Non è mai stata facile per nessuno, la vita nei paesetti: anche se la qualità di vita è decisamente superiore, per molti versi resistere non è facile, specialmente quando si è giovani (o molto giovani) e i sogni superano qualunque realtà o prospettiva razionale. Forse anche per questo, a quindici anni, lasciai che mi abbassasse le mutande e mi sverginasse, con la convinzione che questo avrebbe rafforzato il legame tra due che volevano correre l’avventura di cercare fortuna a Milano. L’unica realtà fu che il giorno dopo tutto il paese sapeva della sua nuova vittoria, resa ancora più ‘eroica’ perché la sconfitta era stata la Flora, quella che aveva dichiarato più volte di non aver bisogno di nessuno. Anche questo contribuì alla mia scelta, appena maggiorenne, di andarmene per sempre e, sbarcata a Milano, di costruirmi coi denti, a cominciare dal servizio in una pizzeria gestita da un corregionale, il percorso che mi portò ad essere una donna forte, autonoma, felice del suo lavoro, che sceglieva gli amanti sulla base delle sue personali esigenze e li usava per il tempo che riteneva necessario ed opportuno. Al momento della partenza, solo un ragazzo quasi piangeva mentre mi abbracciava alla stazione degli autobus: si chiamava Salvatore; per tutti era Salvo; per i suoi amici più cattivi era Mammoletta, ma non sapevo perché.
Ritornai al Paese, dopo qualche anno, solo per assistere al matrimonio di una vecchia amica che aveva tanto insistito per avermi come damigella d’onore: in fondo, una rimpatriata mi faceva anche bene. Quando arrivai in piazza con la mia rombante cabriolet, vidi immediatamente Salvo, che quasi si nascondeva vergognoso finché non fui io a chiamarlo e mi abbracciò con una foga che non aspettavo. Quasi subito dopo, vidi sulla porta della farmacia l’imbecille che mi aveva ingannato; Salvo si precipitò a raccontarmi che aveva creduto di fare l’affare della vita sposando la figlia del farmacista ed ora si trovava schiavizzato a una megera che lo copriva di corna in tutti i momenti: conoscevo la figlia del farmacista e già da ragazzine si dicevano di lei cose turche; a me piaceva per la decisione del piglio, per la sicurezza dei comportamenti; con il potere che le derivava dalla posizione sociale imponeva la sua autonomia anche in un ambiente retrivo come la piccola provincia. Uscì dal negozio in quel momento e mi venne incontro a braccia spalancate con sincera amicizia; non ebbi nessuna difficoltà ad abbracciarla a mia volta perché, in fondo, da ragazze, ci eravamo bene intese ed eravamo state molto concordi.
“Ti piace ancora divertirti?” Mi sussurrò quasi in un orecchio. “Certo che si!” Risposi prontamente. “Quanto ti fermi?” “Un paio di giorni.” “Domani mi vieni a trovare dopo pranzo; penso di organizzarti una bella sorpresa.” “Ok, a domani.” La cosa un poco mi meravigliava; ma ricordavo bene che Elena, quando ci fu l’episodio dell’inganno, era stata apertamente dalla mia parte, contro l’imbecille che poi aveva sposato: mi sorse il dubbio che l’aveva fatto per avere un paravento alla sua dissolutezza. Mi riservai di approfondire l’indomani. Per il momento, mi incuriosiva di più l’appassionata accoglienza di Salvo che si era di nuovo ritirato in un angolo, quasi timoroso, ma vedevo che continuava a fissarmi quasi con amore. Mi avvicinai e gli chiesi di offrirmi un caffè: farfugliando e muovendosi da impacciato, si precipitò a precedermi al bar, profondendosi in mille salamelecchi che mi fecero un po’ ridere; per ringraziarlo, gli accarezzai il viso ed improvvisamente avvampò come se fosse sul rogo. “Mammoletta, non ti agitare per la Divina; è un essere umano come tanti!” Non riconobbi subito il personaggio; poi lo focalizzai e commentai. “La madre dell’imbecille è sempre incinta; quella degli stronzi, peggio ancora!” Accennò a tirarmi una sberla e si trovò steso contro il juke box: Salvo era tutt’altro che mammoletta, quando picchiava; intervennero gli amici e lo portarono via.
“Dai, Salvo, non ti fare il sangue amaro …” “Ma devono rispettarti, soprattutto quando sei con me.” “Dai, forse voleva solo scherzare. Ma, dimmi, per caso sei ancora innamorato di me?” Lo era stato, profondamente, anni prima, quando ancora vivevo in paese; ma speravo gli fosse passata. “Ti offendi se ti dico di si?” “Non, non mi offendo; mi fa piacere. Ma forse devi dedicarti a qualche ragazza del paese. Io ora vivo a Milano.” “Lo so … ma non posso farci niente.” Bevvi il caffè e lo salutai stringendogli la mano per non provocare altre reazioni particolari. Andai poi a trovare mia nonna con la quale ogni tanto mi tenevo in contatto. Fu felice di vedermi, mi tenne sotto torchio per tutto il pomeriggio, informandosi di tutto, dal mio lavoro al modello delle mutande che indossavo. Ovviamente, la domanda chiave era se avessi un fidanzato e quando pensavo di mettere la testa a partito. Le raccontai qualche frottola per tacitarla e le segnai su un foglio il mio recapito di Milano. “Non si può mai sapere, dovessi averne bisogno per te o per qualcun altro …” Cenai da lei, in un’atmosfera di grande amore familiare; e dormii serenamente, cullata dal silenzio quasi palpabile della campagna.
La mattina dopo andai a casa della mia amica per avvertirla che ero lì per la cerimonia; inutile dire che le effusioni furono persino esagerate, mi fermai a pranzo (guai a cercare di declinare l’invito) e, subito dopo aver pranzato, mi accomiatai per raggiungere la farmacista come d’accordo. Era in bottega, mi accolse con gioia e mi guidò sul retro, verso l’appartamento che avevano realizzato sopra il negozio. Mentre salivamo, mi chiese a bruciapelo. “Te la senti di trasgredire forte, prima del matrimonio?” “Ma non è pericoloso, in paese?” “Lascia fare a me. Ora ti faccio vedere; se ti va, entri in mischia; se no, stai a guardare o vai via.” “OK.” Fece un numero di telefono, parlottò e mi guido verso la camera da letto; entrando, mi cinse nella vita e mi baciò sul collo. Non avevo praticato molto l’amore saffico, ma non mi dispiaceva e Paola era molto calda, morbida e appetitosa; mi girai dentro l’abbraccio e la baciai io con violenza. Limonammo per una decina di minuti palpandoci in tutto il corpo, infilando mani, dita e lingua dappertutto, poi finimmo sul letto scosciate e seminude. Ci spogliammo velocemente. Mi venne spontaneo chiedere. “E tuo marito?” “Lui entrerà alla fine, sarà bello, vedrai!”
Mi trovai coinvolta in un 69 intenso e violento con davanti al naso la sua figa coperta da una peluria lunga e folta: non si era mai neppure sistemata un poco i peli e, per trovare le grandi labbra e il clitoride, dovetti quasi faticare; poi li raggiunsi e mi resi conto che era di una sensibilità eccezionale, che la faceva gemere ad ogni leccata e sborrare non appena si succhiava un poco più forte. Io invece mi ero rasata per avere una piccola linea di peli intorno alla figa e per far risaltare le piccole labbra e il clitoride. Ma Paola era feroce e travolgente, mi aspirò tutto nella sua bocca e, leccando, mordicchiando, succhiando, penetrando con le dita mi fece urlare di piacere per tutto il tempo e mi fece sborrare a fontana. Bussarono alla porta, andò ad aprire e tornò in camera da letto con due ragazzi neri molto giovani, già tutti nudi e dotati di cazzi da concorso internazionale. “Ne vuoi uno o me li lasci?” “Col cazzo che te li lascio: uno a me, uno a te, poi ce li scambiamo.”Le successive due ore furono una sarabanda infinita di sessi che si incontravano, si scontravano, si univano e si rincorrevano in un tourbillon di movimenti assolutamente imprevedibili, ma stranamente armonici e, alla fine, concordanti.
Uno dei ragazzi mi montava addosso e mi penetrava alla missionaria con un cazzo che mi faceva dolere l’utero, tanto entrava in profondità; l’altro, intanto, sfondava il culo di Paola e le arrivava fino al profondo nell’intestino mentre lei lo incitava a dargliene sempre di più; poi ero io che succhiavo alla morte il cazzo del più piccolo, perché il culo doveva rimanere ad ogni costo inviolato ed inviolabile, quasi sacro, mentre lei si faceva sbattere in figa con violenza. Ci scoparono per due ore con una tenacia ed una resistenza che non ci si aspetterebbe da nessun essere umano: nonostante i sapientissimi maneggi che avevano distrutto uomini anche più forti, non cedettero un momento e non versarono una goccia di sborra. Mi ero quasi incazzata di questa carenza, quando la porta si aprì e comparve il marito. Per un attimo mi fermai; Paola, invece lo apostrofò. “Finalmente il signorino si è deciso ad arrivare: si stese supina e mi invitò a fare altrettanto; indicò ai ragazzi neri di montarci alla missionaria e suggerì. “Potete venire solo dopo che ci avrete fatto sborrare per bene. Intesi?” Non risposero, si lanciarono addosso a ciascuna e cominciarono una monta furibonda. Sborrai almeno tre volte di seguito, prima che lui mi scaricasse nella pancia una lava di sperma. Paola ebbe solo due orgasmi, ma capii che l’avevano svuotata, quando lui le scaricò il contenuto delle palle in figa.
I due ragazzi si eclissarono e Paola fece cenno al marito di avvicinarsi; gli indicò la mia figa. “Lecca l’ospite, schiavo!” Lui si mise in ginocchio sul letto, fra le mie cosce, e cominciò a leccarmi la figa: era dolcissimo il contatto, chiusi gli occhi e mi abbandonai al piacere di sentirlo percorrere tutto il sesso, dalle grandi labbra alle piccole, dal clitoride alla vagina, stimolando, carezzando, succhiando, mordicchiando, ingoiando con una precisione chirurgica quasi: capii che lei lo aveva bene addestrato allo scopo. Quando mi sentì completamente pulita, si spostò verso la moglie, ma lei lo rovesciò supino sul letto, gli montò sulla faccia con la figa, gli sparò un peto terribile sul volto e gli ordinò di leccare e di pulire tutto, figa e culo, dentro e fuori. Non ho mai saputo se mi eccitò di più lo spettacolo di lui che leccava culo e figa, ingoiando piscio merda e sborra del nero; o se invece il godimento nacque di più dal vedere vendicata la violenza che mi aveva imposto con l’umiliazione che Paola gli imponeva; per un attimo mi pentii di essermi limitata ad una pratica goduriosa senza infierire come Paola; poi, a mente più fredda, riflettei che l’importante era stato fare sesso con grande piacere. Uscii soddisfatta, sazia e felice.
Passarono ancora alcuni anni; io mi ero ben sistemata a Milano: nel lavoro, dirigevo quasi da sola un reparto di grandi magazzini e godevo della fiducia dei capi; lo stipendio era buono, quasi da dirigente, e mi consentiva di affrontare senza patemi il mutuo per la casa; uscivo spesso da sola o con amici ed ero presente nella vita sociale; qualche scopatina me la ritagliavo appena ne avvertivo la necessità, ma senza impegnarmi. Ma il senso della famiglia mi opprimeva e spesso mi soffocava: vissuta senza genitori, morti quando ero bambina, e allevata da mia nonna, sentivo il groppo alla gola gonfiarsi quando pensavo ad una vita futura senza compagno e senza figli. Ma avevo anche una paura fottuta di commettere un errore legandomi a quello sbagliato e di dover poi affrontare il trauma di una rottura. Anche per questi motivi, valutavo spesso l’ipotesi di concedermi alla speranza,ogni volta che appariva all’orizzonte qualcuno che sembrava interessante. Quello con cui da un paio di settimane stavo scopando con una certa soddisfazione pareva avere le carte in regola per essere il compagno giusto, al punto che ero decisa, prima o poi, di affrontare con lui il problema.
Infatti, una sera, mentre ci rilassavamo dopo una soddisfacente scopata, cominciai ad accennare, prendendola da lontano, all’ipotesi di una possibile vita in comune. “Stai pensando al matrimonio?” “Non correre: ce ne vuole prima di dire di si davanti al sindaco o ad un prete!” “E allora parli di convivenza ufficiale?” “Quella potrebbe venire, ma dopo.” “Scusa, ma allora a cosa pensi?” “Penso all’unica verginità che mi è rimasta: quella della figa l’ho data via da incosciente, visto anche che ero una ragazzina; quella del culo la voglio concedere lucidamente, quando sarò sicura di potermi fidare dell’uomo che scelgo.” “Quindi, posso sperare che mi darai il culo, una di queste sere?” “Non so, ci sto pensando.” La cosa sembrava essere finita lì. Ma la vita riserva sempre sorprese. Era sabato mattina e, come sempre, avevo deciso di fare un poco di pulizia radicale, quando, sotto al letto, vidi luccicare qualcosa che, recuperato, si rivelò una patacca di falso gioiello, di metallo scadente e di pietre volgari, assai appariscente e assai poco elegante. Ricordai immediatamente di averlo visto come pendente alla collana di una ragazzina che bazzicava il quartiere e che, a detta di tutti, la dava gratis e volentieri.
Giuro che vidi rosso: d’un tratto, la vista mi si appannò e vidi un enorme velario rosso coprirmi gli occhi. Il fiato mi si spezzò e dovetti fare alcuni esercizi di respirazione per recuperare un minimo di equilibrio: avevo quasi sacrificato l’unico mio bene autentico ad un porco pedofilo, parassita e imbecille! Andai in camera, raccolsi le poche cose che l’avevo autorizzato a portarmi in casa, le misi nella valigia con cui era arrivato e la sistemai in sala, vicino al divano. Rientrò nel tardo pomeriggio, da non so che incombenza (forse un’altra scopatina estemporanea): appena entrato, gli imposi di consegnare le chiavi dell’auto e quelle del’appartamento: lo fece con l’aria meravigliata del ragazzino che non sa rispondere a una domanda. “FUORI!!!!!” Gli sibilai, indicando la valigia. “Flora, ma perché?” “PERCHÉÉÉÉ” Gli tirai in faccia il medaglione. Dopo un attimo di sbandamento, cominciò a balbettare. “Lascia che ti spieghi …. Amore .. senti ….” “Amore lo dici a quelle sciacquette che ti sbatti in mia assenza, lurido porco pedofilo ….” Fui interrotta dal trillo del citofono. Poiché era più vicino e per interrompere il discorso, sollevò il citofono. “C’è un tale Salvo …” “Salvo chi? Non conosco nessuno con quel nome …” “Mi ha detto Mammoletta.”
Mi fiondai sul citofono e glielo strappai dalle mani. “Salvo sei proprio tu? Entra, Sali, al terzo piano, ti aspetto.” Cacciai via lui, mi fiondai fuori e mi piantai davanti all’ascensore; lo vidi uscire: mi sembrava anche più bello e più muscoloso di come ricordavo. Lo abbracciai con amore (con tutto il rispetto a me che non lo voglio ammettere) e mi sentii stretta in una morsa d’acciaio che mi riempì di calore; teneva staccato il ventre, per timore che sentissi la sua erezione; ma io avevo proprio bisogno di sentire un maschio, adesso, e mi accostai: una mazza notevole mi sbatté contro l’inguine e, considerato il momento, mi salì immediata la voglia di scopare per ricacciare indietro la giornata. “Scusami, tua nonna mi ha dato il tuo indirizzo ma non mi ha detto che avevi un compagno.” “Ma quale compagno? Questo stronzo adesso se ne va coi suoi piedi, prima che lo faccia volare io per la tromba delle scale. Entra, vieni, come stai?” Intanto lo accarezzavo e, quasi senza rendermene conto, lo baciavo su tutto il viso: stavolta non arrossì e azzardò persino una carezza sui miei capelli. “Come mai a Milano? Hai viaggiato tutto il giorno? Hai bisogno di qualche cosa?” Mi sembrava di essere mia nonna quando arrivavo al paese. “Dovrei andare in bagno …” Glielo indicai e, mentre lui ci andava, io portai dentro la sua valigia e la sistemai nella camera degli ospiti.
Non la portai in camera mia solo perché non volevo traumatizzarlo. Io non credo alla fatalità, come si usa nel mio paese, ma se mettevo insieme la scoperta del medaglione e l’arrivo di Salvo, mi sembrava che le coincidenze fossero proprio favorevoli e, se mi avesse dichiarato ancora lo stesso amore, quella sera me lo sarei scopato, anche se non ero innamorata di lui come lui lo era di me. Uscito dal bagno, mi venne vicino e mi guardò come ricordavo anni prima. “Non dirmi che sei ancora innamorato di me.” “Ti offendi se lo dico?” “No, non vedo niente di offensivo; ma il fatto è che io non ricambio il tuo sentimento.” “Però un poco di bene me lo vuoi se mi hai accolto in casa.” “Certo, che discorsi! Ad un bravo ragazzo come te si vuole necessariamente bene; ma l’amore è un’altra cosa.” “Non lo spiegare a me che ti amo da dieci anni senza speranza!” Lo accarezzai con tenerezza, mi prese la mano e se la trattiene sul viso con un gesto di estrema e delicata dolcezza; mi ritrassi decisa. “Allora, come mai a Milano?” “Ho fatto richiesta di partecipare a un colloquio per coordinatore di … beh, una cosa che riguarda i computer: cercano un tecnico e forse ho le qualità per quel lavoro. Tua nonna mi ha detto che potevi aiutarmi a trovare un alloggio economico: sai che non sono ricco e questo viaggio è molto oneroso; mi ha dato il tuo recapito e mi ha detto che forse potevi aiutarmi.”
“Mia nonna dice sempre cose sagge. La tua valigia è nella camera degli ospiti; ci puoi stare tutto il tempo che ti serve; se mi dici dov’è il posto del colloquio, ti posso accompagnare.” “Oh, si, grazie, ci speravo proprio!” “Hai mangiato?” “Si, mia madre mi ha dato dei panini per il viaggio … “ “Ma che panini e panini. Senti, io non ho molto in casa, ma qui sotto c’è una trattoria economica gestita da paesani; e non ti preoccupare per i soldi; posso offrirti almeno la cena e forse il proprietario te la offre anche gratis.” Lo trascinai letteralmente giù con me, entrammo in trattoria e Francesco, da dietro il bancone, sbarrò gli occhi e urlò. “Salvo, Salvuccio bello, che ci fai qui?” “Oh, don Antonio, sono venuto per un colloquio di lavoro.” Si abbracciarono, si baciarono e mi spiegarono che Antonio era stato padrino di battesimo di Salvo. Lo presi in giro. “Hai visto che i paesani ti faciliteranno il soggiorno?” La serata scivolò tra i racconti di Salvo e le infinite curiosità di Antonio e dei familiari che volevano sapere tutto di tutti, parenti, amici, conoscenti, vicini, paesani. Quando l’ora si fece tarda, sollecitai Salvo ad andare a riposare per essere in forma l’indomani mattina per il colloquio.
Mentre Salvo era in bagno, Antonio mi chiese cosa intendevo fare con quel ragazzo. Lo guardai stupita. “Flora, sono anni che viviamo qui vicini e so tutto di te, nel bene e nel male. Salvuccio non è fragile come pare; ma si vede ad occhio nudo che stravede per te. Non puoi farlo soffrire. Se pensi di consumarlo e buttarlo via come fai sempre, per favore mandalo a dormire alla locanda di Raffaele: pago io il conto. Ma non te lo portare a casa per lasciarlo in bianco perché ci starebbe male e non portarlo in casa per scopartelo una volta e buttarlo via perché sarebbe peggio. Se te lo porti con te, prova almeno a riflettere sulla possibilità di stare con lui il più a lungo possibile. Io sono il suo padrino: per me è un figlio. Ti parlo da padre. Non farlo soffrire. Sarei pronto anche a farti del male se tu ne dovessi fare al mio figlioccio.” “Non ti pare di entrare in cose che non ti riguardano? E’ maggiorenne e vaccinato. Sarà lui a decidere, non io né tu.” Salvo, di ritorno dal bagno, ci vede a muso duro e si adombra. “Cosa succede?” “Niente, va con Flora e auguri per domani!”
Rientrati in casa, chiedo a Salvo se preferisce il letto grande con me o il lettino da ospite. “Pensi di fare sesso con me?” “L’idea sarebbe quella.” “Senza amore?” “C’è differenza?” “Vuoi che te lo dimostro?” “Si, vediamo quale novità mi puoi insegnare …” Mi prende in braccio e mi accompagna verso il letto; mi adagia supina, si stende accanto a me e comincia a baciarmi dolcemente il viso, gli occhi, la fronte, le guance, il mento, finalmente la bocca, con dolcezza, con delicatezza, mi sfiora con la lingua le labbra ed io le apro appena; entra quasi in punta di lingua e mi percorre tutta; intanto le mani stanno correndo sul petto a sfiorare i seni e a titillare dolcemente i capezzoli. Va avanti per un bel po’; allungo una mano e cerco di afferrargli il cazzo che sento premere contro i pantaloni; mi blocca il polso e ricaccia indietro la mia mano. “Io ti sto dando amore; non mi ricambiare con sesso!” Resto basita; mi lascio andare, mi rilasso e lo lascio fare. Continua a baciarmi la gola, il petto, sfiora appena i seni ed io mi sento bagnare; mi prende la mano, la porta sull’inguine e mi guida ad accarezzargli il cazzo: istintivamente la ritiro; mi spaventa quasi la grossezza. La riprende delicatamente e mi sussurra. “Toccalo, non ti farò male!”
Sono stordita: ho trattato cazzi per dieci anni e questo viene a raccomandarmi di non avere paura; ma intanto sbrodolo, soprattutto per la voglia di prenderlo. Di colpo, si ferma, mi prende come un sacco vuoto e mi rimette in piedi accanto al letto, mi trascina fuori dalla camera; comincia a sfilarmi sgarbatamente la camicetta, mi sgancia il reggiseno e piomba come un elefante sulle mie tette. “Aho, calmati!” “Eh, no! Questo è sesso; non puoi pretendere che mi comporti come un fidanzatino di Peynet, se da me vuoi solo sesso!” “Scusa, hai ragione. Non esiste una terza via?” “Tra fare sesso e fare l’amore, quale sarebbe la tua terza via?” “Sei un gran figlio di puttana!” “No, sono solo la sintesi di due antitesi, sono la mammoletta che ti sbatte contro la parete prima che tu parli. Chi vuoi portarti a letto?” “Tutti e due. Voglio che mi ami facendo sesso.” Se un giorno riuscirai a provare amore mentre fai sesso, avrai l’onestà di dirmelo?” “Non sarà necessario: te lo diranno le reazioni del mio corpo e, soprattutto, le mie lacrime di gioia.” “Vieni, amore, ti voglio!” “Maledetto, ma proprio non riesce a mettere insieme una frase senza chiamarmi amore?” “No, è più forte di me ed anche di te e delle tue minacce.”
Mi riporta sul letto e mi spoglia delicatamente, come fossi un regalo prezioso in un confezione delicata: ogni centimetro della pelle che si scopre è coperto dai suoi baci; mi sento bagnata di tutto, della sua saliva, dei miei orgasmi, del sudore anche se non fa poi così caldo. Quando mi accarezza i capezzoli e li solletica tra le dita, un orgasmo dolce mi monta dai precordi della figa fino a scivolare come fiumana di secrezioni vaginali; quando li succhia, l’orgasmo esplode con forza; più ancora quando scende a dedicarsi alla figa: ha una lingua dolce, delicata, sottile che spazia amorosamente su tutte le fibre: mi solleva con delicatezza i fianchi e si porta sul viso il perineo: mi lecca insieme la vulva e l’ano, in cui penetra con la punta della lingua. “Per favore, non lo stuzzicare troppo!” “Stai conservando la verginità per il tuo amore?” “Come hai fatto a capirlo?” “Me lo ha detto il tuo culo: sta aspettando me fino a che ti innamorerai; per ora sono solo io che ti amo; quando mi amerai anche tu, io penetrerò quest’ano e sarò l’uomo più felice della terra.” “Sei un maledetto. Bada che arrivo a giurarti che darò il culo a chiunque ma non a te!” “Bugia. Tu non lo sai, ma hai già deciso che la tua verginità sarà colta da me quando potrai arrenderti con onore.”
“Guarda che è già l’una; domattina la sveglia è alle sei. Se vogliamo dormire un poco, devi farmi l’amore adesso.” “Cosa devo farti?“ “Stronzo maledetto. Si, devi farmi l’amore; e, come vedi, ci riesco a dirlo senza orticaria; io voglio l’amore; io ho bisogno dell’amore; io sto cercando l’amore; io sogno l’amore. Non so se me lo darai tu. Ma per ora te lo chiedo. Fammi tanto amore, ti prego!” Si decide finalmente a spogliarsi e mi si presenta nudo: mi sembra di vedere una statua di Apollo. “Cazzo, se sei bello; sei proprio un dio … ed anche con un gran cazzo … E tu con questo cazzo ci hai fatto solo seghe, finora?” “Si, ma erano tutte per te e quindi non erano seghe ma gesti d’amore.” “Ma vaffanculo!!!” “Quando me lo proporrai col dovuto garbo, saremo finalmente una bellissima coppia!” Mi bacia per impedirmi di protestare e la sua lingua mi entra in bocca rivelando una consistenza volutamente diversa: ora è una spatola larga che spazza tutto il cavo orale fino alle tonsille e lotta con la mia lingua a chi si impossessa dell’altra per farle un pompino; vince e mi sento succhiare, insieme alla lingua, il cuore, la figa, l’anima, il senso stesso della vita. Si ferma per un attimo “TI AMO” Mi urla nella bocca e sento l’urlo rimbombarmi fino all’utero; e sborro.
Poi, di colpo, mi afferra sotto i lombi, mi solleva e, quando la figa si apre davanti al suo ventre, un cazzo mostruoso si accosta alla vulva e la penetra con gentilezza, con garbo, con amore. Sento i tessuti della vagina liquefarsi a mano a mano che il mostro avanza nel canale e l’utero si gonfia in attesa di essere sbattuto con violenza da un ariete mai visto prima. “Non te lo dovrei dire, ma questo è amore, maledetto te: riesci ad entrarmi dappertutto, non solo nella figa, prepotente che non sei altro; ti stai impadronendo di me e mi sento così debole davanti alla tua forza.” “Forse se trovi la forza di dire che mi ami tutto prenderà un’altra dimensione. Tu sei libera di non crederci, ma la mia forza nasce dal fatto che ti amo e cerco di comunicartelo anche entrando nel tuo corpo.” “Adesso pensa a scoparmi; sbattimi e fammi godere!” “Non ho bisogno di sbattere niente e nessuno; non senti che il cazzo si gonfia sempre di più mentre entra, perché il cuore pompa sangue e amore; il cazzo irrorato sfrega la tua vagina e il tuo utero e tu stai producendo umori quanti non ne hai mai prodotti. Insomma, non ti accorgi che l’orgasmo sta arrivando a tutti e due senza doverci sbattere inutilmente?”
Era vero: il cazzo si era gonfiato in maniera innaturale, mi riempiva tutta e stimolava la secrezione di umori che favorivano la penetrazione; senza monta, senza necessità di movimento, il piacere cresceva dentro di noi con ritmo continuo finché lo sentii vibrare in ogni fibra, come se soffrisse di un attacco di epilessia, mi spinse fino allo spasimo il pube contro il pube e mi esplose nell’utero uno tsunami di sborra; ma proprio mentre si gonfiava dentro di me, l’utero lo risucchiava fino in fondo e la vagina lo stringeva quasi a stritolarlo finché dall’utero si scatenò un tornado di umori che si scaricò sul cazzo dal quale spruzzi di sperma partivano a colpire le pareti dell’utero. Forse l’urlo sincrono svegliò il palazzo, ma noi non ce ne curammo e continuammo a stringerci e a baciarci come fosse l’ultimo momento prima della morte. “Non avrei mai creduto che fosse così meraviglioso. Ti amo da morire, ora non potrò mai più fare a meno di te.” “Sta’ zitto, stupido, non esagerare. E’ stato bello, non si può negare; è stato bellissimo; anzi, è stato eccezionale. Ma cerchiamo di rimanere ancora coi piedi a terra. Devo confessare che non ho mai fatto l’amore così.” “Oh, fatto l’amore così: bellissimo!” “Stronzo, si ho fatto l’amore con te, va bene?” “Grazie, amore!”
Riusciamo a dormire almeno qualche ora; poi ci svegliamo che è ancora buio, fuori; e devo fare i salti mortali per arrivare in tempo dall’altra parte della città, dov’è previsto il colloquio. Nella commissione c’è un sindacalista che conosco bene e che mi conosce altrettanto; mi chiede che ci faccio lì e gli spiego che il mio amico è venuto apposta dal paese per il colloquio. Non mi pare entusiasta: sono centinaia gli aspiranti; ma Salvo sembra sereno e sicuro di se. Cerco di raccomandargli di non lasciarsi sfuggire suggerimenti utili ad altri concorrenti. “Senti, amore, io sono buono , dolce e caro; io sono quello che vuoi, tutto tranne che fesso. Te ne convincerai un giorno? Io so quello che voglio, anche perché ho la pazienza per averlo, anche dieci anni dopo. Sapessi che sapore meraviglioso ha una conquista dopo dieci anni!” “Mi pigli anche per il culo?” “No, scherzo con te perché sei la cosa più bella, più dolce e più importante per me in questa sala, in questo momento, in questa vita. Stammi vicino, per favore, perché comincio ad avere paura: è quasi il mio turno.” “Vuoi dire che anche tu tremi?” “Con te vicino, no; da solo, si, come tutti del resto.” Quest’uomo rischia davvero di farmi arrendere all’amore.
Quando esce dalla prova, ha una faccia imperturbabile e non risponde alle mie domande su come è andata. Per fortuna esce il mio amico sindacalista che si apre in un enorme sorriso. “Guarda che il tuo amico è un fenomeno. Ne hanno altri da visionare, ma credo che il posto sia suo. E’ troppo bravo. Se vi sposate invitami al matrimonio!” Lo mando al diavolo con un gestaccio. Esce un funzionario ed avverte che tutti possono andare ma il mio Salvo deve restare; gli dico che lo aspetto in macchina. Manco per idea: lui mi vuole accanto e alla commissione non resta che accettare, specialmente dopo che il sindacalista ha spiegato che sono esperta di problemi di lavoro per il mio ruolo in altra azienda. Meno di un’ora dopo, usciamo dalla direzione con in tasca un contratto meraviglioso che consente a Salvo di sistemarsi al meglio a Milano. Andiamo a festeggiare da Antonio, che naturalmente accoglie la notizia con euforia. “Adesso devi pensare a trovarti una sistemazione.” Mi guarda stralunato. “Perché, non mi vuoi più?” “Io ti ospitavo per l’emergenza; ma ora si tratta di sistemarti definitivamente!” “Infatti, io mi sistemo con te!” “Scusa, amico (o ti aspetti che ti dica amore io?) io ho una mia vita, tu dovrai avere la tua, separatamente, quindi … “
“Cominciamo col dire che se dicessi amore mio, non ti faresti tanto male; aggiungiamo che dopo aver fatto l’amore così bene stanotte la cosa più stupida è perderci di vista; ed infine, ricordati che ti sono predestinato; io sono il tuo uomo e non potrai amare nessun altro che me. Ti devi rassegnare. E’ il destino.” “Avete fatto l’amore?” “Si, ho fatto l’amore con Salvo!” “Non hai fatto sesso?” “Anche tu mi vuoi incastrare con le parole?” “No, voglio sentimento e verità. Avete fatto sesso o amore?” “Abbiamo fatto l’amore come non mi era mai capitato e come non mi capiterà mai più; sento che sto per innamorarmi e non vorrei ma cedo ogni momento di più. Va bene, hai vinto ancora. Vieni a stare con me e vediamo quanto resistiamo. Antonio, se va male non te la prendere con me. Ce la metto tutta; ma finora è andata sempre male.” “Stavolta andrà bene e sarò felice, per te più che per lui.”Cominciò da quel momento la nostra convivenza ed ogni giorno di più mi accorgevo che con Salvo stavo bene, che non c’era una nuvola nel nostro cielo e che, se non fossi stata così testarda, lui poteva proprio essere il mio uomo. Anche mia nonna, che mi conosceva benissimo, che non aveva più tante rotelle in ordine ma che nei miei confronti aveva una sensibilità surreale, più volte mi suggerì che fare un figlio con Salvo mi avrebbe sicuramente salvato (facile, lo scherzo).
Passarono i mesi ed ormai vivevamo come sposati; Salvo non amava neppure l’idea che per cinque giorni, dall’alba al tramonto, eravamo impegnati al lavoro e che solo nei week end trovavamo un po’ di requie per noi. Intanto lavorava ad un suo strano progetto, finché mi chiese di contattare il sindacalista mio amico per alcuni consigli. Seppi allora che aveva costruito una app facilmente vendibile sul mercato, anche alla stessa sua azienda e, guidato da Luca il sindacalista, riuscì a brevettarla e a proporla in vendita all’azienda. Ne ricavò una somma di danaro e di vantaggi spaventosa e la sera, cenando da Antonio, mi chiese se ero disposta a chiedere il part time e a dedicarmi di più alla famiglia, in cambio di una provvigione fissa che poteva venire dal deposito in una banca svizzera dei soldi ricavati. Lo guardai come fosse un marziano. “Come ti permetti di definire la mia vita? Io non mi faccio comprare dai tuoi soldi e non mollo il mio lavoro per fare la serva a te!” Antonio mi guardò strano; intanto la moglie aveva acceso la tele su una emittente del paese come spesso facevano. Si parlava di Salvo e dell’investimento che aveva fatto su una vecchia struttura.
Antonio zittì tutti e, trattandosi di clienti più o meno paesani, tutti seguirono con attenzione la notizia del complesso Flora che rilanciava il turismo nel territorio e dava una spinta all’economia del paese. L’applauso fu caldo e unanime. “Perché Flora?” “Perché Flora sei tu ed io l’ho fatto per te!” “Tu sei o tutto pazzo o tutto scemo!” “Flora, mi vuoi sposare?” “Coooosaaaaaa?” “Voglio sposarti, voglio avere dei figli da te, voglio vivere con te. Come te lo devo spiegare? Vuoi che ti dica che voglio scoparti ogni momento delle mia vita, da quando mi sveglio a quando vado a dormire. Insomma, come cazzo vuoi che ti parli?” “Voglio che mi parli da cristiano, non da gnomo sognatore!” “Cosa direbbe un cristiano se volesse sposarti.” “Ma tu ti rendi conto di chi sono io?” “Antonio, per tramandare ai posteri la storia, racconta che più di dieci anni fa, quando io avevo circo 17 anni, conoscevo una ragazza di 15 anni di nome Flora; me ne innamorai follemente, ma lei non mi degnava e faceva la civetta con altri. Dieci anni dopo, a Milano, una sera bussai alla porta di un’altra persona, una bella ragazza, anche lei di nome Flora, di cui ero già perdutamente innamorato; le chiesi di ospitarmi e lei lo fece; mi chiese di fare l’amore e lo facemmo; mi ha aiutato a crescere in questo mondo e mi è stata vicina; siamo andati a vivere insieme perché da soli non resistiamo senza l’altro. Ho deciso di sposarla ma non vuole. Mi sai dire perché?”
“Perché nei dieci anni in cui non l’hai frequentata, Flora è stata una zoccola, ha scopato a battaglioni, non ha avuto regole né remore, ha fatto quel cazzo che le pareva ed è diventata indegna di uno spirito puro e generoso come te.” “Antonio, tu che hai frequentato la seconda Flora prima che io la ritrovassi, me la consiglieresti come moglie?” “Senza esitazioni.” “E perché?” “Perché è cresciuta con le sue forze, ha reagito alla cappa del paesello con energia; ha scopato, quando ne aveva bisogno, ma non ha mai tradito nessuno; da quando poi ha incontrato l’uomo che ama, non ha avuto nessuna sbandata; è la donna più affidabile e degna che io conosca. Insomma, è la donna che tu sposerai perché così è scritto, così è giusto che sia.” “Davvero tu pensi questo di me, Antonio?” “No, hai dimenticato la busta che mi hai passato per raccontare queste fandonie a tuo favore? Stupida figlioccia, posso abbracciarti?” “Salvo, io mi sono innamorata di te … da morire. Io voglio sposarti; io voglio vivere con te tutta la vita. Ma io ho anche tanta paura che questo sogno all’improvviso svanisca e mi ritrovi di nuovo da sola a piangere su quel che vorrei e che non accade. Io vorrei delle certezze che nessuno può darmi.” “E allora … ?”
“Allora, abbi pietà di me; lasciami, non mi far coltivare un sogno che trovo impossibile; se mi lasci in pace ora, non è cambiato niente per me; se mi lasci anche solo fra un anno, mi distruggi.” “Flora, grandissimo ed unico amore mio, io non ti amo da ieri o da un anno, io ti ho amato quando ero un ragazzino e ti ho continuato ad amare per tutta la mia vita, io non ti lascerò mai e se consideri che per dieci anni non ho ambiato idea,anche se vivevo solo di sogni e di seghe, convinciti che non la cambierò per il resto della vita, dopo che ho fatto l’amore con te fino allo sfinimento. Io ti ho aspettato, ti ho trovato, ho resistito e resisto, ti voglio con me, mi sento completo solo con te; non cambio idea. Voglio averti vicino a me, sempre, per sentirmi sicuro, per non avere paura, per continuare a vincere contro il mondo. Credimi, è mio l’amore che cerchi; io sono l’uomo della tua vita. Sposiamoci, formiamo una famiglia, lascia stare le ubbie, per favore!” Antonio gli si avvicina, gli sussurra qualcosa all’orecchio. Salvo si ferma di colpo. “Vogliamo andare a casa nostra e riprendere il discorso domani?” “Va bene, ma non credo che le mie paure passeranno in una notte, anche con tutto l’amore che potrai darmi e che so che mi darai.” Salutiamo tutti e ci dirigiamo verso casa.
Aperta la porta, Salvo entra per primo, si ferma, si gira, mi mette una mano sotto il culo e una dietro la schiena, mi solleva e mi porta dentro senza farmi scavalcare la soglia: so che nella cultura del paese (da una tradizione romana) questo si faceva con le spose vergini perché inciampare sulla soglia era di cattivo augurio e il marito, sollevandola in braccio, non faceva rischiare alla sposa l’inciampo. “Che fai, io da tempo non sono più una sposa vergine!” Non risponde, chiude la porta alle mie spalle e continua a portarmi in braccio fino alla camera da letto, dove mi deposita con amore sulla coperta, per una strana coincidenza bianca (come nella tradizione matrimoniale di paese). “Flora, tu sei ancora vergine: lo sai e hai promesso la verginità all’uomo che amerai. Sono molto più forte di te. Non costringermi a strapparti quella verginità. Io ti sto sposando secondo il rito della tradizione dei contadini; per questo devo sverginarti e poi comunicare a tua nonna che l’ho fatto, chiederle scusa e prometterle che ti amerò sempre. Mi vuoi sposare o devo violentarti?” Comincio a piangere come una bambina. “Ecco, l’avevi detto: avrei avuto il tuo amore quando lo avrei letto nelle tue lacrime. Ti amo. Flora, ti amo da sempre e per sempre. Starò con te qualunque cosa accada. Te lo giuro!”
Ormai non ho più scampo. “Anch’io ti amo, Salvo, dal primo momento che sei entrato in questa casa ho saputo che eri il mio uomo e che ti avrei amato con tutta me stessa. Ho voluto resistere per paura di trascinarti in un gorgo di male; ma adesso so che sei veramente l’uomo giusto anche per affrontare i guai della vita. Voglio che mi svergini, qui, ora; poi se vuoi ci sposeremo e avremo dei figli; ridurrò il mio tempo di lavoro perché voglio dedicarmi a me stessa, al mio uomo ed ai figli che avrò da lui. Adesso sverginami e fai di me quello che vuoi. Non pensavo mai di arrivare a dirlo, ma sento che sono tua.” “Non ti rammaricare. Anche io sono e sono sempre stato totalmente tuo!” Razionalmente e lucidamente, fu una semplice inculata, una delle migliaia che ogni giorno si consumano in tutto il mondo. Ma per noi fu cancellare anni di esperienze e, forse di errori, di amore e di paura. Ed io la vissi come la vicenda più significativa di tutta la mia esistenza, veramente come la deflorazione nel significato più antico e ricco che la tradizione popolare gli assegna.
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