La curiosità di rivedere la famigerata Vampira mi era rimasta, anzi si era acuita: decisi di arrivare all’improvviso, senza appuntamento; usando il biglietto da visita che mi aveva lasciato, rintracciai facilmente l’ufficio e mi ci recai a mezza mattinata. Nell’anticamera trovai una bella ragazza piuttosto giovane dall’aria molto efficiente che mi chiese se avevo appuntamento; dissi di noi e, a sua richiesta, dissi come mi chiamavo: restò un poco perplessa, mi squadrò tutta e chiese se ero la mamma di Davide; un po’ sorpresa, dissi di si e a mia volta chiesi se conoscesse mio figlio, “assai bene” rispose con aria allusiva ”siamo nello stesso giro di amici e lì si parla spesso di lei … “; “allora anche tu trovi che faccio “sangue”?!?” chiesi provocatoria; arrossì abbassò gli occhi e farfugliò qualcosa tra il si e il no, evidentemente imbarazzata per quello che avevo detto e per come l’avessi rintuzzata. Salvò la situazione la porta che si aprì per fare entrare Lucia, in veste di avvocato stavolta; niente a che vedere con vampira, naturalmente: vestita elegantemente e tutta compresa nel ruolo, quasi stentai a riconoscerla; neanche lei mi aveva riconosciuta e si rivolse alla ragazza con aria interrogativa; prima di metterla in un altro impaccio, tesi a Lucia il suo biglietto da visita. Capì al volo, disse alla ragazza che non voleva essere disturbata per tutta la mattinata e mi fece entrare.
“Come mai sei qui?” “Un po’ di curiosità … e qualche piacevole ricordo”; sorrise , mi fece accomodare e, al tempo stesso, mi fece cenno di attendere. Dopo qualche momento di imbarazzato silenzio, da una porta laterale entrò una donna che recava segni evidenti di affaticamento. Rimasi quasi sconvolta: da una parte, mi sorprendeva che Lucia in orario di lavoro si abbandonasse alle sue pratiche “clandestine”; ma più ancora rimasi di sasso perché avevo riconosciuto la persona che attraversò la stanza e prese la via d’uscita senza neppure salutare. “Ma, quella, non è …???” Non mi fece finire “Si è la moglie del mio valente collega …” disse ironica “Ma non è quella così gelosa che annusa le mutande del marito per scoprire se c’è odore di figa?” Si mise a ridere e accennò di si con la testa. “E tu … ???” Ero ancora sconvolta; fece spallucce. “Cosa vuoi?! La vita è così piena di sorprese … Quasi come te che sei qui.” “Perché?” “Beh, neanche tu sei così trasparente, viste le frequentazioni notturne e il ruolo sociale della tua famiglia” Mi misi a ridere: era ineccepibile. “Sei qui per affari o per piacere?” “Io di affari non ne capisco niente …” “E invece dovresti interessartene” La guardai dubbiosa; ma Lucia lasciò cadere il discorso “Allora andiamo di là” “Ma … dovresti essere stanca ….” “Nient’affatto, ti assicuro” e mi guidò decisamente nell’altra stanza.
L’arredamento, naturalmente, era l’esatto opposto, vagamente esotico, tutto cuscini e tappeti con luci soffuse e un vago odore di spezie nell’aria; ci sdraiammo sui cuscini e Lucia mi percorse tutta con lo sguardo “Sei veramente bella; non sono favole quelle che raccontano su di te” ero imbarazzata ma anche gratificata anche se immaginavo a quali commenti si riferisse. Lucia ruppe gli indugi, mi si accostò e mi avvolse in un bacio da vampira, che mi succhiava tutto il piacere dalla bocca; la lingua mi sprofondava in gola, tenera e appuntita, e mi sollecitava tutte le papille: per conseguenza, la figa cominciò a pulsarmi e i primi brivido d’orgasmo si affacciarono. Lucia iniziò a baciarmi quasi con metodo, cominciando dalla fronte e scendendo sugli occhi, sul viso, giù verso la gola; aprì con i denti i bottoni della camicetta e mi scoprì il seno ancora imbragato nel reggiseno; aggredì anche quello, sempre con i denti, mentre le sue mani si insinuavano sotto la gonna e risalivano le calze fino agli slip già bagnati. Mi fece scivolare la camicetta e il reggiseno, in un sol colpo, e rimasi col petto scoperto davanti a lei che si fermò per un attimo ad ammirare le mie tette e, subito dopo, si fiondò su un capezzolo, duro e prorompente, per cominciare a succhiarlo con foga.
Le afferrai il maglioncino e glielo tirai sulla testa: dovetti quasi farle forza per staccarla dal mio seno e farle passare l’indumento sopra la testa: non portava niente, sotto, e le sue tette piccole si offrirono allo sguardo con i grandi capezzoli che troneggiavano superbi in un’aureola scura; le infilai la mano sotto la gonna, risalii le cosce snelle fino all’inguine e raggiunsi la figa che non era coperta da mutande. Mi si sdraiò addosso e si strinse a me con tutto il corpo, quasi per farmi sentire tutta la sua pelle, ma soprattutto l’osso pubico che ostinatamente picchiava sul mio e strusciava sulle grandi labbra provocandomi fremiti di piacere. Di colpo, si alzò in piedi e lasciò cadere a terra la gonna; immediatamente la imitai e restammo nude, lei in piedi, io sdraiata sui cuscini con le gambe divaricate. Si inginocchiò davanti a me, mi infilò una mano nella figa e mi masturbò a lungo, sapientemente: sentivo l’orgasmo montarmi non appena mi sgrillettava il clitoride; ma immediatamente si fermava e spingeva dentro la mano sottile, quasi fino al polso, per impedirmi di venire, per via dell’improvvisa violenza.
Ritrasse la mano, si chinò verso di me e iniziò la più delicata leccata che avessi ricevuto: la sua lingua morbida, piccola e agile, perlustrava tutte le papille della vulva, si insinuava nella vagina e, soprattutto, tornava a tormentare il clitoride; ogni volta che avvertiva l’orgasmo in arrivo, si ritraeva e si dedicava a leccarmi l’interno delle cosce, per farmi recuperare. Avrei voluto ricambiare e accennai a spostarla a 69 su di me; ma non volle. Si allontanò di poco e tornò con in mano una strana mutanda, che aveva in cima un fallo decisamente grosso: “Come preferisci?” mi chiese “indossala tu per prima” dissi. In un attimo fu bardata di quell’oggetto che non sapevo se considerare mostruoso o surreale. Sta di fatto che Lucia si inginocchiò davanti a me, accostò il dildo alla figa e cominciò a penetrarmi: era una sensazione particolare e nuova, quella che mi attraversava il basso ventre; il bastone che mi entrava in figa non aveva il calore del maschio che ti chiava, ma era usato con molta sapienza e mi eccitava ogni centimetro dei tessuti interni della vagina. Mi scopò alla grande,alternando colpi violenti che mi sbattevano il suo pube contro il ventre a penetrazioni leggere, delicate, che stimolavano ogni anfratto; intanto, mi baciava con passione dappertutto, mi accarezzava le tette, mi stringeva le natiche fino a farmi male.
All’apice del rapporto, quando avverti dalle mie reazioni che ero vicina all’orgasmo, si scatenò in una cavalcata quasi feroce: picchiava col ventre contro il mio, mi stimolava il clitoride con una mano infilata tra i nostri corpi, mi mordeva leggermente i capezzoli. Alla fine, mi fece esplodere; e arrivò all’orgasmo anche lei, urlando con ferocia frasi d’amore e sconcezze. Poi si stese delicatamente su di me, sfilò diligentemente il dildo dalla figa e si sdraiò sui cuscini. “Se vuoi, ora tocca a te” mi disse, dopo un poco. Mi alzai, le sfilai la mutanda e la indossai io: mi accorsi che, all’interno, in corrispondenza della figa, c’era un protuberanza che entrava come un piccolo cazzo e arrivava quasi esattamente sul clitoride: questo mi fece capire il perché della sua partecipazione all’orgasmo.
Lucia si girò bocconi sui cuscini e mi offrì la vista della sua schiena liscia e del suo culo quasi ossuto: non sapevo se volesse essere scopata alla pecorina o addirittura inculata e mi accostai esitante; la sollevai per i fianchi per alzarle il culo, accostai il dildo alla vulva e lo spinsi dentro; Lucia allungò una mano tra le cosce, prese il cazzo artificiale, lo sfilò dalla figa e accostò la punta all’ano. Cominciai a premere e la protuberanza interna iniziò il massaggio del clitoride che rispose con nuovi piccoli orgasmi; il falso cazzo entrava con fatica nello sfintere ancora impreparato; pensai che avrei fatto meglio a lubrificarla un po’, con la saliva o con una crema: ma Lucia non era dello stesso avviso e mi abbrancò una gamba sollecitandomi a spingere. Sentivo quasi la sua sofferenza, mentre il cilindro sfasciava i tessuti del suo intestino e li occupava violentemente; ma lei godeva della penetrazione: la sua mano si era ancorata alla figa e il ditalino che accompagna l’ingresso della mazza nel culo era davvero ammirevole; ero quasi più eccitata dalla sua masturbazione che dalla stimolazione del mio clitoride; la vista dell’ano che si dilatava ad accogliere un oggetto così grosso mi eccitava più del piacere che mi dava incularla con violenza. Ci misi parecchio, a penetrarla, perché cercavo di essere lenta e delicata; ma per Lucia fu solo il prolungamento dell’intenso piacere che le dava essere sfondata.
Quando sentii che non c’era spazio tra il mio ventre le sue natiche, cominciai a pomparla dentro, ritmicamente, cercando di mantenere la stessa eleganza di chiavata che aveva tenuto con me. Sentivo il suo godimento scatenarsi lungo la figa, ma anche dentro e fuori dal culo, vedevo gli umori grondarle sulla mano arpionata alla figa ma anche dal culo pulsante sull’asta. Quando avvertii che i suoi gemiti indicavano la prossimità dell’orgasmo, spinsi con più forza sull’interno dell’arnese, per stimolare la mia figa; e sentii le contrazioni partire dal centro del ventre verso la vulva; Lucia iniziò un titillamento da sarabanda sulla sua figa. E finimmo così, in un crescendo travolgente di orgasmi e di umori. Non impiegammo molto a ricomporci: eravamo comunque appena un muro al di là del suo lavoro: mentre rientravamo perfettamente “in linea” chiesi a Lucia cosa significassero le sue allusioni al mio interessamento agli affari di famiglia. Mi disse che per la sua professione aveva un po’ curiosato sui meccanismi della ditta e che, probabilmente, risultavo assai più coinvolta di quello che pensavo; ma ci sarebbe stato tempo per parlarne, se si fosse reso necessario. Quanto all’altra questione del “Fare sangue” o “fare sesso” che mi attribuivano, rise di gusto quando chiesi spiegazioni: “ tu non te ne accorgi, ma ogni tuo movimento sa di sesso e fa pensare al sesso: non c’è persona in città, uomini ma anche donne come me, che possano impedirsi, guardandoti, di pensare di portarti a letto e di fare le cose più pazze” Io davvero non me ne rendevo conto. Mi ripromisi di verificare e di approfondire, se davvero ero così provocante.
La storia del “fare sangue” o “fare sesso” (secondo chi pronunciasse la frase) non mi voleva uscire dalla testa: mi guardavo spesso allo specchio ma non trovavo niente che giustificasse la definizione; ma, con calma, mi accorgevo che forse era la mia forma mentis ad impedirmi di vedere quello che agli altri era palese; abituata alla “copertura” della moglie e massaia morigerata, non mi ero mai neanche preoccupata di osservare come gli altri mi potessero vedere o valutare. Presi ad uscire per il gusto di passeggiare, di farmi ammirare e di registrare le reazioni: effettivamente occhiate ammirate, sguardi libidinosi, commenti sussurrati o espressi ad alta voce si sprecavano: il mio culo, le mie tette, la mia bocca ma soprattutto il mio modo di muovermi (assolutamente naturale) facevano smuovere qualcosa nei maschi che incrociavo; ed anche nelle femmine, per la verità, viste le innumerevoli volte che vidi con la coda dell’occhio mogli e madri dare di gomito o strattonare mariti e figli.
Entrai in un grande magazzino, cosa che non facevo spesso o che facevo solo in rare occasioni, in compagnia di familiari e per fare veramente acquisti; stavolta invece mi misi a girovagare con aria assolutamente distratta, mentre cercavo di cogliere sguardi, tensioni e allusioni di tutti, dai commessi ai visitatori, dalle mogli agli uomini soli; per dare maggiore peso al gioco, mi soffermai talvolta a chiedere conto di oggetti che non mi interessavano affatto, solo perché il commesso era particolarmente carino, serviziale e - inevitabilmente - ogni volta arrapato. Di fronte ad un bikini particolarmente succinto, mi prese la fregola di provarlo, per portare al limite la provocazione al giovanotto addetto alla vendita; chiesi anche se potevo provarlo; si precipitò ad accompagnarmi agli “spogliatoi”, miseri ambienti ricavati in un angolo con semplici paratie di legno leggero o di sole tende, dove vidi armeggiare molte persone.
Mi colpì una signora - anonima e piuttosto abbondante - che letteralmente maltrattava il marito - un ometto altrettanto insignificante - e si intendeva con un garzone tozzo ma robusto e, a vedere la patta, ben dotato: ebbi anche la sensazione che ci fosse un passaggio clandestino di banconote. Quando la signora, indirizzata dal garzone, si diresse ad uno degli sgabuzzini, mi precipitai ad occupare quello immediatamente adiacente: trovai immediatamente una fessura nella paratia di comunicazione e accostai l’occhio. Come avevo sospettato, la signora si era già denudata e, da una tenda laterale, entrò il ragazzo con la patta già aperta e il grosso cazzo bene in vista; la cicciona si fondò sull’oggetto del desiderio e lo afferrò in bocca, ingoiandolo in un sol colpo: l’altro lasciava fare, quasi indifferente; in un niente il cazzo divenne un arnese da fare spavento, una mazza dura, lunga e nodosa, che la cicciona succhiava con evidente piacere, mentre una mano era letteralmente scomparsa tra le carni dell’inguine. Il tempo, evidentemente, era poco: si staccò presto, si girò di spalle ed offrì il culo; il giovane la impalò in un sol colpo e cominciò a stantuffarla in figa – o almeno così mi sembrava -; bastò qualche colpo ben assestato e la signora cambiò colore, cominciò a sudare e dovette mordersi una mano, per un urlare: stava sborrando abbondantemente. Il ragazzo invece si comportava come la cosa non lo riguardasse e continuava a pompare imperterrito con gli occhi rivolti in alto: non mi pareva che traesse grande godimento dalla situazione.
La cicciona esplose in una serie di orgasmi che le squassarono il corpo: vidi la sua carne ridondante scuotersi come per una scossa elettrica, fremere più volte e spingersi contro il ventre del ragazzo che stentava a trattenerla. Credo che, se non si fosse impedita di urlare mordendosi la mano, avrebbe fatto risuonare le sue urla in tutto il palazzo. E non si accontentò del solo orgasmo: visto che - evidentemente - aveva pagato, voleva la sborra. Si staccò, si girò, afferrò il cazzo e se lo portò in bocca: con le due mani, gli teneva i coglioni e gli faceva una sega da far resuscitare un morto: era decisamente brava, ammisi con me stessa, mentre la mia mano correva alla figa appena coperta dal minuscolo bikini che stavo provando. Ci sapeva fare, la signora: roteava la lingua intorno alla cappella; lambiva l’asta su tutta la lunghezza e su tutta la superficie; affondava l’asta fino a soffocare e succhiava come una ventosa. Il ragazzo non resistette; e neppure io: lo vidi roteare gli occhi mentre veniva; ma non vidi una goccia della sua sborra, perché l’altra ingoiò devotamente tutto, fino all’ultima goccia; da parte mia, riuscii a controllare l’orgasmo che mi era esploso ma non potei evitare che il piccolo lembo di stoffa di cui erano fatti gli slip del bikini diventassero zuppi degli umori che mi erano colati.
Il giovane si staccò quasi bruscamente, tirò il cazzo dentro la patta e sparì rapidamente dietro la tenda da cui era comparso; la signora si accarezzò a lungo la figa,il ventre, le tette, gustandosi il piacere appena ricevuto; io mi rivestii in tutta fretta, appallottolai il bikini, passai dalla cassa, lo pagai quasi senza riconsegnarlo alla commessa; ed uscii. Lo spettacolo mi aveva lasciata molto perplessa: l’idea di una moglie che si fa sbattere in un camerino ai grandi magazzini, mentre il marito aspetta fuori, mi turbava. Non giudicavo, ovviamente: non ero nella posizione per farlo; ma forse mi compiacevo con me stessa per la fortuna di potermeli scegliere, i rapporti sessuali, senza doverli pagare; e di poter scopare a mio agio quando volessi. Ragione in più, forse, per mettere in atto un piano di perversione che mi ronzava in testa. Proprio nei pressi dei grandi magazzini c’era l’ufficio di Nicola, l’avvocato con la moglie gelosa che gli esaminava le mutande per scoprirvi tracce di femmina, ma intanto faceva visita alla collega del marito, lesbica dichiarata. Più volte, Nicola mi aveva sollecitato ad andare da lui per delle firme; e Lucia, la sua collega lesbica, mi aveva fatto capire che qualcosa girava in modo particolare. Decisi di andarlo a trovare, per la questione legale e per provocarlo.
Percorsi i pochi metri tra gli sguardi ammirati dei maschi (evidentemente, la recente sborrata acuiva la mia attrazione sessuale) e quelli quasi inferociti delle accompagnatrici. In anticamera trovai un’altra ragazza giovane e piacente (“deve essere uno standard degli avvocati” pensai) ed anche a questa dovetti declinare le generalità, dal momento che non ero mai stata lì, prima: mi guardò con aria sorpresa e la prevenni “ … forse conosci mio figlio Davide”; annuì arrossendo e mi annunciò. Nicola era vivamente sorpreso di vedermi; ma la sua patta mi comunicò, gonfiandosi all’inverosimile che davvero “facevo sesso” e, soprattutto, che non gli dispiaceva vedermi. Mi sedetti (dovrei dire, “mi stravaccai”) su una poltrona e feci in modo che le mie cosce gli fossero visibili fino all’inguine; cominciò a muoversi evidentemente imbarazzato, mi propose una bibita che accettai e si sedette sulla poltrona di fronte a me: non voleva perdersi lo spettacolo, come denunciava il suo pantalone gonfio nel punto giusto. Glissando sui suoi discorsi tecnici, gli chiesi se era vero quello che si diceva della gelosia di sua moglie; si schernì e cercò di tornare ai documenti; ma ero decisa a incalzarlo e osservai che era una grossa stupidità cercare nelle mutande le tracce di un rapporto, visto che molte donne mi avevano confidato che, con gli amanti, praticavano quasi solo sesso orale, che non lascia tracce negli abiti: “se io adesso ti facessi un meraviglioso pompino, lei non avrebbe nessuna possibilità di trovarne traccia: vuoi vedere?” Detto fatto, mi ero andata ad inginocchiare davanti a lui e gli avevo afferrato il cazzo da sopra ai pantaloni.
Era paonazzo, non riusciva neppure a respirare, sopraffatto dalla meraviglia e dalla paura; ma neanche si sottraeva: l’idea di un mio pompino era troppo affascinante per cedere ai timori. Non gli diedi il tempo di pensare ed estrassi dal pantalone il suo cazzo, piccola cosa, per la verità - se la consideravo nel confronto di quelli che avevo largamente usato negli ultimi tempi - e mi abbassai a prenderlo in bocca: in un solo colpo lo avevo ingoiato fino alle palle e mi restava spazio per roteargli intorno la lingua percorrendolo in ogni anfratto, su tutta la superficie. Con mia grande sorpresa, venne immediatamente: classico caso di eiaculatio precox; restai ancor più basita all’idea della moglie gelosa di quel cazzetto troppo veloce e intanto capace di farsi trascinare nel vortice del piacere da una lesbica in gamba come Lucia. Quasi arrabbiata, più che delusa, mi sollevai la gonna fino alla vita, mi sfilai gli slip, montai in ginocchio sulla poltrona, di fronte a lui, e lo obbligai a leccarmi: neanche quello sapeva fare. Muoveva la lingua con impaccio su tutto l’inguine, cercava di infilarla nella vulva ma riusciva solo a lambirmi l’interno delle cosce: cominciai a sfregare con forza il pube contro la sua bocca, mi feci entrare in figa il suo naso - quello, si, notevole - e mi strusciai con forza, ripescando nel ventre il piacere che mi era mancato; quando mi accorsi che stavo per sborrare, mi ritrassi e finii con le dita che tormentavano il clitoride.
Mentre mi rivestivo, gli dissi sferzante: “lavati la bocca e non si accorgerà di niente; ho ingoiato tutto”. Mi avviai alla porta; ancora con la patta aperta, Nicola mi inseguì per chiedermi “… e … di quelle carte …?” “Darò l’incarico alla tua collega Lucia Marangoni di occuparsene per mio conto. Passerai a lei tutte le pratiche che mi riguardano”. Feci ciao con la manina, aprii la porta ed uscii. Decisamente, non era stata una bella mattinata. Tra la signora nello spogliatoio e l’avvocato stronzo, avevo quasi voglia di una bella scopata. Ma non c’erano molte possibilità in vista e decisi di trasgredire ancora. Avevo da tempo un appuntamento col mio dentista, un bel pezzo d’uomo che - ripensandoci alla luce delle nuove “scoperte” - non faceva che guardami con libidinosa cupidigia e tentare di approcciarmi in tutti i modi consentiti dal bon ton dei rapporti formali. Ebbi fortuna, perché proprio in quel momento gli arrivò una telefonata di disdetta di un altro cliente e mi fece accomodare quasi subito sulla “poltrona delle torture”: fu elegantissimo, naturalmente, e si lasciò andare ad una infinità di complimenti su tutte le parti del mio corpo e del mio abbigliamento; ormai decisa a tirare fuori la puttana che c’era in me, mi rassettai camicetta e gonna in maniera da offrire alla sua vista quanto più fosse possibile; lo costrinsi ad abbassare gli occhi, per non essere sorpreso a spiarmi sotto le gonne o nello spacco della camicetta; ma non poté impedirsi un’erezione che presto apparve in tutta la sua pressione.
Quando cominciò a rovistarmi in bocca coi suoi specchietti, lo guardai e sorrisi ammiccante; quando poi si avvicinò con lo strumento peggiore di tortura, il trapano, non potei fare a meno di chiedergli se non stava pensando di infilarmi in bocca qualcosa di ben diverso. Sobbalzò, si ritrasse e farfugliò un “ma che dici!?!?” “mi riferisco a quello che vedo … “ e accennai alla sua patta. Si strinse il camice quasi lo avessi sorpreso nudo in bagno; sbrigò fin troppo rapidamente col suo lavoro e si accomiatò: “Perché hai fatto quei discorsi?” mi chiese mentre uscivo “Niente … stavo solo verificando una cosa che mi hanno detto”. Gli feci ciao con la manina e uscii. Per quel giorno, era quasi troppo.
Lucia mi aveva contattato per dirmi che aveva visto molte cose interessanti ma che non le quadravano molto; mi chiese di avvertirla, se mi fossi trovata di fronte a situazioni particolari o anomale. Aggiunse anche che mio padre era un carissimo amico del suo - vecchio avvocato di cui lei aveva ereditato lo studio con le pratiche contenute - e che aveva fatto scoperte straordinarie; un giorno, con calma, ne avremmo parlato. Da parecchie settimane, ormai, la casa era tutta per me, giorno e notte: il nonno, perduto dietro il suo amore bielorusso, faceva capolino di tanto in tanto per aggiornarsi; Antonio era via per intere settimane e, per di più, teneva accanto come un’ombra Davide che, a suo dire, non solo era diventato indispensabile, ma addirittura lo aveva soppiantato nella maggior parte delle funzioni e si rivelava un dirigente assai capace, abile e fortunato. La telefonata di Davide mi sorprese non poco, anche perché non diede nessuno spazio alle comunicazioni affettive, neppure le più banali, e si limitò ad avvertire che sarebbe arrivato nel pomeriggio Luigi, un suo amico fidato, al quale dovevo dare carta bianca e fargli fare quel che riteneva, visto che sapeva cosa fare; “si, badrone”: l’ironia fu voluta e feroce ma, dall’altre parte (non so neppure dove), non se ne diede per inteso.
Arrivò dunque Luigi, un bel ragazzo ben piantato e piuttosto disinvolto, che mi salutò educatamente, si qualificò e subito dopo si fiondò nella camera di Davide, al computer che era rimasto spento per giorni; poi cominciò a girare per casa raccogliendo fogli e si diresse infine nella nostra camera. Lo seguii incuriosita e lo vidi armeggiare dietro ad un termosifone, che fece ruotare: apparve, dietro, una vecchia cassaforte di cui mi ero del tutto dimenticata: era di mio padre e, alla sua morte, avevo deciso di disfarmene; Antonio aveva detto di si, ma evidentemente ci aveva ripensato: io la credevo finita da un rigattiere; ed invece era ancora lì, pienamente valida, in funzione e ben nascosta finanche a me. Luigi prese la chiave dal cassetto di Antonio, aprì e raccolse dei faldoni; mi ritrassi per dare l’impressione di spiare, ma mi ripromisi di dare un’occhiata. Quando fu di nuovo al computer, gli chiesi se voleva qualcosa di fresco; mi rispose che stava per finire e dopo avremmo avuto modo di bere. L’idea di fare la portiera o la serva non si adattava al mio caratterino: andai in bagno, ravvivai il trucco e indossai biancheria particolarmente stimolante con su una gonna corta ed una camicetta ampiamente scollata.
Tornando nel salone, Luigi non poté nascondere l’ammirazione; non appena mi vide, sdraiata sul divano in atteggiamento maliardo, mi accorsi che tutti i sensi gli erano scattati e, soprattutto, avevano innescato qualcosa al basso ventre che adesso premeva contro il jeans attillato. Battendo la mano sul divano, gli feci cenno di sedersi accanto a me e cominciai un rapido processo di seduzione che ancora una volta provò la mia capacità di “fare sangue”: Luigi perse tutta la sua disinvoltura e si accostò quasi timidamente, mentre io mettevo largamente in vista cosce e tette. Devo riconoscere che forse lo violentai. Non si era neanche seduto, che già gli parlavo sul viso, facevo partire lunghe “casuali” carezze, rapidi toccamenti che lo mandavano su di giri; prima ancora di quando me l’aspettavo, mi abbracciò e incollò la sua bocca alla mia; la sua lingua, morbida e sinuosa, mi entrò di colpo fino in gola, quasi mi penetrasse col cazzo; poi si mosse a perlustrare l’interno della bocca, incrociò la mia lingua e ingaggiò una sorta di lotta a leccare, lambire, accarezzare. Baciava decisamente bene e il mio inguine reagiva a dovere: un paio di scariche di piacere mi fecero inondare gli slip quasi invisibili; la mia mano corse rapida alla sua patta e trovò la zip che scese facilmente; ma il jeans era stretto e le mutande monacali.
Lo sollevai in piedi davanti a me, afferrai i pantaloni sui fianchi e li spinsi in giù insieme alle mutande, sino alle caviglie: un cazzo stupendo mi esplose sul viso in tutta l sua potenza; lo afferrai con le due mani, una sull’asta e una sui coglioni, e lo accarezzai appassionatamente. Luigi non restò fermo: con mille acrobazie, mi sbottonò la camicetta e, in qualche modo, la sfilò; sganciò il reggiseno e quasi me lo strappò via; fece alzare anche me e si afferrò ai miei seni. Mentre io davo il via ad una sega straordinaria, che mi consentiva di godere la sericità della pelle che scivolava lungo l’asta e lasciava scoperto il glande rosso fuoco, Luigi si chino a succhiarmi i capezzoli: brividi feroci mi colpirono alla schiena e scesero giù fino all’ano, si trasferirono alla vulva e mi fecero esplodere in mille vortici di piacere represso a lungo. Intanto, le sue mani non stavano ferme e, mentre mi stringeva le tette arruffandole, carezzando, tirandole, titillandole, con l’altra mano sganciò la lampo della gonna e la fece cadere a terra; poi la mano si infilò negli slip e il dito medio si fece strada nella peluria della fica, divaricò le grandi labbra, entrò nela vulva e andò a catturare il clitoride.
All’inizio, si limitò a sfregarlo su e giù provocandomi ad ogni movimento ondate di piacere; poi inserì nella figa anche il pollice e il cazzetto che mi spuntava poderoso nella vulva diventò oggetto di una sapiente sega che mi fece sborrare più di una volta. Lo staccai da me e gli sfilai la maglietta dalla testa; lo costrinsi ad a sdraiarsi sul tappeto; gli montai su, col volto rivolto ai piedi, e gli piantai la figa direttamente sulla faccia mentre io mi chinavo con la bocca sul cazzo. Lo leccai dolcemente, all’inizio, e mi divertii molto a sentirlo fremere quando la mia lingua titillava il frenulo; poi cominciai a leccare l’asta, dai coglioni al glande, più e più volte, girando con la lingua tutt’intorno: per la frenesia non riusciva a fare niente con la mia figa; mi fermai per un attimo e si riprese: si avventò con la bocca sul pube, passò un dito fra i peli, divaricò le grandi labbra e fece entrare la lingua dentro, con la stessa foga che avevo avvertito quando era entrata in bocca. Mi leccò in maniera superba: ebbi per lo meno tre orgasmi, di quelli forti. Io non fui da meno: dopo i preliminari, quando avvertii che sentiva l’urgenza di penetrare, affondai il cazzo nella bocca e riuscii a farlo penetrare quasi tutto, non so come; intanto, trovai il modo di accompagnare la succhiata col movimento di una mano che faceva una sega contemporanea alla parte del cazzo che emergeva dalla bocca e, con l’altra mano gli solleticavo lo scroto e gli strizzavo i coglioni, anche per frenare la possibile sborrata; seguendo la linea dello scroto, portai un dito fino all’ano e feci una leggera pressione: reagì con un fremito, mi resi conto che gli piaceva e spinsi un poco il dito nel culo.
Sentii che cominciava a fremere; non volevo che sborrasse ancora, quindi smisi e rallentai anche il ritmo del pompino; anche lui rallentò la foga della leccata. Mi sollevai sulle ginocchia e mi staccai, mi sdraiai al suo fianco, anch’io supina; Luigi si alzò, si spostò fra le mie cosce, si pose in ginocchio e accostò il sue enorme cazzo alla figa. Mi penetrò con dolce violenza e si sdraiò su di me col cazzo affondato nel mio ventre: pareva quasi che volesse godersi il piacere del contatto totale;mi baciò intensamente sulla bocca; risposi appassionatamente. Poi si sollevò un poco e cominciò la danza del vai e vieni: sentivo il suo bastone di carne percorrermi tutte le fibre del piacere e farle urlare, sentivo i liquidi del mio piacere scorrere fuori, sule cosce, forse fin sul tappeto; e mi gustai gli orgasmi progressivi senza più contarli. Luigi divenne sempre più frenetico; picchiò quasi con furore il suo pube sul mio per una, due, dieci, venti volte, finché poté resistere; poi lo vidi fremere e tremare per l’orgasmo che arrivava e anch’io mi preparai alla mia conclusione. Spruzzò quattro, cinque getti di sborra che avvertii direttamente sul collo dell’utero e risposi con altrettanti orgasmi. Alla fine ci abbattemmo l’uno sull’altro esausti.
Scossi il suo corpo dal mio, raccolsi gli abiti ridotti a straccetti e andai in bagno; al ritorno, Luigi era già rivestito: “non so se ci rivedremo, sto per partire per l’India e non so quanto ci starò. Volevo dire che … insomma, è stato straordinario.” “Ciao, buona fortuna” risposi e con un buffetto sulla guancia lo accompagnai alla porta. Appena fu uscito, telefonai a Lucia e le raccontai quanto era avvenuto (scopata esclusa, non so perché) e lei mi chiese se me la sentivo di aprire la cassaforte per guardare in quei faldoni. Non avevo nessun problema a farlo, visto che comunque era casa mia; e, seguendo il percorso fatto da Luigi, aprii e mi trovai di fronte a tante pratiche di cui molte intestate a me; eravamo in contatto telefonico e descrissi a Lucia i documenti che le risultavano interessanti. Alla fine mi consigliò di prendere la cartella che mi riguardava e di trasferirla altrove o, se lo ritenevo, di portarla a lei per aggiungerla alla pratica che aveva costituito. Le diedi appuntamento per il giorno seguente; “solo per lavoro” precisai.
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Categorie: Incesti