Tutti avevano cominciato a chiamarlo “il nonno” una ventina di anni prima, quando Davide cominciava ad articolare le prime parole e a distinguere le persone. Ma Luca non si sentiva e non era affatto “un nonno”: di lui si sussurrava che conoscesse il pelo naturale delle donne del paese più della levatrice (perché molte che aveva visto bene non avevano mai partorito); e senza dubbio aveva un bel percorso alle spalle... e non solo. Proprio per questo eccesso di fiducia in se stesso, era incorso nel più banale degli incidenti: una scala che scivola, nessuno a sostenerlo (non lo avrebbe mai permesso) e le clavicole che si spezzano. Per fortuna, all’ospedale lo avevano messo bene in sesto: solo, restava letteralmente “inchiodato” ad una bardatura di gesso leggero che gli impediva l’uso delle braccia e delle mani. Quando lo riportarono a casa, restai di sasso, perché sapevo che in ospedale dovevano assisterlo in tutti i gesti, anche i più semplici; ma Antonio mi assicurò che sarebbe venuto un infermiere e che si sarebbe trattato solo di poche ore: l’indomani era previsto che gli togliessero la bardatura. La mattina seguente, trovai Antonio sveglio alle prime luci: si preoccupava per suo padre ma doveva andare a un appuntamento decisivo.
Mi chiese di assistere “il nonno” fino all’arrivo dell’infermiere; lo rassicurai e andò via sereno. Scesa al pianoterra, trovai Luca in grande agitazione: seduto sul letto, bestemmiava e malediva sottovoce. “che succede” “fatti miei …” “posso aiutarti?” “nessuno può aiutarmi …” vidi che si contorceva e un sospetto mi colse immediato: “Devi andare in bagno?” attimo di silenzio “Sii … maledizione. Neppure a pisciare riesco da solo!!!” Mi venne da sorridere “Dai, non fare il bambino … ti aiuto io”. Mi guardò stralunato “Davvero lo faresti!?!” “Certo … vieni” e lo presi per il braccio bloccato in alto. Mi seguì docile come un bambino; in bagno, l’imbarazzo era evidente, quando mi toccò abbassargli i pantaloni; ma fu ancora maggiore la sorpresa quando vidi il bastone di carne che gli scendeva tra le gambe: adesso capivo uno dei motivi che gli avevano assegnato tanto successo con le donne; al suo confronto, il cazzo di Antonio era un grissino. Superato il momento, mi diedi da fare per accostarlo al water e gli presi il cazzo tra le dita per orientare il getto; quando ebbe svuotato la vescica, accennai a scrollare le ultime gocce … e il cazzo partì in una erezione improvvisa e irresistibile: mi trovai tra il pollice e l’indice una mazza di 25 centimetri al tempo stesse affascinante e spaventosa.
“Ricordati la barzelletta sui monaci: la terza scrollata è considerata sega” ironizzo il nonno; gli feci un gestaccio con la mano e lo spinsi sul bidet. Qui fui obbligata a lavarlo accuratamente e, inevitabilmente, i miei massaggi diventarono carezze che fecero crescere all’infinito la tensione di quel cazzo straordinario. Cercando di apparire disinvolta, nonostante il fiume di umori che già mi scorreva tra le cosce, lo obbligai a farsi asciugare; se ne stette docile, ma il suo cazzo vibrava autonomamente e, ad ogni tocco più diretto, sembrava scoppiare. “Perché non gli dai la terza scrollata?” non mi sembrava più che scherzasse; o, forse, ero io adesso che volevo fare sul serio. Senza rispondergli, cominciai a fargli una sega, la più sapiente che mi riuscisse di fare: con una mano gli tenevo i coglioni - due prugne grosse, rugose e gonfie ricoperte di una peluria fitta e ancora nera - e con l’altra mandavo la pelle del cazzo su e giù a scoprire e ricoprire la cappella che si era fatta viola, tanto era tesa; scivolavo poi delicatamente lungo l’asta e la stringevo, soprattutto alla base.
Non volevo però servire solo il maschio: abbandonai le palle e mi infilai la sinistra tra le cosce; cercai con il medio il clitoride e cominciai a tormentarlo: lo accarezzavo e roteavo intorno il polpastrello, infilavo in figa due falangi e le riportavo sulle piccoli labbra. Muovevo la destra sul suo cazzo con voluta, esasperata lentezza, per farlo durare a lungo, per avere il tempo di sborrare anch’io. Sentivo l’utero contrarsi e pulsare mentre umori liquidi scivolavano via tra le mani e lungo le cosce: chiusi gli occhi e mi beai in estasi di quel duplice contatto che mi inebriava; lo sentivo contrarsi e ansimare mentre il piacere gli pulsava nell’asta che vibrava nella mia mano. Quando lo vidi tremare sulle gambe e irrigidirsi allo spasimo, capii che stava per sborrare: accentuai il ritmo di sollecitazione del clitoride ed avvertii l’orgasmo che mi montava dall’inguine verso la figa.
Mentre esplodevo nella sborrata più bella e intensa che ricordassi, diedi alcuni colpi più veloci e decisi alla sua mazza e lo sentii grugnire in maniera animalesca, mentre sparava un immenso fiotto di sborra contro la tavoletta alzata del water. Sborrammo tutti e due per alcuni secondi, scaricando ognuno tanta voglia repressa e tutto l’entusiasmo per un’emozione inattesa e imprevedibile. Mi ci volle qualche minuto per riprendermi, prima di trovarmi con il suo cazzo svuotato, ma non moscio, nella mano destra e con la sinistra inchiodata sul mio pube, impregnata totalmente della mia sborrata. Dovetti rilavarlo e accompagnalo a letto; e poi pulire la tavoletta inondata della sua sborra. Il tutto, senza una parola. Quando lo ebbi riposizionato sul letto, mi guardò con un affetto che non gli avevo mai visto: “Grazie Loretta” mi disse quasi con tenerezza “sei stata meravigliosa!” “Anche tu” ribattei “non sapevo che avessi un cazzo così bello; è stato un vero piacere aiutarti a svuotarlo …” “Verrai ancora ad aiutarmi?” mi chiese sornione; feci spallucce, ma la sensazione di quel cazzo tra le mani era ancora troppo viva, troppo forte, troppo stimolante.
Davide si alzò presto quella mattina, poco prima delle nove (l’alba, per le sue abitudini): le insistenze di suo padre, la sera prima, avevano avuto evidentemente effetto. Avevo appena preparato la colazione e mio figlio, tra un biscotto e un sorso di caffelatte, si informò sul nonno: lo rassicurai che me ne ero interessata personalmente (eccome!) e che di lì a poco sarebbe venuto un infermiere a togliere la fasciatura che lo imbracava come se fosse crocefisso. Quasi rasserenato, scese a fare un rapido saluto al nonno e si trovò all’ingresso proprio mentre suonavano alla porta: era l’infermiere atteso e a Davide quasi non parve vero poter scappar via accennando solo un “Io esco” mentre era già sulla porta. Scesi a chiedere all’infermiere se ci fosse bisogno di qualcosa, ma lui mi rassicurò che aveva tutto l’occorrente; avvertii di chiamarmi con l’interfonico quando fosse necessario e me ne andai in cucina a sbrigare le solite faccende.
Dopo circa un’ora mi avvertirono di scendere: il nonno era seduto accanto al tavolo finalmente libero; ma le braccia nude recavano evidenti segni di logoramento per l’inerzia forzata e il blocco del gesso; l’infermiere, di fronte alla mia espressione meravigliata, mi rassicurò che era tutto normale e che, con qualche seduta di fisioterapia, il nonno sarebbe tornato alla massima efficienza. Intanto, raccomandava che evitasse sforzi inutili, soprattutto alle braccia ancora deboli, e che prendesse tutta la serie di medicine prescritte ed allestita in bell’ordine sul tavolo. Se ne andò, alla fine, ed io mi trovai di fronte al vecchio, un tantino in imbarazzo al ricordo di quello che era successo poche ore prima. Ma Luca dimostrò una faccia di bronzo inaspettata e cominciò a guardarmi con evidente cupidigia: come tutte le mattine, avevo indossato una corta vestaglia leggera sulla pelle nuda e il suo sguardo sembrava attraversare la stoffa per guardarmi tutta.
Fingendo di mettere in ordine, distolsi lo sguardo: solo allora notai un enorme specchio sulla parete nel quale si rifletteva per intero soprattutto il letto; attraverso lo specchio, vidi più agevolmente e nettamente lo sguardo del nonno depositarsi sul mio culo, sulle tette, e trafiggere la stoffa per arrivare al ventre. Inventò un’infinità di piccole scuse per farmi avvicinare e per farsi toccare (la sedia, un bicchiere, una posizione incomoda) e il suo cazzo - come potevo vedere facilmente - già si gonfiava a riempire il pigiama. Alla fine, mi chiese di accompagnarlo a letto e si sdraiò sulla schiena: la sua asta sollevava il pantalone del pigiama in maniera evidente e quasi spropositata; cominciai a sentire caldo e prurito al basso ventre e gli occhi presero a correre continuamente su quel monumento al sesso che si ergeva potente. Mi fece avvicinare e “Toccalo” mi disse; non riuscii a rifiutarmi: lo accarezzai delicatamente da sopra il pigiama e lo sentii pulsare vivo nella mia mano come al mattino; il nonno emise un profondo sospiro e dalla mia figa cominciarono a colare umori di piacere.
Sciolsi la cintura della vestaglia e la feci cadere; alzò gli occhi al cielo quasi in estasi e con lo sguardo mi percorse tutta, dalle tette piene e abbondanti ai fianchi larghi e promettenti fino alle cosce sode e al pelo scuro della figa. Gli abbassai decisamente il pigiama e con la mano destra impugnai l’asta che ormai già desideravo con forza, mentre la sinistra correva a raccogliere due coglioni gonfi. “Nonno, ma non puoi … due volte … in meno di due ore” “Non dire sciocchezze. Non so come siano i giovani; ma, per me, due o tre sborrate al giorno sono quasi una terapia”. Preferii non dire altro e mi dedicai alla sega: delicatamente ma con decisione lasciavo scorrere la mano sull’asta fino alla radice scoprendo la cappella che già si faceva violacea, poi riportavo su la mano e stringevo la cappella strappandogli mugolio di piacere. “Aspetta” mi fermò a un tratto “leccalo”: era quasi un ordine, ma espresso quasi con tenerezza; io però avevo qualche esitazione a prendere in bocca un cazzo così grosso.
Mi chinai comunque in avanti e mi accostai all’asta quasi con devozione: continuando a far scorrere su e giù la mano, avvicinai le labbra al “mostro” e mi limitai a baciarlo in punta; una fitta crudele di piacere mi sferzò il ventre e andò a scaricarsi direttamente sulla vulva: sentii che colavo copiosamente. Aprii le labbra e lasciai entrare la cappella, accarezzandola tra lingua e palato; ma riuscii a farla entrare a stento e muovevo male la lingua a leccarla. “Montami addosso” disse il nonno; e fece con le dita un leggero cenno per indicare il 69; montai sul letto e mi stesi sul suo corpo - cercando di superare la difficoltà della sua immobilità - finché la mia figa mi parve all’altezza del suo viso: nel movimento, guardai per un attimo nello specchio e vidi nettamente il mio corpo steso sul suo, le tette schiacciate sul ventre, il culo proteso in alto e il mio inguine all’altezza del suo mento; ma soprattutto ammirai la superba asta che si innalzava all’altezza del mio viso per tutta la lunghezza del volto.
La scena mi provocò una nuova fitta all’inguine e sentii che colavo più abbondantemente. Affondai la bocca sul cazzo e la cappella scivolò agevolmente sulla lingua, strisciò sul palato e si insinuò tra le guance. Non avevo mai affrontato con la bocca un affare così e non riuscivo a scegliere un movimento. Mentre armeggiavo col cazzo, il vecchio mi disse “Aprila per benino; io non ci riesco” passai le mani dietro la schiena, allargai le natiche e arrivai alle grandi labbra che separai per consentigli di entrare: la sua lingua, dura e decisa, si infilò all’improvviso tra le piccole labbra, penetrandole come un piccolo cazzo; la cappella in bocca mi soffocò il grido di piacere che mi era esploso dentro, ma, quasi per conseguenza, affondai il cazzo fino alle tonsille, meravigliata io stessa della capacità di dilatazione. Volsi gli occhi allo specchio e vidi la sua lingua saettare nella mia figa, uscirne per andare a leccare le piccole labbra e rientrare con forza a chiavarla; le stesse sensazioni che ricevevo dagli occhi mi esplodevano contemporaneamente nel ventre e mi facevano esplodere in piccoli orgasmi rapidi e successivi.
Quando vidi che il nonno accennava ad un movimento delle mani, lo bloccai decisa e fui io stessa ad allargarmi ancora la vulva per farlo arrivare al clitoride: lo catturò avidamente e cominciò a succhiarlo con forza; sentivo tutto il mio ventre aspirato nella sua bocca e tutti gli umori della vagina scatenarsi fuori, sulle due labbra. Cominciai a succhiare anch’io, con intensità e voluttà, facendomi entrare quel mostro di carne fin nelle profondità più remote della gola: guardando allo specchio, vidi che tutta l’asta mi era entrata in bocca e che le mie labbra accarezzavano i peli dei coglioni; lo spettacolo mi scatenò un nuovo orgasmo violento che il nonno, evidentemente, avvertì e gli rese la mazza ancora più dura e pulsante. Era certamente molto più esperto di me. Allentava la spinta e leccava delicatamente le piccole e le grandi labbra; tornava sul clitoride e lo succhiava sino al limite dell’orgasmo; affondava di nuovo la lingua e mi chiavava con quella con piccoli colpi decisi. Io, da parte mia, cercavo di accompagnare il cazzo con la lingua, gli vorticato intorno, lo estraevo per buona parte e poi me lo facevo affondare fino ad avere conati di vomito.
Andammo avanti per un po’, finché cominciai a sentirlo fremere e vibrare tutto sotto di me: segno evidente che non reggeva più e stava per sborrare. Cominciai allora a muovermi con la figa sulla sua bocca per arrivare all’orgasmo con lui; capì e si attaccò al clitoride che cominciò a succhiare come una pompa idrovora. Presi tra le dita la base dell’asta e cominciai a menarlo mentre lo succhiavo nella mia gola: il ritmo crebbe per tutti e due in un vortice pazzesco finché sentii che dal profondo delle viscere la sborrata emergeva come un fiume in piena; tutto il ventre sembrò aprirsi per il piacere e un fiume di umori si scatenò nella bocca del nonno che tutto raccolse quasi devotamente. Contemporaneamente, un fiotto improvviso mi arrivò come fuoco sulle tonsille ed io sentii la sua sborra inondarmi la gola fin quasi a soffocarmi: non volli ritrarmi e lasciai che esplodesse una, due, tre, cinque volte nella mia gola. Poi mi accasciai su di lui col cazzo ancora piantato nella gola, svuotato ma non del tutto moscio, mentre lui affondava il viso tra le mie cosce e baciava dolcemente la mia figa inondata.
Ci volle un po’, prima che mi riprendessi e fossi in grado di togliergli il mio peso di dosso. Mi sedetti sul letto accanto a lui, gli rimisi a posto il pigiama e raccolsi da terra la vestaglietta. “Hai proprio una figa bellissima” fu la prima cosa che disse; e aggiunse “il tuo culo, poi, è favoloso. Devi farmi assaggiare tutte e due.” “Il culo!?!?” esclamai quasi spaventata “con quella bestia che ti ritrovi?!? Mi vuoi ammazzare … io, dietro, non l’ho mai preso!”. “Come??!!” era veramente meravigliato “vuoi dirmi che il tuo buchetto è ancora vergine?” “Beh! si” “Come è possibile?” “Non me l’hanno mai chiesto e non l’ho mai dato: è semplice” “Va bene: vuol dire che questo piacere sarà solo e tutto mio. E non temere: faremo le cose assai per benino; così scoprirai finalmente che quel bellissimo apparato non serve solo a liberarti delle scorie ma è un impagabile strumento di piacere” “Ok, ne parleremo. Adesso però vado se no, non combino niente per tutto il giorno”.
Il “vecchio”, come aveva detto l’infermiere, non impiegò molto, a recuperare del tutto le sue energie e le funzioni delle braccia; appena cominciò a essere attivo, naturalmente, prese anche a tampinarmi discretamente, lasciando spesso scorrere lo sguardo sul mio corpo, ostentatamente, davanti a figlio e nipote: addirittura, in qualche caso, faceva aperte e grossolane considerazioni a “tanto ben di dio inutilizzato” riferendosi soprattutto al mio culo. Per fortuna, certi accenni valevano solo per me e per lui, mentre agli altri apparivano frasi incomprensibili, da “vecchio”. D’altra parte, però, il ricordo di quel cazzo tra le mani e in bocca era troppo vivo ed eccitante: molte volte, quando Antonio mi scopava “istituzionalmente” e rapidamente, mi trovavo a fantasticare su quello che il “vecchio” avrebbe potuto fare al suo posto: “in fondo, il padre al posto del figlio non è poi così grave” pensavo tra me, quasi a giustificarmi; poi mi assaliva una certa angoscia all’idea dell’incesto che si faceva normalità. Ma, di fatto, avevo una gran voglia di un cazzo che mi facesse sballare dal piacere; e molto spesso mi ritrovavo con la mano fra le cosce, a spararmi violentissimi ditalini all’idea di quello che avrei provato sotto al “vecchio” Luca; quasi sempre sborravo con una violenza che mi spossava.
Non cercavo, comunque, di creare occasioni per stuzzicarlo: preferivo tenermi in disparte e aspettare gli eventi, respingendo anche la vocina che mi suggeriva che “ogni lasciata è persa” e che, in fondo, non sottraevo niente a nessuno ma mi concedevo qualcosa che mi dava piacere. Per un po’ cercai di evitare di andare nella sua stanza, ben sapendo che non avrebbe cercato di tentarmi nel resto della casa, in ambienti aperti a tutti. Ma, inevitabilmente, dovevo provvedere a piccole incombenze che andavano dal rassettare il letto al fare piccole pulizie; ed ogni volta che entravo nella sua camera ero divisa tra il timore e il desiderio che facesse un gesto o una proposta per fare sesso con lui. Ma forse anche lui era abbastanza preoccupato di non essere sorpreso dal figlio o dal nipote; e si tenne bene sulle sue, finché i ritmi della casa prevedevano che qualcuno ci fosse, quando io scendevo da lui.
Ma venne il giorno in cui Antonio e Davide dovettero andare fuori città con la previsione di restare assenti per tutto il giorno: lo sguardo del “vecchio” – quando fu dato l’annuncio – era di quelli che dicevano tutto ed io non seppi se dare retta al timore che aleggiava da qualche parte nella mente o agli umori che mi si accalcavano nel ventre pregustando il piacere. Uscirono presto, padre e figlio; ed io scesi con la mia corta vestaglietta nella camera di Luca, che trovai ancora addormentato: senza esitazioni, mi infilai nel letto al suo fianco e mi strinsi contro di lui. Si svegliò senza sorprendersi e, girandosi su un fianco, mi abbracciò con forza, mi baciò sulla bocca e cominciò a macinare la lingua nella cavità orale: mi mordeva e succhiava le labbra, faceva entrare la sua lingua puntuta fin in fondo alla gola, mi succhiava la lingua come se la spompinasse; risposi con la stessa foga, mentre le mie mani correvano ad afferrare il cazzo che era già un bastone duro come il marmo.
Ruotò i nostri corpi fino a mettermi supina sotto di lui e cominciò a leccarmi e baciarmi dagli occhi alle guance alla gola; scese lentamente giù verso la gola e scoprì una tetta di cui si impossessò con ambedue le mani per stringerla e sollevare il capezzolo che afferrò nella bocca e cominciò a succhiare con la passione di un neonato affamato; il suo cazzo duro mi era scivolato tra le cosce e premeva contro la vulva che si apriva a riceverlo, anche se la vestaglia ancora ricopriva il pube. Con un gesto deciso, fece scivolare l’indumento dalla testa e si mise in ginocchio fra le mie cosce, quasi ad ammirare insieme tutto il mio corpo; allungai una mano verso il cazzo che si rizzava prepotente e cominciai a menarglielo lentamente. Si abbassò su di me e riprese in bocca il capezzolo, mentre la sua mano si infilava tra le mie cosce e cercava la vulva col dito medio; si fece strada fra i peli, raggiunse le piccole labbra e le aprì leggermente, quanto bastava a far entrare il dito fino al clitoride: mentre succhiava con passione prima l’uno poi l’altro capezzolo, cominciò a titillarmi la figa con gesti sapienti che mi scatenavano brividi elettrici in tutto il corpi.
Cominciai ad avere i primi piccoli orgasmi che lui riceveva nella mano aperta sul pube attraverso il dito piantato in figa. Scese dalle tette verso il ventre e lo inondò letteralmente di saliva, tanta passione ci metteva a leccarmi; finché arrivò al pube, estrasse il dito e fece entrare la lingua: al primo contatto, ebbi un brivido così violento che , involontariamente quasi, sborrai una prima volta; succhiò tutto con passione e accentuò la pressione della lingua sulle piccole labbra e sul clitoride. Io cercai ancora il suo cazzo e lo presi in mano; ma ormai non reggevo più alla voglia. “Mettimelo dentro” lo pregai; si sistemò su di me, appoggiò la cappella alla vulva e diede un piccolo colpo: sentii il ventre che letteralmente si apriva, insieme alle piccole labbra, per far entrare quella mazza meravigliosa che cominciò a percorrere i tessuti della vagina in alcuni punti quasi intatti perché mai un cazzo così grosso era entrato a stimolarli.
Entrò quasi delicatamente, cosciente della difficoltà che potevo avere a ricevere un’asta grossa e lunga, che andava a picchiare sul collo dell’utero; quando fu completamente dentro, si abbatté quasi su di me, per godere fino in fondo il piacere della penetrazione; restò così un lungo tempo, lasciando solo pulsare il cazzo nella vagina; io, invece, cominciai a muovere i muscoli interni,per accarezzare e stimolare quel fornitore di piacere; poi cominciai a ruotare leggermente il pube strusciandolo contro il suo e provocando ad entrambi guizzi di piacere. Poi Luca cominciò a chiavarmi: la sua asta entrava ed usciva dalla vagina quasi ritmicamente; ed ogni movimento era fonte di scosse, brividi e sensazioni di piacere che, dalla figa, mi andavano a bruciare il cervello; sentivo gli orgasmi inseguirsi l’uno con l’altro e portare il piacere verso l’apice: mugolavo senza interruzione; allargai oscenamente le cosce e portai i piedi sulla sua schiena, sicché rimasi completamente spalancata e il cazzo entrò fino alla radice: volevo quasi che anche le palle mi invadessero la vulva.
Per caso, incontrai nello specchio la scena e rimasi quasi imbarazzata a vedermi strettamente attanagliata al suo corpo, con le gambe sollevate e spalancate mentre il nerboruto “vecchio” picchiava con metodo contro il mio bacino. Gli orgasmi montavano a mano a mano che Luca imprimeva più forza e più lentezza ai suoi colpi; poi la sua mano si insinuò fra di noi e andò a raggiungere il clitoride; prese a tormentarlo con sapienza ed io sentire le viscere squassarsi. L’urlo che echeggiò nella stanza non aveva niente di umano: era qualcosa di ferino, di pagano, un grido di conquista o di liberazione; quasi non riuscivo a credere che fossi io stessa a urlare tanto, dalla figa piuttosto che dalla gola o dalla testa; esplosi in un orgasmo violento, irrefrenabile: e glielo scaricai tutto sulla mano e sul cazzo. Luca non interruppe il suo movimento di va e vieni dalla mia figa; anzi, sembrò galvanizzato dalla mia esplosione e continuò a chiavarmi con dolce decisione, insistette a masturbarmi sul clitoride provocandomi successivi orgasmi accompagnati da urli; ad un certo punto, un suo dito scivolò verso l’ano e, per la prima volta nella mia esperienza, mi sentii penetrata analmente: non provai il fastidio che temevo, anzi la stimolazione accentuò il piacere e mi mossi per far penetrare il dito più a fondo; Luca aggiunse un altro dito e cominciò a premere sullo sfintere per dilatarlo.
Il piacere tornò a invadermi prepotente e i miei urli diventarono continui e sempre più alti: cominciai ad esplodere in una serie di orgasmi che mi lasciarono senza forze, appannata; sentivo il cuore battere all’impazzata e persi quasi i sensi. “per favore, smettila” implorai “non ce la faccio più”; rallentò il ritmo fino a fermarsi ma non accennò a ritirare né il cazzo dalla figa né le dita dal culo e, per qualche tempo, rimanemmo fermi a far scaricare l’orgasmo. Quando mi sentì abbastanza rilassata, spostò la mano direttamente sull’ano e cominciò a premere con tre o quattro dita (ormai non capivo neppure dove fossi) provocando una dilatazione sempre più consenziente del mio forellino: avvertii un po’ di fastidio ed ebbi un gemito. Luca riprese allora a pompare nella figa, sempre lentamente, sempre con metodo facendo scivolare l’asta fino a lasciar dentro solo la cappella e ripiombando poi con forza sul pube: la conseguenza erano fitte di piacere ed orgasmi che ormai non contavo più. “Ti prego, vieni” gli chiesi; “Posso venirti dentro?” “Si, non c’è problema” Cominciò a spingere con forza, quasi selvaggiamente, e riportò la mano sul clitoride stimolandolo con violenza e sapienza.
Avvertii il suo orgasmo che si avvicinava e il mio che montava dalle viscere. Esplodemmo insieme come un vulcano; e urlammo tutti e due, con quanto fiato avevamo in gola. Poi lui si accasciò su di me ansante e dovetti faticare un poco per spostarlo di lato e rilassarmi. Non so quanto tempo stemmo fermi a riprendere fiato.
La scopata col “vecchio” mi aveva spossata: passai tutta la mattinata a sonnecchiare, ancora con le sensazioni di piacere che mi invadevano tutto il corpo, insieme alla stanchezza. A pranzo, ci ritrovammo di fronte seduti a tavola e Luca non cessò di circuirmi, sfruttando tutte le occasioni per palparmi, carezzarmi, farmi sentire il cazzo duro. Appena finito di pranzare, mi prese per la mano e mi obbligò dolcemente a seguirlo di nuovo nella sua camera. Cercai di obiettare qualcosa sulla stanchezza e sulla inopportunità di due scopate a così breve scadenza; ma, come già aveva fatto, mi rispose che erano balle e che si sentiva in forma. Mentre scendevamo, mi appariva chiaro che il “vecchio” non aveva affatto rinunciato alla sua convinzione, quella cioè di essere l’unica persona a cui potesse spettare il privilegio di prendere la mia verginità anale. Quasi fosse un diritto naturale rimediare a una trascuratezza degli altri. Per conto mio, dopo le emozioni della mattinata, ero quasi convinta che fosse la persona più giusta per farmi perdere quella verginità: aveva dimostrato tanta sapienza e tanta delicatezza con la mia figa che, nonostante le dimensioni impressionanti del suo cazzo, ero ormai dell’idea che sarebbe riuscito ad aprirmi nuovi orizzonti di piacere, evitando quei fastidi che - a quel che sapevo - si possono avere quando viene forzato il culo.
Indossavo ancora la solita vestaglietta corta e Luca, appena entrati, me la fece scivolare via; subito dopo si tose i vestiti e mi abbracciò in piedi, piantandomi subito il cazzo tra le cosce; lo strofinò a lungo sulla figa, mentre mi riempiva di baci il viso e la gola; poi mi baciò appassionatamente ed io tornai a sentire il frullo della sua lingua nella mia bocca, il risucchio della mia nella sua e le sensazioni di brivido che mi percorrevano il ventre e si scaricavano tra le cosce, sopra il suo cazzo. Mi succhiò delicatamente i capezzoli ed intanto infilò una mano tra le mie natiche, alla ricerca del buchetto; quando lo trovò, si soffermò un attimo ad infilare il medio in figa, per cogliere gli umori di cui era già piena, poi infilò il medio nel culo: sentii la carne che morbidamente cedeva e si lasciava penetrare, mentre forti scariche di piacere di dirigevano alla figa che ne veniva sollecitata. Ormai era chiaro che il suo obiettivo era il culo; e mi lasciai andare, ansiosa di cogliere anche quelle emozioni per me nuove. Mi spinse delicatamente sul letto, mi sollevò le gambe fino a che fui totalmente aperta al suo sguardo e si inginocchiò ai piedi del letto per avere il viso all’altezza della figa: dalla mia posizione vedevo chiaramente lo specchio di fronte e un vortice di eccitazione mi colse al vedermi oscenamente scosciata davanti a lui che si apprestava a leccarmi tutta.
Cominciò dall’interno delle cosce, che percorse con lentezza quasi esasperata, facendo vibrare ogni piccolo tendine; passò poi alle grandi labbra e alla peluria che le ricopriva: vi dedicò poco tempo, perché subito attaccò le piccole labbra che si schiusero per permettere alla lingua di penetrare; poco dopo afferrò il clitoride tra le labbra e cominciò a succhiarlo come un piccolo cazzo. Intanto, una mano era scivolata tra le cosce: tre dita si infilarono nella vulva e vi si agitarono un poco, carezzando, titillando e, soprattutto, inumidendosi; poi si spostarono insieme verso l’ano e cominciarono a spingere per dilatarlo. La forte tensione di piacere che mi dava il risucchio sul clitoride fecero passare in secondo piano la violenza della penetrazione, anzi ne acuirono gli effetti; ed io cominciai quindi a sborrare mentre le tre dita - tutt’altro che piccole - entravano nel culo fino alle nocche e forzavano lo sfintere che cedette velocemente e si lasciò penetrare: una volta superato l’ostacolo, Luca cominciò a muovere in cerchio le tre dita per allargare sempre più l’accesso. Non avvertivo niente altro che le fitte di piacere che dall’ano si trasmettevano al clitoride e da lì al cervello.
Dopo che per due volte gli scaricai in bocca il mio orgasmo, Luca si staccò e mi fece sdraiare sul letto, mettendomi sotto la schiena due cuscini: sollevandomi le gambe fino alle sue spalle appoggiò il cazzo all’ano, quasi per verificare l’opportunità della posizione per quello che aveva in mente. Soddisfatto, si allontanò verso il bagno e tornò subito dopo con una boccetta: “E’ un lubrificante” disse davanti alla mia aria interrogativa “ed è anche lievemente anestetico: voglio che tu senta solo piacere”. Sentii il fresco della pomata scivolarmi sull’ano ed entrarmi nel culo insieme alle sue dita; se ne spalmò anche sul cazzo. Poi mi sollevò le gambe fino alle sue spalle, impugnò la sua mazza e la accostò delicatamente al buchetto; cominciò ad entrare dolcemente, “Toccati”, mi suggerì ed io appoggiai la mano sulla figa e cominciai a titillarmi il clitoride: il piacere mi riempiva ad ondate successive ed io ero presente e viva soprattutto là dove il suo cazzo entrava. Procedette a millimetri, forse, perché sentivo nettamente il cazzo invadere le budella e violarle; ma non ebbi reazioni di rigetto: i tessuti del mio intestino si adattavano dolcemente alla penetrazione, per quanto violenta; in un tempo che mi sembrò eterno arrivò allo sfintere e cominciò a forzarlo.
Qualche fitta di dolore mi fecero gemere, ma gli feci cenno di andare avanti: ormai ero io volerlo nel culo, fino in fondo. Diede un colpo più forte e la cappella passò: sentii i tessuti cedere, temetti che si fossero lacerati ma non era così; si fermò immobile e mi accarezzò dolcemente il ventre e il pube; il dolore si mitigò e accennai che continuasse. Poi fu perfino facile: sentii l’asta che invadeva le viscere e avvertii che i muscoli interni si adattavano docili all’invasione del manganello di carne che li violava. Continuò a penetrarmi piuttosto lentamente, dandomi il tempo di adattare l’intestino al nuovo entrato; ed arrivò a toccare con le palle le mie natiche: era dentro tutto, in tutta la sua lunghezza, in tutta la sua grossezza, in tutta la sua potenza. Contrassi tutti i muscoli, per assaporarlo fino in fondo, e mi titillai con forza il clitoride per godere ancora. Luca mi fece abbassare le gambe e si sdraiò su di me; ma il suo cazzo non arretrò di un millimetro e restò saldamente piantato nel mio ventre. Si soffermò a baciarmi, a carezzarmi, a leccarmi dovunque potesse, senza perdere la posizione: il viso, gli occhi, gli orecchi, il collo fino al seno. Quando mi sentì rilassata (“burrosa” disse poi) cominciò a pompare facendo in modo gli ossi pubici si strofinassero, sicché avevo la sensazione di essere chiavata contemporaneamente in culo e in figa.
Era una situazione che non avevo mai neppure immaginato; eppure, quella nerchia possente che mi sfondava le viscere era per me un motivo di piacere indicibile: godevo quasi di più a sentirlo muoversi nel culo che a masturbarmi la figa. Per conseguenza, i muscoli interni del mio corpo si concentravano nel sentire il cazzo e lo titillavano accarezzandolo in una sollecitazione inaudita. Sentivo piccoli orgasmi successivi montarmi dal ventre e scaricarsi in figa e in culo: conoscendomi, aspettavo che diventassero estremamente frequenti per portarmi direttamente alla sborrata conclusiva. Quando ebbi la sensazione di essere vicina, lo avvertii “sto per venire”; il “vecchio” affrettò il ritmo dell’inculata, spinse il cazzo sempre più dentro e più rapidamente, finché lo sentii lamentarsi e avvertii la sborra che mi sprizzava nell’intestino: esplosi anch’io con una violenza nuova e imprevista; scaricai sul suo pube il più intenso orgasmo possibile. Si rilassò su di me e mi avvertì di fare piano, perché “uscire può essere più fastidioso che entrare”: ci baciammo quasi con tenerezza, mentre sentivo il suo cazzo perdere potenza e dimensione nel mio culo fin troppo sensibile, nuovo com’era all’esperienza; a mano a mano che si afflosciava, tendeva ad arretrare, finché la cappella si trovò all’altezza dello sfintere. Fu necessario un piccolo strappo, leggermente doloroso, perché venisse fuori. Dovetti correre in bagno, perché la sollecitazione mi provocava stimoli nuovi; ma era solo la reazione del corpo alla violenza subita. Si era fatto fin troppo tardi. Lo baciai con dolcezza, gli dissi “grazie” e scappai via.
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Categorie: Incesti