Probabilmente, se uno rifletteva per un attimo sulle matrici sociali e culturali profondamente diverse, non avrebbe dovuto fare meraviglia che Andrea, mio padre, avesse più del doppio degli anni di mia madre, quando io nacqui: lei poco più che sedicenne e lui un “attempato” trentaquattrenne. Il divario era così evidente che spesso Andrea era confuso con mio nonno, padre di sua moglie Nicla. E le cose non andarono assai male, per i primi tempi, fino a quando gli atteggiamenti adolescenziali e i capricci fanciulleschi di mia madre poterono essere contenuti e, in qualche modo, accettati da mio padre. Io, naturalmente, ero troppo piccolo per averne una qualsiasi memoria; ma pare che, a mano a mano che l’età di mia madre cresceva, le sue esigenze (o anche pretese, nella logica di mio padre) si facevano sempre più specifiche e talvolta perentorie: mentre per esempio, lei pretendeva di frequentare compagnie di giovani e ambienti come le discoteche, mio padre le imponeva frequentazioni più “serie” ed ambienti più equilibrati. Tra le altre cose, una delle principali preoccupazioni, da “vecchio”, di mio padre era stata assicurarci ogni anni due mesi di soggiorno estivo in una località nota per essere meta preferita dalle famigliole e dagli anziani, con il disagio facilmente immaginabile per una ragazza poco più che ventenne costretta a vivere i due mesi più caldi dell’anno relegata in una pensioncina coi ritmi prestabiliti, dalla colazione alla serata davanti alla TV, a prendersi cura per tutto il giorno del figlioletto di quattro cinque anni, in un ambiente “di cartapecora”; mentre a pochi chilometri di distanza impazzava “il divertimentificio” delle discoteche, delle balere e di tutti i luoghi di sogno per i giovani della sua età.
Credo che proprio in quegli anni sia maturata in mia madre la convinzione, tipica dei giovani, di dover aggirare gli ostacoli ingannando “i vecchi” e facendo di testa propria; e forse risalgono anche a quegli anni i primi autentici tradimenti, vissuti in realtà come piccole innocue ribellioni, favorite anche dall’assunzione della pillola che metteva al riparo da altri “errori” come quello che aveva reso inevitabile il matrimonio. L’unico ricordo vivo che conservo di quel periodo è la mattinata in cui, con non so quale scusa, mia madre mi tenne per tutto il tempo in una carrozzina da passeggio chiuso al caldo di una cabina spogliatoio del lido dove si era rifugiata in compagnia di un tale di cui avevo un ricordo assai sfocato e col quale probabilmente ebbe quello che si definisce un “congresso carnale”; ma io non ne avevo proprio idea, a quel tempo. Qualche idea cominciai a formarmela qualche anno dopo, quando di anni ne avevo dieci o undici, e molte cose prendevano una forma ancora vaga ma certamente già orientata. Durante i pomeriggi in cui ero costretto, per il mio stesso bene, a dormire nella cameretta opportunamente ombreggiata, i colpi violenti che sentivo scatenarsi nella camera di mamma evocavano nitidamente gli incontri sessuali di cui si parlava di nascosto nei cessi della scuola; e l’andirivieni di giovani bagnini dalla cabina - spogliatoio assunse un significato assai netto. Fino a quel punto, la cosa quasi non mi riguardava: vagamente intuivo che mio padre era cornuto; ma erano affari suoi; per quel che mi riguardava, tutt’al più era un figlio di puttana e come tale cominciai a comportarmi.
Forse fu qualche anno dopo (tredici, quattordici anni) che cominciai a spiare mia madre che si faceva sbattere fortemente da uno dei bagnini mentre mi credeva immerso nel sonnellino pomeridiano. In genere, si trattava di un’occasione a metà settimana, perché mio padre assai imprevedibilmente veniva per il fine settimana e qualche volta si fermava anche il lunedì: la sua professione di avvocato gli consentiva molta elasticità, specialmente in estate. Entrato però nel ruolo del “figlio di puttana” mi attrezzai con macchine fotografiche piccole e maneggevoli per immortalare i momenti topici delle iniziative sessuali di mamma. L’unico problema è che erano ancora a pellicola e fui costretto ad attrezzarmi a svilupparle, dopo l’estate, in cantina con strumenti artigianalmente realizzati. Solo quando, al sedicesimo compleanno, ricevetti il primo telefonino con camera incorporata (per foto ed anche per video) potei sfogarmi a fare riprese interessanti. Da quel momento, i due mesi estivi erano da me dedicati all’attesa del posto, del giorno e dell’ora in cui mia madre decideva di abbandonarsi al piacere dei sensi; destinai tutti i risparmi all’attrezzatura necessaria per effettuare una ripresa di qualità (avevo apposta frequentato dei corsi di computer!) e, successivamente, per rivedere gli elaborati, per ritoccarli ove fosse necessario ed archiviarli prima su computer poi su supporti esterne (CD, DVD, memorie esterne ecc.). In un solo anno possedevo abbastanza materiale per ammazzarmi di seghe; lo avrei fatto volentieri in compagnia dei miei amici, ma l’idea che si riconoscesse mia madre e che saltasse fuori tutto lo scandalo finora così bene coperto mi convinceva a tenermi per me il materiale tutto.
L’anno successivo, il mio diciassettesimo, mi attrezzai al meglio: avevo frequentato corsi avanzati per l’uso dei programmi appositi per riproduzioni foto e video e mi ero dissanguato per comprare apparecchi utili a riprendere in qualsiasi condizione di visibilità, anche di notte; mi specializzai, quell’estate, a cogliere anche da piccoli segnali il momento in cui mia madre, adocchiato un possibile amante, gli fissava l’appuntamento e andava ad incontrarlo schivandomi alla grande. Non poteva sapere che, avendo io colto che avrebbe scopato quella sera con l’avvocato del terzo ombrellone e che lo avrebbe fatto a casa nostra, piazzavo una webcam nella posizione più opportuna, attivavo il comando a distanza e facevo finta di uscire per andare ad arrampicarmi su un terrazzino vuoto a portata di vista e da lì guidavo la telecamera, da quando lui bussava alla porta fino a quando usciva richiudendola. Non c’era solo perversione voyeristica, nella mie scelte; mi eccitava da pazzi osservare e riprendere mia madre che lo accoglieva con solo un pareo addosso, che dopo due secondi cadeva e la lasciava in piena vista con le tette sode, il culo alto e pieno, le cosce asciutte e statuarie, la figa pelosa e pronunciata; e la mia eccitazione si esaltava quando lo spogliava dei pochi stracci che indossava (pantaloncini e maglietta, in genere) e si lanciava famelica su un cazzo notevole (non più grosso di quello che mi cresceva fra le cose, per la verità) per infilarselo fino in gola: non riuscivo mai a capacitarmi per quale legge fisica riuscisse a ingoiarlo per intero, qualunque fosse la stazza dell’uomo di turno.
Le serate che lei immaginava io trascorressi a cazzeggiare con gli amici a ad agitarmi in discoteca, io le passavo ad ammirare lei scosciata sul letto ad accogliere con urla di piacere il maschio che le saltava addosso e la penetrava spesso con violenza; le ho visto aprirsi le natiche e spalancare l’ano fino a far entrare cazzi di oltre venti centimetri che la laceravano letteralmente e l’ho sentita urlare, ma non di dolore, bensì di incitamento a picchiare di più, sempre di più. Tutte le scene di sesso che avevo visto o anche solo immaginato, Nicla le realizzava dal vivo a beneficio della mia webcam e del computer che mi trasmetteva in diretta immagini e suoni fornendomi il ritratto perfetto della moglie troia e un tantino ninfomane. Quando si accordò con un bagnino (un marcantonio da statua greca con fasci di muscoli spaventosi e, probabilmente, con un gran cazzo, requisito indispensabile per mia madre) feci in modo da mimetizzare la webcam in un foro della parete di legno e, per la ricezione, mi nascosi dietro il muretto del lido, a breve distanza ma assolutamente senza vedere né essere visto. Anche quella volta, Nicla diede il meglio di sé su un cazzo di stazza extralarge che fece passare per tutta la pelle, per tutti gli anfratti, ma soprattutto in tutti i buchi, anche quelli che non avrei mai ritenuto valicabili. Si scatenarono veramente e lui sborrò almeno tre volte, in figa, in culo e in bocca; insomma, quando uscirono dalla cabina, barcollarono per motivi diversi, lui perché letteralmente prosciugato, lei perché quasi demolita dalla figa in giù.
Sapevo che i tempi non erano ancora maturi: dovevo aspettare almeno la maggiore età, per assumermi la responsabilità di certe scelte. Ma il desiderio di far avvertire la minaccia che poteva esserci nell’aria mi spinse a forzare i tempi. Quella stessa mattina, mentre eravamo stesi al sole, mi divertii a riprendere mia madre e gli altri utenti degli ombrelloni nelle loro più normali attività, mantenendomi rigidamente all’interno del rispetto della privacy e del decoro. Postai una piccolissima sintesi su Youtube: pochi secondi nei quali si vedeva mia madre prima stesa sul telo, poi mentre si alzava e andava verso la battigia, poi mentre si tirava indietro gridando con gioia “Mamma, com’è fredda”. Titolai con una didascalia stupida del tipo mattinata al mare e lanciai il video con il tag per alcuni ragazzi e ragazze del giro degli ombrelloni. La mossa scatenò un po’ di animazione: molti ragazzi, anche da ombrelloni lontani, si avvicinarono e mi chiesero se avevo postato io; mia madre, incuriosita, guardò anche lei; prima sorrise divertita; poi, fattasi seria di colpo. “Lo hai fatto a mia insaputa? Per caso hai anche altre riprese a mia insaputa?” Le sorrisi ironico in faccia. “Ma nessuna così innocente!” Si morse le labbra, si allontanò e per un pezzo passeggiò da sola e in silenzio lungo la linea d’acqua, scherzando a spruzzare coi piedi. Tornò con lo sguardo triste. “Hai da dirmi qualcosa?” “A te? E perché? Non vedi come è facile far sapere a tutto il mondo?” “Ma non si può dare a tutti in pasto tutto!” “Ma tu ci avevi mai pensato?” “No, non mi ha mai sfiorato l’idea.” “Ed ora che farai?” “Per la verità, credo che sia importante sapere prima cosa farai tu, che cosa hai ripreso e a chi pensi di comunicarlo.” “Vuoi che ne parliamo con calma a casa?” “Si, forse è meglio!”
Non era mai stata mia intenzione aggredirla così da subito; ma mi ero lasciato scappare di mano la situazione per uno stupido gioco di esibizionismo, solo per farle capire cosa poteva succedere; e adesso mi trovavo costretto ad affrontare il discorso nella sua complessità. In parte mi ero anche preparato, ma non ero mai arrivato ancora a prefigurarmi un colloquio faccia a faccia con tutte le accuse e le colpe davanti. Dopo pranzo, ci ritiriamo in camera e ci sediamo l’uno di fronte all’altra davanti al tavolino che correva la camera. “Oggi non mi hai messo il sonnifero nel bicchiere. Non hai bisogno che io dorma?” “Lo sapevi?” “L’ho anche documentato.” “Certo, sei un gran figlio di …” “…Dillo … Dillo. Proprio di questo si tratta, io sono, scientificamente, non un figlio di puttana, ma il figlio di una puttana: c’è una differenza abissale. Quello che non cambia è il mio comportamento, che diventa inevitabilmente da figlio di puttana.” “Questo non puoi dirlo! Una puttana lo fa a pagamento; io non ho mai preso una lira!” “Quindi, sei troia e anche imbecille, perché lo hai fatto solo per il gusto di fare le corna a un poveraccio!” “No, l’ho fatto solo perché mi piace.” “Allora, puoi continuare a fartelo piacere … con me!” “Che dici? Con te?!?! Devi essere pazzo!” “Tanto pazzo che tutti i filmini che adesso ti farò vedere, tra dieci minuti saranno a disposizione di tutto il mondo del web.” “Che cazzo vuoi dire?” “Prima guarda, poi, se vuoi, riprendiamo il colloquio.” Inserisco la memoria esterna, avvio il programma e comincia a scorrere il filmato delle sue imprese a cominciare da qualche immagine degli anni precedenti.
Nicla è stravolta e si rivede mentre ingoia cazzi da record; mentre il culo le si apre e sanguina perché il cazzo che la penetra è più largo di una lattina; mentre piange e implora l’altro di smetterla perché è da mezz’ora che la monta in figa e ormai sta sanguinando a zampilli; mentre succhia con fervore un’asta che le spruzza in bocca, negli occhi, sui capelli, sul seno, un mare di sborra. “Basta, basta, per carità, chiudi quest’affare mostruoso!” “Nicla, qui di mostruoso c’è solo il tuo comportamento da troia incallita, da ninfomane insaziabile, da vacca totalmente spalancata; e non è la ripresa a dirlo, è il tuo corpo che è già disfatto! Chi vuoi punire, straziandoti a questo modo?” “Non lo so; non so perché l’ho cominciato a fare; non so perché non mi sono più fermata. Non lo so e non c’è nessuno che mi può aiutare. Tu, invece, cosa vuoi adesso da me?” “Se me lo avessi chiesto con calma, prima di scatenare questa diatriba, ti avrei detto, ed anche stupidamente, che mi accontentavo di poterti scopare anche io come ti fai scopare da tanti altri.” “Scopare con te!?!? Scoparmi mi figlio???? Quello che mi chiedi è mostruoso!!!!!” “Eh cazzo, mo’ ci hai rotto con ‘sto mostruoso. Qui di mostri ce n’è uno solo ed è quella troia senza limiti, quella fogna senza fondo nella quale chiunque può scaricare sborra, piscio, merda, tutto quello che vuole, tanto lei neanche si rende conto che è mostruosa! Io fino a poco fa avrei voluto, avrei amato, fare sesso con te che lo facevi con chiunque; dopo queste immagini e queste reazioni, ti dico che NO NON TI SCOPEREI NEANCHE SE FOSSI L’ULTIMA FIGA AL MONDO. Quello che pretendo da te, e non accetto né scuse né rifiuti, è che ti trasformi da troia in puttana e scopi a pagamento, ma a mio vantaggio.”
“Mio Dio, tutto questo è … “ “ … NON DIRE PIU’ MOSTRUOSO: non hai diritto ad usare quest’aggettivo, perché tu sei il mostro. Se trovi che la mia richiesta sia eccessiva, io ho molte scelte. La prima è mandare a tutti i tuoi ex amanti un estratto dei loro incontri con te e minacciare, se non pagano profumatamente, di spedire i filmati a mogli, amici, colleghi di lavoro, insomma, sputtanarli. Naturalmente lo farei dichiarando che sono tuo figlio. Si tratta di un bel numero di persone e ci farei un fottio di soldi. Se credi che questo sia mostruoso (visto che l’aggettivo ti piace tanto) posso cambiare obiettivo e mandare tutta la registrazione a tuo marito: sono sicuro che in un tempo minimo ti porta a casa, prende le sue mazze da golf e ti spacca la testa come un cocomero. Mostruoso anche questo? Allora mando il filmato a tutti i tuoi familiari, escluso tuo marito: così prima ti sputtano con tutti e poi lui ti ammazza lo stesso. Hai qualche diversa soluzione da proporre?” Nicla respira a fondo, sembra calmarsi e, serenamente, mi chiede. “Riesci a contenere un poco la tua rabbia? Vuoi parlare cinque minuti con serenità, da figlio a madre?” “L’ho sempre voluto e sopra ogni cosa lo volevo stamattina, lo volevo da figlio e lo volevo anche da innamorato; io solo so che cosa ho dovuto soffrire assistendo a certi spettacoli ed amandoti come si può amare solo l’unica donna al mondo che meriti la tua attenzione!” “Posso cominciare da capo?” “E’esattamente quello che vorrei.”
“Avevo sedici anni e frequentavo il liceo, quando il nobile avvocato tuo padre, in una sbronza ad una festa in casa di amici, mi scopò senza neanche rendersi conto di quel che faceva; quando mi accorsi che aspettavo te, non sapevo neanche da dove si cominciasse ad essere sposa e madre; ti ripeto: avevo sedici anni, anche meno di quelli che hai tu ora e, come tu ora, ero vagamente innamorata di mio padre e altrettanto vagamente infatuata di un ragazzo della mia scuola. Tuo padre mi impose le regole ferree della sua famiglia e mi rubò adolescenza e gioventù: non sono mai stata a ballare, non ho mai frequentato ragazzi; per tuo padre, era un lusso chiudermi due mesi in un albergo e prendermi cura di te. L’ho sempre fatto con amore, ma non sono mai stata felice. Avevo venti anni quando conobbi un ragazzo che mi illuse con l’idea del grande amore e tradii mio marito; da allora ho cercato l’amore, ma ho trovato sempre e solo tanto sesso e di quello più degradante. Vuoi sapere chi è tua madre? Una ragazzina che insegue l’amore e che, ogni volta che crede di averlo intravisto, si fa sbattere come un tappeto usato. Ecco, forse era questo che non sapevi; e per questo abbiamo usato espressioni forti e sbagliate. Ora scegli tu cosa vuoi fare della mia vita, visto che il fischietto dell’arbitro (le registrazioni) ce l’hai tu e sei libero di usarle.” “Tu sei tornata indietro e sono contento che ti sia aperta con me. Ora provo a tornare indietro io. Te l’ho detto: sei l’unica donna che voglio amare così come sei, senza giudizi, senza storia. Riusciresti ad amarmi come donna, oltre che come madre?” “Mi dai tempo per rifletterci, almeno fino a stasera? Non ti meravigliare; mi è difficile passare dall’emozione che ho per te, mio figlio, a quella che ho finora provato da amante, con sconosciuti; non so se mi scatta la stessa determinazione o se mi ripugna la stessa idea di fare sesso con te. Non posso amarti e negarmi fisicamente, perché non lo voglio e non lo vuoi; ma devo maturare in me l’dea del tuo corpo nel mio. Parliamone stasera. Ora cerca di dormire.”
Naturalmente non riusciamo a prendere sonno: e non è colpa del caldo. Alla fine, non reggo e vado in camera sua, mi stendo sul letto a fianco a lei e le accarezzo i capelli “Perdonami, Nicla; ho detto cose terribili che non ho mai pensato, neanche nei momenti di rabbia. Ho parlato per gelosia, questo si, ho parlato per una gelosia che mi rode da anni. Io cerco di essere il figlio più affettuoso del mondo e sono l’innamorato più appassionato che potresti immaginare. L’unico vero guaio è che ti desidero: se fossi capace di amarti idealmente, spiritualmente, platonicamente, i miei problemi sarebbero risolti: il cuore a me, il sesso a chi capita. Invece io desidero anche il sesso. E questo mi fa star male, ci fa star male. Scusami. Ti voglio bene.” “D’accordo che nella fogna non vuoi entrarci, ma non puoi dirmi che mi vuoi bene e non farmelo sentire almeno con un bacio che sia degno del nome.” Ci siamo girati sul fianco e ci stringiamo faccia a faccia: per la prima volta in vita mia, dopo averlo sognato per anni, la bocca di Nicla è lì a pochi centimetri dalla mia; accosto le labbra e sfioro le sue delicatamente, le prendo la nuca con la sinistra e schiaccio la sua bocca contro la mia, tiro fuori la lingua e forzo le sue labbra; cede e mi lascia entrare; sposto i corpi fino a montare su di lei, abbracciandola con tutto me stesso; il cazzo mi è diventato di ferro ma cerco di non prenderlo in considerazione; è lei che agita le gambe fino a che la mia asta scivola fra le sue gambe: le chiude e mi serra dentro. La bacio con una foga straordinaria, mi muovo col bacino sul suo corpo e, senza che neppure ce ne rendiamo conto, io esplodo fra le sue cosce, sul suo pareo e sul bikini che indossa; e sento dalla sua figa ondate enormi di goduria che esplodono segnalando la simultaneità di un orgasmo che le lingue intrecciate impediscono di scatenarsi con l’urlo che ciascuno dei due avverte dentro.
“Amore, ti confesso che neppure avevo mai pensato che si potesse avvivare ad avere un orgasmo così, senza penetrazione, senza monta, senza sfregamento … “ “Invece so che è così per tutti i ragazzi, fanno l’amore tra le cosce per evitare di sverginare la ragazza; qualcuno, come è successo a noi, ci arriva senza neanche spostare i vestiti. “Come è possibile?” “Perché, per l’appunto, da giovani ci si fa guidare dall’amore che arriva a quelle esplosioni; da adulti si impara a scopare, che è un’altra dimensione dell’amore.” “Senti, ragazzo mio: fammi fare ancora questa considerazione prima che sia troppo tardi. Ti rendi conto che, a situazioni ribaltate, io sono al punto in cui fui con tuo padre diciassette anni fa? Tu hai oggi quasi l’età che avevo io quando rimasi incinta di te. La distanza che c’è tra me e tuo padre (quella che, come avrai capito, è alla radice dei mali) adesso c’è tra me e te. Cosa succederà a noi quando tu ti renderai conto che ti stai facendo rubare la gioventù, innamorandoti di una che già è vecchia? Cosa sarà di me, invece, quando tu incontrerai (perché la vorrai e la dovrai incontrare) la ragazza dei tuoi sogni? Cercherò inutilmente un tuo sostituto sapendo che non esiste o tornerò a sbattere le ali contro il sesso assurdo? Riesci a pensare qualcosa in questo senso? Io ho solo paura, se ci penso; e quando ho paura, sbaglio sempre tutto.”
“Vuoi dire che neanche stasera sarai in grado di dare risposte definitive?” “No, voglio dire che , per come sono fatta io, devo convincermi a scegliere una strada o l’altra; per assurdo, ti dico che a questo punto sarei anche disposta a fare come dicevi tu prima, quando eri arrabbiato: farmi assumere da una agenzia di squillo o di escort e passare a te tutto il ricavato, così tu ottieni il tuo ricatto; io ho una regola a cui attenermi e un padrone a cui obbedire.” “Perché non hai accettato di farti comandare da tuo marito?” “Perché non lo sa fare; non sa essere persuasivo, quando deve, non sa essere imperativo, quando io lo desidero. Tu ci riesci; nessun altro ci è mai riuscito, per questo li uso e li sbatto via. Pensaci: loro credono di usarmi e io li sto testando per capire se mi vanno bene. Non lo trovi ridicolo?” “E me, mi hai testato?” “Cazzo, ho sborrato con te senza neanche togliermi le mutande; ti ho detto che sono disposta a fare la puttana se me lo chiedi. Quale altra prova d’amore vuoi?” “Ma non puoi dirmi che mi vuoi bene e non farmelo sentire almeno con un bacio che sia degno del nome: ti ricordi per caso chi l’ha detta questa frase?” Siamo ancora stesi sul letto, siamo dannatamente sporchi, della sborra che mi è esplosa nel costume, nel pantaloncino e si è poi scaricata sui suoi abiti e sul letto, lei degli umori che continua a scaricare dalla figa ancora eccitata; mi balza sopra e tasta il cazzo con le mani. “Ancora duro ce l’hai? Quanto resisti?” “Metti un timer, cominciamo all’alba e vediamo quando si arrende!” Muovendosi come una contorsionista, si toglie il pareo e il bikini, mi sfila verso i piedi, insieme, pantaloncini e costume, e si impala sul cazzo, di colpo: benché abituata, lancia un urletto quando il batacchio le piomba in figa. “Però, hai proprio un gran cazzo: devi aver preso dal nonno, perché tuo padre neppure se la sogna, un’asta così.” Poi comincia a cavalcarmi urlando e godendo. “Quanto riesci a resistere?” “Stavolta, prendi la clessidra: saranno al massimo decine di minuti; ma ti vedrò sfinita, prima di arrendermi. Io amo troppo la tua figa e ogni volta ti scoperò come se fosse l’ultima.” “Ma devi metterci tanto, tanto amore … “ “Quello che ti sto dando ti basta?” “Si, ma non devi mollare. Comincio ad amarti con tutta me stessa e non voglio voltarmi indietro.”
Sono ormai cinque anni che sono l’amante “segreto” di mia madre, quello che lei cerca quando ha bisogno di supporto, di comprensione, di aiuto e, perché no, anche di cazzo. Ci amiamo follemente e Andrea, mio padre, è abbastanza distratto da non accorgersene; Nicla si è molto acquietata e vive bene anche il fatto che io debba frequentare l’Università in un’altra città. Ho conosciuto Marina, una che mi pare giusta; e sono cominciate le preoccupazioni; ma mia madre anche in questo è migliorata: frequenta un amico interessante, credo che sia in bilico per lanciarsi in un’altra dimensione. Solo mi ha avvertito. “Tu non sei come gli altri: non ti considerare affatto scartato, perché se questo non funziona …”
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