Quella che oggi si indica generalmente come ‘vacanza estiva’ è stata, per gli italiani, la ‘villeggiatura’, da trascorrere prevalentemente al mare, per un periodo di uno a due mesi, tra le fine di giugno e la fine di agosto, nella località di villeggiatura più vicina che rimaneva più o meno immutata negli anni. Si affittava per quel periodo una o al massimo due camere in cui si doveva costringere tutta la famiglia e, solitamente, si viveva poi accampati (con frequenti visitatori che originavano tavolate immense) e ci si divertiva nelle maniere più disparate e compatibili col reddito e le situazioni specifiche. Di norma, i capifamiglia, lavoratori fissi, erano costretti alla pendolarità da week end, per trascorrere nella calura della città il grosso della settimana; il resto della famiglia sciamava tra lunghe soste in spiaggia e passeggiate infinite sul corso. Da piccoli, ci si inventava fantasie di giochi più o meno improbabili, quasi sempre oscillanti tra il castello sulla riva e le buche per ingannare i bagnanti; a mano a mano che si cresceva, cominciavano gli imboscamenti col filarino, fino alla grande avventura delle balere improvvisate sui lidi, prima, e delle discoteche vere e proprie, dopo.
Di tutti i posti adatti a imboscarsi, tanto per giocare a nascondino quanto per appartarsi col filarino, il più gettonato era un casotto di deposito per tutto, dalle reti dei pescatori alle strutture dei lidi: un paletto messo in orizzontale avvertiva che qualcuno stava pomiciando e, quasi sempre, il segnale veniva rispettato. Fino quasi alla maturità classica, le mie estati ebbero quello scenario come riferimento; ed io attraversai tutte le fasi, dal nascondino alle prime scoperte ingenue del sesso che emergeva, col menarca, coi peli che spuntavano e con le ghiandole mammarie che diventavano tette. Mi divertii molto, in quella fase di età, quando il problema maggiore era il mezzo voto in più da conquistare; quando le prime grandi delusioni derivavano dal ‘lui’ che non ti degnava o chiaramente sceglieva l’altra già tettona; quando le prime grosse emozioni venivano dal bacio rubato, dal primo cazzetto preso in mano nel famigerato casotto o, nella peggiore delle ipotesi, dal primo impacciato pompino che normalmente finiva, per inesperienza, per ridursi ad una veloce sega. Quelle estati diventarono non solo meravigliose, ma perfino mitiche, col tempo.
Quando decisi di ‘fare sul serio’, la mia vita cambiò; e non fu in villeggiatura, ma nella discoteca del quartiere, in città, dove abitualmente ci ritrovavamo a cazzeggiare tra amici e dove, nei cessi, prima o poi tutte le mie amiche l’avevano ‘data via’ senza traumi o problemi. A me capitò con un tipetto azzimato e pretenzioso, conosciuto da poco, ma che mi incantonò con un moquito di semicontrabbando e che, nel bagno, me lo mise in figa prima che avessi il tempo di avvertirlo che ero vergine. Il sangue spaventò lui più che me e, subito dopo, lo aggredii per l’inesperienza che poteva causare danni. “Se mi hai messo incinta, saranno cazzi tuoi!” Minacciai; ma non ci credevo molto, perché, statisticamente, nessuna delle mie amiche che avevano fatto la stessa cosa si era trovata poi in difficoltà con le mestruazioni. Invece a me marcò proprio male e il giugno successivo, andai agli esami di maturità con un pancione pronto a sfornare mio figlio, mentre in comune già erano affisse le pubblicazioni di matrimonio. Nella disgrazia, la fortuna fu che Gianfilippo era di famiglia molto benestante, che aveva già un ottimo lavoro e che non fece nessuna obiezione ad accettare il ‘matrimonio riparatore’ scelto come soluzione.
Per la verità, ero anche orgogliosa di esibire il mio pancione mentre prendevo contatto con l’Università per continuare comunque gli studi; ed amai subito di sentirmi crescere dentro la nuova creatura, anche se mi costavano abbastanza i disagi fisici ed emotivi (dalle nausee perenni ai dolori sparsi, dai controlli metodici delle salute di lui al controllo delle mie possibili smagliature per non svaccare a diciott’anni). Comunque tutto filò liscio e, contemporaneamente, mi diplomavo al liceo e diventavo mamma. L’estate imperante mi impose le prime difficoltà rispetto alle vecchie compagne: già mi aveva pesato abbandonare la discoteca degli amici e sentirmi immediatamente tagliata fuori dal loro linguaggio, dal loro look, dai loro gusti. Quando poi si profilò un’estate in città, perché non era il caso di portare un neonato al mare, confesso che qualche lacrima la versai. Il mio Gianfilippo, invece, non si era perso d’animo ed aveva dirottato l’interesse a nuove conquiste,col massimo della discrezione e della complicità degli amici. Giurai a me stessa che sarebbe stato solo per quell’anno; dall’anno seguente, avrei ripreso, se non interamente, almeno in parte, il mio diritto a vivere e a divertirmi.
Ma, come suggerisce un noto adagio, di buone intenzioni sono lastricate le vie che portano all’inferno; e il mio personale inferno sembrò materializzarsi a giugno dell’anno seguente, quando era possibile ‘la villeggiatura’ anche col bambino. Lo status dei miei suoceri impose che la balneazione si evolvesse al livello di una pensione di terza categoria, dove avevamo a disposizione una camera con pasti a pranzo, a cena e a colazione, piscina ed altri servizi vari. Ma l’ineffabile Gianfilippo decise che, essendo lui il maschio lavoratore e produttore di reddito, aveva il dovere di stazionare in città (a non fare nient’altro, se non cercare sempre figa più giovane per il suo uccello insaziabile!) e che sarebbe venuto a sostenere e consolare la famiglia nei fine settimana. Tra poppate, cambi, passeggio ed altre amenità, il mio Luigi mi succhiava le giornate intere lasciandomi a malapena lo spazio per un veloce bagno e qualche ora al sole controllando che lui stesse ben coperto sotto l’ombrellone. Credo che in quelle settimane imparai a capire l’amore di una madre per un figlio (ma anche per una figlia, aggiungevo, versando qualche lacrima per gli stupidi contrasti con mia madre che avevano poi originato tutto!); ma mi nacque, in parallelo, la smania di riscattare la mia vita dalla condizione di ’proprietà del maschio’ che Gianfilippo pensava di poter imporre impunemente.
Lo spunto mi fu dato dalla casuale vista, un giorno, del casotto dove da piccoli avevamo perpetrato le trasgressioni, per quel tempo, più ardite. Non so se decisi dentro di me di riempire di corna mio marito, ricambiando quelle che lui elargiva a me senza riserve; ma certamente il desiderio di una dolce trasgressione mi prese e non mi mollò. I suoceri erano stati molto accorti: la pensione scelta era proprietà di loro amici ed io ero affidata, senza saperlo, al loro controllo; quindi, neanche sognarsi di portarsi un uomo in camera, meno che mai uno del personale. Il mio ineffabile marito aveva stabilito nei fatti, senza dichiararlo, che lui era libero di venirmi a trovare perfino il giovedì e trattenersi fino al martedì; normalmente arrivava il sabato pomeriggio e spariva la domenica pomeriggio; ma alcune volte aveva anticipato, a sorpresa, l’arrivo, al venerdì e persino al giovedì; ed altre volte si era trattenuto fino al lunedì o al martedì. Decisi che il mercoledì sarebbe stato il ”giorno delle corna”; e giurai a me stessa che l’avrei fatto, fosse anche una sola volta! Ma non era con una sola occasione di incontro che volevo fargliela pagare; avrei cominciato con una, ma poi sapevo che l’appetito viene mangiando. Non mettevo in conto l’ipotesi di un altro amore.
Per disgrazia di Gianfilippo, per caso un giorno, proprio nella sala ristoro della pensione, incrociai uno sguardo che mi parlò al cuore; riconobbi immediatamente Nello, un ragazzo con cui avevo scambiato uno dei miei primi ‘baci veri’ quelli con la lingua, insomma, neanche tre anni prima; e il cuore impazzì. Trovai il sangue freddo per fargli segno, come ai vecchi tempi, che non desse la sensazione di avermi riconosciuto; fu la padrona della pensione, la mia aguzzina, a presentarmelo cercando di farmene ricordare l’immagine da ragazzo (quella che mi stava procurando le aritmie d’amore!) ed io feci finta di non ricordare, anche perché lui era di alcuni anni più grande. Quando la signora finalmente si allontanò, gli spiegai la trappola in cui ero caduta e la prigione che per me rappresentava quel locale. “Non ho più neanche un casotto dove andare ad imboscarmi!” conclusi, con evidente allusione. Sorrise con affetto e scoprii che era diventato un bell’uomo con un bel sorriso largo. “Ne sei certa? Mia madre dice sempre che una donna che vuole riesce a tradire in una stanza senza finestre e con la porta sbarrata.” “Credi che ne sarei capace anche io?” “Di esercitare la tua libertà, si; di tradire, non lo so. Io non te lo proporrei mai, se non ricorressero ragioni veramente importanti ed autentiche.”
Presi il telefonino e chiamai mio marito in vivavoce. Quando rispose, si udì netta una musica sudamericana e suoni di bicchieri tintinnanti fra risate sguaiate. “Senti, Gianfi, volevo chiederti quando arrivi; ho bisogno di crema solare e non riesco nemmeno a muovermi per andarla a comprare.” “Vengo quando posso, il lavoro mi impegna molto!!!” Risate sguaiate. “Scusa, ma sei in ufficio?” “E dove vuoi che sia!” I rumori si spengono, segno che ha zittito tutti. “No, niente … ci pareva …” “A chi pareva, oltre che a te?” “Oh, no, scusa … ho messo per errore il vivavoce e qualcuno ha sentito, ma non ti devi preoccupare; nessuno sa chi sei!” “Va be’, tu non uscire e la crema fattela comprare dalla padrona della pensione; con lei parlo io.” “Va bene. Ah, tuo figlio sta bene; visto che non lo chiedi, te lo dico io!” “Va bene, quando vengo gli faccio un regalo.” Chiuso il telefono, guardo interrogativamente Nello. “Senti Claudia, non devo confessarti adesso che sono stato molto, ma molto innamorato di te; devo confessarti invece che rivederti mi ha colpito più di quanto mi aspettassi. Adesso mi hai messo in una crisi terribile. Se tu non fossi la ragazza dei miei sogni, se neppure ti conoscessi, non potrei stare zitto di fronte a quello che ho sentito. Ma devo ripetertelo. Te la senti di rischiare, per amore, uno scandalo enorme?”
“Se tu fossi uno qualsiasi di quegli stronzi che girano sul corso e sulla spiaggia, ti prenderei in considerazione meno di una cacca di cane da evitare; è la tua presenza che mi getta addosso il peso degli errori, del vuoto di quel che poteva essere e non è stato, della stupidità di quel che è successo e non doveva succedere. Non si torna indietro e lo sappiamo; ma una briciola della dolcezza del casotto, quella la rivoglio, per sentire che sono ancora viva. E, se è possibile, senza scandalo, solo per amore dell’amore.” La padrona è tornata; doveva cercare dei documenti. “Signora, mio marito mi ha pregato di chiederle se, per favore, può comprare per me un tubetto di crema solare; dice che poi farà lui i conti?” Nello interviene scherzando con me. “Signora, ma suo marito non le lascia neppure i soldi per le piccole spese?” La signora scatta. “Lei si faccia gli affari suoi e pensi a far funzionare il climatizzatore!” “Certo, signora; mi scusi lei se mi sono permesso. La prego di chiamare un altro tecnico perché da lei non sopporto quest’arroganza!” La signora diventa violacea, urla parolacce; interviene il marito dai locali interni. “Cosa succede?!” “Ho detto alla sua signora che dovete cercarvi un’altra ditta perché con gente scostumata e arrogante come sua moglie io non lavoro!” “Ma che cosa fai, maledizione?” Le urla davanti a tutti; si rivolge a me e chiede “Cos’è successo?”
“Non so; le ho comunicato che Gianfilippo la incaricava di comprare della crema solare per me; poi avrebbe regolato lui. Il signore ha chiesto se io non avevo neanche soldi per le piccole spese e sua moglie si è messa ad urlare.” E’ lui adesso a diventare viola. “Adesso e per sempre tu la smetti di fare l’aguzzina per quelle persone; noi qui la gente la dobbiamo solo ospitare e coccolare; se poi un marito, di cui è meglio tacere, priva sua moglie e suo figlio anche del minimo per vivere, sono affari loro e non tuoi. Capito?” La moglie se ne va a capo chino; il marito prende in disparte Nello e lo prega di fargli il lavoro, gli pagherà la doppia tariffa, gli mette a disposizione una camera per la notte se deve fermarsi. Nello accetta e pone un sola condizione: uno degli inservienti vada a comprare, a sue spese, la crema di cui la signora ha bisogno, ma nessuno sappia che l’ha pagata lui. “No, scusi, non mi metta in difficoltà: quegli imbecilli, con la loro arroganza, potrebbero creare un casino lo stesso. Andrea, vai al negozio qui vicino e compra quello che serve alla signora Claudia; carica sul conto della camera. Può andare così?” “Va bene; io ora stesso comincio i rilievi; domani arrivano gli operai; stanotte posso alloggiare qui o devo cercarmi un albergo libero?”
“No, le ho già detto che c’è la camera per lei; la 608 ultimo piano.” Gli sussurro alle spalle. “La mia sta subito sotto, 508.” “Claudia, sei convinta?” “Poi troverò il modo di tornare con te al casotto. Ora so che lo voglio.” “Che dio ci aiuti.” Per tutto il pomeriggio Nello gira per la pensione con il proprietario per individuare i punti di passaggio e di aggancio del nuovo impianto di climatizzazione. Porto il bambino a dormire e mi siedo al sole a leggere una dispensa per gli esami che avrò in settembre. Bussano discretamente alla porta, apro e mi trovo di fronte al proprietario e a Nello i quali mi spiegano che devono valutare alcune cose; se non possono, torneranno in altro momento; faccio vedere che Luigi dorme come un angioletto e se non devono fare rumori, possono lavorare. Nello si fa accompagnare al terrazzino ed osserva quello superiore e i rampicanti che uniscono i due balconi: sorride ironico sotto i baffi e indica più volte i rami più forti. Si rivolge al padrone e guarda me. “Mia madre dice che una strada si trova sempre. Qui un mio manovale sarebbe capace di salire e scendere per tutti i sei piani solo con queste piante.” Il proprietario è perplesso “Forse anche io, da giovane, ce l’avrei fatta. E scommetto che lei anche oggi ce la fa senza problemi.”
Ci guardiamo con intenzione. “Beh, con la pancia che ho messo su … chissà …” “Ma quale pancia, lei è in forma come un atleta ed è anche bello tonico, beato lei. Signora, che ne dice?” Poi si riprende immediatamente. “Oh, mi scusi, … non volevo offendere!” “Perché offendere? Nello è decisamente un gran bell’uomo e mi dispiace non ricordare che siamo stati amici proprio qui.” “No, non ci posso credere. Ha dimenticato anche Raffaella, sua sorella che era sempre appiccicata a lei?” Oh, dio, Raffaella? Come sta? Dove sta?” Nello si scioglie un poco. “Vive qui, la sua casa si vede da qui, è di fronte. Adesso ti ricordi di me?” “Si; adesso so chi sei e quanto siete stati importanti per me tu e tua sorella.” “E’ molto bello il tuo bambino, ti somiglia tanto. Come si chiama?” “Si chiama Luigi ed è la mia vita. Solo per lui riesco a vivere; per lui, e per il giorno che mi renderò indipendente economicamente.” Noto una strana reazione in Nello. “Peccato che lei viva in città. La Ditta di Nello potrebbe forse garantirle un lavoro.” “Ma non riesce proprio a stare zitto?” “Oddio, scusatemi!” Comunque, il rilievo sembra avere avuto esito positivo, mi avvertono che l’indomani ci saranno un po’ di lavori in casa, soprattutto sul balconcino e vanno via.
Ceniamo insieme, io e Nello, sotto lo sguardo feroce della signora, a sua volta guardata con rancore dal marito; e alla fine mi accomiato per andare a mettere il bambino a dormire. Rinuncio ad accendere la tele e mi siedo sul terrazzino cercando di riprendere la lettura, ma in realtà attenta a qualunque rumore o movimento. Bussano alla porta, apro speranzosa; è la signora che vuole sapere se il bambino dorme. “Niente lo sveglia più facilmente che il campanello della porta!” Prendo il cartello ‘non disturbare’ e lo applico alla porta. “Buonanotte, signora.” Torno alla mia dispensa sul tavolino esterno. Il fruscio dei rampicanti precede il sussurro della voce di Nello. “Posso?” “Vieni, pazzo. Perché non dalla porta?” Salta sul terrazzino con agilità e, nello stesso momento, mi sussurra “la megera” e mi stringe in un abbraccio che non ricordavo più da almeno due anni. Spengo la luce esterna, mentre ricambio l’abbraccio accoccolandomi dentro la sua figura forte e muscolosa; mi sento quasi rimpicciolire ed assorbire nel suo amore. “Claudia … ti amo, ti amo, ti amo.” “Non lo dire più … fallo, amami, fammi sentire che mi vuoi almeno quanto ti voglio io.” Ci allacciamo in un bacio a ventosa, di quelli che ti lasciano senza respiro e con il basso ventre in rivoluzione.
Il suo cazzo si rizza prepotente e lo sento possedermi nonostante il vestitino che indosso e il tanga che porto più per vezzo che per igiene; la mia figa sbrodola e fa scivolare lungo le cosce rivoli di umori; siamo tutti e due arrapati come animali selvatici bramosi di riprodursi e lo comunichiamo con tutte le papille del corpo, con tutti i singoli gesti, con le parole smozzicate che non riusciamo a scambiarci perché le soffochiamo nei baci e nell’amore. “Voglio sentire il tuo cazzo!” e porto la mano sul pantaloncino abbassandolo di colpo e tirando fuori dagli slip un membro meraviglioso, per lunghezza e per grossezza, o che mi appare unico perché lo voglio con tutto l’amore del mondo. Lo masturbo un poco, poi mi limito a trattenerlo tra le mani per assaporarne il calore, la tenerezza, la dolcezza. Nello mi ricambia sollevandomi la falda della gonna ed entrando nella figa direttamente con le dita di una mano. Mi fa arretrare delicatamente, mi spinge supina sul letto, si inginocchia tra le mie cosce e mi aggredisce la figa con la bocca. Il mio clitoride è un bastoncino di carne duro e pronto ad esplodere; lui lo prende tra le labbra e lo succhia come la più dolce caramella del mondo; sento che l’orgasmo monta e temo di svegliare Luigi.
Cerco di mordermi una mano, ma Nello mi prende la bocca tra le labbra e la aspira a ventosa interamente, succhia via l’aria e fa scaricare nella sua gola l’urlo d’amore che mi esplode prima per l’orgasmo clitorideo, poi per quelli seguenti, che nascono dalla vagina, e infine per quello che si scatena dall’utero quando la sua lingua si insinua fino ad arrivare a toccarlo. “Adesso voglio assaporarti io. Stai fermo!” Gli impongo, lo rovescio sul letto con la mazza ritta sul ventre come una colonna e lo imbocco immediatamente, senza neanche soffermarmi a leccarlo come dovrei e vorrei. Mi basta sentirlo vivo dentro la bocca e spingerlo in fondo, sempre più in fondo, superando principi di soffocamento e conati di vomito: voglio in bocca il suo sapore, voglio nella pelle la sua consistenza, voglio che soddisfi il mio amore. “Voglio sentire il sapore della tua sborra; voglio che mi godi in gola!” E’ quasi costretto a scoparmi in bocca; ma sento e vedo che lo fa con piacere, con passione, con amore; ed insisto a succhiare, leccare e succhiare finché non devo essere io a tappargli la bocca perché il suo urlo animalesco non mi svegli il bambino. “Cavolo, non avrei mai pensato che fosse necessaria tanta prudenza, per fare l’amore con un bambino a fianco.”
“Neanche io lo pensavo; ma non credevo neppure che tu avessi tanta voglia di me quanta ne esprimi adesso.” “Forse si tratta di una risposta automatica e naturale al calore della tua passione.” “Non dire sciocchezze, innanzitutto perché non sono così tanto appassionata e poi perché le tue reazioni sono indipendenti dalle mie.” “Va bene; quando sarai pronta per fare veramente l’amore, res in rem, vedremo chi ci mette passione e quanta.” “Io non ho bisogno di sentirti dentro per sapere che ti voglio con tutta l’anima, che ti amo con tutto il cuore, che voglio appartenerti in ogni fibra.” “Vuoi fare la gara a chi si vuole bene di più o ci accontentiamo di dire che ci amiamo?” “Io so per certo che ci amiamo e questo mi dà una forza che non puoi sapere.” “Io so per certo che non solo ti amo, ma che dovrò fare di tutto per stare con te quanto posso e cercare di starci tutta la vita.” “Ti prego, non entriamo in discorsi pericolosi; il matrimonio è un errore irrimediabile ed io l’ho commesso. Aspettiamo a vedere se qualcosa cambia nella società, se no sono anche disposta ad avere un amante clandestino finché sarò nonna e nessuno mi vorrà più.” “Io ti amerò sempre, al di là di tutto.” Mi sussurra Nello mentre mi adagia supina sul letto e viene verso di me.
Comincia in quel momento una sarabanda d’amore che quasi mi sconvolge. Nello mi possiede in tutti i modi: comincia a scoparmi alla missionaria penetrandomi dolcemente, poi mi solleva le cosce, una per volta, e mi penetra sempre più profondamente: ad ogni cambio di posizione, corrispondono orgasmi infiniti che si rincorrono, per fortuna di entità piccola o media, che mi impediscono urla pericolose per il riposo di Luigi. Poi mi fa girare, mi fa ruotare, mi fa ribaltare e entriamo in un 69 meraviglioso, mi prende da dietro, mi scopa per ore; gli chiedo se vuole rompermi il culo; mi fa presente che, se non l’ho mai fatto, mio marito potrebbe avvedersene. “Se avesse la capacità di rendersi conto di quale pezzo di carne sta scopando … Io sono vergine, dietro, ma se tu lo desideri come me, allora voglio che tu mi svergini, adesso, e che mi faccia godere anche col culo.” “Amore, non è opportuno; il bambino si sveglierebbe di certo e andresti in panico per badare a troppe cose. Ti prometto che farò l’amore col tuo culo, che ti sverginerò, ma lo farò appena avremo la preparazione necessaria. Se non hai crema solare, come puoi sperare di trovare un buon lubrificante? Pazienta qualche giorno: così saremo obbligati a costruire un’altra occasione, anche più favorevole, per fare ancora l’amore.”
“Dimmi la verità: hai in mente qualcosa?” “Non vuoi andare a trovare Raffaella? Lei può badare al bambino, mentre facciamo l’amore, e può procurarmi quello che le chiedo.” “Questa quando l’hai pensata?” “Non appena quel signore mi ha ricordato i vostri rapporti. Io sono ancora il riferimento più importante per mia sorella e lei ti ama come sempre. Sono certo che diventerà nostra complice.” “Va bene; aspetterò ma voglio sentirti entrarmi nel ventre, da dietro. Adesso se non vuoi pazientare molto, meglio che vai.” “Che diamine dici?” “Per Luigi è l’ora della poppata; mentre succhia le tette e si riaddormenta, potrebbe passare quasi un’ora. Non posso rinviare.” “Pensi che posso succhiare insieme a lui?” “Mi hanno detto che, se fai con discrezione, senza sprecare latte, si può; puoi leccarmi anche la figa, mentre allatto; pare che sia estremamente erotico; e, se non disturbi il poppante, puoi scoparmi anche quanto vuoi. Non l’ho mai fatto, ma mi piace l’idea di provare il tuo amore mentre allatto mio figlio.” “Fai quello che devi; io farò quello che amo!”. In quel momento Luigi (che in quelle cose è per fortuna puntuale come un orologio) si sveglia; lo lavo e gli cambio il pannolino, scherzando con Nello a passargli quello sporco sotto il naso; e me lo prendo in braccio, offrendogli la tetta da poppare.
Nello mi accarezza il seno libero e gioca a leccarlo senza succhiare; i ghirigori che disegna mi stimolano la figa, godo e glielo dico; si insinua sotto di noi e mi lecca la figa; sento che perdo un po’ di umori, lo avverto e rafforza la succhiata quasi per farsi entrare in bocca ancora più liquido, che sento essere in parte anche piscio; non si arrende. Luigi s’è svegliato alle 2; alle 3 riesco finalmente a rimetterlo a dormire e mi abbandono tra le braccia di Nello. “Non sai quanto amore mi hai suggerito, offerto, regalato, fatto desiderare. E’ stata l’ora più bella della mia vita.” “E Luigi non è nemmeno tuo … e se fosse stato nostro figlio, mio ma anche tuo?” “Non lo so; ma chissà che un giorno … “ “Gli metto un dito sulle labbra.” Non bestemmiamo, per ora. Forse un giorno sarà solo un sogno o un ricordo dolce. Ma adesso non bestemmiare.” Riprendiamo a fare l’amore e andiamo avanti fino all’alba. Non so dire quante volte abbiamo ripetuto il rapporto, non so come abbiamo fatto a resistere così tanto. Solo con tanto amore posso spiegare una resistenza al di là dell’umano. Ma riusciamo a sopravvivere, finché i rumori esterni non ci mettono sull’avviso che la città si sveglia.
Ormai non è possibile, per Nello, fare il percorso dai balconi, divenuti visibili dalla strada; lo faccio rivestire, esco nel corridoio per controllare che sia vuoto e lo saluto con un bacio leggero. “Inventati qualcosa, per rivederci. Ti amo.” “Ti amo anch’io. A più tardi.” Sgattaiola come un’ombra e sparisce sulla scala verso il piano superiore. Torno in camera, mi raccolgo, col cuscino contro la figa, tutto l’amore che ho vissuto e che continuo a coltivarmi dentro; poi crollo addormentata. Per fortuna, il mio corpo si è abituato ai ritmi di Luigi e alle sei il suo pianto mi risveglia. Muovendomi come in trance, lo lavo, lo cambio lo faccio poppare; mi riaddormento insieme a lui e mi sveglio alle nove. Nella pensione il ritmo solito e imperturbabile è scosso dalla presenza di operai che girano per i piani; voci di corridoio dicono che sono gli operai per la climatizzazione. Spero di incrociare Nello, ma non c’è. Preparo il bambino ed esco in strada a passeggiare sul corso. “Claudia!” Mi giro e scoppio a piangere. “Lella, sei proprio tu?” “Perché piangi? In fondo sei mancata solo un anno!” “No, sono mancata per una vita ed ora sono qui, davanti alla mia più cara amica di sempre, completamente cambiata e forse peggiorata!”
“Nello mi avvertito che ti aveva incontrata. Pare che sia ancora più innamorato di te.” “Si, ma ora sono sposata!” “Ecchissene … io non lo sono e vivo benissimo; forse mi manca un figlio che tu invece hai.” “Hai un amore?” “Si e no; c’è ma non me ne frega niente e non sono abbastanza innamorata da legarmi a lui. E tu?” “Cerchi di farmi credere che Nello non ti ha detto di stanotte?” “Certo! E che diamine, io e lui siamo ancora indissolubili; e vedo che anche con te i legami non sono cambiati.” “No, l’amore è lo stesso; anche la lealtà e la sincerità; da quello che mi dice Nello, dovremo essere anche più complici e mi sta bene. Quindi, ancora indissolubili.” “Posso dirti che sono felice di volerti bene come sempre?” “Vale anche per me. Dov’è Nello?” “Lui è a casa mia e ti aspetta perché ha una strana fregola di fare l’amore. Se vuoi, mi segui e ti guido per strade minori; poi a casa, mi affidi Luigi (si chiama così?) e ti dedichi per un’oretta al tuo amore, sperando che dio ce la mandi buona.” Per stradine a me sconosciute (nonostante gli anni trascorsi a villeggiare lì) mi guida verso il retro delle villette, tutte con orticello e giardino alle spalle. Ed entriamo nella sua. Ad accoglierci c’è il fratello che mi avvolge immediatamente nel suo abbraccio poderoso.
“Ragazzi, tra due ore Luigi ha la poppata. Fate quello che volete ma smettete tra un’ora e tre quarti. Chiaro?” Nello mi solleva tra le sue braccia e mi trasporta nella camera, mi deposita delicatamente sul letto e mi copre con la sua enorme figura: il bacio che ci scambiamo ha il sapore di quello che ci saremmo scambiati in un ipotetico viaggio di nozze; poi, letteralmente, Nello mi prepara ad essere sverginata nel culo. Dopo avermi baciato e leccato a lungo su tutto il corpo, si sofferma sulle natiche e mi fa sistemare gattoni sul letto, infilando la lingua il più profondamente possibile nell’ano; provo un piacere nuovo, strano, che si dirama dal forellino per tutto il basso ventre fino all’utero che sembra agitarsi fino ad una leggera sborrata ; sento che, dietro la lingua, un dito si è infilato nel buco del culo ed ha forzato lo sfintere: dopo una prima, istintiva reazione lo assorbo amorevolmente e quasi lo titillo come lo masturbarsi; va avanti e indietro alcune volte, poi entra accompagnato da un secondo: alla mia reazione di rigetto, Nello mi chiede di prendere un flacone che sta sul comodino alle mia sinistra; glielo passo e, dopo poco, una sensazione di fresco si diffonde sull’ano; sento le stesse due dita penetrare in profondità, senza provocare alcuna reazione; dopo qualche passaggio avanti e indietro, rientrano in tre e ruotano nel mio culo provocandomi solo piacere..
Nello si ferma e mi parla soavemente. “Amore, in questa posizione, la penetrazione risulterebbe agevole e quasi indolore. Ma se restiamo così, io ho davanti la tua schiena e non ti guardo negli occhi mentre ti stupro; invece vorrei che mi restasse per sempre impressa l’immagine del tuo viso, del tuo sguardo. Possiamo farlo, cambiando posizione ma sarà un poco più doloroso. … “ “Girami come si deve … “ Mi gira supina, mi allarga le gambe e si sistema in ginocchio fra di esse; afferra le caviglie e mi solleva i piedi verso il suo viso, mentre mi fa aprire al massimo le cosce e mi porta ancora più in alto finché il mio culo è all’altezza del suo cazzo.” “Riesci a vedere il mio membro? … “ Accenno di si. “E il tuo ano?” Scuoto la testa. Prendo un cuscino, me lo pongo sotto la testa e finalmente ho davanti tutto intero il mio basso ventre e il suo, minaccioso contro di me. “Ora io ti penetro; quando avverti l’urto, spingi dall’interno, come per andare di corpo. Se hai male, avvertimi e mi fermo.” Gli faccio cenno di andare vanti; vedo e, soprattutto, sento la cappella che si apre la strada e godo estasiandomi a sentire il randello che mi forza l’intestino; quando tocca allo sfintere farsi violare, la fitta scatta improvvisa; gli faccio segno di fermare ma gli urlo di non uscire.
Sospiro profondo e invito a riprendere. La penetrazione dura un tempo infinito (alcuni minuti, in realtà) con orgasmi che si susseguono. La libidine maggiore è guardare il mio corpo teso per la nuova dimensione dell’amore, il suo sguardo incantato sul mio corpo che gli si concede, il senso dell’amore che domina un gesto in fondo triviale. Quando affonda, molla i piedi e mi lascia scivolare giù; si adagia sul mio corpo e mi viola con dolcezza; esplodiamo insieme in un enorme orgasmo quasi liberatorio. Per una mezz’oretta circa, Nello mi monta nel culo variando le posture per darmi piacere; così mi incula da dietro, da sotto, da sopra, allargando e stringendo le gambe. Alla fine mi scopro stanca e dolorante quando il telefonino mi avverte che manca poco alla poppata. Lo bacio con affetto e scappo in bagno a lavarmi. “Ti ha fatto il culo?” Lella mi accoglie così. “ … e non sai quanto sono felice!” “Lo so e temo di invidiare tanta felicità tua. Spero che uno dei prossimi giorni ti potrò mettere a parte di qualche mio segretuccio.” “Quando vuoi, senza problemi!” “Per ora torna alla pensione e riprendi la recita. Per l’amore, ci sono i tuoi angeli custodi. Ciao, bella!” “Ciao a tutti e due. Vi amo.”
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