Come al solito, proprio quando non vorrei perdere tempo, mi trovo a scontrarmi con gli altri abitanti della casa (2 in tutto, mio figlio Manlio e mio marito Oreste) che hanno il dono magico di intrattenersi a radersi quando io devo caricare la lavatrice là vicino. Busso leggermente alla porta e a Manlio chiedo se sta radendosi e posso quindi fare quello che devo; mi apre la porta (che tra l’altro non era chiusa a chiave, come sempre in casa) ed io entro; giocando volentieri a urtarci coi fianchi avanzo fino alla cesta della biancheria da lavare e la prima cosa che mi capita in mano è il perizoma che ieri sera ho messo via usato, ma non sporco e che stamane e grondante di un liquido viscoso che non ho nessuna difficoltà a riconoscere come sborra che Manlio ha scaricato in una delle tante seghe che si spara sui miei indumenti intimi. Visto che ce l’ho lì vicino, ne approfitto. “Tesoro di mamma, quando la smetterai di riempirmi di sborra tutto l’intimo da lavare? Ma, poi, cosa ti rende tanto appetibili i miei perizomi da indurti a sborrarci dentro fino a tre volte al giorno?” “Amore mio, cosa posso dirti? Amo la tua figa, sogno di scoparmela in ogni momento della giornata, specialmente il sabato notte, quando quel lumacone di mio padre in trenta secondi ti scarica dentro la sua sborrata e si addormenta, costringendoti a venire in bagno a masturbarti come una liceale arrapata. E’ un anno ormai che ogni sabato sera è la stessa solfa, io ci sto male mi masturbo come un liceale anche se non lo sono da un pezzo e mi scopo almeno due ragazze al giorno.”
“Bum! Questa l’hai proprio sparata grossa! Tu saresti quello che si scopa due ragazze al giorno - e forse qualcuna anche più di una volta - e per colmo di misura si spara tre seghe sull’interpretazione personale della figa di sua madre? Allora io sono Moana Pozzi!” “Mammina bella del tuo piccolo Manliuccio, ti risulta un qualche soprannome che tuo figlio ha nel giro delle amicizie, anche delle tue amicizie?” “Si, il siffredi di noantri, mi pare: che vuol dire?” “Ah, tu sai chi è Moana Pozzi, buonanima, e non sai chi è Rocco Siffredi? Wilmuccia cara, documentati almeno su wikipedia.” Lo faccio immediatamente e scopro che Siffredi e il pornodivo più dotato in circolazione. Sbarro gli occhi. “E tu?!?! Tu saresti?!?!” “E con tutta la figa che ho a disposizione, mi sparo le seghe sul sogno della tua. Ti dice qualcosa?” “Mi dice che finora ho creduto di scherzare, ma che adesso dobbiamo cominciare a parlare molto sul serio.” “No, guarda, se intendi aprire il libro dei peccati e spiegarmi che l’incesto è grave, che non si può e via con le altre storie, risparmiatelo. So bene quello che sento e cosa comporta quello che sento. Non ci posso e non voglio fare niente. Vuol dire che per non disturbarti scaricherò la mia sborra nel cesso o nei fazzolettini; ma non mi chiedere di rinunciare a sognare la tua figa, il tuo culo, le tue tette ma anche te che pisci che caghi che fai tutte le tue funzioni quotidiane, perché a quello non rinuncio specialmente quando sento che ti stai masturbando (se non l’hai capito, io sono puntualmente dietro la porta a spiarti e a masturbarmi) e vorrei entrare di colpo e farti assaggiare un po’ di piacere vero con una mazza vera.”
“E secondo te, non saprei che mi sorvegli, che mi spii, che ti spari l’ira di dio di seghe per me?! Non posso, non ce la faccio, non me la sento. So che sarebbe anche semplice allungare la mano e fartela provare io una sega fatta con l’amore di una mamma. Ma è del dopo che ho paura. Io poi non so fermarmi e rischio di finire come con tuo padre.” “Che cazzo è successo fra voi due?” “Hai proprio voglia di affrontare una verità che può essere difficile forse anche dolorosa?” “Ho voglia di tante cose, ma soprattutto di verità ad ogni costo. Ormai ho ventitré anni; a quest’età, tu avevi un figlio di quasi cinque anni, credo.” “Si, i conti li sai fare; ed ero anche felice di te, di mio marito, della mia vita. E tutto è andato bene fino al’anno scorso … “ “E poi?” “E poi devi aspettare che io avvii la lavatrice e che tu finisca di fare toilette; poi ci sediamo e, se vuoi, parliamo, anche se, ti giuro, mi riesce difficile e mi spaventa.” “Ok; quando saremo in ordine, ci siederemo e parleremo, da figlio a madre, da uomo a donna, da innamorato ad amata.” “Non esagerare, ti prego: l’amore è il grande assente; se solo se ne sentisse l’odore, rischiamo grosso.” “Cristo, ma il rischio non ti intriga neanche un poco?” “Perché diavolo non stai zitto e non aspetti di sapere?” “Hai ragione. Scusa.” Finisce le sue abluzioni, che accelera per la smania di parlare con me; indossa una semplice tuta e si fionda in cucina dove è già pronta la colazione.
“Io ti chiamerò sempre Manlio perché è il tuo nome; cercherò di non usare mai il sostantivo figlio perché in certi momenti e per certi discorsi potrebbe suonare blasfemo. Per questo stesso motivo, gradirei che mi chiamassi mamma quando ti riferisci solo ed effettivamente al nostro rapporto di affetto; quando ti riferisci alle nostre, reali o possibili, intimità, preferirei che mi chiamasi Wilma o, al massimo, amore. Si può fare?” “Certo, amore mio, tra me e te si può fare tutto: basta volerlo e metterci d’accordo.” “Ok. Come direbbero certi ragazzini, cominciamo dal comincio. Tu stesso hai detto che mi sono sposata quasi a diciotto anni ed ho avuto subito te. Non è stato un periodo difficile: eravamo giovani tutti e due, io e Oreste, eravamo pieni di vita e avevamo due famiglie che ci sostenevano e ci permettevano, facendo volentieri i nonni - sitter, di passare bellissime serate da giovani innamorati della vita. Scopavamo anche moltissimo: fino a tre volte al giorno, all’inizio, nonostante gli impegni di lavoro. Poi andammo acquietandoci e scendemmo progressivamente a una volta al giorno, a due volte la settimana fino al rito del bancario, il sabato sera soltanto.” “Ma questo, nell’arco di quanto tempo?” “Più o meno una quindicina di anni. Poi cominciò il declino e, da persone intelligenti, prima di perderci di vista, decidemmo di parlarne tra di noi.” “Riusciste a raggiungere una conclusione?” “Si; scoprimmo che la noia era la radice dei mali. Fu allora che tuo padre propose di dare una botta di vita al nostro rapporto, calpestando certe ataviche convinzioni anche religiose ed affrontando qualche ipotesi di sesso trasgressivo per riaccendere la fiamma del desiderio.” “Funzionò?”
“Avrebbe funzionato, se non avessimo commesso alcuni errori gravissimi che diedero luogo ad un autentico fallimento.” “Scusa l’interruzione. La tua paura a dare vita ad una storia con me nasce da questo fallimento?” “In parte si; in parte è vero proprio il contrario; ho paura che, se alla fine di questa chiacchierata, come prevedo, ci trovassimo a proporci una soluzione di ‘vendetta’ o di rimedio all’errore precedente, io rischio di innamorarmi tanto di te da voler rinunciare al matrimonio. E questo mi fa ancora più paura di qualunque altra soluzione.” “Quale livello di autocontrollo e di credibilità mi attribuisci, non da madre né da femmina, ma da donna accorta e intelligente come ti conoscono tutti?” “Io, da donna, non ho nessuna difficoltà a fidarmi di te anche quando mi dici un panzana: sarei sicura che la diresti in vista di un obiettivo più importante. Insomma, mi fido di te.” “E se ti giuro che, nel caso, sarei il più ostinato ad impedirti di fare, per me, la sciocchezza del divorzio: se ti prometto solennemente questo, mi credi?” “Si; e so anche che manterresti fede alla promessa.” “Mi racconti allora, per favore, l’incidente che ha interrotto il vostro percorso d’amore?” “Tu sai cos’è un privè?” “Cioè, stai chiedendo a un puttaniere se conosce la figa? Dicesi privè un luogo di ritrovo frequentato da personaggi dai gusti sessuali particolari; in quel luogo è possibile abbandonarsi alle pratiche più svariate del sesso fino a quelle forme esagerate che vanno sotto il nome di sesso brutale caratterizzato da dolore e violenza fisica. Ne conosco alcuni e so anche che molti sono da evitare per le insidie che possono celare. A quale ti riferisci?”
“Al ‘Rififì’ di … la cittadina a cento chilometri da qui.” “Ahi, ahi, ahi, signora cara, lei mi cade sul peggio; proprio qualche mese fa è stato chiuso per le proteste di alcuni avventori che si sono trovati in situazioni inestricabili e dannose. Siete andati là?” “Purtroppo si. Dico purtroppo, perché a decidere fu tuo padre che aveva assunto certe informazioni da internet e l’aveva scelto solo perché abbastanza lontano per non incontrare persone conosciute e abbastanza vicino per passare una serata e tornare a dormire a casa. In realtà, alla verifica dei fatti, le sue informazioni risultarono del tutto inadeguate e probabilmente cademmo in un di quelle insidie di cui parlavi tu adesso. “Vale a dire?” “La cosa cominciò bene. Tu eri all’Università e ti fermavi per alcuni giorni; i nostri vecchi, sia i miei che i suoi, non avevano dato segnali di emergenze; avevamo per noi il sabato sera e, volendo, tutta la domenica. Uscimmo di casa con il vestito che di solito indossiamo quando andiamo a passeggiare sul corso e, in un pacco, portavamo l’abbigliamento per la serata; in particolare io, in macchina stessa, indossai solo un perizoma, un vestitino tipo charleston che mi arrivava appena alle natiche e un paio di scarpe con tacco alto. Tuo padre sostituì il gessato classico con un jeans, una camicia a scacchi e mocassini senza calzini. Ti assicuro, senza vanagloria che ero una vera bomba di sesso e lui non era da meno.” “Non ci vuole fantasia a crederti: tu sei una bomba!”
“Nel locale cominciammo dalla cena e lì tuo padre commise alcuni piccoli errori, anzi forse uno solo: accettò l’autoinvito di un bel ragazzo, che stava seduto da solo, ad unirsi a noi.“ “Neanche dubitaste, per un attimo, che fosse uno pagato per fare proprio quello che avrebbe fatto?” “Cosa avrebbe fatto?” “Ti avrebbe affascinato, ti avrebbe scopato in tutti i modi e ti avrebbe passato a tutti i clienti soli e bisognosi ci compagnia. E’ il classico compito dei bull in quei posti.” “Per te che sai, era tutto semplice; per due sprovveduti (e soprattutto per uno che si spacciava per esperto ma era assai sprovveduto) fu l’aiuto che viene dal cielo. Cominciò a farmi bere e, prima che me ne rendessi conto, ero brilla; tuo padre non so, ma sospetto che anche lui fosse per lo meno eccitato dall’alcool: questo fu il secondo piccolo errore, conseguenza del primo come tutti gli altri dopo. Il terzo fu autorizzarmi a ballare con lui senza pensare neppure per un attimo a venire lui in pista con me. Alex (mi pare che si chiamasse così) mi abbracciò come un polpo con tutti i tentacoli e mi piantò contro la figa un cazzo che sin dal primo impatto mi apparve assai più grosso di quello, di normali dimensioni, a cui ero abituata con tuo padre. Nel giro di un ballo (che in realtà fu una lunghissima pomiciata con carezze ai glutei, ai seni e alla figa) raggiunsi tre volte l’orgasmo. Tuo padre vedeva tutto e si rendeva conto che ero sbronza, che stavo sborrando e che stavo facendomi scopare in piedi e da vestita. Ma non fece una piega.”
“Cazzo, oggettivamente devo dire che ve la siete cercata … e col lanternino. Una situazione del genere, per un bull, è l’ideale: senza colpo ferire si trova una preda perfetta. Scommetto che poi ti ha demolito culo, figa e mascelle!” “Bravo il mio bambino! Ma tu, cosa avresti fatto?” “Amore, io sto scherzando su qualcosa di cui conosco la gravità. Non ci vuole molto a capire il senso di impotenza e di frustrazione di tuo marito quando si è reso conto di quale enorme imbecillità aveva commesso; il senso di inutilità quando si è accorto di averti indotto a fargli le corna; la rabbia contro se stesso, il vero colpevole, che scarica su di te, la più innocente della situazione; e la rabbia che si carica con la frustrazione, che si incupisce con le corna, che cozzano contro la sua imbecillità. Mi fa tanta pena, ma se l’è voluta. E’ già stato abbastanza razionale, visto che è rimasto e non ha ceduto alla tentazione di rompere il matrimonio: viene spontaneo, in questi casi. Quindi, anche aver ridotto al minimo i rapporti sessuali si capisce bene. Il problema adesso è tuo, che devi decidere come valutare il tutto.” “Guarda che non è finita qui.” “Cazzo: è successo di peggio?” “Beh, tu l’hai anticipato e riassunto: fino a quel momento, non c’era stata che una lunga pomiciata in cui avevo avuto più orgasmi; l’altro invece aveva mantenuto il rigore del suo cazzo senza fare una piega, da bravo professionista (ma questo mi è chiaro oggi, non lo era allora). La cazzata vera la feci io subito dopo che fummo tornati al tavolo. Tuo padre aveva una faccia che non ti dico e gli chiesi se stava bene o se preferiva interrompere lì l’esperienza. Lui mi rassicurò che era solo un momento di disagio che sarebbe passato e mi invitò a divertirmi. Io, da perfetta imbecille, preferii credergli e chiesi ad Alex di farmi visitare il posto.”
“Ed io scommetto che la tua odissea cominciò proprio da lì.” “Già. Lasciammo Oreste al tavolo del ristorante e mi portò nella prima delle sale che si aprivano in semicerchio al piano superiore. Dentro c’era un letto rotondo quasi enorme, sul quale un coppia stava scopando alla missionaria; intorno, tante sedie occupate da uomini eccitati che seguivano i movimenti degli amanti; osservai anch’io, avvicinandomi, e mi eccitai. Alex mi spinse sul letto: c’era posto per almeno quattro coppie; mi sollevò la gonna e mi sfilò il perizoma; un attimo dopo il suo cazzo enorme appoggiava la cappella alla vulva e cominciava una penetrazione leggermente dolorosa, eccitantissima, meravigliosa; sborrai tre volte, mentre il cazzo percorreva la vagina fino a toccare l’utero; lui sborrò quando fu entrato del tutto, segno che era molto eccitato o che la mia figa lo intrigava molto. Gli tornò duro in una frazione di secondo e me lo trovai ancora fra le cosce ritto come un obelisco, si ribaltò insieme a me e, da sotto, mi fece spostare finché mi sedetti, di spalle al suo volto, e cercai di impalarmi, ma stavolta nel culo: fu lenta e dolorosa la penetrazione; dietro l’avevo preso poche volte da tuo padre; ma alla fine sentii le palle che mi picchiavano sulle grandi labbra, segno che i più di venti centimetri del suo cazzo erano nel mio ventre. Mentre cercavo di assorbire questa violenza, un nero, da una delle sedie, si avanzò sul letto ostentando un cazzo ancora più grosso, almeno sui venticinque centimetri; Alex, da sotto, mi allargò la vulva e il nero appoggiò la cappella, spinse con forza e penetrò fino al’utero: per la prima volta in vita mia mi trovavo a sperimentare una doppia penetrazione, in figa e in culo, con due mostri di cazzo. Godevo come una scimmia mentre i due mi montavano insieme”
“Vuoi dire che alla tua prima doppia, con due bestie in corpo, hai anche goduto?” “Proprio così; e non basta. Mentre ancora non mi capacitavo di quello che mi stava succedendo, un altro personaggio venne a inginocchiarsi sopra la mia testa e mi appoggiò sul volto un cazzo di buona stazza, infilandomi la cappella in bocca: cominciai a succhiare come se non avessi fatto che quello in vita mia. Intanto altri due spettatori si erano stesi ai miei fianchi e mi avevano messo in mano i cazzi da masturbare: con terrore, mi resi conto che stavo facendomi scopare da cinque uomini contemporaneamente. Quando, insieme, Alex e il nero mi scaricarono la loro sborra nel ventre, mi alzai di colpo e allontanai tutti precipitandomi giù dal letto. Alex mi raggiunse e mi consolava con dolci parole: stordita dal vino, dal sesso e dalle continue sborrate lo stetti a sentire e mi calmai; stupidamente e surrealmente, chiesi del mio perizoma, che Alex mi mostrò conservato in una sua tasca. Avevo ormai perso di vista mio marito e neppure mi preoccupavo di cercarlo; seguivo come un automa il mio nuovo giovane amante che mi mostrò - ma mi rifiutai di entrare - sale per sesso brutale, per la dominazione, per le perversioni peggiori; poi mi indicò anche sale più “appetibili” con coppie e gruppi che si esibivano in tutte le posizioni possibili del sesso. Alla fine mi portò in una sala che definì del glory hole che, onestamente, dichiarai di non conoscere. Mi spiegò allora che le pareti intorno non erano spesse ma di cartongesso e di piccole spessore; a distanze prestabilite, comparivano dei fori e da alcuni di questi sbucavano cazzi di tutte le forme e di tutte le dimensioni. Alex mi spiegò che in quella sala le signore potevano succhiare tutti i cazzi che volevano, farsi anche penetrare da quelli disposti ad altezza conveniente e che, intanto, potevano anche praticare sesso con gli accompagnatori che eventualmente fossero entrati.” “Davvero non sapevi del glory hole? Eppure è un concetto diffuso!”
“Cosa vuoi farci? Per me era nuovo. Mi chiese se volevo provare ed io, affascinata da un cazzo nero particolarmente grosso che vedevo sbucare ad altezza bocca, mi ci dedicai e comincia a manipolarlo, a leccarlo, a succhiarlo: insomma, lo feci sborrare anche abbastanza rapidamente; sull’onda dell’entusiasmo, passai ad un altro più o meno della stessa dimensione: mentre lo succhiavo col viso alla parete, sentii che qualcuno dietro mi massaggiava il culo; mi girai e vidi un uomo di una cinquantina d’anni, con un cazzo di stazza normale, che mi inginocchiato dietro di me mi leccava il buco del culo con grande abilità: sentivo la sua lingua penetrarmi fino in fondo e il mio sfintere si rilassava fino a dilatarsi; riportai l’attenzione al cazzo che stavo succhiando e mi impegnai allo spasimo per farlo sborrare: l’idea di vedere la sborra spruzzarmi in faccia, in bocca, mi eccitava; ed alla fine ebbi successo e vidi l’onda di crema bianca invadermi la cavità orale e scivolarmi lentamente fino sul seno; la raccolsi con le dita per non sporcare il vestito e la portai in bocca. Mi piacque. Intanto, lo sconosciuto non smetteva di umettarmi l’ano. D’un tratto vidi più in basso un cazzo nero sbucare superbo ad altezza figa, o culo; mi liberai del leccatore e appoggiai la schiena alla parete; mi chinai in avanti facendo aderire il cazzo al perineo; qualcuno, da dietro, orientò il cazzo e lo appoggiò al’ano che, lubrificato a lungo, si aprì ad accogliere la mazza fino in fondo. Mentre mi facevo inculare, Alex si presentò davanti col cazzo in mano e lo diresse alla bocca. Lo ingoiai con gioia e cominciai a scopare i due cazzi in contemporanea: li feci sborrare insieme e mi sentii inondare, allo stesso tempo, in bocca e in culo, provandone una fortissima sensazione di piacere.” “Cazzo, hai proprio perso il senso del limite.”
“Già. E proprio allora, probabilmente, è avvenuta la vera crisi tra me e tuo padre. Ancor prima che mi staccassi dai due cazzi, vidi avanzarsi al centro della sala Oreste, che mi afferrò per un braccio e mi trascinò via con gli occhi fuori dalle orbite: aveva visto tutto. Tutta la vergogna per quello che avevo fatto mi piombò addosso e fui presa da un senso di angoscia che mi prostrò. Sulla via del ritorno, dovemmo fermarci in un motel, perché dovevo ad ogni costo pulirmi dalla scorie di sesso che avevo dappertutto. Appena in camera, mi fiondai sotto la doccia, quasi illudendomi di poter cancellare via, coi residui di sborra che mi insozzavano tutto il corpo, anche i residui di troiaggine e di volgarità che mi avevano marchiato a fuoco l’anima stessa. Piansi tutte le lacrime che potevo; mi asciugai alla meglio con gli asciugamano del motel e mi rivestii con l’abito con cui ero uscita da casa, quello della signora perbene a passeggio sul corso. Nessuno dei due disse una parola mentre tornavamo a casa (era inutile e stupido dormire in motel: mi bastava essermi lavata) e da quel momento la parola sesso non è mai più stata pronunziata, in questa casa, da mio marito che il giorno dopo pareva piegato sotto il peso delle decine di anni che l’esperienza gli aveva scaricato addosso. Da allora - ed è passato un anno - mi sono limitata al ruolo di moglie stupida e borghese, felice persino della scopatina settimanale che il marito si degna di elargirle. Ma sto malissimo e non faccio che sognare un amore come quello che ho perduto.”
“Ho la testa che mi scoppia; ho bisogno di riflettere e di capire. In primo luogo, è importante sapere se il vostro matrimonio è ancora abbastanza solido, dopo questa mazzata, per reggere al tempo ed eventualmente sanare almeno alcune ferite. A lume di naso, mi pare che lui non voglia distruggere tutto. Se continua a scoparti, vuol dire che qualcosa gli è rimasto della passione; forse puoi cercare di farlo riprendere almeno a questo punto di vista, sempre che, è chiaro, tu abbia voglia di salvare il matrimonio. E qui scatta il problema Manlio. Se voglio essere il figlio affettuoso che vuol salvare il matrimonio dei genitori, devo scomparire: anche come consigliere rappresento un pericolo. Ma questo comporta che devo dimenticarti: tre seghe al giorno, nelle tue mutande, per quasi un anno, non sono il presupposto giusto per dimenticarti. E il mio cazzo mi sta suggerendo anche adesso che voglio scoparti, costi quello che costi; e non per pura libidine, ma per amore vero. Se devo ascoltare il mio istinto, non mi preoccupo troppo di come sta lui, ma mi devo dedicare a quello che tu mi hai detto a proposito di riproporre la situazione e riscattare gli errori. Se non ho capito male, io sono prontissimo a tornare con te in un privè e fartelo vivere come tu avresti voluto, con qualche trasgressione, ma soprattutto con una immensa complicità con l’uomo che ti ama e che tu vuoi imparare ad amare. Rischio ce n’è, come in tutte le cose; ma insieme ce la facciamo; poi comincia il vero ‘poi’: cosa ci succederà? Potremmo trovarci innamorati e non disposti a sacrificare niente. O forse diventiamo più ragionevoli tutti e due.”
“Cosa sei disposto a rischiare?” “Wilma, amore, io ti voglio, con tutto il cuore, ma anche con tutto il corpo, ti amo ma ti desidero anche con tutta la forza della mia età: se su un piatto della bilancia c’è fare l’amore con te, sull’altro ci puoi mettere quello che vuoi, sceglierò sempre il tuo corpo, il tuo amore, il tuo sesso. Questo per me non è rischiare; questo è fare quel che amo. L’unico pericolo che vedo e che tu, dopo avermi testato in questo progetto di rivalsa, ti accorga che non hai più bisogno del mio amore, della mia complicità e faccia altre scelte. Ma, come ti ho detto, se la posta in gioco è averti come ti voglio, io non ho esitazioni e mi gioco tutto su una serata al privè.” “Allora, ascoltami. Io devi, capisci DEVO provare a me stessa che, in condizioni leggermente diverse, sono in grado di attraversare quell’inferno bruciacchiandomi in maniera risibile. Diciamo fuori dai denti che voglio andarci con un mio maschietto e vivere con lui nella massima complicità quell’esperienza. Dalla precedente esperienza, so che deve essere capace di scoparmi come vuole lui e come mi aspetto io, che deve anche lasciarmi scopare con qualcun altro e rischiare di perdermi per sempre. Ma so anche che se esco da quell’esperienza rafforzata, lui sarà veramente il mio uomo. Ora la vera domanda a me stessa è: vuoi tu, Wilma, che l’uomo della tua vita sia tuo figlio Manlio? Se mi rispondo si e se veramente tu diventi il mio uomo, dovrò avere molta forza per tenere in piedi questa baracca che tutti e due amiamo (anzi, siamo in tre ad amarla profondamente). Se mi dico si e tu vieni meno, la depressione è l’unica prospettiva.” “Io posso solo dirti che ti amo alla follia, che ti voglio e che schiaccerò tutto quello che si frappone fra me e te. Tu decidi per te.”
“Hai qualche idea per dove andare se decidiamo di affrontare questa strana, assurda prova di forza?” “Si, il ‘Cocorito’ di …; è lungo l’autostrada, si raggiunge in poco tempo, è un posto raccomandabile e puoi farti passare tutti i ghiribizzi che vuoi. Però si accede su prenotazione e tesseramento.” “Sei in grado di assicurarti tessera e prenotazione?” “La tessera ce l’ho già; per la prenotazione, a me basta una telefonata. Con o senza cena?” “Tu che preferisci?” “Io, la mia donna, la porto a cena, prima di andare a giocarmi il dopocena.” “Per il vestito?” “Lascia fare a me: non serve molto a una donna bella come te.” “Adulatore!” “Io dico solo parole di verità, perché tu sei veramente assai bbbbona.” “Lo sai che sono oltre gli …anta?” “Lo sai che le sciacquette ti fanno un baffo? Basta! Sei bona, sei bella, sei elegante, sei la mia donna ed io ti ostenterò come la mia più recente, la più difficile e la più importante conquista, parola di Siffredi de noantri!” “Ah, già; io però mica l’ho mai visto, sto Siffredi di casa mia … ” “Perché, io la Moana Pozzi di casa?” “Alla serata del privè?” “Sperando che non tardi molto.” “Guarda che la prenotazione la fai tu …” “Ti sei cambiata le mutande stamane?” “Perché?” “Perché ho bisogno di spararmi una sega o do di matto!”
“Non credi sia meglio se te la tiro io, così non sporchiamo un altro capo delicato?” “Le tue decisioni sono ordini per me, amore!” Ho deciso; andiamo insieme in bagno e gli abbasso il pantalone della tuta: quello che mi balza in faccia è veramente il cazzo di Priapo, un arnese meraviglioso: mi pento di avergli promesso solo una sega; ma, d’altro canto, non voglio affrettare le cose: mi metto alle sue spalle, gli premo le tette sulla schiena e il ventre contro il culo, con la destra afferro il cazzo e con la sinistra gli reggo i coglioni, due susine enormi e pelose. Mando la mano avanti e indietro e l’asta si rizza finché la cappella diventa viola. Gli bacio il collo, la nuca e le orecchie mentre manipolo lussuriosamente il cazzo: la figa comincia a colarmi abbondantemente; strofino il monte di venere contro il coccige e lo sento vibrare di piacere fino a che dall’asta parte uno schizzo di sborra che sbatte in alto sulla parete del water (avevo mirato alla tazza) e freme quasi una decina di volte prima di scaricarsi del tutto. Mi struscio ancora tre o quatto volte con la figa prima di esplodere in un orgasmo furioso. “Sono in paradiso!” mi dice; lo sposto da me appena in tempo, prima che mi baci come vorrebbe e come io per ora non voglio. Lo pianto in asso e corro in cucina.
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