Per quel che posso ricordare io, la casa in Calabria è stata da sempre il centro focale delle vicende della nostra famiglia. Avevamo poco più di dieci anni, io e mia sorella Elena, quando i nostri genitori ci offrirono il primo esempio dei conflitti che avrebbero punteggiato la loro vita in comune fino alla fine, anzi no, solo fino al divorzio che non rappresentò la fine di niente altro che di una litigiosa convivenza. In quella prima fase, è nostro padre a battersi alla morte per fare il massimo sforzo per acquistare la villetta di nuova costruzione: a sua avviso, è un affare da non perdere, per le opportunità immediate e per il valore in prospettiva. Mamma, benché sia perfettamente cosciente che papà non ne sbaglia una quando si tratta di affari, perché ha un fiuto eccezionale e su quello sta costruendo un successo invidiatissimo, non si arrende e dichiara che preferisce la pensione sul mare a pochi soldi ogni anno alla spesa morta che può servire solo pochi giorni all’anno.
La spunta papà, perché la logica dei fatti era dalla sua e, in poco tempo, la villetta diventa un oggetto pregiato. La seconda volta che assume proporzioni gigantesche nella vita della nostra famiglia si registra cinque o sei anni dopo, quando ormai la vacanza nella villa di Calabria è uno standard a cui non sapremmo rinunciare. Paradossalmente, ma solo in apparenza, è mamma che difende ad ogni costo il mantenimento dello stabile, che papà aveva anche pensato di vendere per farci un affare milionario. Non gli ci volle molto a capire che mamma era legata alla Calabria non solo per il mare e per il relax ma soprattutto per i ‘bronzi’ che incontrava continuamente e che rallegravano i suoi soggiorni calabresi: Ancora più paradossalmente, siamo noi figli a spalleggiarla, perché in spiaggia ci siamo costruiti un habitat che ci consente di essere protagonisti e di imperversare alla grande: per me, trovare una ragazza nuova era più facile che bere un drink; Elena cambiava quasi ogni sera maschietto e in un mese di vacanza faceva scorta di scopate per tutto l’inverno.
Apparentemente, il bistrattato era papà che se ne stava a Milano o in viaggio mentre noi folleggiavamo nel nostro porcile estivo come maiali all’ingrasso. Eppure, qualche segnale ogni tanto appariva ed anche ben visibile. Ma era perfettamente inutile segnalare a mamma, accecata dallo stesso bagliore che emanava dalla sua figura amata e coccolata da tutti i maschietti abili del paese, che una certa macchina era sempre ferma e che da bordo c’era gente che riprendeva e fotografava, che certi figuri giravano in maniera sospetta e annotavano: anche davanti alle testimonianze in tribunale degli investigatori, cadde dalle nuvole e non si rese conto di essere stata sempre spiata perché mio padre non era il pirla che lei voleva presentare e ci aveva fatto pedinare per anni. Per lei, l’importante era scegliere il bikini più audace per affascinare il ragazzotto di turno, portarselo a casa e scoparselo.
Nel giro di pochi anni, ebbi chiaro il significato del termine troia; ma dovetti passare attraverso molte occasioni in cui incrociavo in cucina ragazzotti sconosciuti che sbucavano dalla camera di mamma seminudi mentre lei si presentava discinta e sfatta dopo notti insonni; più volte mi trovai a bere, seduto in salotto, mentre dalla sua camera si udivano netti gli urli di piacere di lei che incitava il toro di turno a darci dentro, a sfondarla dappertutto. Avrei anche potuto risentirmene, se non fosse stato che, quando toccava a me, lasciavo che le mie amichette urlassero quanto volevano mentre me le scopavo. Quindi … tutti zitti; anche Elena, che i suoi cazzi se li mungeva apertamente e con rumorosi effetti. In due occasioni, mi trovai a incrociarmi, una volta con mia madre e il suo ganzo e una volta con mia sorella e un fidanzato: mamma addirittura mi propose di andare in camera sua con la ragazza e questa, una stronza senza pudore, accettò e si fece sbattere dal ragazzo di colore che aveva già distrutto mia madre, mentre io venivo quasi costretto a scoparmi mia madre e ad incularla con ferocia.
La villa in Calabria torna grande protagonista non appena mio padre si stufa di ignorare la troiaggine della moglie e della figlia e la porcaggine di suo figlio ed avvia una pratica di separazione e di divorzio che sembra arenarsi proprio sull’assegnazione della villa in Calabria, che mio padre vuole per l’affare economico e mia madre per difendere il suo regno della dissolutezza. L’ha vinta lei, prendendosi in cambio l’affidamento dei figli, con l’assegno del padre almeno fino alla laurea da concludere nei termini previsti dall’Università. Come sarebbe stato logico attendersi, subito dopo sbucano, come lumache dopo la pioggia, le ragazzine che lui in tutti quegli anni si era golosamente e cautamente scopato per pareggiare le corna: fu chiaro a quel punto che, come nella sua attività, aveva operato di fino per realizzare il massimo del vantaggio: carne fresca ogni sera nel suo letto, contro le forme sempre più appesantite della moglie; libertà di movimento, coperta dalle necessità di viaggio per lavoro; ed una barca di soldi che riusciva a spremere da ogni dove e a spendere con la massima disinvoltura.
Passata la bufera ormai ed essendosi ormai acquietati gli animi, anche quest’anno, non abbiamo rinunciato a passare tutta intera l’estate al mare trasferendoci nella villa in Calabria addirittura da circa metà giugno. Mamma ne ha approfittato per scatenarsi liberamente ed è andata immediatamente a fare conoscenza con il nuovo personale dei villaggi turistici del litorale, per scegliersi gli stalloni da montare (meglio, da farsi montare) questa lunga estate. Io e mia sorella abbiamo dovuto frenarci un poco perché la sessione autunnale degli esami è impegnativa per tutti e due e non è il caso di sprecare molto tempo, visti anche gli obblighi che il contratto di divorzio ci impone (laurea nei termini). Alla fine, mi trovo con la schiena piegata sui libri a sgobbare, mentre mamma fa il suo primo ingresso trionfale con il palestrato di turno, che non ha nessuna remora a stringerla e baciarla sin dal’ingresso, incurante della mia presenza. Guardo mamma con una certa severità ma agita la mano come a scacciare un moscerino … e credo proprio che alluda a me. Si chiudono in camera e dopo poco il rumore caratteristico del letto che sbatte contro la parete mi obbliga a mettermi le cuffiette ed ascoltare musica.
D’un tratto si sente lo squillo tipico di skipe e sono costretto a connettermi; mi compare mio padre, bello abbronzato, in piena forma, sullo sfondo di un mare luminoso. “Ciao, vecchio, come mai?” “C’è tua madre?” “E’ in camera.” “Chiamala, anche se sta scopando; e dille che devo parlarle con urgenza, per il suo interesse.” Apro la porta di camera e trovo mamma piegata a pecora col palestrato che le sta infilando nel culo un paletto di parecchi centimetri. “Mamma, papà dice che deve parlarti con urgenza nel tuo interesse!” “Di’ a quel cornuto di non rompere i coglioni; ho un gran cazzo nel culo e non lo mollo finché non l’ho spompato.” “Scusa, ma mi è sembrato preoccupato. Il cazzo lo puoi spompare anche dopo, con calma!” “Vaffanculo tu e tuo padre. Sto chiavando!” Anche Elena, attratta dal rumore, si affaccia dalla sua camera. “Che diamine succede?” “Papà è connesso in skipe e pare debba dire qualcosa di urgente; ma la troia qui sta mungendo un cazzo nero e non si vuole muovere.” Elena va al computer. “Ciao, pa’, di che si tratta?” “La signora non può interrompere?” “Forse non capisci la delicatezza di certi momenti.” “Davvero?” Attira a sé, facendola sollevare, una bellissima mulatta. “Questa è Marisol, stupenda pompinara della tua età.”
“Va bene, tu hai i tuoi metri, mamma ha i suoi,” “Di’ a mamma che i bond che ha comprato stanno per crollare. Tra qualche giorno rischia di finire in miseria. Scusatemi se vi ho disturbato per una sciocchezza. Auguri e, sappiatelo!, non darò un soldo più di quello che la legge impone, anche se vi doveste ridurre sul lastrico perché tua madre sta scopando!” E chiude il contatto. Elena entra come una furia nella camera di mamma. “Maledetta stronza!!! Quel poveraccio è ancora così corretto che ti avvisa che stai per fallire e tu per un wurstel nero ti fai gettare sul lastrico!” “Che cazzo dici. Chi mi dovrebbe gettare sul lastrico?” “La tua troiaggine unita alla tua imbecillità e all’incapacità di gestire quello che gli altri fanno per te!” “Che diavolo succede?” “Che la Borsa è un vulcano sul punto di scoppiare e che tu ci resti bruciata sotto, con tutti i tuoi beni, se non ti dai da fare. Vuoi sbattere fuori questo maialetto e cominciare a pensare a noi?” Mamma sembra rinsavire di colpo; liquida con qualche banconota il bull e si precipita al computer, dà uno sguardo alle quotazioni e decide di connettersi con papà. E’ ancora nello stesso punto, ma stavolta le ragazze che gli ronzano intorno (ma senza dargli assolutamente fastidio, anzi …) sono sei.
Esordisce scherzando. “Marisol, 19 anni, grandi pompini; Teresa 18 anni un culo favoloso che ho rotto e che frequento ogni martedì; Luisa 20 anni una figa stupenda da anni al mio servizio. Le vuoi conoscere tutte?” “No grazie. Cosa è successo?” “Ti avevo avvertito che quei bond erano pericolosi ma hai voluto prenderli lo stesso; adesso stai perdendo solo qualche decina di migliaia di euro; se non vendi immediatamente, avrai carta straccia per le mani.” “Cosa posso fare?” “Cosa puoi fare tu, lo devi sapere tu e soprattutto devi decidere per il meglio; io correrei a Milano e cercherei di sbolognare le azioni infette prima che scoppi la bomba.” “Non lo puoi fare per me, come le altre volte?” “No, perché dopo la sentenza non abbiamo più la firma paritaria; devi esserci tu e devi essere in borsa domani mattina.” “Come faccio? Sto a quasi mille chilometri!” “Un aereo normalmente ci mette due ore al massimo da Lamezia Terme a Milano.” “E i ragazzi? A chi li affido?” “Di quali ragazzi parli? Dei miei figli o dei giovanetti nel tuo letto? I miei figli sono maggiorenni, vaccinati e autosufficienti: lei è zoccola come la madre ma è intelligente e pronta a decidere; lui è un puttaniere come suo padre, ma come suo padre non perde il senso del giusto e della famiglia; quindi sono in grado di gestirsi perfettamente da soli; e se non lo sono, peggio per loro. Dei tuoi amanti ragazzini, puoi farne quel cazzo che ti pare!” “Porco!”
“Mamma, vuoi ragionare come una persona adulta, una volta tanto? Quest’uomo ti sta facendo un favore enorme, avvertendoti che devi agire per evitare il fallimento e tu ti metti a rompere i coglioni? Preparati che ti accompagno al’aeroporto; domani a Milano risolvi i tuoi problemi e ci fai sapere se torni in aereo o se dobbiamo essere noi a tornare in macchina perché la situazione è più grave di quel che pensi. Papà, questa imbecille non è capace di ammettere errori; grazie per averla aiutata anche stavolta. Per favore, cerca di ricordare che io ed Elena saremo anche un porco e una troia ma comunque siamo i tuoi figli e che, qualunque sia il nostro comportamento, ti vogliamo bene.” Si inserisce Elena. “Grazie, papà, ti voglio bene al di là di tutto.” “Ciao, ragazzi, scusatemi il linguaggio duro. Vi voglio un bene dell’anima, anche a questa troia, nonostante tutto.” Mamma mette su la coda ritta che usa quando è colta in fallo e si precipita a preparare la valigia mente io prenoto il suo volo, che per fortuna è ad un’ora compatibile col viaggio che dobbiamo fare fino all’aeroporto ed ha posti liberi a disposizione. In meno di un’ora sono in grado di portarla all’aeroporto e di rientrare per cena.
Ceniamo frugalmente, alquanto in ansia per le cose che sono successe; mamma telefona per avvertire che è arrivata a casa, ha parlato col suo commercialista: pare che la notizia non sia ancora trapelata e forse riuscirà a rimediare il danno; il consulente le ha anche suggerito di ripristinare le firme paritarie con papà (la legge lo consente anche in caso di divorzio se i coniugi lo vogliono) e forse potrà rapidamente rientrare in Calabria. Ci salutiamo per la notte e facciamo appuntamento per l’indomani, per telefono. Quasi subito dopo, squilla la connessione con papà che vuole essere aggiornato; gli dico che mamma è a Milano e gli spiego che l’hanno consigliata a ripristinare le firme. Lui si dichiara d’accordo e aggiunge. “Mi piacerebbe molto se vostra madre me lo chiedesse civilmente, questa volta. Lo farò, a prescindere, e l’aiuterò ogni volta che posso. Ma amerei tanto sentirla parlare da persona civile, specie se deve chiedere un favore e sa che lo farò.” “Papà, è impossibile far ragionare mamma con la testa; lei usa solo la figa e neanche quella con molto criterio. Ti dovrai accontentare del nostro affetto.” “Purtroppo lo so bene; spero solo che voi raddrizziate il timone e che possiamo ancora tenerci in contatto affettuoso. Ciao.” “Ciao, pa’” E chiudo.
“Mario, io non ho voglia di uscire stasera. Sono successe troppe cose che mi hanno demolito; non mi va di cercarmi un cazzo qualsiasi, ma una buona sborrata avrebbe un effetto calmante; se penso poi che papà avrà una bella mulatta da spupazzarsi quanto vuole e che mamma sta dal commercialista che, come sappiamo, da anni si fa pagare in natura, allora mi rompe proprio anche solo l’idea di farmi uno o più ditalini per trovare requie e sonno.” “A chi lo dici, Elena? Io ce l’ho già così duro che mi fa male anche stare solo in piedi. … Scusa, ma non me lo faresti un pompino? Sarebbe in buon viatico per dormire. In fondo, ne fai tanti a sconosciuti. Perché non uno a me?” “Con lo stesso criterio, potrei chiedere a te di leccarmi un poco, quel tanto da garantirmi qualche buona sborrata.” “Senti, il lettone è libero; vogliamo provare un 69 che ci consegni nelle braccia di Morfeo e ci faccia scaricare queste tensioni?” “Va bene, vada per il 69 terapeutico; potrebbe essere un buon escamotage anche per il futuro. Quanto meno, ci esporrebbe meno a giudizi e commenti, resterebbe tutto tra le pareti domestiche.”Detto fatto, ci attrezziamo per un meraviglioso 69 nel letto di mamma.
Elena mi spinge supino sul letto e mi sfila insieme boxer e slip: il cazzo balza prepotente verso l’alto e si appoggia sul ventre;lei si limita a sfilarsi il perizoma e mi salta subito sopra. So dai ragazzi del giro che la bocca di Elena è uno scrigno di piacere; tutti quelli che hanno assaggiato un suo pompino ne sono rimasti entusiasti; ed io ci metto poco a verificare personalmente che è tutto dannatamente vero. Mentre con una mano mi tiene il cazzo bello ritto, si abbassa a prendere in bocca i coglioni gonfi e tesi, uno per volta e, leccando, succhiando, mordicchiando mi fa attraversare tutti i gironi della libidine pura; quando passa con la lingua a lambire l’asta, devo contrarre il culo per frenare il desiderio di sborrarle immediatamente in bocca. Per distrarmi, mi dedico alla figa che mi ha sbattuto sul viso, tutta ben rasata e morbida, con le grandi labbra carnose e tumide; il clitoride si affaccia dalla vulva già gonfio e pronto ad essere succhiato; passo la punta della lingua sulle piccole labbra, aperte come un fiore rosa intenso, e mi impossesso del clitoride. Sistemandosi meglio su di me, si appoggia sulle ginocchia e fa in modo che io abbia perfettamente davanti alla bocca, insieme, l’ano e la vulva, così che possa, con una sola spatolata di lingua, leccare tutto insieme ed andare poi ad infilare la punta della lingua nella vulva o nell’ano: intanto, mi spompina con passione ed entusiasmo.
Si ferma un momento per suggerirmi. “Non ti azzardare a sborrare se prima non mi hai fatto godere almeno due volte!” e accompagna il suggerimento con una strizzata ai coglioni che mi raffredda ogni impeto e mi impone di riprendere da capo. Continuiamo a leccarci per circa un’ora, ogni tanto interrompendo la stimolazione per recuperare e ricominciare. Quando per la terza volta Elena urla come se la stessero squartando, si ferma un attimo e annuncia. “Ora ti faccio sborrare; vienimi in bocca senza problemi.” E si impegna allo spasimo a farsi scorrere il cazzo nella bocca e giù nella gola fino al limite del soffocamento. Io fibrillo e mi contorco come tarantolato per effetto delle leccate che accarezzano la base della cappella, per lo sfregamento del cazzo sulle labbra e sulle pareti interne della bocca. Sono decisamente al limite e, urlando per avvertirla, le scarico in bocca un fiume di sborra che devotamente fa depositare sotto la lingua e ingoia religiosamente fino a che il cazzo esce dalla sua bocca completamente pulito. Ci abbandoniamo spossati, la scarico dal mio corpo adagiandola sul lenzuolo e ci addormentiamo così come stiamo, con tutte le luci accese e con tutti i muscoli profondamene rilassati.
È l’inizio di una calda estate. Scampato il pericolo grazie alla tempestività dell’avvertimento (mamma non ha nemmeno il garbo di dire grazie a papà), tutto torna su un binario di apparente normalità. L’unica novità è rappresentata per l’appunto dal fatto che io ed Elena cominciamo a diradare le nostre ‘uscite di caccia’ alla ragazza o al maschietto e, almeno una volta alla settimana, prendiamo l’abitudine, al momento di andare a letto, di scaricarci con una seduta di ‘sesso terapeutico’ che si rivela via via sempre più utile e atteso: normalmente ce la caviamo con un sessantanove che ci consente un orgasmo a volte anche simultaneo; altre volte ci basta una reciproca masturbazione che assume toni da grande evento; qualche volta mi sollazzo con le sue tette in splendide spagnole. Non provo (e non penso neppure) di penetrarla in figa o di scoparle il culo, né lei me lo chiede: tutto rimane al di qua del ‘gioco da ragazzini’ che scoprono fanciullescamente il sesso. Inevitabilmente, viene il giorno in cui la mamma, stranamente libera quella sera dal suo quotidiano impegno a scoparsi un ragazzotto, ci sorprende che ci succhiamo con grande entusiasmo.
Stranamente (ma non troppo, considerato il personaggio!) da quasi in escandescenze e grida allo scandalo, al peccato, all’incesto. Cerco di farle presente che l’ho scopata in figa e nel culo; obietta che era stato del tutto involontario, che si era trovata coinvolta in un’orgia e senza accorgersene aveva sbagliato, ma non aveva peccato. Insomma, decide di denunciare la cosa a nostro padre per chiederne l’autorevole intervento: io ed Elena ci guardiamo allucinati mentre lei si connette a raccontare a papà una versione tutta sua delle nostre colpe. Papà si rivolge ad Elena. “Amore di papà, mi dici che avete fatto?” “Credo che la definizione migliore sia: un po’ di sesso ‘terapeutico’, solo di mani e bocche, per rasserenarci prima di prendere sonno.” “Nessuna penetrazione, in nessun buco?” “Niente penetrazione: seghe e ditalini, leccate e pompini, una spagnola e altri giochini di mani e bocca.” “Se le cose stanno cosi, un giorno che avremo occasione di trovarci insieme, mi piacerebbe invitarti a cena, ma anche poi manifestarti il mio amore paterno dilatandolo fino a sfiorare il sesso.” “Eh, no, paparino! Informati e ti diranno che qualunque donna, sin dagli inizi della sua sessualità, desidera fare l’amore prima di tutti con suo padre; io in questo senso non sono cresciuta; mi porto ancora dentro il trauma di aver perso la dimestichezza con mio padre prima di farci l’amore.”
“E quindi?” “Adesso che ti sei rivelato, appena saremo contemporaneamente a Milano, non aspetterò che si presenti l’occasione: me la costruirò io; ti inviterò a cena nel posto più bello della città e passerai con me una notte di fuoco fino al mattino seguente!” “Chi ti dice che sarò disposto? Fino al limite dell’incesto, fino ai giochini di tuo fratello, io riesco anche ad arrivarci; più avanti scatta il tabù!” “Ti impegni a invitarmi a cena?” “Si, senza esitazione: e voglio che sia qualcosa di meraviglioso.” “Affare fatto; per il dopocena vedremo fra tabù e maga chi vince!” “Sei anche maga?” “Stupido, ti amo, con tutta me stessa; e l’amore è il mago più grande. TI AMO capisci cosa vuol dire?” “Certo che lo capisco, visto che ti amo con la stessa intensità. Ma ho comunque paura; e non fare commenti … ho paura anch’io, in certi casi.” “Avete finito di scambiarvi smancerie amorose?” Mario sembra scosso. “Si, ragazzo, noi abbiamo finito di confessarci. Adesso perché non confessi tu? Ti sei scopato ancora tua madre?” “Si, una volta.” “E il vostro rapporto non è migliorato?” “Anzi, si è deteriorato.” “Mi spieghi, per favore, come è successo? Non è il caso di farsi scrupoli, mi pare.”
“Una sera io ero in camera mia con la mia ragazza, mamma faceva un casino del diavolo con un ragazzo nero, la ragazza entrò in camera per capire e si aggregò, convinsero anche me e nacque un’orgia, durante la quale la scopai e la inculai. Lei ora dice che era stata colta di sorpresa e che non si sente responsabile.” “Arcano svelato. Quello che vostra madre soffre è la mancanza d’amore. Voi non avete scopato, vi siete trovati abbracciati perché avevate paura: il vostro è stato amore fraterno che sfociava nel sesso. Elena sta dichiarando che mi ama fino a voler fare sesso con me. Tu hai il dovere di amare tua madre almeno una volta, fisicamente, come un novello Romeo con una novella Giulietta: devi farla illudere che sia ancora di nuovo vergine; devi amarla come l’ho amata io prima che voi nasceste. Ti è difficile cogliere questa cosa?” “No, anzi mi risultano più chiare tante cose. Ma come posso fare adesso?” “Posso fare il pigmalione?” “Per favore, te ne prego.” “Invitala a cena; vestiti elegantissimo, anche con lo smoking se ce l’hai, e obbligala a vestirsi come per una prima alla scala; portala nel locale più elegante della città e fai il cascamorto come se recitassi in una telenovela.”
“Credi che ce la posso fare?” “Devi imparare: un giorno ti servirà, e adesso più che mai. Tua mamma soffre di solitudine e tu le devi dare la sensazione di dipendere solo da lei (che è anche vero, se ci pensi) e devi trattarla come una principessa, devi essere elegantissimo e raffinato, premuroso e innamorato. Non amante, innamorato. Amante devi diventarlo quando, conclusa la serata, la riaccompagni a casa e lei ti invita in camera. Lì devi scoparla con tanto amore che il miele vi deve invischiare. E’ chiaro?” Elena interferisce. “Ma tu lo farai con me quando faremo l’amore?” “Io farò con te tutto quello che ho detto fino al limite della camera; da lì in poi ridurrò le possibilità e sarò il padre innamorato che gioca all’amore con la figlia che lo ama.” “Per il momento mi basta. Poi si vedrà. Credi che anche da me si aspetti qualcosa?” “Addirittura potrebbe volervi tutti e due, sia a cena che nel letto. Se ve lo chiede, accettate. Se non lo chiede, aspetta che ti chieda di amarla anche tu.” “Ma è possibile che devi occuparti dei pruriti di figa della tua ex moglie?” “No! Mi preoccupo del benestare dei miei figli: è un’altra cosa. Ciao, ragazzi, vi voglio un mondo di bene.” “Cheeeeee?” “Elena, ti amo.” “Ah, ti amo.” “Ciao,papà, ti farò sapere.”
Il vecchio ha visto giusto. Lascio passare qualche giorno poi lancio l’amo, approfittando delle stelle cadenti. “Mamma, domani è la notte di san Lorenzo. Che ne dici se andassimo a cena in un bel posto?” “Tutti e tre?” “Io pensavo ad una serata da innamorati, io e te, abiti eleganti, un locale di lusso, capisci?, tutte quelle cose che fanno due innamorati mielosi da cartolina. Non ti andrebbe di essere il mio grande amore per una sera?” “E me lo chiedi? Sarei felicissima di andare al tuo braccio in un posto elegante, cenare meravigliosamente e restare a guardare le stelle con tanto amore.” “Allora è deciso, prenoto per domani sera al ristorante per due.” “Elena la lasciamo sola?” “Io non credo che domani sera sarà sola, avrà certamente un ragazzo con cui guardare le stelle cadenti; lei col suo amore e io col mio.” “Elena, hai sentito? Ti dispiace se io e Mario ci concediamo una serata di grande amore?” “Poi ne riserverai una anche per me?” “Si, si, si decisamente si; decideremo insieme come e quando.” “Va bene, divertitevi e non esagerate.” “No, saremo buonissimi. Mi aiuti a scegliere il vestito?” “Certo; domattina ne cerchiamo uno adatto ad un’occasione importante come una prima a teatro.” “Ecco, proprio così.” “Va bene.”
In realtà è una bellissima notte di san Lorenzo. Mi tiro a lucido fin dal mattino e mi preparo con grande cura per essere elegante come non sono mai stato e, al momento di andare a cena, mi trovo di fronte ad una bellezza che non si era mai manifestata: mamma è veramente uno splendore, soprattutto per la felicità che sprizza da ogni poro. Sono compitissimo nel cerimoniale di percorso fino al ristorante, tra baciamani e attenzioni alla dama che si muove raggiante con me. La cena è per lo meno squisita, a base di pesce come d’obbligo in quella realtà, e ci troviamo molte volte a carezzarci le mani e a brindare affettuosamente; un paio di volte, ci scambiamo un leggero bacio attraverso il tavolo. Credo che siamo additati più volte, quella sera, come esempio di grande amore vivente. Mamma è meravigliosamente leggera e dolce; io non mi sento nemmeno per un momento impomatato, anche se sono chiudo in un abito troppo serioso per i miei gusti. Il culmine lo raggiungiamo quando, verso mezzanotte, dopo aver cenato, ci fermiamo sul terrazzo panoramico in attesa della caduta delle stelle. Quando ci sembra di vederne una, il bacio che ci scambiamo vale, per intensità, una vita intera.
Tornati a casa, accompagno sottobraccio mamma fino alla porta della sua camera; ma lei mi spinge ad entrare, “Il bicchiere della staffa …” Sussurra, e mi trovo abbracciato a lei da due tentacoli inestricabili che mi catturano tutto il corpo e lo stringono quasi a fonderlo col suo: una terribile voglia mi scatta tra le gambe e mi trovo quasi senza volerlo, col cazzo piazzato fra le sue cosce, frenato da pantalone e slip miei, vestito e perizoma suo. “Ti amo … ti voglio …” Sembra elemosinasse amore; la stringo con forza e la bacio appassionatamente su tutto il viso; poi comincio a spogliarla e, una volta tanto, sento una ragazzina fragile e ingenua farsi dominare da un maschio arrogante e invadente. Quasi dimenticando tutta la vita passata, mamma si lascia guidare e ‘sfogliare’ a mano a mano che gli abiti cadono; con molto pudore si cava il reggiseno, il perizoma e le calze; poi tutta nuda si lascia cadere supina sul letto. Sarebbe naturale che mi chini a leccarle la figa o che le pianti in bocca il cazzo che mi è diventato durissimo. Ma stranamente non me la sento di violarla così brutalmente.
Come se davvero mi trovassi tra le braccia una ragazzina vergine e casta, all’oscuro della vita, mi appoggio delicatamente sul suo corpo e, mentre mi sfilo il resto dei vestiti, le sussurro. “Non pensare, lasciati andare, non ti farò male, ti amo.” Come se davvero mi preparassi a sverginarla. A mamma scendono due lacrimoni che raccolgo baciandola sugli occhi, poi la penetro con forza e, per una strana reazione, geme quasi come se le avessi rotto un invisibile imene, mi stringe il corpo con le gambe e si aggrappa a me sussurrandomi tra le lacrime. “Amore mio, amore mio, finalmente sono tua …” Il vecchio ha visto bene: mi sta sovrapponendo alla loro prima volta e mi sta amando alla follia. Non ho il coraggio di montarla; lascio che il cazzo si gonfi di sangue e di amore; mi muovo delicatamente poche volte e alla fine sborro quasi senza accorgermene; ma anche lei si muove minimamente e lascia che il cazzo le domini la vagina fino all’utero e si abbandona ad un orgasmo dolce, delicato, quasi impercettibile. Restiamo abbracciati, senza muovere un muscolo, per un tempo che mi pare infinito, accarezzandoci con delicatezza e soprattutto guardandoci negli occhi come ci vedessimo per la prima volta.
Quando mi risveglio da quello strano incanto, le scivolo a fianco e mi distendo supino insieme a lei, semplicemente tenendole la mano; quel gesto tenerissimo mi appare quasi surreale e istintivamente porto la mano alle labbra, così solo per un lieve bacio d’amore. “Adesso vorrei morire!” Scatto seduto sul letto spaventato. “Mamma, che dici, perché vorresti morire?” “Per congelare in eterno quest’attimo e sentirmi amata, di colpo, dal mio grande amore di sempre fuso col frutto del mio grande amore di sempre.” “Già, sei stata amata in una sola volta da tuo marito, il grande amore della tua vita, e da tuo figlio, il frutto del vostro grande amore. Quindi non sei solo la stupida ninfomane che ci presenti ogni giorno; sei anche la donna meravigliosa che stasera mi ha amato e che io ho amato!” “Già!!!! Ed ora l’incanto è già finito; solo la morte lo avrebbe fissato per sempre.” “Non è vero; anche separatamente, sia io che il tuo unico amore ti amiamo da sempre per quello che sei e faremmo qualunque cosa per te!” “Allora, dammi il sonnifero che dai ad Elena e dormi con me fino a domani.” Mi mossi delicatamente, le infilai un dito in figa e presi a sditalinarla con dolcezza; sborrò dolcemente e silenziosamente, si accoccolò in braccio a me e prese a ronfare.
Elena, rientrando all’alba, ci trova così, nudi sul letto con la mia mano sulla figa e lei accoccolata a me; ci viene vicino e deposita un leggero bacio prima a lei poi a me che ne seguivo tutti i movimenti perfettamente sveglio ma incapace di agire. “Ciao.” Le sussurro. “Ciao.” Mi risponde; si spoglia lentamente e si stende a fianco di mamma, dall’altra parte. “Com’è stato?” Mi chiede. “Straordinario; credo che stia ancora sognando di fare l’amore con papà quando era ancora vergine. E tu?” “Io non so fare i miracoli come te; mi sono limitata a bere un po’ di spumante alla caduta delle stelle, ma non ho voluto accoppiamenti di nessun genere; anch’io stavo sognando di scopare con papà, ma da vergine. A proposito, com’è scoparsi una donna che si sente vergine?” “E’ di un delicatezza che non ti puoi immaginare. Ti auguro solo di provarlo, prima o poi. Mamma mi ha sbalordito!” Elena si china sul viso di mamma. “Ma … ha pianto?” “Si, di piacere, di rimpianto, di nostalgia, di amore, di felicità: non ho capito niente!” “Cazzo, quanto sento di amarla!” “Elena, figlia mia, sei qui?” Mamma si sta svegliando, ma è ancora in dormiveglia e, nel sonno, abbraccia Elena con forza. “Ecco, è questa la mamma a cui non pensavamo!” Scivolo dal letto quasi inavvertito e vado ad infilarmi sotto la doccia; quando torno in camera, madre e figlia si stanno ancora accarezzando, quasi a convincersi l’una dell’esistenza dell’altra e in breve cadono tutte e due in un sonno profondo e ristoratore.
Il ‘miracolo dell’amore’ dura solo una notte e il giorno dopo ciascuno riprende le proprie pessime abitudini, mamma a caccia di giovani cazzi da spompare, Elena a metà tra il dovere di studiare per gli esami d’autunno e il suo enorme gusto narcisistico di farsi vedere dovunque al massimo del suo splendore. Anch’io torno ai miei viziacci, compreso quello di tornare più volte a casa da notti brave, ubriaco e pieno di lividi. Mio padre si fa vivo in un paio di occasioni con collegamento in skipe, mi chiede della notte brava con mamma e gli confesso di averlo sostituito nell’amore con mamma, perché lei lo aveva voluto. Tutto è ormai rinviato a settembre, quando, da Milano, le cose avrebbero assunto una nuova dimensione. Mamma non fa mai più cenno alla notte di San Lorenzo; ma finalmente accetta di essere solo mia madre senza ulteriori pretese di centralità alla mia vita e senza cercare ad ogni costo di imporre la sua volontà.
Nostro padre sembra all’improvviso tornare nelle nebbie del mistero e non riceviamo più comunicazioni; tornati a Milano, abbiamo quasi la sensazione che si sia perduto nelle nebbie o che sia emigrato in paesi lontani. Elena non riesce a non pensarci e se ne fa quasi una malattia. Cerca, indaga, interroga, esamina finché trova una traccia che la porta ad uno degli hotel di lusso dell’hinterland. Da quel momento devo affidarmi al racconto che me ne ha fatto poi lei, perché sul suo percorso io non c’ero e non posso giurare che le cose siano andate esattamente come me le ha raccontate. Ma di Elena mi fido e non aveva motivo per mentire. Una volta individuato l’albergo che papà usa come base a Milano, Elena vi si precipita quasi a rompicollo con la sua utilitaria. All’ingresso la bloccano severamente; chiede dell’ingegnere; qualcuno controlla una cartella e, stranamente, si aprono tutte le porte, si alzano tutte le sbarre. Alla reception, l’incaricato si limita a consegnarle una chiave e suggerire. “Suite numero 6 all’attico.” Un inserviente chiede se ha bagaglio; non ne ha; consegnale chiavi della macchina perché la parcheggino, prende l’ascensore e il lift la fa scendere al piano. Apre con la chiave che le hanno consegnato e, dentro, trova una bella mulatta.
“Io sono Teresa; l’ingegnere mi ha avvisato che saresti arrivata. Tu sei Elena, vero?” “E tu chi sei? Che ruolo hai?” “Sono Teresa e sono stata messa a tua disposizione.” “Sei una delle amanti dell’ingegnere?” “Sono stata, da un anno sono una persona libera e lavoro all’hotel.” Persona libera: l’espressione le suonava strana, ma zittì. Teresa la accompagnò per la suite, le indicò la jacuzzi nel bagno, gli abiti nell’armadio e le scarpe nel mobile apposito. “Puoi fare quello che vuoi, scegli quello che ti aggrada. L’ingegnere arriverà in serata.” “Scusa, ma come fai ad avere la mia taglia e i miei gusti?” “Non sei l’ultimo grande amore dell’ingegnere?” “Questo lo chiederemo a lui. Ma tu sei stata un suo grande amore?” “Naturalmente, per u certo tempo, poi sono venute le altre. Tu sei strana. “Perché?” “Perché sei bianca, non una nera o mulatta come noi, dove ti ha comprato?” “Comprato?!?!?! Ma che cazzo dici? Per caso tu sei stata comprata?” “certo; come tutte le altre che l’ingegnere per fortuna sceglie di comprare.” Ho la testa che mi scoppia, no riesco a capire niente; Teresa cerca di mettersi nei miei panni e delicatamente mi spiega l’arcano.
Mi dice che in molti paesi sottosviluppati, per alcune famiglie poverissime è normale vendere figli come schiavi o del sesso o per il mercato degli organi; che a questo si dedicano organizzazioni e personaggi assai squallidi; in quel mercato si è inserito l’ingegnere (che lei non sa essere mio padre) che acquista di tanto in tanto delle ragazze per inserirle nel suo harem personale; ma tutte sono felicissime e si augurano che sia lui a sceglierle, perché per un certo periodo le usa per i suoi divertimenti sessuali; quando le sostituisce, fa in modo che trovino una collocazione dignitosa e si possano costruire una vita, come è capitato a lei. “Se tu pensi che le organizzazioni dopo averle spremute fino ala fine, le abbandonano nelle mani di protettori da marciapiede o addirittura le fanno fisicamente sparire, capirai che per noi che siamo sopravvissute, lui è un angelo. Per lui ognuna di noi farebbe qualsiasi cosa, da farci l’amore in presenza del marito e farsi massacrare di botte se gli venisse un raptus.” Le chiedo quante ragazze conosce che hanno avuto la sua stessa sorte. A Milano ne circolano una ventina; altrove, non sa. La povera Teresa no sa quanto mi stiano caricando d’amore le sue confidenze.
Mi infilo nel bagno e mi godo la jacuzzi quasi per un’ora; Teresa mi assiste come una sorella e mi fa sentire molto coccolata; quando esco asciutta dal bagno, mi intrattengo un tempo infinito ad ammirare tutti gli abito che mio padre mi ha fatto trovare e mi perdo nel piacere della scelta. “Stasera credo che dovresti essere molto elegante: è la tua prima cena con lui,vero?” “Si, è la prima volta in assoluta che ceno con lui e voglio affascinarlo in tutti i modi.” “da come mi ha parlato di te, non hai bisogno di affascinarlo ancora: già stravede per te.” Mi sento lusingata e Teresa non può capire quanto queste cose lusinghino la mia vanità e la mia voglia di fare colpo su mio padre. Cincischiamo ancora un’oretta tra intimo, abito e scarpe e alla fine siamo d’accordo su un abito verde di seta che mi carezza il corpo meravigliosamente, con un perizoma invisibile, un accenno di reggiseno che segnala, più che sostenere il mio petto matronale ed infine le scarpe con un leggero tacco che spinge fin troppo in alto il mio culo scultoreo. Stiamo scegliendo i gioielli, quando Teresa mi avverte. “L’ingegnere sta arrivando.” “Come lo sai?” Si è accesa una spia che indica che l’ascensore sta arrivando all’attico.
So che mio padre sa già della mia presenza e non fingo la sorpresa ma mi faccio trovare davanti all’uscio ferma in tutto il mio splendore con Teresa che mi guarda incantata. Quando apre la porta, lui si ferma per un attimo e mi sembra che il suo cuore èpera un colpo; si riprende immediatamente e mi abbraccia con amore; cerco di portare le labbra sulle sue, ma mi porge la guancia e accetta solo un bacio filiale. Mi fa incazzare; sicché, comincio ad accarezzargli il corpo da sopra lo splendido completo che indossa con estrema eleganza. “Mi proibisci di sentire almeno sotto le mani la tua pelle, il tuo calore, il sapore della mia carne?” Gli sussurro in un orecchio. “Tutto ha un tempo; lasciami godere il piacere di abbracciare mia figlia, il sangue del mio sangue, la carne della mia carne, il mio amore infinito.” Mi ha già smontato. “Papà, io ti amo; e te lo ripeterò ogni momento, in tutti i modi, finché staremo insieme. Quindi, o mi cacci o mi ami.” “Teresa, che ne dici: amarla o cacciarla?”
“Senti, paparino: questa è veramente tua figlia; ora solo me ne accorgo e mi dispiace di non averlo capito subito. Come ti ama lei non può averti amato, non può amarti e non potrà amarti mai nessuno. Te lo dice una che suo padre l’ha amato anche quando ha deciso di venderla per bere e che da sempre ti ama come un padre e ti chiama paparino per illudersi di sostituirlo. Non ti azzardare a respingerla e dalle tutto quello di cui ha bisogno; non lasciare che si svenda a chiunque per avere un surrogato di te!” “Ha parlato la filosofa! Stai al tuo posto e taci!” “Perdonami, non era questione mia!” “Un corno! Hai detto quello che io non ho saputo dire. Ciao, papà, ti amo e se non mi dai il tuo amore, tutto, intero, giuro che faccio follie!” “Sei pronta per la cena?” “Sei pronto per il dopocena?” “Pensiamo per ordine; prima la cena; poi si vedrà!” “Faccio servire in camera?” “Neanche per sogno! Tutti devono vedere il mio grande, assoluto, immenso unico amore, tutti devono ammirare la sua bellezza travolgente e l’amore infinito che ho per lei. Ceniamo nel salone!” “E’ una scelta giusta e bellissima. Elena, per favore: puoi dimenticare quello che ho detto?” “No. Anzi, voglio ricordarlo perché rafforza il mio amore. Ti voglio bene.”
Scendiamo nel salone ristorante e lo attraversiamo fino al tavolo centrale; mi muovo impettita e trionfante, orgogliosa di avere a fianco il mio cavaliere elegantissimo, il mio papà, il mio amore infinito, il mio uomo! Non ci vuole molto a capire che è una forza, anzi una potenza incontrastabile; ma a me interessa solo sapere che quella forza mi difende; deve essere anche molto cattivo: lo leggo in molti sguardi di odio che lo bersagliano ma mi sento accomunata a lui; deve essere anche generoso ed amato: altrettanti sguardi lo coccolano e sembrano godere della sua vista; per qualche verso, mi disturbano di più. Ma è il mio papà, anzi il mio uomo. Avanziamo per tutta la sala nell’ammirazione generale, prendiamo posto e comincia la cena più straordinaria che avessi mai sognato: non smetto di accarezzargli una mano ogni volta che posso; cerco tute le occasioni per bere dl suo bicchiere, per farmi baciare sul viso e, di striscio, sulla bocca; lo tormento con mille carezze. E’ la prima volta che assaporo la sua pelle, il suo calore, il suo corpo, il suo odore; e cerco di riempirmene, di assorbirli fin dentro di me, faccio l’amore con tutto mio padre senza neanche toccarlo, solo desiderandolo intensamente.
Quando la cena finisce, mi chiede se voglio andare da qualche parte. “Sopra, da noi, a farci un miliardo di coccole!” É la mia prevedibile risposta. “Mi prometti di restare nei limiti che abbiamo detto?” “Io ci provo; se li superi tu, non ti fermo.” Torniamo nella suite; Teresa è andata via e siamo soli; mi stravacco su un sofficissimo divano, mentre lui si libera di giacca, cravatta e scarpe e assume una dimensione casalinga; versa del whiskey in due bicchiere e me ne offre uno; finalmente si viene a sedere vicino a me e mi passa una mano dietro le spalle: appoggio la testa sul suo petto e mi fermo a respirare il suo odore, il suo calore, la sua pelle; appoggio lievemente le labbra sul petto e gli do qualche piccolo bacio sul capezzolo che sento inturgidirsi; sposto lo sguardo sulla patta e mi accorgo che è ben gonfia e tesa; lo stringo anch’io per la vita e il mio seno va a schiacciarsi sul suo petto: il mio capezzolo sembra bucare i vestiti e il suo costato. Ansima un pochino. “Teresa ti ha chiamato paparino; sono certe che anche le altre hanno vezzeggiativo per te, visto come ti amano e come le ami tu. Sta zitto, Teresa mi ha detto abbastanza per farmi capire che ti hanno già santificato. Qual è il mio vezzeggiativo per te?”
“Da piccola mi dicevi sempre e solo papy; io lo conservo come il tuo appellativo per me.” “Allora, papy, possiamo darci un poco d’amore?” “Cosa ti stai prendendo adesso?” “Se devo rubare, io sono capace; ma io voglio che tu mi dai, anzi che tu mi regali un poco d’amore. Ti va?” Appoggia il bicchiere al tavolino, si gira, mi abbraccia con forza e incolla le sue labbra alle mie. Le lingue si rincorrono in una giostra meravigliosa, in cui ognuna vuole dominare l’altra e ciascuno di noi cerca di succhiare quello dell’altro come un cazzo. Contemporaneamente, mi lascio scivolare lunga distesa sul divano, lui inevitabilmente mi finisce addosso con tutto il corpo ed io finalmente sento il suo cazzo diventare durissimo contro il mio ventre; lo abbraccio con tutte le mie forse e continuo a baciarlo con la massima intensità. Ci fermiamo per un attimo, gli apro la camicia e gliela sfilo insieme alla maglietta: finalmente posso svariare sul corpo che ho sognato per tanti anni. “Mio … mio .. mio … mio” continuo a ripetere come un mantra e percorro con le dita, con la lingua, col viso il torace fino alla cintola, i pettorali fino ai capezzoli che succhio come se allattassi. “Questo è il tuo copro, mio; questa è la tua pelle, mia; questo è il tuo odore, mio … da quanto ho amato questo corpo, da quanto ho desiderato toccarlo, leccarlo, sentirlo mio. Ti amo, ti amo, ti amo.”
A questo punto neanche lui regge; mi slaccia il vestito con foga, quasi strappandomelo di dosso e, davanti al mio splendido corpo coperto appena da un reggiseno striminzito, da un perizoma inesistente da autoreggenti inutili, si ferma come incantato a percorrere ogni piega; poi prende ad accarezzarmi con una voglia pazzesca; sento che il cazzo preme fino a fargli male; apro la cerniera per lasciarlo respirare e lo afferro con tutti gli slip già largamente bagnati di precum. Ci fermiamo sorpresi quasi a domandarci fin dove spingerci; poi è lui a prendere l’iniziativa: mi sgancia il reggiseno e prende a leccarmi e succhiarmi le tette. Tanti me l’hanno fatto, e qualcuno con molta bravura; ma lui è mio padre: a parte che è in assoluto più bravo di tutti e riesce a darmi delle emozioni che non ho mai provato, che partono dall’intimo delle viscere per scaricarsi sui capezzoli e scatenarmi orgasmi a ripetizione; a parte che il mio more amplifica anche le più piccole sensazioni che ricevo da lui; a parte tutto’ c’è, nella bocca che mi lecca e che mi succhia le tette, l’amore che non avevo mai sperimentato, il sogno che fin da ragazzina ho inseguito, quello di mio padre che mi masturbava, mi succhiava le lette e mi leccava la figa. Solo d quello, adesso, ho bisogno.
E papà me la lecca, come io sognavo, come ho sempre desiderato, come solo lui poteva fare. Sposta solo il laccetto del perizoma e mette in piena luce le grandi labbra ormai allagate, tumide, gonfie e vibranti per la libidine che mi sta scatenando. Quando la lingua arriva a lambirle, urlo come un capretto scannato; quasi si spaventa, poi avverte che è orgasmo e si scatena sulle grandi e sulle piccole labbra, sulla vulva tutta insieme e sull’ingresso alla vagina. Quando mi strizza fra le labbra il clitoride, il mio urlo è come una sirena di fabbrica mezzogiorno: tremo e mi scuoto come per effetto di un terremoto; ed è un terremoto quello che si scatena dentro di me. Si ferma di colpo e cerca di respirare ritmicamente. “Cosa vuoi che facciamo adesso? Giochiamo ancora fino all’orgasmo o arriviamo all’amore completo?” “Non me lo chiedere; la mia risposta è scontata: ti voglio, dentro, fino in fondo. Per me sarà farmi sverginare da te; per te non lo so e non lo voglio sapere.” “Non se affatto vergine, in nessun senso. E, se lo fossi, non ti sverginerei. Cosa posso fare, maledetta strega? Perché non mi chiedi di fermarmi?”
“Te lo ricordi quel tuo amico calabrese, col quale dovevi fare quel maledetto affare e lo invitasti alla villa?” “Che c’entra?” “E’ stato lui; ti somigliava tanto, ti ricordi; io operai il transfert e gliela diedi; se la prese senza battere ciglio; poi mi lasciò in un angolo e disse che qualcuno l’avrebbe comunque fatto, meglio lui che un altro. Da allora ho cancellato i freni. Vuoi sapere come vivo questo momento? Sono tornata alla villa in Calabria e stavolta sul divano con me ci sei tu, non la tua controfigura; ed ora sono io che ti voglio dentro, sono io che voglio sentire il mio imene saltare, la mia figa bruciare e inondarti d’amore, da tutti i pori, per essere finalmente e totalmente tua. I cazzi passano e la sborra si lava. Qui non ci sono un cazzo e una figa; c’è una donna nuova, ingenua, casta persino; e c’è l’uomo che lei ama, che ha sempre amato, che non smetterà mai di amore, come padre e come uomo. Io mi sento già sverginata, da te adesso, non cinque anni fa, prima di tutti i cazzi che mi sono presa. Io sono la piccola Elena che vuole sentire il suo papy nel suo pancino e non se ne frega di niente. Ti amo, papy, solo questo conta.” “E io ti odio; io odio quella stronzetta che non parlò allora e che ricorse al surrogato per chiedermi amore. E io ti amo oggi come ti amavo allora, come ti amerò sempre, con tutte le fibre del corpo, non solo col cuore, da padre, ma anche col corpo, col cazzo se vuoi, come il tuo unico amante, l’unico uomo che ti ha amato e ti ama totalmente, l’unico uomo che puoi amare e che amerai per sempre.”
Si è avvicinato col cazzo al mio inguine e sento finalmente la cappella premere contro le grandi labbra: mi apro fino ad abbracciarlo con le cosce intorno ai fianchi, finché le caviglie si incrociano sulla schiena e, con una spinta, mi penetro fino al’utero. Urlo, come se veramente mi stesse rompendo un immaginario imene; mi sento violare per la prima volta e lo bacio, dolcemente, castamente, come una sposina appena deflorata, singhiozzando e amandolo con tutta me stessa. Mio padre mi monta con delicatezza e con forza; mi fa sentire la stazza del suo membro e mi solletica con essa la vagina fino all’utero. Esplode con una violenza inaspettata e mi inonda la figa della sua sborra, della mia sborra; poi si rialza senza uscire da me. “Dio, non ti ho neanche chiesto se eri protetta.” “Nessun timore. Prendo la pillola. Ma un giorno mi farò ingravidare da te.” “Complimenti. Sai che vita prepari ad un figlio che è anche tuo fratello, che è mio figlio ma anche mio nipote. Ti rendi conto dell’assurdo che dici?” “Ti risulta per caso che l’amore sia meno che assurdo? Non ho detto oggi e nemmeno tra qualche anno. Se troverò un uomo a cui attaccarmi per tutta la vita e che mi faccia rinunciare all’amore per te, mi sposerò e ti farò nonno; ma se non trovo uno che meriti di sostituirti nel mio cuore, quando sarò abbastanza vecchia per non poter aspettare oltre, il figlio me lo darai tu, l’unico uomo che io vedo idoneo ad essere padre di mio figlio. Rassegnati. Ti amo alla follia; e non è un modo di dire.”
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