**Questo non è un capitolo normale, bensì uno spin off slegato dalla trama e scritto dal punto di vista di Alhamba.**

Guardavo come ipnotizzato il seno della mia schiava, Hildee, il quale spinto da un respiro affannato dall’eccitazione si alzava e si abbassava in un ritmo incostante, spinto dal parossismo degli spasmi che a tratti la attraversavano, irregolari e di durata incostante; ella avea le mani legate alla gamba di un divano alto e senza sponde, e ormai aveva anche rinunciato a cercare di divincolarsi o quantomeno cedere a inutili quanto ridicoli tentativi di ribellione.

Il mio sguardo si spostò sulle labbra rosse dischiuse in un sospiro estatico, che a tratti celavano i denti bianchissimi e perfetti, sul corpo vibrante di eccitazione erotica, sui capelli dorati sparsi su serici cuscini in varie ondate che andavano dal color miele all’ambra in base a come vi si disponevano, sulla pelle candida e nivea che i globi di luce facevano quasi scintillare, tanto da essere quasi accecante nel suo essere rorida di umori.

Intorno a quella ragazza in ordine di vicinanza eravamo così disposti: Joy, scura come l'ebano, accucciata in mezzo alle sue gambe oscenamente aperte, intenta a succhiare e leccarle il clitoride facendola sospirare e inarcare di piacere, cogliendola nella sua intimità nel modo più profondo, con la sua lingua che saettava mai stanca e ne percorreva ogni centimetro, gustandone gli umori che andavano a bagnarne le labbra dischiuse, mentre io e Kassandros a due metri da loro, già con una scintilla di torbida eccitazione in fondo allo sguardo e i lombi infuocati dalla passione, resa ancora più evidente nelle nostre virilità già pienamente turgide e pronte a godere del corpo delle due schiave, non ancora liberate però dall’ultimo capo di vestiario che le imprigionava.

Tutt'intorno l'artistico disordine di un banchetto consumato in compagnia, ovunque figuravano vino e tralci di vite, e rami di mirto, e rosse melagrane, coppe di vino finemente cesellate rovesciate, ancora stillanti la loro ambrosia sul pavimento marmoreo, piatti e ornamenti di gusto e foggia appartenenti a perdute ere precedenti, le cui forme ancora adempivano allo svolgimento della funzione, pur abnegando all’esser colte dal gusto originale dei loro creatori, i nostri stessi vestiti, ammucchiati e gettati per terra in un disordine non privo di fascino, il fascino del desiderio che porta a liberarsi di quanto può inibire e frenare, finendo con gli abiti delle ragazze, laceri e fatti a pezzi, quasi preda di belve feroci dalle mani bramose di loro.

Joy si staccò dal sesso della compagna con un risucchio osceno, lasciandoci constatare quanto Hildee fosse ormai prossima al piacere, rosea, pulsante e lucida; le labbra stesse erano percorse da tremiti leggeri e inconsulti, lievi spasmi che si potevano cogliere più compiutamente nei muscoli delle cosce e del bacino, che le rendevano impossibile il rimanere ferma o riguadagnare anche solo una stilla di autoconsapevolezza. Poi si alzò come una pantera nera, dal passo felpato, dalle curve morbide, succose, lo sguardo profondo puntato nelle mie iridi, venne verso di noi catalizzando l'attenzione di entrambi su di lei, quasi volendoci torturare con l'ancheggiare delle cosce tornite e con il fuoco che nei suoi occhi prometteva e già manteneva in parte quello che da lì a poco sarebbe accaduto.

Si inginocchiò sul pavimento in mezzo alle gambe del mio amico e molto lentamente gli sfilò i pantaloni di tessuto pregiato, li abbassava centimetro dopo centimetro con una lascivia non priva di una certa dose di leziosità, fino a quando il pene non le schizzò in faccia colpendola su una guancia, percuotendola e lasciandole una traccia umida sul viso; non si fermò, continuò nella sua opera di svestizione mentre le labbra carnose si impadronivano della cappella pulsante, scendendo imperterrite fino ad arrivare alla base per poi risalire ad una velocità folle, lasciandolo umido di saliva, pulsante ed eccitato, abnegando a una qualsivoglia forma di tenerezza o dolcezza, lasciandosi completamente andare alla passione pura e incontrollata, cercando di impadronirsi di quanto più potesse, provocandosi conati e nonostante ciò scendendo sempre più a fondo, premendo le sue labbra sul suo pube e trovandosi le guance rigate da lacrime nel farlo. Dopo un poco di quella deliziosa performance si alzò, spezzando i sottili fili di saliva che ne congiungevano la bocca alla rosea nerchia di Kassandros e raccogliendo la saliva con le mani, leccandola; venne verso di me, inginocchiandosi poi ai miei piedi e baciandomi le ginocchia, strofinando le guance sulle mie cosce e sulla patta pronta a scoppiare da un momento all’altro. Le accarezzai i capelli, gustandone la vellutata consistenza, percorrendone la perfetta acconciatura corvina, disposta in varie onde fino a metà della sua schiena in un mare nero e impenetrabile, secondo solo al suo stesso sguardo, mentre apriva i miei pantaloni, e come in un gesto di adorazione se lo passava sul viso per poi stuzzicarmi con le labbra, con la lingua rosea, morbida, calda e implacabile. Sussultai di piacere quando andò a stimolare il buchetto in cima al cazzo, quasi in un movimento istintivo sollevai il bacino, affondando dentro la sua bocca almeno per metà l’intera consistenza del membro.

Mi ritrassi subito, sconcertato dalla facilità con la quale avevo perso il controllo di me stesso, sottomesso per un istante alla volontà altrui, a quella di chi deve a sua volta essere sottomessa e ben conscia del suo ruolo, violando quasi in un anelito di compiacimento le regole di questo gioco. Lo sguardo di lei esprimeva consapevolezza, orgoglio, desiderio e una punta di paura, a trafiggerne l’espressività, ben conscia di quella che sarebbe stata la mia reazione, ma non altrettanto di quelle che sarebbero potute essere le conseguenze per lei. Il mio tono si rivelò quasi rabbioso nell’apostrofarla: "Va’." La congedai.

Lei si alzò e voltandosi mi sbatté quasi in faccia il culetto polposo, rotondo e tremendamente eccitante, vero ricettacolo di femminilità e sensualità, dalle curve morbide e dolci che culminavano nei fianchi e ne esaltavano ulteriormente la carica erotica; lo fece con ovvia intenzione, con malcelata malizia, quasi come una vendetta per averle tolto l'oggetto desiderato, si piegò in avanti lasciandomi guardare uno spaccato che mi fece ribollire il sangue: era bagnata fino a metà delle cosce, irrorata da rivoli di umori che stillavano ancora come una divina panacea dalla sua fonte, dalle labbra semidischiuse e dalla sua femminilità, come un fiore pronto ad aprire l’intera corolla e dispensare tutto il suo nettare. Le mollai uno schiaffo sul culo, a mano aperta e molto forte, con cattiveria, facendo rimbombare il suono nella stanza silente, poi lo strinsi tra le dita: "Va’" le ripetei come un monito. Infine la lasciai andare e lei tornò ad acquattarsi tra le cosce dell'amica, cercando di sfogare su di lei il suo anelito di piacere, godendo nel continuare a provocarle spasmi e a farne crescere l’eccitazione.

Usò le dita per darle piacere in questa seconda istanza, con i polpastrelli percorreva la distanza tra le caviglie e il pube, le disegnava dei piccoli cerchi sulla pelle, avvicinandosi ogni minuto di più al luogo in cui la bionda avrebbe voluto essere toccata, ma senza mai arrivarci, prolungando nell’attesa mille attimi di godimento e lasciandola nell’inconcludenza a tratti, torturandola più e più volte fino ad avvicinarsi risolutamente alla fonte del suo piacere. Cominciò a quel punto a penetrarla poco alla volta, facendole conquistare ogni falange delle due dita che inseriva dentro di lei con una lentezza snervante, mentre nel fare ciò cominciò a risalire le gambe di Hildee con le labbra, lasciando una scia di baci e di morsi ben evidenti, sigilli del suo passaggio, su quella pelle candida e perfetta, quando infine arrivò al pube le sputò sul clitoride per poi titillarlo brevemente con la lingua, soffiandoci sopra come fosse una candela, provocandole un altro forte spasmo allorché l’aria fredda ne percorse la superficie eccitata e turgida. Salì inesorabilmente lungo la pancia, infilando la lingua nell’ombelico e lasciando una scia umida in mezzo ai seni, succhiando la pelle del corpo, infine baciandola, un bacio morbido, umido, sensuale, che aveva il suono di labbra che si accarezzavano e lasciavano presagire l’ardito gioco di lingue, la tenzone che all’interno si andava consumando e ne occupava la mente, intrecciandole in un gioco che più si prolungava più ne prosciugava il respiro.

Le dita con cui la stava ancora masturbando erano diventate tre, e ora si muovevano ritmicamente, le potevo vedere uscire ed entrare, nere, lucide, implacabili, fradicie dei suoi umori e ricercarne ancora di più, mai sazie di essi al pari della loro proprietaria. Joy infine si staccò da quel bacio mordendo il labbro di Hildee fino quasi a farlo sanguinare e si diresse verso il suo orecchio, leccandolo con la punta della lingua e tirando dolcemente con i denti i suoi tanti orecchini, uno ad uno. Scese poi pericolosamente verso il suo seno, le torturò la pelle del collo baciandola e succhiandola, tirandone la candida superficie tra i denti e le labbra, lasciando al suo passaggio veri e propri marchi, ardenti quanto la sua voglia e il suo desiderio, e quando infine giunse al seno passò la lingua sull’areola rosea e catturò con le labbra il capezzolo perforato da un anellino d’oro, con i denti lo tirava e lo faceva inturgidire sino a quando questo non prese l’aspetto di un piccolo chiodo di carne appuntito, eretto verso l’alto e rigido, sensibilissimo a tale stimolazione e desiderandola sempre di più. D’altro canto Hildee era in estasi: si contorceva di eccitazione, si lasciava sfuggire gemiti di piacere e di dolore, si inarcava completamente per ricevere le attenzioni di Joy, le sue cosce erano lucide e rigate di umori che colavano liberamente sul pavimento in piccoli rivoli, il sesso come potevo immaginare caldissimo e bollente, abilmente stimolato dalla mano della mora che da tempo ormai la faceva vagare sulle soglie dell’orgasmo senza concederglielo, privandola di ciò che non era un suo diritto, ma sarebbe stata gentile concessione.

Ero affascinato, con il membro che reclamava attenzione da una buona quindicina di minuti, decisi che era forse giunto il momento di lasciarmi andare a quelle provocazioni, incrociai lo sguardo eccitato di Kassandros, lo sapevo bene che non vedeva l’ora di congiungersi ad una qualsiasi delle due schiave che amoreggiavano distese, non aspettava altro che quel piccolo segnale di intesa da parte mia, quasi un consenso ad usare ciò che mi apparteneva di diritto.

Gli feci un piccolo cenno con il capo, mi sorrise sornione e infine con un movimento impaziente si alzò dai cuscini di raso reggendo in mano una coppa di vino color del sangue e si diresse verso la coppia che sembrava essersi scordata di noi. Ero assolutamente curioso di sapere quale delle due avrebbe scelto, la decisione fu rapida, afferrò Joy per i fianchi, tirandola verso di sé e le rovesciò il vino sulla schiena e sul sesso per poi leccarlo di nuovo, misto ai suoi umori, riempendosi la bocca e tingendosi le labbra di rosso, unendo due nettari e godendo del sapore nuovo e congiunto di entrambi, stillanti dal corpo voluttuoso e sensibile della donna.

Lei emise un lungo gemito e si inarcò completamente per offrire a Kassandos un accesso più facile, ma lui si staccò da lei repentinamente facendole emettere dei mugolii insoddisfatti: le strinse le rotondità delle natiche con una mano, usando l’altra per appoggiare la sua virilità su di lei, indugiando quasi per un istante nel farlo, assaporandone il calore e l’umidità che stillava da essa, e solo dopo la penetrò completamente, a fondo, senza pietà, aprendola a metà e facendole spalancare la bocca in un lamento sordo, foriero di una stilla di dolore in un oceano di piacere. Chiaramente quel pene così lungo le toccava il collo dell’utero, cercò debolmente di sottrarsi alle stoccate successive ma senza molto successo, subendo più e più volte il suo attacco, i fianchi di lui che sbattevano ritmicamente sulle natiche di lei con un rumore assordante. Lui la tenne ferma attorcigliandosi i capelli mori intorno all’avambraccio, costringendola a portare indietro la testa e ad inarcare la schiena ancora di più, piegandola alla sua volontà e godendo anche di questo. La fotteva senza delicatezza, con metodo, a fondo; si poteva quasi indugiare su come in tale atto il piacere si intrecciasse quasi ad una sorta di dovere nell’espletare i veri limiti del ruolo che lei ricopriva, nel soverchiarla ancora una volta con la sua autorità e la sua prestanza, nell’andare a definire insomma quello che più compiutamente lui riteneva dovesse essere la mascolinità più ferale di fronte a una femminilità più che mai prona a soddisfarne le voglie e i bisogni, godendo di questo. Godetti moltissimo nel vederla così brutalmente sottomessa ai desideri di un altro, forse perché amavo lasciarle molto margine di iniziativa, o magari lo ritenevo giusto visto che lei prima, ancora protetta dalla mia accondiscendenza, lo aveva lasciato insoddisfatto. Forse ancora più intimamente traevo reale godimento nel vederla posseduta da una persona che non fossi io. In un attimo mi trovai da spettatore ad essere attore di quel quadretto perverso che si stava consumando nel pieno della notte, agendo d’istinto allorché l’amplesso tra Kassandros e Joy andava prolungandosi. Slegai la bionda molto velocemente, impaziente di ficcarle il membro in bocca sino a sentirla soffocare, a lasciarle in questo un marchio della mia reale autorità su di lei; la feci mettere carponi, con le natiche volutamente posizionate vicino alla bocca dell’altra, poi premetti con forza la cappella sulle sue labbra, con mia grande sorpresa non le aprì, le tenne serrate come se la stessi sottoponendo alla più grande delle nefandezze mai conosciute dall’umanità. “Hildee...di dove sei esattamente?” le domandai in inglese sapendo che altrimenti non mi avrebbe capito, usando un tono tagliente, tenendole nel farlo una mano sul collo, andando lentamente a stringerle le dita attorno ad esso, quasi a darle con ciò un segno del fatto che il tempo stesso che aveva a disposizione per rispondere sarebbe stato breve.

“America, signore ti prego, mi fa troppo schifo, lo detesto” rispose, articolando parole in maniera inconsulta, cercando di fuoriuscire dalla nebbia del piacere per cercare di sottrarsi a quello che era realmente il suo dovere.

Feci un attimo di pausa, quasi soppesando la situazione tra me e me, la mano sempre sul suo collo, le dita che indugiavano andando a percorrere il rilievo della giugulare, passando poi alla trachea, ben conscio del fatto che avrei saputo esattamente come fare qualora avessi desiderato privarla del respiro e della vita. “Apri la bocca... ora. Altrimenti ti rimanderò in America un pezzo alla volta” le ordinai crudele, il tono di voce tranquillo e quasi cordiale, essendo io ben conscio della mancanza di necessità nell’alzare il tono di voce, già permeato di comando.

Mi guardò sorpresa e spaventata e dischiuse leggermente le labbra per l’orrore e la sorpresa, e ne approfittai immediatamente per infilarmi dentro quella cavità, cercando di arrivarle fino in gola, ma non ci riuscii, frenato anche dalla sua inesperienza ed evidente mancanza di uso in tale pratica. Lei mi guardava con gli occhi blu ripieni di lacrime, sentivo i conati stringerle la gola, la saliva le colava dalle labbra, finiva sul collo, oscena ed eccitante, facendolo risplendere sempre di più. Fui preso da una sorta di invasamento, tanto più lei era schifata da quella pratica, tanto più io mi accanivo, cercando di scavarmi la strada in quella gola, muovendo il bacino avanti e indietro e dimostrando in questo di non voler distinguere tra lei e la vagina che ora bramavo, scopandola al pari di essa e forse con ancora più violenza. L’orgasmo ormai aveva preso la sua strada, conducendomi attraverso alcuni attimi di puro delirio, Joy aveva cominciato a leccare il sesso della compagna e a penetrarla con la lingua “Brava preparamela dietro, è ora per me il momento di godere di altre parti del suo corpo” dissi oramai fuori di me, con il cazzo che cominciava a pulsare, rivolgendomi alla mora, la quale fu più che felice di assecondare il mio ordine, sorridendo, totalmente asservita al mio comando.

Fu brava, quando la penetrai per Hildee fu quasi indolore, questo quasi mi dispiacque, e anzi, gemeva sommessamente, mentre ad ogni colpo scavavo dentro di lei, ad un certo punto si allargò le natiche con le mani, sospettai che stesse per venire, non glielo volevo concedere, ero ancora indispettito da quel tentativo di ribellione, così infine mi lasciai andare, aumentando il ritmo della cavalcata per gli ultimi momenti, inarcando la schiena infine e stringendole le natiche perfette tra le mie mani, sbattendole le palle gonfie sulla fica umida e tumida e venendole dentro, liberando dentro il suo culo ormai non più vergine tutto lo sperma che potevo, godendo nel sentirla riceverne ogni singola goccia.

Fu assurdamente liberatorio, fu ancora meglio quando lo sperma le colò fuori dal culo, una volta che ne uscii, imbrattandola e colandole lungo le cosce, non volevo andasse perduto, così ancora una volta veci voltare Hildee in modo che rivolgesse il culetto morbido e roseo alle attenzioni di Joy. Quest’ultima aveva la schiena sporca, era esausta dalla lunga cavalcata con Kassandros appena conclusa, eppure non esitò un istante a leccare via con gusto il mio seme come se stesse assaporando il più gustoso dei nettari, raccogliendolo tutto tra le sue labbra scure e poi volgendosi verso Hildee, che non poté sottrarsi al ricevere il mio sperma in un caldo bacio.

Ciao, io sono Fairy Land e questo è uno spin off della mia storia principale scritto in collaborazione con Anonymys.

Lo ringrazio particolarmente per il tempo che mi ha dedicato, per la solerzia e per l'impegno.

La mia storia si chiama L'impero dell'Alba e la trovate pure su Wattpad, scrivetemi per commenti, critiche e suggerimenti all'indirizzo email: landfairy117@gmail.com
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Categorie: Lesbo Sesso di gruppo