Piccola premessa per coloro che “non hanno l’età” per sapere che, qualche decina di anni fa, la riforma della scuola ebbe come conseguenza di far chiamare ad insegnare non solo i laureati di tutte le facoltà (lettere e legge per le materie letterarie; scienze, farmacia, medicina e qualunque altra laurea scientifica per matematica e scienze; ingegneri e architetti per educazione visiva ecc.) ma anche alcuni diplomati specifici (per educazione tecnica e disegno) fino a studenti universitari, nei casi più estremi. In quel percorso strano e confuso, partivo con un enorme vantaggio, perché avevo anticipato di un anno l’inizio delle elementari (per un cavillo legale); perché avevo saltato una classe delle elementari per particolare attitudine (succedeva anche questo, in quegli anni!) ed infine perché avevo compiuto il percorso universitario per la laurea in lettere in tre anni e qualche mese (mi laureai alla prima sessione del quarto anno). Conclusione, a neanche ventitré anni, appena laureato venni convocato dal provveditore e mi fu assegnata la supplenza annuale per italiano e latino nello stesso Liceo (e nella stessa sezione) che fino a quattro anni prima avevo frequentato da studente.
Inutile tentare di descrivere l’emozione quando salii i gradini di accesso all’atrio del Liceo, stringendo in mano la lettera di nomina. Muovendomi quasi in trance presi a percorrere i corridoi dell’edificio riconoscendone quasi ogni pietra, ogni angolo; e nella mia follia di memorie mi trovai a spingermi fino al piano più alto, dove erano sistemati laboratori molto poco frequentati (specialmente quello di chimica) che avevamo sempre visto come luoghi quasi di mistero. Fuori dai circuiti ordinari, sempre chiusi a chiave, visitati poche volte nel corso di studi, secondo alcune leggende metropolitane, erano solo posti da imboscate per sfuggire a interrogazioni o (addirittura!) per pomiciare con le ragazze facendosi consegnare (previa lauta mancia) la chiave dal bidello affidatario. Stranamente, udii che dall’interno venivano strani rumori; forzando la maniglia, trovai che la porta era solo accostata e si aprì alla prima spinta. Incuriosito, feci capolino e rimasi folgorato alla vista di una bella ragazza stesa su un tavolo da esercitazione, mentre un baldo giovanotto sistemato fra le sue cosce spalancate spingeva in una evidente e lussuriosa scopata.
Rapidamente, mi ritirai e richiusi la porta, ma feci rumore e, dopo qualche secondo, fui beccato nel corridoio dalla donna che riconobbi dalla gonna svasata. “Chi sei? Cosa ci fai qui? Chi ti ha fatto entrare?” Rimasi impalato, incapace di formulare anche il minimo pensiero, quasi fossi, come anni prima, lo studente sorpreso fuori luogo da un’insegnante. La donna prese un interfonico e chiese all’interlocutore chi fosse l’estraneo entrato fino all’attico; poi, rivolgendosi a me. “Non sai leggere? Direzione e Segreteria sono al pianoterra. Adesso fai il favore di uscire dall’edificio e di rientrare facendoti annunciare all’autorità con cui intendi conferire e aspettando educatamente che ti lascino entrare. Marsch!” Non ebbi la forza di fare altro che tornare giù a testa bassa e chiedere al bidello custode (che si era incazzato di brutto per il rimprovero preso senza colpa) di farmi parlare con la segretaria o con il Preside (al tempo, la denominazione era questa!). Mi avvisò che la Segretaria era fuori sede e che il Preside aveva un incontro importante, per cui non mi restava che sedermi in sala d’aspetto ed attendere che si liberasse la vice-Preside. Mi sedetti pazientemente e, dopo un poco, entrò la donna che avevo visto scopare. “Sono la Professoressa Francesca Bini, vice-Preside dell’Istituto. Lei chi è?”
Timidamente mi presentai “Mario Rossi, laureato in lettere, nominato supplente annuale di italiano e latino nella sezione C.” Quasi balbettavo per il timore del vice-Preside, da sempre figura quasi mitologica in quel Liceo. “Chi lo dice? Insomma, dov’è la lettera di nomina?” Gliela tesi esitante. “Ah, adesso ci mandano anche i poppanti dalla nursery! E, per giunta, saremo anche colleghi di corso. Andiamo in segreteria a registrare l’accettazione.” Si avviò e la studiai a lungo, per quanto potevo. Non era una bellezza appariscente; ma solo perché infagottata in unna gonna a campana di stoffa pesante ed in una camicia a sbuffo che faceva perdere qualunque senso delle forme reali; sotto, infatti, si intuivano due gambe toniche, solide, quasi da colonna greca sormontate da un culo ampio, sodo e nervoso che faceva pensare a ben altre situazioni, ma forse solo perché lo avevo intravisto in azione. Il seno bisognava intuirlo più che vederlo, visto che l’ampia camicetta solo in rari momenti lasciava ballonzolare una quarta piena e solida che invitava ad “allattarsi” senza limiti. Il viso era regolare, con tratti marcati e dolci al tempo stesso, con una bocca carnosa (da pompini, mi venne da pensare ricordando la scena del laboratorio). Insomma, una gran bella donna che celava la sua prorompenza dietro la “divisa” da cattiva che si era assegnata.
Mentre spulciava nella mia cartella, osservò che ero uscito da quel Liceo. “Ma tu appena quattro anni fa eri qui come studente proprio nel corso C.” Con malcelato orgoglioso confermai. “Ma lei ancora non era stata trasferita qui; insegnava allo scientifico!” “Senti, qui tra colleghi siamo abituati a darci del tu; se poi vuoi tenere le distanze … “ “No, non sia mai; è che sono ancora impacciato e l’idea di essere un tuo “collega” ancora non mi entra nelle abitudini.” “Va bene. Vieni che ti presento al Preside.” In realtà, risultò chiaro che era lei la vera anima della scuola; il Preside era un intellettuale anche abbastanza noto per le sue ricerche sulla letteratura, ma che aveva con le istituzioni e la burocrazia un rapporto appena tiepido: divagando continuamente e citando di continuo brani letterari,mi accolse “nella famiglia scolastica” e sollecitò la sua vice ad accelerare i tempi per la riunione plenaria che doveva fare da preliminare all’anno scolastico. Alla fine, licenziandomi, mi diedero appuntamento all’indomani per la riunione in cui avrei avuto modo di conoscere gli altri insegnanti. Uscii ancora frastornato e cercai di riprendermi da uno choc che non avevo assolutamente previsto.
L’indomani, nell’aula magna, notai immediatamente che Francesca, la vice-preside,aveva parzialmente abbandonato la divisa da burbera con cui mi aveva accolto: il pantalone persino attillato sottolineava con grande efficacia la rotondità delle sue natiche e la consistenza delle gambe esaltate in tutta la loro bellezza; ed un maglione morbido e leggero accarezzava il seno decisamente prorompente e sodo: non dico che me ne innamorai, ma l’avrei senza dubbio scopata lì stesso, davanti a tutti; questo pensiero mi indusse a cercare tra i presenti il maschio che avevo intravisto tra le sue cosce; ma nessuno corrispondeva. Di fronte al mio chiaro atteggiamento indagatorio, d’un tratto me la sentii alle spalle che mi sussurrava. “Non lo cercare qui; non mi farei mai scopare da una di queste amebe. Ci vuole ben altro!” Rimasi di sasso, in parte per la capacità di intuizione che traspariva dalla frase, in parte per la sfrontataggine che dimostrava; lei si limitò e sorridermi. Quando mi presentò agli altri, ebbi un attimo di incertezza, poi feci appello alla verve che mi si riconosceva normalmente e risposi con battute a battute, soprattutto quando si faceva cenno alla mia giovane età. Il quadretto più ridicolo lo disegnò una giovane insegnante che mi chiese se ero sposato e io le risposi che solo la parola matrimonio mi provocava orticaria con rischio di crisi anafilattica.
Il peggio venne dopo, quando si decise che a stendere i verbali e a occuparsi della burocrazia doveva essere, come nella prassi, il più giovane, cioè io. Per consolarmi, il Preside mi rassicurò che potevo contare sul sostegno prezioso della vice-Preside. “Sarà un’ottima nave-scuola per il nostro novizio!” Commentò una vecchia insegnante. Francesca un poco se ne risentì. “Bella, guarda che io ho solo cinque anni più del nostro novizio; li ho vissuti dolorosamente e imparando il mestiere, ma credo di essere ancora una barchetta, altro che nave-scuola!” La guardai con estrema simpatia. “In ogni caso, navigare con te sarà meraviglioso!” “Tu non allargarti!” Mi ammonì sottovoce Francesca. “Quante speranze mi danno gli allibratori sull’ipotesi di portarti a letto, prima o poi?” “Io direi zero; forse qualcuno arriva fino a venti; ma ce ne vuole per scalare la montagna.” “Visto che sei una nave, azzarderò l’arrembaggio!” “Buona fortuna, pirata! Attento alle cacciatrici di marito … e anche a quelle di un amante clandestino!!!!” “Ce n’è?” “Più di quanto tu possa immaginare. La repressione sessuale è di casa, in sala insegnanti.”
Pochi giorni dopo, facevo il mio ingresso in una classe e mi trovai catapultato in un mondo del quale non avevo neanche una vaga idea, tanto era cambiata la società negli anni in cui mi massacravo con gli esami per laurearmi. La prima cosa che mi colpì, appena mi sistemai dietro la cattedra, furono le dodici gambe dodici che sbucavano da sotto i banchi della prima fila: una scena imprevista e forse imprevedibile degna degli spettacoli di Macario, considerato che le minigonne arrivavano a pelo di figa e i perizomi (a filo interdentale) non nascondevano niente. Dovetti farmi molta forza per recuperare un minimo di senso della realtà e cominciare la burocratica sfilza di stupidaggini da primo incontro che cercavo di ricalcare pari pari dalle memorie scolastiche. Me la cavai malissimo, naturalmente; ma era chiaro che anche le mie alunne erano interessate a ben altro. Come dio volle, arrivò il campanello della fine dell’ora e respirai un poco sollevato; nel corridoio, passando da una classe all’altra, cercai di prepararmi ad un impatto analogo, ma la classe era inferiore, le allievi più piccole e il disagio minore. Alla fine della giornata ero quasi passabilmente sereno.
Per qualche settimana dovetti letteralmente difendermi dai tentativi di seduzione, se non di vera aggressione fisica, delle più agitate delle alunne e dalle gelosie esplicite dei ragazzi, autentici marcantoni al mio confronto. Poi raggiungemmo un certo equilibrio fondato soprattutto sulla facilità di riconoscersi in forza dell’età e di evitare i diaframmi eccessivi della differenza di ruolo. Insomma, andando talvolta a prendere il caffè con loro, parlando anche di calcio e di politica oltre che di letteratura, riuscii e creare un certo feeling che mi rese benaccetto alle classi. Qualcuna non intendeva affatto demordere e Camilla (Milly per gli amici) percorse strade e sentieri di ogni genere per arrivare a incontrarmi tete a tete come aveva premeditato. La scusa fu l’interpretazione di alcuni brani di un libro che stava leggendo, per il quale mi chiese di incontrarci da me. Le spiegai che abitavo accampato in una camera sulla piazza; si appuntò il recapito e il pomeriggio stesso, all’improvviso, me la trovai davanti chiusa in un elegantissimo maxicappotto decisamente assai caldo, sotto il quale però rivelò di indossare solo minigonna e camicetta.
Dopo cinque minuti stavamo leggendo seduti sull’unico divano disponibile e dopo dieci minuti eravamo stesi sul tappeto, lei era nuda e io le stavo succhiando la figa. Le sue caverne (figa e culo) erano un tunnel per Tir aperti a qualunque passaggio; la sua bocca diventava una ruota da mulino che ingoiava tutto e risputava sborra: quella ragazza che dichiarava di avere diciotto anni (ma mi riservavo di controllare in segreteria) aveva nelle pratiche del sesso più esperienza di una puttana con anni di mestiere alle spalle e certamente avrebbe dato lezione a tutte le donne che avevo conosciuto. Nel giro di un paio d’ore, mi fece fare tanti e tali “giri di giostra” che ne rimasi rintronato fino al mattino successivo. Da quella volta, e per alcuni mesi, puntualmente veniva una o due pomeriggi a settimana a farsi scopare, perché il sesso le piaceva smisuratamente, perché il mio cazzo l’affascinava e infine perché era bello trasgredire tante norme tutte insieme. Sapevo con certezza che stavo camminando sul ciglio di un burrone pericoloso: dai documenti di segreteria, avevo rilevato che non aveva ancora compiuto diciotto anni e, quindi, giuridicamente, mi stavo approfittando di una minore per di più mia allieva; roba da finire in galera senza remissione.
Francesca, come al solito, si prese la briga di aprirmi gli occhi. Una volta che ci trovammo da soli in sala insegnanti (non capitava spesso) mi avvertì che mi doveva parlare seriamente e mi invitò per l’ora seguente nel suo ufficio. Mi sedetti nella poltrona di fronte alla sua scrivania nell’atteggiamento del reo che attende la condanna. Accese il telefonino, mosse qualche tasto e mi mostrò una foto in cui, sotto casa mia, io e Camilla ci incontravamo ed io la baciavo affettuosamente. “E’ evidente che non hai capito niente e hai commesso il più imbecille e pericoloso degli errori di un ragazzino!” Trattenni l’ira e mi limitai a guardarla feroce. “Se questa foto ce l’ho io, sai quante possibilità esistono che sia anche nelle mani dei genitori? Lo sai che è minorenne? Sai che suo padre è uno degli uomini più influenti della città? Hai deciso di farti mandare in galera?” Non sapevo trovare una parola per rispondere: ero incazzato nero, ma soprattutto con me stesso, anche se, stupidamente, trasferivo su lei la mia rabbia. “Tra tante ragazze proprio questa mi doveva rompere le palle? C’è invece chi fa i suoi comodi e non rischia niente!”
“Senti, piccolo cagasotto, in queste cose è già un’imbecillità farsi sorprendere con le mutande calate; ed io stupidamente l’ho fatto con l’ultima persona a cui potessi pensare. Quindi, non stare a commiserarti per la sfortuna. Hai sbagliato tu come sbagliai io a non chiudere quella porta. Il problema è ragionare a freddo e rimediare, non incazzarsi inutilmente. Se ti prude il cazzo, guarda che in sala insegnanti c‘è una pletora di mogliettine e mammine insoddisfatte che hanno culi persino vergini e fighe quasi intatte, non come la puttanella che ti ha abbindolato che ha visto interi eserciti passarle tra le gambe: e tutte quelle poverine ti aprirebbero le gambe, perché affascini. Peggio per te, se hai scelto male. Per le foto, ho già provveduto io a garantire che non circolino; ma è l’ultima volta che ti paro il culo, sappilo! Tu cerca invece di allontanare la ragazza senza farla incazzare.” Mentre rientravo in classe, nero come la pece, incrociai proprio Milly che mi chiese se poteva nel pomeriggio passare a farmi vedere una cosa. Le risposi che non sarei stato in casa per altri impegni e che non sapevo quanto queste nuove incombenze mi avrebbero impegnato per il futuro, per cui non potevo darle nessun appuntamento. Mi guardò tra lo stupito e l’incazzato.
Tirai dritto e, per quel giorno, in aula nessuno si azzardò a fare nemmeno l’abituale ironia. Mentre uscivamo alla fine delle lezioni, una delle giovani colleghe tanto denigrate da Francesca mi chiese se potevo prestarle un libro che possedevo e che non si trovava in circolazione; mi offrii di portarglielo a casa: si profuse in mille ringraziamenti perfino svenevoli e mi segnò l’indirizzo. Decisi che era il momento di entrare più nel vivo dei rapporto coi colleghi e di cambiare indirizzo ai miei interessi, anche scoperecci. Alle quattro del pomeriggio, come d’accordo, andai verso casa sua; proprio all’inizio delle scale incrociai Milly. “Ciao, come mai qui?” “Devo portare un libro alla collega …. “ “Ah, si, abita al terzo piano e non c’è ascensore.” “Poco male; farò un po’ di moto. Ma tu che ci fai qui, non abiti altrove?” “Si, ma qui ci abita il mio ragazzo.” “Ah hai anche un ragazzo?” “Ti sorprende?”
Mi riscuoto. “No, no, sai, in certi ruoli si finisce per pensare alle persone come se non avessero legami col mondo esterno … “ “ …. Ottima considerazione. Scommetto che sei il prof. Rossi di cui tanto tesse le lodi Camilla … io sono Giancarlo, il fidanzato.” “Oh, ciao, mi fa piacere conoscerti. Ti occupi di filosofia?” “Si, sto seguendo il corso di laurea e sono molto interessato alla comunicazione e ai suoi problemi.” “Beh, se frequenti qui, hai a disposizione ottimi maestri … “ “Ma tu non sei laureato in lettere classiche?” “Si, ma ho in curriculum molti esami di filosofia e pensavo anzi di completare il corso per la seconda laurea.” “Sai, non so perché ma mi pare che potremmo avere molte cose da dirci; potremmo organizzarci per una pizza!?!?” “Perché no; Camilla mi vede tutti i giorni; quando decidi, lo comunichi a lei che mi trasmette l’invito.” “Okay, adesso ciao, andiamo a fare shopping e, se mi passa il momento buono, ci rinuncio e Camilla mi tiene il broncio per un anno.” “Buona passeggiata.” Salgo al terzo piano, busso e trovo la collega in abbigliamento decisamente sexy che mi attende con una certa evidente ansia. Mi siedo sul divano del salotto buono, le consegno il libro, accetto il caffè che vuole offrirmi e, dopo dieci minuti circa, è già fra le mie braccia che mi bacia con passione.
In parte per schermirmi da certe manifestazioni che trovavo eccessive, in parte perché proprio non mi andava giù l’idea di commettere adulterio a casa del cornuto con una moglie che era anche una donna bella e ben messa, le chiesi perché mai una ragazza come lei, bella, colta, ben sposata, intelligente, aveva bisogno di quella espansività con un ragazzo quasi sconosciuto come me. “Bada bene, non sono insensibile al tuo affetto e non vorrei che ti sentissi offesa; il fatto è che non riesco a capacitarmi io stesso di stimolare certi sentimenti. Ti ho per caso offeso?” “No, hai confermato in me proprio quelle motivazioni. Non è facile incontrare una persona con un tale senso dell’autodisciplina, della volontà di chiarezza. Con te posso parlare di tutto, dalle pappe per il bambino ai conflitti mondiali; non stanchi e non ti stanchi, parli ed ascolti con eleganza, con gioia. Ti meravigli se provo il desiderio di viverti anche fisicamente, materialmente, sessualmente?” “E tuo marito?” “Vedi? Ancora ti preoccupi di responsabilità che non sono tue. Io ho voglia di fare l’amore con te ed ho deciso che lo farò, forse solo una volta, forse solo oggi. Poi mi pentirò anche, forse; ma non penso di offendere mio marito. Lui a questa cosa non ci pensa neppure; io voglio pensarci e voglio realizzarmela. E’ difficile da capire? E’ così tanto colpevole?” “No; e anzi, adesso, farò l’amore con te con più entusiasmo!”
A letto, Carmela si rivelò una frana, a partire dai preliminari che ignorava completamente: si stese supina e si aspettava che la prendessi alla missionaria. Sulla scorta di quanto mi aveva detto, dovetti guidarla lentamente a masturbarmi e a lasciarsi masturbare: apprendeva e sviluppava rapidamente; quando scoprì l’orgasmo clitorideo, oltre ad urlare a squarciagola, si lanciò in continue stimolazioni cercando sempre nuove conclusioni entusiastiche; quando le feci scoprire il piacere di succhiarle i capezzoli, diede quasi di matto e, quando le misi il cazzo fra le tette, imparò la spagnola in un amen. Poi arrivò finalmente a pregarmi quasi con le lacrime agli occhi di riempirla, di amarla, di sfondarla fino allo sfinimento. Era un piacere abissale affondare il cazzo nella vagina fino a martellare l’utero: il dolore veniva cancellato dal piacere che si esaltava ogni volta che raggiungeva un nuovo orgasmo; affannava, sembrava quasi al limite delle energie. Le imposi di fermarci e di distenderci a carezzarci; scivolai fra le sue gambe e presi a leccarla con dolcezza. Sentivamo ambedue i dolcissimi orgasmi che le scorrevano via quasi con naturalezza quando le leccavo le grandi labbra e la vulva; quando poi catturavo tra le labbra il clitoride e presi a leccarlo e succhiarlo, cominciò ad agitarsi sul letto come tarantolata ed esplose in nuovi feroci orgasmi.
“Non ce la faccio più; ti prego: scopami e fammi godere!” La presi come voleva, alla missionaria, e la condussi all’orgasmo; poi la feci girare e la infilai a pecorina, facendole arrivare l’asta fino in fondo: gemeva e si lamentava come piangesse “Si … si … si … ancora … ancora … più dentro … mi stai arrivando allo stomaco … godo … godo vengooooooooooo.” E crollò sfinita sul letto. “Hai mai fatto l’amore nel culo?” “No, mai.” “Vuoi farlo ora?” “No. Voglio che mi prometti che mi romperai il culo, ma che lo farai un’altra volta, dopo avermi fatto godere come oggi. Sai, credo che in tre anni di matrimonio, mio marito non mi abbia dato lo stesso numero di orgasmi che mi hai dato tu oggi. Capisci, adesso, perché, ho voglia di te: bada bene, non ti amo, non voglio una storia; ma ho una insaziabile voglia di te. E lo considero umano, lecito, giusto persino!” “Non posso dirti niente altro che sto provando un piacere immenso a fare l’amore con te; è giusto che non usiamo in maniera superficiale il verbo amare; ma non me la sento di pensare, e di dire, che stiamo solo scopando; io sto facendo l’amore con te; e se questo attiene anche minimamente a quel senso dell’amare che stiamo evitando, va bene lo stesso. Ho voglia di fare l’amore con te e lo faccio con tutto me stesso, sesso, cuore e cervello.” “Sei tu! Io ti proibisco di dire che mi ami e tu dici che vuoi solo fare l’amore. Potenza della dialettica!”
Milly non si era certo arresa. Alla prima occasione, nel corridoio, mi bloccò con in mano un libro di testo e, facendo finta di dibattere qualcosa del libro, mi sibilò. “Adesso mi spieghi perché hai voluto cancellarmi dalla tua vita!” “Non ho cancellato niente e nessuno!” Nel dirlo, aprii il telefonino e le mostrai la foto che Francesca mi ha mandato. “Cristo! Chi sarà stato?” “Che ne so? So solo che sei minorenne, che sei mia alunna, che qualcuno ci ha sorpreso in atteggiamento inequivocabile e che se questa foto viene fatta recapitare a tuo padre è finita non solo la mia carriera, ma la mia libertà e la stessa vita. Pensi ancora che ti abbia voluto cancellare dalla mia vita?” “No, scusami. Quindi, se voglio fare ancora l’amore con te (e io lo voglio!) devo aspettare di uscire col diploma da questo istituto, diventare maggiorenne e poi, da universitaria, venire a cercarti anche in capo al mondo e scoparti fino a morire!” “Sic transit gloria mundi!” “Amen! Sei proprio uno stronzo: sei nella merda e ti diverti a sfottere.” “Cosa posso fare?” “Puoi venire a cena da Giancarlo sabato sera!” “OK; era già deciso che voi decidevate ed io mi adeguavo.” “Se ti preavviso che sarà una cena a modo mio, ti preoccupi?” “Detto in questo modo, un poco si. Ma devo dire che mi hai sbattuto in tanti casini e mi sono tanto divertito con te che rischio qualunque cosa, adesso.” “Ok: a sabato.”
Puntualmente,il sabato sera mi presento a casa di Giancarlo con una bottiglia di prosecco; mi apre Camilla che ne approfitta per appiccicarsi al mio cazzo e baciarmi con furore. Nel salone non ci sono che poltrone, divani, un piccolo tavolino e tappeti; sul tavolino c’è già la pizza ripartita in tranci, guardo Milly con aria interrogativa e lei mi indica una poltrona; mentre mi siedo, entra Giancarlo con una splendida bionda decisamente ben carrozzata con gambe altissime, un seno da concorso e un culo da sogno. ”Guendalina è un’amica e collega.” Presenta Giancarlo. “Ed è anche la prima della lista di quelle che Giancarlo si scopa e di quelle che si scopano Giancarlo!” “Ragazzo fortunato, ha addirittura una lista!” Cerco di scherzare. “Diciamo che ci sa fare.” Giustifica Guendalina che lo va a baciare sula bocca intrecciando con lui un gioco di lingue invidiabile. “Permetti?” Milly è stranamente serena e corretta; mi viene vicino, mi solleva in piedi e mi bacia con la stessa enfasi. “Ragazzina, io non posso: sono il prof.!” “E chi se ne frega! Non ti va di scopare con me?” “Mio nonno diceva che quando gli piacevano ogni buco era pertugio; io rispetto i detti del nonno. Qui stesso o ci appartiamo?” “Qui, qui, fammi vedere cosa sai fare!”
Finalmente capisco il gioco della ragazzina: crearsi l’occasione, con la scusa dello scambio libero proposto dai due, di farmi scatenare in tutto il repertorio davanti al suo fidanzato. Allora partii dalle tette e, quando avevo esaurito il primo ciclo di leccate, lei aveva già urlato più volte. Sapevo dove toccare con successo e mi scatenai sulla pancia e, soprattutto, sull’ombelico che conoscevo sensibile alla punta della lingua: credo che nel passaggio totale lei abbia ballato almeno una taranta e una danza del ventre, tanto si contorceva sotto le spinte delle leccate. Poi scesi sulla figa, la percorsi tutta fino a penetrare in vagina e, per il numero di sborrate, Milly fu costretta ad implorare che le dessi tregua. Guendalina scattò come una biscia e mi catturò la lingua nella sua bocca. “Adesso mi fai ballare come lei, altrimenti di strappo le palle a mano libera!” L’accontentai e dopo poco urlava più dell’altra, mentre Giancarlo scopava Milly con foga, prima in figa, poi in culo, e in bocca alla fine. Mentre le scaricava in gola una tempesta di sborra, udii che le gridava. “Adesso capisco perché fremevi tanto per andare a trovarlo!!!!!” Giuro che mi sentii come se il soffitto mi fosse crollato addosso con tutti gli stucchi e le decorazioni. “Stronza!” Le sibilai.” “Ti amo!” Rispose; e intanto si asciugava la sborra del fidanzato dalla figa. Sborrai nella figa di Guendalina che stavo scopandomi a pecorina.
Dopo la “serata di pizza”, il mondo sembrò rallentare, perché eravamo in periodo di feste natalizie e tutto prese un ritmo particolare. Al rientro, col nuovo anno, tutto sembrò ridursi di necessità all’impegno scolastico ed anch’io mi trovai quasi a fare il bravo funzionario di Stato; dico quasi, perché comunque la grande inculata con Carmela si realizzò con grande soddisfazione di ambedue; forse ne beneficiò anche il marito, perché Carmela lo convinse a farsi guidare e ad imparare a scopare meglio. Ma questo non è garantito. Riuscii anche a portarmi a letto un altro paio di insegnanti, decisamente sessuorepresse, che trovarono il modo di manifestare la loro intima puttanaggine e prendersi un paio di giorni di libertà. Non accettai altre provocazioni di Milly perché la rivelazione di Giancarlo mi aveva fatto capire che la nostra tresca era tutt’altro che segreta: in realtà, mi era venuta a noia la sua eccessiva disinvoltura e preferivo le fighe quasi intatte delle colleghe represse. Ci avviavamo verso la fine dell’anno e giunse il temuto periodo dei viaggi di istruzione (autentica scusa legale per gite da pazza gioia). Volentieri avrei rinunciato all’incombenza, ma non riuscii a sottrarmi. Con somma gioia, fui messo in coppia con Francesca.
La meta scelta era Praga, una capitale che mi affascinava e che avrei voluto visitare: farlo con una banda di una quindicina di giovani in piena tempesta ormonale non era il massimo; ma anche i miei ormoni urlavano e la compresenza di Francesca autorizzava speranze (o sogni) di notti infuocate sulle rive della Moldava. Il viaggio fu piacevole, anche perché ci diede modo di parlare abbastanza a lungo e di molte cose. Mi chiese di Milly e le dissi che aveva deciso di tornare all’attacco dopo il diploma e l’uscita dall’Istituto; ma che ero stanco di lei e che speravo di non doverla più rivedere. Mi chiese di Carmela e un po’ mi meravigliai che sapesse. Ma quella donna era una sorpresa continua: si congratulò per come ero riuscito a svegliarla e, conseguentemente, come ero riuscito a scuotere anche suo marito; i due pare che adesso fossero una buona accoppiata. Per farla breve, era a conoscenza a menadito delle mie vicende personali, quasi mi facesse controllare. Glielo dissi; si mise e ridere. “In parte è la cittadina di provincia che è così; in parte è la funzione a scuola che mi mette in certe condizioni. Infine (ma se lo ripeti lo negherò in ogni sede) perché mi piaci da morire e sto attenta a te; si, sono anche un poco gelosa, va bene?”
A metà strada era previsto un pernottamento: arrivati all’albergo, scoprimmo che, per un errore di comunicazione, come professori assistenti, erano previste due professoresse e che quindi era stata prenotata una sola camera per due. Stavo per andare in panico alla ricerca di un’impossibile soluzione, quando Francesca dichiarò candidamente. “Che stai a preoccuparti? Stanotte dormi con me!” “Quindi vinco la scommessa?” Cercai di scherzare. “No, amico, non vengo a letto con te; dormo solo nella stanza con te. “Ok. Attenta all’arrembaggio!” Mi sorrise e si dedicò alle incombenze del lavoro. Ritiratici in camera, rimasi imbambolato sul come organizzarci per andare in bagno e prepararci per la notte. “Io vado in bagno; tu unisci i lettini e legali bene per non farli scappare quando ci agiteremo!”. La guardai incantato: quasi non credevo alle mie orecchie. “Mario, ma ci arrivi a capire che sono venuta a Praga solo per fare l’amore con te? O devo pensare che non ti piaccio?” “Noooooo! ti adoro, mi piaci da morire, ti amo persino, anche se non ti va di sentirlo!” Non mi consentì di abbracciarla. “Questa è la nostra prima notte insieme. Io voglio che sia la nostra prima notte e voglio che la celebriamo da innamorati. Okay?” “Si, si, si un milione di volte si.”
Mi precipitai a spostare i lettini e li compattai fino ad avere un lettone grande; Francesca uscì dal bagno in un nuvola celeste di tulle: aveva indossato una vestaglia delicatissima e bellissima. Stavolta non riuscì ad impedirmi di abbracciarla come desideravo e, finalmente, sentii il suo corpo vibrarmi tra le braccia: coprii di baci il suo viso, dalla radice dei capelli al mento e le catturai la bocca nella mia; la succhiai fino a star quasi male e sentivo il mio cazzo inalberarsi come non aveva mai fatto. Mi sentivo impazzire dalla gioia, la voglia mi ottundeva il cervello e mi rendeva incapace di agire, di pensare, di parlare: per la prima volta, pensai veramente di essermi innamorato di quella donna. Mi fermai a respirare mentre le accarezzavo con dolcezza il viso, le braccia, il seno, i fianchi. Stranamente, Francesca non accennava neppure a muoversi: si lasciava amare, accarezzare, coccolare e sembrava inebriarsi di questo. La spinsi delicatamente sul letto e montai in ginocchio per poterla accarezzare tutta, dalla testa fino ai piedi che scoprii piccoli e delicati; le scoprii timidamente un seno e mi chinai a succhiarlo.
Mi lasciò fare ancora per un poco, poi cominciò a carezzarmi la testa e a arruffarmi con amore i capelli; mi prese il viso tra le mani e mi baciò con violenza, infilò la lingua nella mia bocca e, letteralmente, mi possedette in gola con la lingua spinta all’estremo; mi ribaltò tutto sopra di lei, allungò una mano tra i nostri corpi e afferrò il cazzo. “Bel randello! Valeva proprio la pena di sposarti, oggi, se il compenso è l’amore con questo superbo esemplare!” La divorai di baci su tutto il corpo, tornai sui seni, li scoprii entrambi e li coprii di baci finché furono totalmente umidi della saliva che spargevo. “Entra in me, adesso!” Mi sfilai il pigiama. Appoggiai il cazzo fra l cosce , la cappella sulla vulva e spinsi con dolcezza: semplicemente contraendo i muscoli del ventre, cominciò a penetrarsi; mi fermai e lasciai che fosse lei a compiere l’atto finale della penetrazione; si fermò quando sentì il mio osso pelvico premere sul suo e, solo allora forse, si accorse che la cappella picchiava duramente contro l’utero. Dimenticando completamente il sesso, cominciammo ad amarci con la bocca, con le mani, con tutto il corpo: cazzo e figa stavano lì solo a raccogliere il piacere infinito che il mio cuore pompava nel cazzo col sangue che lo gonfiava; e quello che il suo utero sollecitato spandeva sotto forma di umori lungo la vagina fino alle mie palle.
Era qualcosa di quasi innaturale, il piacere intenso che ci conduceva al’orgasmo senza che vi fosse sfregamento tra cazzo e vagina. Quando sentii che dal ventre la pressione sulla prostata sollecitava l’orgasmo, la baciai con intensità; quasi comprendendo quel che non dicevo, strinse la vagina più forte intorno al cazzo e accolse con un grido di gioia lo spruzzo di sborra che le sbatté sul collo dell’utero. “Ti amooooooo!!!!!!!!” Mi sorpresi a gridare senza volerlo. Non mi disse niente, ma sorrise di gioia. Restammo così abbracciati un tempo che mi parve infinito (e forse lo fu!); Francesca mi tenne stretta a sé impedendomi di uscire dalla figa anche quando il cazzo si ridusse a meno della metà. “E’ stata una cosa unica. Quanto amore ci abbiamo messo? Io tutto quello di cui disponevo. E tu?” “Qualcosa di più, diciamo anche quello che mi hai fatto maturare da quando ti ho incontrato!” “E’ stato tutto così intenso che non so se mi hai addirittura ingravidata. Se così fosse, ti giuro che prima ti obbligo a sposarmi e poi ti riempio di corna!” “Ma non sei già fidanzata?” “E allora? Mica con lui faccio l’amore a questi livelli!” “Va bene, se ti ho ingravidata, ti sposo; ma tu non mi fai tante corna … “ “Paritariamente: ricambierò tutte le tue.”
Passammo la notte a scopare come mandrilli; nessuno dei due accettava di arrendersi al sonno, finché cedemmo per spossatezza. Fu così per tutta la vacanza; di giorno, guardiani severi degli studenti ai quali cercavamo di impedire le esagerazioni, pur concedendogli la giusta parte di turismo e qualche divertimento più o meno innocente; di notte, amanti infuocati senza limite, senza regole se non quella dell’amore ad ogni costo. Naturalmente, i ragazzi se ne resero conto; Milly, in particolare, si scatenò nell’ironia e nelle frecciatine, ma non poteva fare altro. Alla fine, tornammo in sede con la convinzione che il divertimento (ed anche quel poco di arricchimento culturale che produsse il viaggio) era valso pienamente l’avventura. Poco tempo dopo, l’esame di maturità fu affrontato con serietà dai ragazzi che, come spesso avveniva, come erano pronti a cogliere le occasioni per fare baldoria, erano altrettanto pronti a mettersi sotto quando occorreva l’impegno. Ad esiti acquisiti, Milly mi venne a ricordare la promessa che mi avrebbe cercato, da universitaria maggiorenne, per fare ancora l’amore: le promisi che non mi sarei tirato indietro.
Con Francesca, le cose andarono un po’ peggio. Tornati in sede, lei ritrovò la sua routine, compreso il fidanzato ingegnere che brigava per avere degli incarichi in Medio Oriente. Mi disse accoratamente che temeva di doverlo lasciare perché non aveva nessuna voglia di abbandonare la carriera che si stava costruendo, per seguirlo nel deserto; ma, intanto, non trovava ancora la forza per rompere definitivamente. Ci incontrammo ancora, negli ultimi mesi di scuola, e facemmo spesso l’amore, ogni volta scoprendoci più appassionati di quanto potessimo permetterci. Quando si conclusero gli esami, la trovai che quasi piangeva. “Ti rendi conto che il tuo incarico finisce qui e che non c’è speranza che tu torni qui l’anno prossimo? Mi sa che anche la nostra storia si chiude qui definitivamente.” Non c’erano obiezioni possibili e non sapevo proprio cosa dirle. Mi limitai ad abbracciarla forte lasciandola solo un attimo prima che il Preside ci cogliesse abbracciati nel suo ufficio. Qualche giorno dopo mi disse che il maledetto fidanzato era andato per tre settimane in Arabia saudita per studiare certe ipotesi, che il mese successivo avrebbe dovuto sostituire il Preside e quindi era costretta a restare in città. Di andare al mare, nemmeno sognarselo: non riusciva neanche a pensare dove potesse passare le due settimane di libertà di cui disponeva.
“Te la senti di viaggiare in moto e di sostare in campeggio con la tenda?” “E me lo chiedi? Felicissima, specialmente se a guidare la moto c’è qualcuno che mi piace e di cui mi fido.” “Che ne pensi della Croazia che costa ancora pochissimo?” “Quando vorresti partire?” “Adesso!” “Cercheremo anche campeggi per nudisti?” “Ti alletta l’idea?” “Un sacco!” “Andiamo a preparare l’attrezzatura. Al ritorno, penseremo al futuro. Per oggi, ci basta il presente! Posso dirti che ti amo, almeno in questi giorni di vacanza?” “In questi giorni anch’io ti amo!”
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