfera è allegra, quasi di festa, ricca di effusioni, carezze e belle frasi.
L’unico immusonito è mio marito; ma al suo umore impossibile io sono avvezza da anni, i miei figli lo hanno accettato e lo sopportano; i ragazzi non ci fanno caso; quando Nicoletta, mia figlia, mi chiede con sguardi e gesti che succede a suo padre, le dico apertamente (sono famosa per la mia brutalità nel dire le verità) che lo spaventa l’idea di avermi tutti i giorni per casa e di non avere più lo spazio di movimento che prima si inventava; Franco, suo marito, chiede a cosa mi riferisco e, prima che possa rispondere, entrano nella gelateria due ragazzi, miei ex studenti, che conosco benissimo; Marco mi apostrofa con l’affetto di sempre.
“Ciao, profia; allora ci lascia per sempre?”
“Visto che vi siete diplomati, mi avreste lasciato comunque. Marco, questa è tutta la mia famiglia: non te li presento uno a uno ma capirai. Ragazzi, questo è Marco, uno degli studenti del mio ultimo anno; non fate caso alle borse sotto i suoi bellissimi occhi: sicuramente di una buona fetta sono colpa i miei attributi che Marco sogna anche quando mi sta davanti e che gli stimolano lunghe sedute di autoerotismo: adesso ce lo possiamo dire, vero Marco?”
“Non ho mai nascosto che sono innamoratissimo della mia profia e credo che il novanta per cento di quelli che l’hanno avuta come insegnante hanno fatto pensieri perversi su di lei.
“Lo so, anche se non capisco come si faccia a desiderare una vecchia cadente, con le ragazze che vi saltano addosso.”
A sorpresa, interviene Guido, il mio nipote più grande, figlio di Nicoletta.
“Senti, nonna; se mi ponessero davanti alla scelta tra te, una, diciamo, come mamma e una, diciamo, come mia cugina, stai certa che sceglierei sempre te, in ogni senso.”
“Davvero?! E perché mai? Questa risposta richiede motivazione, se è sensata ed intelligente.”
E’ Marco a intervenire.
“Con una ventenne, basta un gelato, qualche disco e un po’ di sesso; con una milf basta solo tanto sesso; con una donna meravigliosa bisogna prevedere almeno una cena con tanta letteratura, tanta politica, tanta filosofia; poi se, alla fine, viene anche il sesso, la mia profia non è seconda a nessuna bella ragazza; e la sua esperienza mi garantisce il paradiso delle uri di Allah.”
Concordano i miei nipoti e perfino mio genero; inevitabilmente sorge la domanda cosa ne pensi il nonno.
“Lui ha un interesse diverso, verso le più giovani, come Marika per esempio. Bella la tua borsa: è il suo ultimo regalo?”
Marika ha un sobbalzo; gli altri mi guardano quasi spaventati; Nicoletta balbetta qualcosa.
“Che vi state a meravigliare? Sono anni che il nonno corre dietro alle minigonne e spende un patrimonio in regali; io sono convinto che Marika e le altre solo per questo lo frequentano e gli danno l’illusione di essere giovane, per i regali che elargisce generosamente. O credevi che non sapessi niente? Ti ho voluto bene e ti voglio bene al di là di queste piccole bassezze: sei in gamba e saprai farti valere, appena rinsavirai; e lui continuerà a rincorrere ragazzine; Oreste, non ti preoccupare per la mia presenza in casa, resterai libero di fare quel che hai sempre fatto.”
C’è stupore e disagio in tutta la famiglia; Marco invece è quasi incavolato.
“Profia, visto che come al solito non le mandi a dire, mi spieghi perché con questa situazione in tanti anni di carriera non hai mai ceduto a nessuno spasimante e intendo in termine letterale, giovani che hanno spasimato e spasimano per te?”
“Se mi fossi illusa di poter ringiovanire frequentandoti fuori della scuola, stai certo che non avrei chiesto nessun permesso: ma la tua passione, come quella di tanti prima di te, non corrispondeva ad una mia pari esigenza; preferisco le buone letture.”
“Nonna, ma tu non hai mai piantato un cornetto al nonno? Almeno sareste un po’ più equilibrati e non la santa e la bestia!”
“Quaranta volte, caro Guido. Per quarant’anni ho vissuto 364 giorni all’anno in attesa di quello in cui avrei tradito, in piena coscienza, mio marito in una notte d’amore lontano da qui, alla fine degli esami di Stato, con un collega che mi intrigasse o con qualcuno conosciuto nella città sede degli esami.”
Nicoletta pare molto incuriosita.
“Mamma, cos’è questa storia del calcolo da salumiere: un giorno su 365?”
“Mi offendi, col calcolo da salumiere; pensa invece alla giornata della libertà, alla giornata della donna, alla notte dell’autocoscienza sessuale: ti sembra ridicolo?”
“No, mi risulta solo contorto.”
“Mi costringi a farti la storia della mia vita e delle mie emozioni. Se proprio lo vuoi, a casa ti racconto. Adesso andiamo:”
Salutiamo i ragazzi, usciamo e ci dirigiamo a casa, dove pranziamo in grande tavolata; poi ci sediamo in salotto e mi chiedono di narrare.
Invito mia figlia a riflettere che tra me e suo fratello corrono solo venti anni di differenza, dal che si deduce che avevo vent’anni quando è nato; ma la mia precocità era cominciata prima, quando la mia famiglia mi aveva “condannato” ad essere la migliore, la più decisa, la più brava: la conseguenza era stata che tra la primina (che mi mandava a scuola con un anno di anticipo) il salto di una classe (al tempo era possibile, in presenza di particolari doti) e uno studio “matto e disperatissimo” (per dirla con Leopardi) mi trovai con la maturità classica a diciassette anni; scelsi la facoltà di Lettere, al tempo, la più leggera e veloce, e mi laureai a meno di ventidue anni; la laurea venne in un momento particolarmente felice, nel pieno di una riforma della scuola che immetteva nei ruoli rapidissimamente: a ventitré anni cominciai ad insegnare e, nei primi licei dove ebbi la cattedra, alcuni alunni dell’ultimo anno erano di poco più giovani di me
Purtroppo, prima ancora di essermi laureata, mi ero dovuta sposare perché il mio grande amore, poi mio marito, non accettava di usare né cautele né protezioni, nei rapporti; era andato alla cieca e mi ero trovata incinta di mio figlio: Oreste aveva al tempo una piccola impresa che avrebbe fatto diventare un impero; non era ben visto dai miei che avevano sperato in un marito più colto, più “borghese”, un direttore di banca per lo meno, se non un giornalista o un professore; ma, al tempo, il nostro era un amore veramente grande, che non ammetteva ostacoli o giudizi: era fatto solo di sesso e di vita in due; infatti, subito dopo venne Nicoletta, ma già le cose non andavano più tanto lisce, tra noi; Oreste si era allontanato, si era distratto e mi lasciava totalmente insoddisfatta sessualmente, dopo avermi per alcuni anni abituata ad un amore indefesso.
Non c’erano possibilità di evasione: i colleghi o le colleghe, che avevano avuto storie con altri colleghi o, peggio ancora, con studenti o studentesse, erano all’indice della città; una qualsiasi relazione extraconiugale in un ambiente così piccolo (materialmente) e piccino (culturalmente) era improponibile; altre vie non esistevano: a venticinque anni, l’anno della rivolta, ero costretta a sacrificare la mia esuberanza in “una botta e via” del sabato sera, senza che Oreste si preoccupasse del mio orgasmo sicché dovevo rifugiarmi nella masturbazione in bagno perché il mio “uomo” aveva altri sbocchi; a costo di diventare volgare, mi tocca ricordarle che negli anni successivi ci avevano spiati tante volte, lei e suo fratello, che non potevano avere ignorato queste cose, quando avevano cominciato a fare sesso; i nipoti sorridono, all’idea della nonna che si masturbava; i miei figli si guardano negli occhi, complici, e annuiscono a conferma di quel che dicevo: d’altronde, fanno notare ai figli che sbeffeggiano, anche loro sono stati spiati largamente nella loro intimità.
In quel mio venticinquesimo anno, feci la guerra per andare commissaria negli esami di Stato a Ravenna, lasciando a casa i figli di cinque e tre anni, tra le proteste e le minacce di Oreste che non intendeva passare un mese a fare la balia ai figli piccoli; me ne fregai ed andai, quasi solo per il gusto tutto intellettuale di visitare una città che per me aveva un fascino eccezionale, tra la tomba di Dante, il mausoleo di Teodorico, Galla Placidia, San Vitale, Classe e tutto l’enorme patrimonio culturale di questa grande capitale dell’Italia bizantina, cose che Oreste ignorava allegramente: la speranza di trovare, tra una prova e l’altra di esame, il tempo per fare del buon turismo culturale era l’unica molla che mi muoveva e che negli anni successivi mi mosse a partecipare agli esami di Stato in quasi tutte le maggiori città d’Italia.
Invece incontrai anche l’occasione per un autentico scossone alla mia vita che provocò un professorino di filosofia, a sua volta arrivato dal profondo sud, Napoli, con un carico per me assolutamente imprevedibile di calore, di simpatia, di entusiasmo: ci incontrammo in albergo dove lui, da una mia domanda alla reception, dove si trovasse il Liceo a cui ero diretta, intuì che ero lì per la sua stessa ragione, gli esami, e su questa base fraternizzò in un attimo: cenammo insieme e ci perdemmo in una lunga disquisizione condita con qualche bicchiere di Sangiovese (io, non abituata al vino, ne bevvi due); al momento di andare a letto, eravamo a un passo dal finire l’uno nelle braccia dell’altro, quando un rigurgito di coscienza (tutti e due sposati con figli, nonostante la giovane età) fermò sia me che lui e ci fece fare un passo indietro, ma non ci impedì di amoreggiare per tutta la durata degli esami, caricandoci di una voglia smodata di fare l’amore almeno una volta.
Ci furono momenti di autentica follia, quando ci si incrociava in un corridoio e le mani correvano istintivamente a toccarci, quando passeggiavamo per la città da turisti curiosi e le mani si stringevano come ai ragazzini alle prime armi: la voglia di palparsi, di prendersi, di scatenarsi nel sesso era enorme, quasi irrefrenabile; ma frenavamo ogni volta, con la voce della coscienza che ce lo imponeva: tutto fino all’ultima sera, la vigilia della partenza in direzione opposta, io al nord, lui al sud; la certezza che non c’era più tempo mi rese febbrile: passai il pomeriggio a preparare la valigia e a torcermi le mani dal desiderio; non avevo neppure voglia di infilarmele fra le cosce e masturbarmi, volevo sentirmi possedere da quel cazzo che avevo intuito una sola volta, quando eravamo andati a ballare ed avevamo alquanto pomiciato, sotto gli occhi severi della commissione, manifestando chiara tutta la nostra voglia d’amore e di sesso.
Andai a bussare alla porta della sua camera e, prima che potesse parlare, lo avevo già investito col bacio più bello che avessi mai dato; non si sorprese, chiuse la porta alle mie spalle e corrispose con la stessa irruenza; non avevo molta esperienza di sesso e mio marito non era mai andato al di là di canoniche iniziative; sapevo a malapena fare una sega, avevo fatto qualche pompino ma sostanzialmente sapevo solo starmene stesa e arrendevole a prendermi il cazzo in figa obbligatoriamente alla missionaria: non sapevo come trarre gioia e piacere dal sesso; quando mi aprì la camicetta e prese a leccarmi le tette, scoprii il piacere di sentirmi assaporata, mangiata, leccata, succhiata, gustata da un maschio e già sulla sua manipolazione del seno credo che sborrai un paio di volte: dopo quarantacinque anni, non è facile ricordare molto, se non le cose che più si sono impresse nella memoria; ma è certo che scoprii tutto il mondo di seduzione della bocca e della lingua, perché subito dopo mi leccò e mi succhiò anche la figa: non so dire la vergogna per quel tipo di approccio per me antigienico, non essendo neanche certa di essermi lavata di recente; ma mi stordì il piacere che mi scatenò quella lingua che lambiva, leccava, succhiava, andava a cercare il clitoride che mi faceva quasi scoprire di nuovo e mi entrava fino alla vagina scatenandomi brividi, scosse, un raptus di sessualità e un lungo orgasmo.
Non riuscivo nemmeno a muovermi, tanto stordente era l’entusiasmo che quel modo di vivere il sesso mi procurava; lui dovette capire che ero praticamente una vergine, da quel punto di vista, e fu delicatissimo: mi prese e fece sesso con una delicatezza da grande amore; mi scopò a lungo, di brutto e con un cazzo che era più grosso di quello di Oreste; ma lo fece con tanta partecipazione entusiastica che sentii solo l’amore che davo a lui e l’amore che ricevevo da lui nel ventre, nella testa, nel cuore; quella notte fui innamorata di Gennaro come non ero stata innamorata mai e come non sarei stata mai più: da quella esperienza conobbi moltissime cose, come per esempio vivere il sesso con la bocca, sia in funzione passiva che attiva perché dopo essere stata leccata e succhiata fin nel buco del culo, feci il mio primo grande pompino puro e quello con il cazzo fra le tette e la cappella in bocca che mi fece impazzire per il piacere; accennò a violarmi il culo e dovetti fermarlo perché temevo per le conseguenze; insomma fu la più bella esperienza di sesso che mi sia mai capitata; tornai a casa con mille tormentosi interrogativi; poi decisi che mi ero presa una vacanza e che dovevo solo nascondere il ricordo e non farlo emergere.
Ma l’anno seguente, al momento di presentare le domande per la nomina a commissario, l’esperienza di Ravenna fu il faro guida delle scelte; e per più di quarant’anni ogni volta, a marzo, sognavo quella notte di liberazione, sperando di incontrare la persona giusta per riviverla: molte volte fu all’interno della stessa commissione che si crearono le condizioni per vivere la mia “notte brava” prima della partenza, sempre con molto entusiasmo, ogni volta con maggiore esperienza, qualche volta con un sentimento vago di amore che mi portava al magone per almeno un mese, dopo che tornavo a casa; molto spesso la composizione della commissione mi costringeva a cercare rapporti con altri professori in altre commissioni; in qualche caso, legai anche con gente del posto per una sola notte d’amore: insomma, istituzionalizzai la mia personale notte di sesso libero e quella doveva poi bastarmi per tutto l’anno; ebbi anche qualche brutta sorpresa quando mi trovai ad avere a che fare con soggetti troppo rapidi nell’eiaculazione: addirittura, in un caso, fui costretta a cacciarlo dalla camera e a rimediare, visto il livello raggiunta dalla lussuria, con un cameriere, che si dimostrò un’autentica rivelazione.
In sintesi, questa è la mia vicenda amorosa; e so bene, senza i loro commenti, che sono ben tristi due solitudini diverse accomunate solo dalla rabbia e dal dolore; alla mia veneranda età, posso solo consolarmi con la bella famiglia che due imbecilli non comunicanti hanno potuto realizzare, quasi inconsciamente, lasciando, per buona sorte, ai figli la libertà di scegliersi la loro vita e forse, ma non so, anche i loro errori; mentre finivo il racconto, Guido scatta via in direzione del bagno tenendosi il basso ventre; Nicoletta sorride sorniona e commenta al marito.
“Tuo figlio, alla sua età, va a spararsi un’immancabile sega.”
“Ci credo; quel giovanotto che dichiara alla sua nonna di amarla e di volerla scopare: in sintesi è questo che ha detto quel tuo alunno; la nonna che gli racconta le sue scopate bellissime, davvero molto belle: io stesso adesso andrei a farmi una sega, oppure ti scoperei all’istante o salterei addosso a mia suocera e la violenterei.”
“Per favore, non dire eresie! Posso capire che un ragazzo si ecciti e si debba masturbare; ma che poni un’alternativa tra scopare tua moglie o fare incesto con tua suocera, mi pare davvero il colmo. Vado a fare il caffè.”
Mentre brigo alla macchinetta, mia figlia mi viene dietro e mi abbraccia; suo marito si mette al mio fianco e mi accarezza un seno; lo guardo brutto; Nicoletta mi prende una mano e la guida sul cazzo del marito: la guardo inorridita.
“Mamma, noi viviamo una vita sessuale molto diversa; non esitiamo a fare l’amore in tre, in quattro, comunque e dovunque; Franco non scherza, quando dice che ti scoperebbe; io che lo conosco sarei felice che ti potesse rallegrare la vita almeno il tempo di una scopata. Non ti scandalizzare: mi piacerebbe vederti fare l’amore con lui.”
“Senti, ragazza, anche se ormai non sei più tanto ragazza: non sono così all’oscuro che devi venire adesso a confessarmi le vostre perversioni; so quello che basta; se me le confidavi molti anni fa, era assai meglio. Io non sono ancora approdata a questi lidi e mi muovo lungo altre direttrici; Franco mi piace e scopare con lui non mi darebbe problemi, … se provassi amore per lui, non solo affetto. Io amo te, da sempre; ti assicuro che il mio amore è già dilagato nel sesso: io potrei visitare il paradiso di Allah, di cui parlava Marco, se facessi l’amore con te, non con tuo marito; se c’è anche lui, faccia tutto quello che gli piace, lo ricambierò con molto affetto; ma solo se l’amore lo faccio a te e tu lo fai a me, a lungo, in tutti i modi che conosci. Vi è chiaro? Per tua informazione e per non scandalizzare gli altri, il maschietto che quando ho voglia mi scopa e che talvolta mi provoca per qualche avventura al limite, ce l’ho da molti anni, ma nessuno se ne è mai accorto perché siamo molto cauti. Se volete fare l’amore a tre o, se in prospettiva si profilasse di farlo, a quattro, io sono perfettamente d’accordo; ma voglio te, ti amo e voglio possederti anche fisicamente.”
Nicoletta mi abbraccia e non sono le mani di mia figlia quelle che mi stringono le natiche, mi palpano i seni e si infilano fra le cosce, sopra i vestiti: sono quelle di un’amante che adesso non ha più tempo da perdere ed ha invece voglia di sentirmi viva sulla sua pelle; il caffè esce sbuffando, mi aiutano a versarlo nelle tazze e a portarlo nel salone; vedo Guido che è uscito dal bagno più rilassato; me lo stringo tra le braccia, gli affondo il viso nel mio seno e sento che mi punta un cazzo giovane tra le cosce; sua madre ci guarda con amore, poi mi avverte.
“Guido ha bisogno dell’amore di sua nonna; ma di tanto, tanto amore; non mi meraviglierebbe se ci provasse ... “
Lui risponde con una boccaccia e mi bacia con la lingua.
Vanno via tutti, nel pomeriggio; rimasta sola, vado in camera, mi spoglio, indosso una vestaglia larga e consunta che uso in casa e mi stendo sul letto, presa un po’ dai ricordi che mi hanno suscitato; avverto dei rumori in corridoio e un poco mi agito, quando mi appare, nel riquadro della porta, mio nipote Guido con un’aria da impunito e un sorriso sornione.
“Finalmente siamo soli: sono andati via tutti?”
“Che diavolo ci fai tu qui? Non sei andato via coi tuoi?”
“Lasciarti sola?!?!?! Non me lo sarei perdonato mai. E poi … sai, è la prima volta che ti vedo così libera, discinta, disinvolta … ti amo ancora di più, così familiare, intima, ancora più desiderabile!”
Si sta spogliando ed io mi limito a guardarlo impietrita, ma anche un tantino eccitata, per quanto può farlo una donna di quasi settant’anni, di fronte al suo corpo giovane, modellato dallo sport, abbastanza arrogante per la coscienza di essere piacente e amabile, soprattutto di fronte al cazzo che si distingue perfettamente sotto il boxer che lo lascia libero di espandersi nella sua notevole dimensione.
“Cosa credi di fare, ragazzino?”
“Voglio fare l’amore con te, nonnina; voglio farti tanto amore da cancellare anche i ricordi più belli. Ormai ho quasi venticinque anni e ti assicuro che non mi mancano le donne e le occasioni per scopare; ma da quasi dieci anni il mio sogno sessuale è solo uno, tu; finora sono stato zitto, in disparte, a spararmi seghe sognando di fare l’amore con te: non puoi immaginare quanta sborra ho versato sul mio sogno d’amore. Non ho paura dell’incesto: mamma mi ha già fatto superare questa fobia, ed anche zia; lo sai già che sono coppie aperte, che hanno fatto di tutto e che tua figlia e tua nuora sono state perfette navi scuola per noi ragazzi. Ma io continuo a sognare te in tutte le condizioni. Ora io vengo a letto con te, non farò niente che tu non voglia o che non accetti; ma spero proprio, e ne sono convinto, che non ti tirerai indietro quando cercherò di amarti come nipote ma anche e principalmente come uomo.”
Si viene a distendere al mio fianco e mi abbraccia di lato facendomi sentire sulla coscia la sua erezione, la sua voglia di me: mi sento sconvolta e cerco gli appigli più vari per farlo desistere.
“Ma ti rendi conto che ho quasi mezzo secolo più di te? Non capisci che sono tua nonna e che non è umanamente accettabile quello che tu proponi? E poi da un momento all’altro potrebbe arrivare tuo nonno: come gli spiegheresti che sei qui, seminudo, e mi tenti con la tua voglia di sesso?”
“Io mi rendo conto che sei ancora meravigliosamente appetitosa, che sei assai meglio di tante ragazzine e di tante milf che mi implorano di scoparle e non capiscono che io cerco amore, non sesso, cerco quell’amore che tu, con un solo gesto, quando mi hai stretto la testa fra i tuoi seni, mi hai pienamente comunicato. Tuo marito? L’ho visto andare via in macchina con la ragazzina di stamattina: non avrà nessuna voglia di tornare a casa e non si preoccupa per niente di te, di me e di quello che adesso faremo, perché lo faremo, amore mio!”
Le mie difese diventano ancora più labili e formali; allungo una mano e gli carezzo il viso che amo, da nipote affettuoso ma forse anche, in questo momento, da uomo che mi intriga, mi affascina, mi stimola un desiderio, anche solo mentale, di riprendermelo dentro di me, come cosa mia solo temporaneamente separata: non riesco più a ragionare e non lo voglio; passo dal viso al torace; prendo fra le dita un capezzolo e la mia difesa crolla, quando quel capezzolo si eccita e mi trasmette eccitazione; mi giro su un fianco, verso di lui, e vedo con gioia la sua bocca accostarsi alla mia e baciarmi con una passione che non mi aspettavo: gli infilo la lingua in bocca e comincio a stuzzicare la sua libidine con un bacio intenso, lussurioso; la mia mano è già corsa al suo inguine ed ho scoperto la goduria di stringere in mano, ancora dentro al boxer, il suo membro vigoroso, seguendone il profilo e disegnandolo una lunghezza che va oltre la mia memoria di un cazzo ed una grossezza che mi fa temere per l’incolumità anche di una figa provata come la mia; devo avere tradito la mia sorpresa perché mi sussurra.
“Non ti farò male; col mio amore sarò delicatissimo e so che mi accoglierai con tanto amore. Anzi, sappi che il mio papà è altrettanto dotato, forse di più, visto che ho sentito che certamente farai l’amore con lui e con mamma; lei addirittura è più straordinaria di te, a letto; solo che è tanto silenziosa che a volte dà l’impressione di non provare piacere, ma non è vero.”
E’ un’informazione che mi genera qualche sospetto, quella che mia figlia viva il sesso con entusiasmo ma non lo dimostri a voce: per quello che ne so, solo un trauma antico può spiegare questo comportamento; mi riservo di parlarne con lei; ma intanto mi gusto appieno il piacere che questo ragazzo mi comincia a dare sul serio; apro la vestaglia per denudarmi almeno davanti, prendo lui per i fianchi e me lo porto addosso, gli abbasso il boxer e faccio esplodere intero il suo cazzo che stringo in mano e porto tra le mie cosce, a contatto con la figa: mi allargo con le mani le grandi labbra e sistemo il cazzo in maniera che il pube mi strusci sul monte di venere ed ecciti il clitoride, l’asta mi scivoli fra le grandi labbra eccitandole e la punta si perda all’altezza dell’ano.
Si muove con delicatezza e quasi sembra non preoccuparsi del membro che mi stimola l’apparato genitale tutto: la sua meta ora sono la mia bocca, che divora come un cannibale strappandomi tutto il piacere possibile, e, subito dopo, i capezzoli a cui si attacca, alternativamente, con la voglia di un poppante, succhiandoli come se davvero sperasse di ricavarne l’alimento che ha sostentato sua madre tantissimi anni prima; la sua manipolazione ha l’effetto di scatenarmi un terremoto nel ventre, nella pancia, nel cuore e, contrariamente alle mie capacità attuali, comincio a bagnarmi e a spruzzare umori vaginali mentre mi succhia; io mi limito a carezzare e stringere le sue natiche forti, a carezzarle dappertutto e ad insinuarmi tra le due fino a passare delicatamente un dito sull’ano grinzoso che, come prevedevo, palpita e si muove quasi ad invitarmi alla penetrazione; timidamente spingo un dito fino a farlo entrare per qualche millimetro, ma lui si protende contro la mano e quasi chiede di essere violato; sono costretta a fermarlo.
“Se pensi di penetrarmi, aspetta che prenda un lubrificante: alla mia età le pareti non sono così umide.”
“Puoi anche farne a meno perché non entro se prima non ho lubrificato tutto con la lingua; ma per precauzione prendilo pure.”
“Non provare a violarmi il culo perché ti uccido.”
“Ho sentito che hai paure stupide sul tema; non voglio forzarti, ma ti perdi molto piacere se non superi quella sciocca prevenzione.”
“Ne sei certo?”
“Sarò anche presuntuoso, ma sono convinto che, quando deciderai di farti rompere il culo, lo verrai a chiedere a me: nessuno ti potrà amare come ti amo io e sarà l’amore a guidare il nostro incontro!”
E’ decisamente supponente, come un po’ tutti in famiglia; ma è certo che sa mettere tanto amore nella copula; ed io lo sento dai primi approcci, e ne godo: quando le sue mani scivolano sulla mia pancia, io per prima ho la sensazione di godere della tensione che lo anima, che mi porta a “sentire” la lussuria del mio ventre che arriva fino al’utero e mi sollecita piacere ed umori che scivolano verso la figa; lo avverte anche lui e le sue dita scendono a cercare l’apertura della fessura, sotto il cespuglio di peli che, per un vezzo, lascio crescere quando mi depilo la figa; le dita scendono poi ad artigliare il clitoride e, quando lo sente rizzarsi come un piccolo cazzo, lo afferra e lo masturba mandandomi il cervello in tilt per il piacere; ho voglia di lingua dentro la vulva e di labbra intorno al clitoride: glielo dico, apertamente; immediatamente si abbassa tra le mie cosce, mi apre voluttuosamente, si fionda con la testa sull’inguine e comincia succhiarmi tutta, fino al’imbocco della vagina; urlo disperata di goduria e gli impongo di riempirmi immediatamente la figa col suo membro meraviglioso.
Si inginocchia fra le mie cosce, mi fa piegare le ginocchia verso l’alto, accosta la cappella alla vulva e comincia a penetrarmi con esasperante lentezza, mi impone di masturbarmi mentre entra e lo faccio scoprendo all’improvviso un piacere assolutamente inedito che mi scoppia dall’utero al cervello e mi fa vedere tutto rosso; per un attimo temo di svenire o che il cuore mi scoppi, ma non gli chiedo di fermarmi; anzi, voglio che mi possegga fino in fondo: sento l’asta che mi invade con dolore la figa e mi riempie fino all’utero, fino a che la punta colpisce con forza la cervice e mi strappa un urlo disumano che lo preoccupa.
“Vuoi che smetta?”
“Non ti azzardare! Picchia sodo, riempimi, fammi sentire quanto mi possiedi, fami godere, fammi urlare ancora, tanto, tanto, all’infinito. Che tu sia maledetto, mi fai venir voglia di farmi sventrare da te. Ti amo, godo, veeengoooooo!”
Si ferma dentro di me, mi spinge le gambe in basso, me le fa stringere e, restando fermo a riempirmi il ventre col membro durissimo, senza neppure pensare di sborrare ma solo ascoltando il piacere che dalla figa si dirama a tutto il corpo e lo contagia; viviamo così, per qualche eterno minuto, la gioia di sentirci compenetrati, mentre le mani continuano a percorrermi il corpo e ad esplorarlo scoprendo e facendomi scoprire piaceri nuovi, intensi, non abituali.
“Ragazzo, sei una tempesta; mi stai sconvolgendo tutto, corpo, anima, certezze e convinzioni; stai scavando in me tutto l’amore che posso dare; ma tu mi stai dando tutto l’amore che puoi? Perché non mi hai ancora inondato col tuo seme?”
“Non ti va di sentire se è buono? Io ho tanta voglia di sentirtelo ingoiare per farti assaporare me stesso come io assaporo te dalla tua figa meravigliosa.”
Lo sollevo per le ascelle e intuisce che ho voglia di succhiarlo fino a spomparlo; sfila il cazzo dalla figa (ed io mi sento all’improvviso vuotare), scivola col corpo su di me e si viene a sedere sul mio seno, col cazzo appoggiato al mento; sollevo il cuscino dietro la mia testa, apro la bocca e lo lascio entrare dolcemente, mentre con la lingua accarezzo la cappella che mi sembra enorme; comincio a leccare quell’organo meraviglioso, prima sulla cappella poi lungo l’asta fino ad arrivare ai coglioni; poi li prendo in bocca, uno per volta, e li succhio amorevolmente; vibra, si agita come per scosse elettriche e, ad un certo punto, mi spinge la mazza nella bocca, solo per una piccola parte, finché la lingua lo consente; appoggio meglio la testa, spalanco le mascelle, spingo in avanti premendo sulle natiche e mi faccio chiavare in bocca; intuisce che voglio essere violentata così e spinge il cazzo che attraversa tutta la cavità, supera le tonsille e mi blocca l’esofago: devo fermarlo, perché mi vien da vomitare, si ritrae e ricomincia a scopare la gola; devo fermarlo ancora per non soffocare; poi la mia gola si adatta, lo assorbe e lo spingo dalle natiche perché mi scopi definitivamente in bocca.
Pompa decisamente, incurante ora delle mie reazioni, e si muove sull’onda del suo piacere che trasmette a me dal cazzo che si gonfia; assume mille smorfie dettate dalla goduria, dai brividi e dalle scosse elettriche in tutto il corpo; inarca la schiena, il cazzo si fa più rigido e preme con più forza nella gola, poi esplode con un grugnito animalesco; io esplodo con lui, con un verso disumano che nasce dalla bocca tappata dal cazzo: il primo spruzzo quasi mi soffoca e devo fare arretrare il cazzo, per ricevere gli spruzzi successivi: ognuno mi esplode in bocca, ma più ancora in figa e nel cuore; per ogni spruzzo, un orgasmo mi scuote il corpo e mi agita il cuore; lo sento mio, completamente, e assaporo il gusto del suo sperma come qualcosa di atavicamente mio, come qualcosa che amo al di là del naturale; lentamente, sfila il cazzo dalla bocca, ma la mia lingua non lo molla e lo accarezza, lo lambisce, raccoglie anche i più piccoli residui di seme; lo trattengo a lungo fra labbra, mentre perde lentamente vigore, finché non si rilassa fino a diventare una piccola cosa tutta mia.
“Vera, non ho mai fatto l’amore con tanto ardore; non mai amato una donna come amo te; sei una forza della natura; ho paura anche solo a pensare di perderti, che questa possa essere l’unica occasione per averti così interamente, così intensamente. Ti amo da morire.”
“Guido, io ci sarò sempre per te, a qualsiasi titolo e a qualsiasi condizione. Ho sentito in me vivo e assaporo ancora il tuo amore, grande, vero, mio; forse non vivremo più un momento così, ma non mi perderai finché un poco di questo amore ci terrà insieme. Ho molto goduto a sentirmi posseduta da te e, più ancora, a sentirti totalmente mio. Adesso fammi ancora tanto amore e vattene.”
Non si decide ad andarsene, non presto naturalmente; per un paio d’ore non smette di accarezzarmi, di succhiarmi, di leccarmi, di penetrarmi, di possedermi; e contemporaneamente si lascia coccolare, accarezzare, leccare, succhiare, godere da me che mi perdo per un pomeriggio in questo amore assurdo e terribile, ma che mi fa tornare giovane, al mio primo tradimento; poi sono costretta a cacciarlo via, perché è ora di cena; e sento che si porta via molta della mia gioia di vita, quel ragazzo che ho visto nascere, crescere ed ho sentito oggi appartenermi più di quanto sia umanamente lecito.
Nicoletta viene a trovarmi qualche giorno dopo, da sola e mi trova altrettanto sola che mi trastullo con le mie letture preferite, i poeti maledetti; preparo il caffè e la faccio sedere nel salone, su una delle poltrone; quando mi siedo sull’altra, di fronte a lei, capisce che intendo avviare un discorso impegnativo e aggrotta la fronte, quasi si adombrasse.
“Devi dirmi qualcosa?”
“Forse sei tu che devi confidarmi qualcosa, e non certo da oggi. … “
Mi guarda sorpresa ed ho la sensazione che veramente non capisca dove voglio andare a parare: mi tocca chiarire.
“Ho saputo che hai problemi ad esprimere i tuoi sentimenti quando fai l’amore. E’ vero?”
“So che hai fatto l’amore con Guido. … Ha spifferato tutto? … Pensi che sia facile? … Se te la senti, ti dico tutto.”
“Intuisco che c’è molta colpa mia che emergerà da quello che stai per dirmi; ma c’è anche un’infinita sofferenza tua. Io devo prendere atto delle mie colpe e voglio condividere la tua sofferenza, per l’amore che ti porto come madre e per quello che ti ho confessato come donna.”
“Quando l’altra volta hai confessato i tuoi tradimenti, sono stata molto male, per me e per te, perché non sapevi e non potevi sapere che quelle tue evasioni d’amore mi sono costate la difficoltà che Guido ti ha rivelato.”
“E’ successo qualcosa in una di quelle mie “fughe” con la scusa degli esami di Stato?”
“Si, è successo che sono stata prima violata e poi sverginata.”
“Quando? Come? da chi?”
“E’ successo quando avevo tredici anni. Tu eri andata a Firenze per gli esami di Stato ed eravamo soli in casa, io Francesco e papà: ci riposavamo dopopranzo e Francesco si era addormentato; papà mi chiamò nella sua camera e mi fece stendere accanto a lui sul letto grande; mi strinsi a lui, perché lo amavo tanto e, poiché aveva solo i boxer, vidi il cazzo che sbucava da una coscia; sapevo che con quello qualche volta ti aveva fatto giocare e io e Francesco vi avevamo spesso spiato; glielo dissi e lui mi chiese se volevo giocare anch’io; gli dissi di si e mi chiese prima di accarezzarlo e poi di muovere la mano come facevi tu: in breve, si fece fare una sega ed io fui anche felice di vederlo sborrare. Nei giorni successivi diventò abitudine che Francesco dormiva ed io gli facevo una sega, sempre contenta di fargli piacere.”
“Che maiale! Ma tu non avevi ancora nessuna nozione di sesso?”
“Si, quel poco che puoi apprendere nei cessi della scuola dalle compagne di classe; non avevo mai toccato un cazzo, anche se molte lo avevano già fatto e non ero abituata, come le altre, ad andare all’ultimo banco con filarino per fargli una sega da dentro la tasca dei pantaloni appositamente tagliata. Insomma, ero abbastanza pura e casta da prendere per gioco la sega che feci a papà per tutto quel mese; quando stavi per tornare, mi ordinò di non parlare perché ti saresti ammalata e io tacqui.”
“Che successe poi?”
“Non successe niente perché non te ne parlai, il tempo cancellò l’episodio anche dalla mia memoria e tutto filò liscio fino all’anno seguente, quando tu partisti di nuovo per gli esami di Stato, a Roma se mi ricordo bene. Lui tornò alla carica il primo pomeriggio da soli e stavolta non si accontentò che lo masturbassi, ma mi chiese di baciargli l’uccello; io esitai un poco, mi ricordò che tu lo facevi sempre quando giocavi con lui ed io cedetti. All’inizio, mi chiese di dare piccoli baci sulla cappella, poi mi fece spostare sull’asta e mi chiese di metterci la lingua; insomma, in breve mi abituò a prenderlo in bocca e a succhiarglielo finché non sborrava: mi convinse anche ad ingoiare dicendomi che faceva bene alla salute. Per quel mese, diventai la sua pompinara privata. Ma non mi facevo nessuno scrupolo perché rimaneva tutto nell’ambito di quel gioco proibito di cui ero stata spettatrice che lui richiamava ogni volta che obiettavo qualcosa.”
“Non deve essere stato un mese di allegria. … “
“Ti sbagli. Collocato in quel senso di gioco, il pompino mi divertiva, anche perché le compagne di scuola raccontavano di averlo fatto con ragazzi più grandi e se ne vantavano; io stavo zitta; ma ero convinta che, averlo fato con il mio papà, l’uomo che, come per tutte le ragazze, era il mio unico riferimento sessuale, mi rendeva quasi eroica. Quindi, per tutto il mese, succhiai sperma a gogò con grande gioia mia e goduria di papà. Poi tornasti tu e scattò il solito impegno a stare zitti … fino all’anno successivo quando tu, puntuale come la morte, partisti per Ancona ed io mi trovai ancora di fronte alla possibilità di rallegrare il mio papà con la mia boccuccia. A scuola avevo già sentito parlare di figa, di scopata, di verginità da difendere ad ogni costo fino al matrimonio, ma restavo ancora nel vago, per quel che concretamente significasse.”
“Ma avevi quindici anni, avevi già da un anno le tue cose e non potevi ignorare certi rischi.”
“Grazie per la fiducia! In realtà ero un’imbranata che faceva i pompini, ma non sapeva che erano quelli: era come una sorta di schizofrenia tra quello di cui parlavo razionalmente e il gioco a cui papà mi faceva partecipare. Dovrei andare in analisi, forse; ma più di questo non ci ricavo: ero una ragazzina, per un verso; e mi comportavo da ignara puttanella, per altro verso, il tutto senza colpa e senza coscienza.”
“Cosa successe quell’anno?”
“Che il papà alzò ancora il tiro e mi propose di mettere il suo uccellino fra le cosce, senza entrare nella gabbietta; e cominciò a sborrarmi fra le cosce, spesso più volte al giorno. Non provavo nessun piacere, se non quello di fare contento il mio papà che ormai era quasi malato non resisteva molto senza ficcarmelo tra le cosce e pompare finché non sborrava; per me era come bere un’aranciata o sorbire un gelato. Quando stava per esaurirsi il tempo della tua assenza, forse perché quel giorno aveva bevuto un poco, nemmeno mi avvisò: sentii il cazzo entrarmi in figa e sventrarmi con un dolore lancinante e terribile; non riuscii a profferir verbo e caddi quasi svenuta; lui sborrò sulle mie cosce e scappò inseguito da chissà quali demoni. Il giorno dopo, tornasti e notasti l’aria difficile che c’era, l’attribuisti al rancore perche ci avevi lasciati e non chiedesti niente. Io non ebbi il coraggio di rivelarti che il papà mi aveva fatto sanguinare la patatina e il pancino. Stemmo tutti zitti e la cosa passò ignorata.”
“Adesso so che l’ho fatta veramente grossa!”
“Ma forse non c’è neanche da farti molte colpe: non sapevi niente dei precedenti ed io non ti ho mai parlato di miei problemi. Solo una volta mi chiedesti se avessi fatto già l’amore, perché tutte le mie amiche avevano raccontato alla mamma di non essere più vergini; ma a te bastò che ti dicessi che non avevo scopato con nessun ragazzino, per sentirti a posto con te stessa. Ero io, che mi tormentavo perché, se solo accennavano a mettermi un cazzo in mano, mi irrigidivo e non ero capace di fare niente. Sono andata avanti così per anni, fino a che ho incontrato Franco: per un fatto che ha del miracoloso, forse perché era particolarmente buono e comprensivo, forse perché quella sera ero un poco sbronza per avere bevuto ad una festa, insomma mi riuscì di confidargli il mio problema. Franco è un uomo meraviglioso: con mille delicatezze, con estrema pazienza mi condusse a pomiciare sul serio, mi fece ripercorrere la strada che dalla sega portava alla scopata e mi ricostruì una dimensione accettabile della sessualità; poi l’ha fatta esplodere fino a farmi fare, con grande amore ed estremo entusiasmo, tutte le depravazioni possibili ed immaginabili, fino all’incesto di cui già sai. L’unica cosa che non riesce a guarire è la mia tendenza a chiudere in me le espressioni del piacere, senza manifestarle in alcun modo: solo lui sa quando e quanto sto godendo e si regola di conseguenza; agli altri, appaio fredda e cinica. Fortunatamente, sono arrivata a cinquant’anni, alla menopausa o quasi, senza privarmi di niente se non del piacere di urlarlo, quando godo.”
“Puoi perdonarmi per essere stata tanto distratta?”
“Io non ti devo perdonare niente: tu non lo sai e forse non te ne accorgeresti neppure, ma io ho una voglia di sesso con te che tu sembreresti fredda anche se hai detto che mi vuoi; l’unica differenza rispetto alla tua voglia, è che io, in questo senso, devo tutto a Franco: senza di lui, non mi faccio nemmeno un ditalino; con lui, o anche solo davanti a lui, esprimo tutta la mia troiaggine. Per questo, ti ho detto che farò l’amore con te, ma solo se contemporaneamente scopi anche con lui.”
“Quindi, mi fornisci almeno altri due motivi per decidermi a fare l’amore con Franco (bada, fare l’amore, non scopare o fare sesso), uno è la sua delicatezza e capacità di amare, che è stata alla base della tua ‘liberazione’ come mi hai detto, l’altra è la riconoscenza per aver liberato mia figlia, il mio amore, da un grosso peso; se ci aggiungi che Guido me ne ha dato un terzo, la buona dotazione che possiede, c’è una sola conclusione: per quando organizzi l’incontro a tre?”
“Fosse per noi, faremmo anche per stasera; ma abbiamo i ragazzi in casa e, come spesso ci è capitato, bisogna inventarsi una soluzione che non sia una squallida stanza d’albergo. Se tuo marito si levasse dai piedi, mi piacerebbe farlo qui dove già ti sei espressa al meglio (secondo la sua versione) con Guido, che di queste cose se ne intende, e non poco.”
“Levarsi dai coglioni tuo padre è la cosa più semplice del mondo: basta favorire un suo week end da qualche parte, con la sua ragazzina e la casa resta mia per un bel po’ di tempo. Quanto all’altra sua bravata, in qualche modo gliela devo far pagare.”
“No, mamma; quella storia va dimenticata; ti prego,non rinfocolare: aiutami a dimenticare: far l’amore con te mi aiuterà; se tiri fuori il passato, puoi danneggiarmi.”
“Va bene; allora, al primo fine settimana possibile. Posso almeno darti un bacio … alla francese?”
L’occasione attesa arriva prima di quanto pensassimo. Oreste ormai tende a stare in casa quanto meno può, quasi che l’idea solo di essere in qualche modo colto in fallo gli metta addosso la smania di scappare: di qui, le frequenti corse, con le scuse più banali, nel circondario o, in qualche caso, i viaggi di alcuni giorni in località poco più distanti: dal tipo di valigia che organizza sono in grado di stabilire per quanto tempo si tratterrà fuori; posso, quindi, organizzare le mie personali evasioni che possono essere una visita ad un museo o ad un monumento d’arte, come ricevere a casa mia, nel nostro letto, il mio amante fisso, con il perverso gusto di scopare nel letto coniugale, anche rischiando un poco, per eventuali pettegolezzi che non gradirei o per possibili rientri imprevisti del mio ineffabile consorte.
Un pomeriggio, a sorpresa, mi vedo arrivare in casa Franco, il marito di Nicoletta, che mi vuole parlare da sola di qualcosa di assai delicato; incuriosita, gli preparo il caffè mentre si siede nella poltrona nel salotto; mentre aspetto che il caffè passi, mi chiedo cosa possa avere da discutere con me: non può trattarsi dell’idea balzana di anticipare e di ‘privatizzare’ il progetto di scopata che abbiamo ipotizzato, perché ho largamente chiarito che farò l’amore con Nicoletta, anche se gradisco la sua partecipazione; deve essere quindi qualcosa di imprevedibile, per me; mi chiede se può essere chiaro e diretto e lo invito, anzi, ad esserlo fino in fondo.
“Nicoletta mi ha detto del vostro proposito per un fine settimana; mi ha anche accennato al tuo desiderio di vendicare il male che Oreste le ha fatto, anzi direi che ‘ci’ ha fatto; mi ha detto che lei vuole dimenticare quell’episodio. Io no; io da venticinque anni mi arrovello a cercare di capire se devo dimenticare o se è giusto fare qualcosa. Da quando hai messo le carte in tavola, mi sono convinto che tuo marito merita una brutta lezione, possibilmente davanti a quelli a cui ha fatto male.”
“Posso essere anche d’accordo; ma, in primis, c’è la scelta di Nicoletta che va rispettata; in secundis, non vedo proprio cosa potresti fare per vendicare il male di allora.”
“Io so che devo rispettare la scelta di Nicoletta e l’ho fatto per venticinque anni; però quel bastardo non si è fermato e continua ad insidiare ragazzine. Merita una lezione e anche dura.”
“Continuo a non capire quale sarebbe la punizione a cui pensi.”
“Mi pare che in questa questione ci siano diverse responsabilità; la più grave è quella di Oreste che è degna di tribunale; ma non credere di essere così innocente, dal momento che non hai visto né capito niente ma intanto per un mese all’anno scappavi dalle responsabilità e andavi ad esercitare la tua libertà sessuale, per una notte o per un mese conta poco, lasciando due figli piccoli in balia di un criminale; allora non vedevi e cercavi di non capire; oggi ti rifugi dietro la posizione buonistica di tua figlia per nascondere che per venticinque anni non hai saputo o non hai voluto sapere e che gli unici a pagare siamo stati io e Nicoletta che da quell’episodio è diventata a letto una statua di sale mentre tu non hai abbastanza inventiva per ideare un progetto di vendetta e forse non ti curi più affatto di quello che è successo anche per colpa tua.”
“La legge del taglione, occhio per occhio? … Chi è correo si assuma la sua parte di pena? … Cosa vorrebbe dire?“
“Scusa; ho detto sciocchezze; ottimo il tuo caffè. Divertiti con Nicoletta; io faccio un passo indietro e vi lascio campo libero. Ciao.”
Esce di scatto, senza darmi tempo di replicare; chiamo Nicoletta e le chiedo cosa sia successo a suo marito per fargli fare discorsi strampalati; non sa niente e si riserva di parlare con Franco; dopo un’oretta mi richiama per avvertirmi che suo marito ha rinunciato all’incontro progettato perché non sopporta che io non mi assuma nessuna responsabilità per quello che è successo tanti anni fa; lei non ha capito molto e io non riesco a cogliere fino in fondo il significato di quel gesto; mi aggiunge che, in quelle condizioni, non se la sente di disgustare Franco incontrandomi da sola e che, quindi, sarebbe meglio non pensarci più.
L’illuminazione me la offre, involontariamente, Guido che mi viene a trovare con evidenti intenzioni che si scontrano con un mio rigido rifiuto: commentando la mia categoricità, rileva che certe mie fisime sono peggio della stupidità e che forse mi condizionano come la difesa della verginità nella vecchia società metteva a disagio le ragazze; mentre il ragazzo continua ad insistere sull’argomento, non lo ascolto più e mi salta agli occhi che, per la legge del taglione, ‘verginità per verginità’ la vendetta doveva essere far cogliere la mia presunta residua verginità sotto gli occhi di Oreste che l’aveva elemosinata per mezzo secolo e non l’aveva avuta; se a rompermi il culo fosse mio genero (o anche mio nipote) sotto gli occhi di mio marito, Nicoletta non sarebbe risarcita, ma il male sarebbe vendicato e da me che ne ero stata complice con la mia fuga alla scopata libera.
Chiamo immediatamente mia figlia e le chiedo se c’è lì suo marito; mi sembra molto perplessa e capisco che la situazione è molto intrigante: dico che voglio parlare con lui della questione che ha sottoposto; Franco mi chiede cosa avessi elaborato.
Gli chiedo se la sua proposta era di farmi inculare da lui davanti a mio marito; mi risponde che quello era stato il fondamento della sua idea ma che l’aveva cancellato immediatamente per la mia evidente reticenza, ad ammettere che devo assumermi un grosso peso, appigliandomi alla volontà di Nicoletta; anche per questo, ha deciso di rinunciare ad una delle sue più grosse utopie, fare l’amore con mamma e figlia insieme e cercare di convincere la suocera a donargli la sua ultima verginità, ad una età quasi veneranda.
“Puoi venire qui e ricominciare come non fosse successo niente?”
“Mi piacerebbe venisse anche Nicoletta; ma la mia ipotesi prevede che lei non sia informata di niente fino all’ultimo, perché sono certo che non approverebbe il mio progetto.”
“Vieni solo e valutiamo insieme; ti confesso che ho molta paura, ma credo che tu abbia un’idea molto importante e non so se seguirti e superare le mie fisime, per dare una lezione a quel porco o se dare ascolto a mia figlia e dimenticare tutto, ancora una volta, per semplice amore del quieto vivere.”
Franco torna e mi espone il suo progetto molto articolato, che impegna la presenza e il coinvolgimento di tutta la sua famiglia e, per qualche verso, anche pericoloso per possibili, imprevedibili reazioni.
In sostanza, Oreste dovrebbe essere indotto, con l’inganno, a lasciarsi condurre, bendato, nella camera da letto e legato a una sedia; qui sarebbe reso spettatore riluttante alla “cerimonia” della perdita di verginità anale di sua moglie e, alla peggio, violentato anche lui, dalla figlia con uno strap on, se Nicoletta avesse accettato; le sue minacciose reazioni potevano essere vanificate con la semplice esibizione di un dossier che Franco possedeva, da cui emergevano tutte le violenze su minori da lui praticate negli anni e che, alla polizia, sarebbero state sufficienti per mandarlo in galera.
L’idea è decisamente pazza e pericolosa, ma Franco mi appare molto deciso: probabilmente tutti, a cominciare da Nicoletta, abbiamo sottovalutato la sua rabbia, ma anche il suo rancore e il suo immenso dolore, per dovere ogni giorno, per venticinque anni, fare l’amore con una moglie adorata ma incapace di avere qualunque reazione verbale nel corso dei rapporti sessuali; l’alternativa, per come vede lui le cose, è lasciare che io e mia figlia diamo sfogo alla nostra sensualità senza di lui: tra la razionalità fredda di mio genero e la reazione emotiva di mia figlia non so a chi dare torto; di fatto, effettivamente c’è, nella scelta mia e di Nicoletta, un che di buonistico ma anche di vigliacco: chiudere gli occhi e dimenticare presto.
Non è facile scegliere una strada e non mi aiuta Nicoletta, che mi chiama poco dopo e mi chiede conto del nuovo incontro; vigliaccamente, le racconto solo che Franco vuole fare sesso con noi ma chiede che gli dia il culo mentre io non me la sento; protesta con suo marito che, capito l’andazzo, si limita a lasciarla libera di fare con me tutto quello che vuole, quando come e dove lo vogliamo, ma che interrompe il rapporto con me perché non godo più della sua stima e della sua fiducia: l’ultima affermazione mi fa male più di ogni altra considerazione; ma mi rendo conto che la disistima è conseguenza diretta della mia viltà.
Provo a far dire a Franco che sono disposta a concedergli il culo a patto che rinunci ad altre richieste; ma la sua prevedibile risposta è sferzante.
“Di’ a tua madre che, quando ne ho voglia, trovo disponibili tanti culi anche più freschi e piacevoli da violentare!”
Ormai è diventato surreale parlare per telefono, a sprazzi, di argomenti così delicati; decidono allora di venire da me ed affrontare insieme l’argomento; ma non è semplice spiegare tutta la faccenda a Nicoletta, che in pratica conosce molte bugie e qualche mezza verità; Franco è esasperato ed esordisce con la sua solita brutalità.
“Mi pare che questo vostro gioco a rimpiattino sia durato anche troppo: l’unica possibilità concreta è che Vera scopra cosa vuol dire scopare alla morte con Nicoletta e non sentire nemmeno un gemito di piacere, non avere cioè nessuna percezione di quello che ha provato. Quando questo dato sarà chiaro, forse qualcosa diventerà ancora più comprensibile. Vi prego, andate in camera e scopate fino allo sfinimento; io vi sto a guardare e marco stretto Oreste se dovesse arrivare all’improvviso.”
Nicoletta non capisce molto, Vera è incuriosita e decisamente trascina la figlia verso il letto: che tra le due ci sia un grande, profondo amore anche fisico, è evidente dalla foga con cui si abbracciano, si toccano, si perlustrano, si assaporano anche mentre percorrono il breve tragitto fino al letto; Vera si trova quasi nuda rapidissimamente, considerato che indossa solo una vestaglia sull’intimo, reggiseno e slip, mentre per Nicoletta lo striptease è alquanto più laborioso ed eccitante dovendo liberarsi del completo con cui si è vestita per uscire.
Per me spettatore è una delizia, vedere apparire di colpo tutta l’esplosività della bellezza della madre, che alla sua età vanta ancora un seno appoggiato ma non cadente, di una misura notevole; un ventre pieno e abbondante ma non grasso; un culo alto e sodo benché appesantito da inevitabile grossezza; invece il corpo di Nicoletta, progressivamente e lentamente scoperto da Vera che copre di baci e di sensuali leccate ogni brandello di carne che scopre, risulta stupendamente armonioso e desiderabile, nonostante i segni che l’età ha marcato anche su di lei: pur conoscendola in ogni piega, non mi sottraggo, ancora una volta, al fascino delle cosce scultoree che reggono un busto armonico, un culo da favola disegnato a pennello nelle curve delle natiche e nella dolcezza delle chiappe che celano l’ano grinzoso che così volentieri bacio, succhio e pratico col mio cazzo che, appunto in quel momento, è diventato un vero obelisco di carne; quando le toglie il reggiseno, emergono le sue tette favolose, sulle quali mi perdo spesso e volentieri in lunghe leccate, succhiate e morsi, con in cima due aureole imponenti, di colore intenso, sormontate da due capezzoli lunghi e grossi sui quali spesso consumo ore di suzione quasi dovessi allattarmi di nuovo per alimentarmi.
Vera appare più decisa, complice anche l’attitudine, che ben conosco, di Nicoletta a farsi dominare nell’amplesso, chiunque sia il partner del momento, maschio o femmina; Vera comincia quasi subito a gemere dolcemente e sensualmente, quando la figlia le afferra la figa, dal monte di venere fino all’ano, e insinua decisa il medio nella fessura che ancora soffre di una certa secchezza, non avendo avuto tempo e modo di inumidirsi; quando la madre le ricambia il gesto, penetrando rapidamente fino alle nocche nella figa depilata e disponibile, Nicoletta non dà, come al solito, nessun segno di piacere se non una tensione del ventre che solo chi la frequenta e la conosce può individuare come segnale di godimento; si masturbano per un po’, mentre si baciano con lascivia, perlustrandosi le bocche con le lingue che battagliano per conquistare la cavità orale e percorrerla.
E’ Nicoletta a decidere di sdraiare la madre sul letto e a gettarsi addosso a 69 per leccarle la figa e succhiarle il clitoride che Vera ha ben evidente, grosso e duro per l’eccitazione; stanno per un bel po’ a sollazzarsi con le lingue che perlustrano tutto il sesso, dal ciuffetto di peli, che ciascuna porta in cima alla figa, all’ano sempre più aperto e disponibile, anche se Vera fa dit tutto per evitare che la figlia possa esaminare il suo buco di culo troppo attentamente.
Prendo dalla borsa di mia moglie il vibratore che sempre porta con sé, lo consegno a lei che lo usa immediatamente per infilarlo nella figa della madre e azionarne il meccanismo: Vera comincia a lanciare gemiti sempre più chiari ed acuti finché esplode in un orgasmo violento; Nicoletta, a quel punto, passa lo strumento sull’ano e comincia a penetrarla; anziché ribellarsi, Vera comincia ad agitarsi vibrando in sintonia con il dildo e le sue urla diventano forti ed acute, continue e decise;quando esplode l’orgasmo anche dall’ano; Nicoletta sfila il vibratore e lo passa a sua madre che immediatamente le ricambia la cortesia infilandoglielo in figa e in culo con una straordinaria rapidità di cambio.
Riesco nettamente a leggere il viso meravigliato di mia suocera davanti all’assoluta mancanza di segnali verbali della figlia, mentre la sollazza in maniera decisamente abile e sicuramente produttiva di piacere e di orgasmi; ma non un suono emette mia moglie: io, che ne conosco bene le reazioni, registro almeno due orgasmi assai intensi, forse tre; ma Vera comincia a dare segni di essere quasi preoccupata di non riuscire a strapparle neppure un lamento, di gioia o di dolore che fosse; guarda dalla mia parte e le faccio cenno di andare avanti senza preoccuparsi; poco convinta, continua comunque a titillarla con le dita, con la bocca e col vibratore che le fa scorrere su tutto il basso ventre.
Nicoletta, che è super eccitata, mi fa segno di accostarmi e mi avvicino a baciarla, chinandomi sulla figa di Vera che sta stimolando con la lingua; allunga la mano verso di me e cerca di aprirmi il pantalone; indico la porta d’ingresso per farle capire che temo l’arrivo di suo padre e desiste; mentre mi ritiro, Vera mi afferra il cazzo, da sopra ai pantaloni, mi attira verso di sé e lo accarezza per tutta la dimensione, quasi per rendersi conto della consistenza; con lo sguardo mi lascia intendere che volentieri lo riceverebbe in figa; ma anche a lei accenno all’ingresso e mi tiro indietro, benché sia quasi mortalmente arrapato per la situazione di grande amore saffico tra madre e figlia, per lo spettacolo meraviglioso che i due corpi offrono e per la voglia che mi sta per esplodere nei pantaloni.
Dopo il quinto (o il sesto: non tenevo il conto) orgasmo, Vera denuncia una qualche stanchezza e si abbandona sul corpo di Nicoletta che capisce la difficoltà della madre, anche in forza dell’età, e le consente di staccarsi e di scivolare al suo fianco supina sul letto; ruota il corpo e si distende al fianco, si solleva su un gomito e si china a succhiarle un capezzolo: la risposta di Vera è un lungo gemito di piacere che diventa quasi un lamento lungo e insistente, a mano a mano che la figlia succhia il capezzolo; il suo lamentoso gemito riprende quando la figlia passa all’altro capezzolo; poi la madre la spinge quasi via e passa lei a succhiare la figlia; ma Nicoletta non da nessun cenno di reazione ed è difficile anche per me leggere il suo godimento dalle contrazioni del ventre e dal movimento delle cosce che sembrano stringere la figa nell’orgasmo.
Decido di porre fine al loro amplesso e faccio segno a mia moglie picchiando sull’orologio per indicare che non c’è più tempo: fa alzare sua madre in ginocchio sul letto e la bacia intensamente sulla bocca; le frena il gesto di riprendere a masturbarla mentre si baciano e si abbracciano lascivamente; alla fine, si staccano quasi soffrendo e si rivestono.
Vera quasi ci aggredisce, appena si sono ricomposte.
“Ma come cazzo fai a farla godere? … E tu, hai avuto almeno un orgasmo?”
“Uno? Dieci vorrai dire!”
E’ perplessa.
“Come ti senti; e come ti sei sentita mentre la scopavi e non sapevi se a lei piaceva o no quello che le facevi?”
“Mi sento sconvolta … dal dolore! Io non sono riuscita a rendermi conto in nessun momento di cosa provasse lei; e neppure adesso capisco se ho fatto l’amore solo io o se lei era con me e godeva con me! E’ stata una sofferenza continua, col senso di colpa di essere solo io ad approfittare di lei!”
“Adesso mi fai il favore di provare a moltiplicare questa sensazione per venticinque anni, più di novemila giorni, più di duecentomila ore, insomma la vita di Guido e anche di più: in questo tempo, io sono uscito dagli amplessi con mia moglie in questo stato d’animo e solo con molto tempo e con molta pazienza sono riuscito a cogliere da altri segnali quando raggiungeva un orgasmo, quando provava piacere e quando qualcosa non le andava. Questo è il prezzo che io ho pagato alla violenza di tuo marito e alla tua superficialità. Ci sarebbero fondati motivi per odiarvi e per non volervi neanche rispettare; ma io amo mia moglie, con le sue grandissime qualità e anche con questi dolorosi limiti. Per questo, sono felice di avere visto il vostro amore esplodere con violenza nel sesso; ma non chiedetemi di perdonare o di dimenticare. Io non ci riesco: questo vale anche per te, Nicoletta; tu puoi cancellare, dimenticare o mettere sotto il tappeto; io covo rancore, perdonami.”
“Cosa vorresti fare e cosa speri di ottenere?”
“Adesso, più niente; mi è svanita anche la rabbia che mi sostiene sempre. Io mi sento derubato di una passione che mi spettava; ma adesso mi rendo conto che il mio è un credito millantato e che non mi compete. Il problema è solo vostro e dovete risolverlo voi: io mi devo limitare a uscire dl vostro gioco. Amatevi e fate sesso ogni volta che ve ne viene voglia: a casa nostra è più sicuro, perché al massimo potete essere sorprese da Guido o Simona, i nostri figli che non si scandalizzerebbero per un amore saffico tra madre e figlia; qui è più rischioso perché a sorprendervi potrebbe essere Oreste e non credo che reagirebbe bene. Io me ne sto da parte e non voglio più saperne di voi e dei vostri problemi di sesso.”
“Franco, ma che stai dicendo? Io non ho mai fatto niente senza di te e non voglio certo cominciare adesso.”
“Intanto, non è vero perché hai appena cominciato a fare sesso senza di me, checché tu ne dica; è sbagliato che io mi ostini a voler fare le vendette di non so che cosa; continuerò a essere il marito leale, ma non aspettarti più fedeltà e dedizione, visto che mi avete lasciato il prezzo intero degli errori di tuo padre e della complicità di tua madre; non sento di provare più per voi l’entusiasmo che avevo fino a poche ore fa e non voglio condividere la vostra scelta di coprire con un velo pietoso un passato che per me è stato fonte di grande dolore: anche per questo, non me la sento assolutamente di avere rapporti più che formali con tua madre. Quindi, chiudiamo qui i discorsi e percorriamo ognuno la strada che ritiene migliore.”
“Franco, ma così distruggi tutta una vita passata insieme, cancelli esperienze meravigliose vissute, rinneghi tutto quello che abbiamo fatto … “
“Siete voi che distruggete tutto, passando il cancellino su vicende terribili, per il solo gusto del quieto vivere, preoccupate dei vostri sentimenti e assolutamente incuranti di quello che sono stato costretto a soffrire io: eppure, vi ho dato la possibilità di vederlo concretamente. Io mi auguravo di vedere ripristinata una parvenza di giustizia; ma riconosco che sono stressato da questa vicenda, tutta, dall’origine a oggi; e a questo punto accetto il vostro punto di vista e tengo per buona la vostra scelta di aver fatto pagare solo a me il prezzo del passato. Godetevi il futuro. Nel presente, mi rifiuto di continuare a fare l’assistente sociale di una moglie che non comunica le sue emozioni sessuali: sarà tua madre ad assicurarti il piacere silenzioso e ad imparare a riconoscerlo da altri segnali; io mi cercherò rapporti nei quali la gioia del sesso sia anche comunicazione, ma non disturberò le vostre iniziative, il vostro amore. L’ho detto e lo ripeto: venite anche a scopare a casa nostra; quando lo farete, io andrò altrove.”
“Non voglio, non posso e non devo accettare che una struttura realizzata con tanto impegno, con tan
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Categorie: Incesti