L’estate era passata quasi troppo in fretta; e l’autunno si stava perdendo dietro le spalle, quando arrivò a tutti gli amici il fin troppo raffinato cartoncino che annunciava le nozze di Nicola con la sua fidanzata rimasta fino all’ultimo segreta. La sontuosa cerimonia si sarebbe svolta in un santuario famoso, piuttosto distante, in ossequio ai desideri dei genitori della sposa che aspiravano ad un rito “di classe” e che a malincuore avevano accettato che l’invito fosse diramato anche agli “amici di lui”. Inoltre, una breve indagine aveva rivelato immediatamente che anche per il ruolo di testimone Nicola non aveva avuto alcuna voce in capitolo: ambedue erano stati scelti dai suoceri tra i loro “amici di classe”; e questo risultò particolarmente offensivo al gruppo, che si orientò decisamente verso la diserzione della cerimonia. Ma il buon senso prevalse, in considerazione della frequentazione con Nicola che risaliva agli anni delle elementari, per alcuni: e giocò a favore anche l’osservazione che dopo il rito non ci sarebbe stato il classico pranzo ma solo un rapido rinfresco che avrebbe ridotto la reciproca sopportazione ad un tempo relativamente breve. Insomma, si decise di andare con due macchine, solo gli amici più stretti, e di limitare la presenza all’indispensabile.
Nicola ci apparve addirittura irriconoscibile nell’abito da cerimonia: anche se eravamo abituati a vederlo quasi sempre lontano e distaccato, stavolta era andato davvero oltre; anche la sua stretta di mano al momento dell’incontro fu molliccia e distaccata, da perfetto estraneo. In compenso, ci colpì il fascino della sposa, alla quale al mare avevo dato solo una fuggevole occhiata catalogandola troppo rapidamente (forse) tra i "soggetti di scarso o nessuno interesse": elegantissima e molto ben truccata, sprizzava gioia e malia da ogni tratto, da ogni movimento, anche se l’accesa sensualità in qualche momento dava la sensazione di un eccesso di femminilità, al limite della condizione conosciuta come di “gazzella”, troppo prona cioè a una personalità dominante che in Nicola non conoscevamo. Tra i parenti più stretti non poteva mancare – naturalmente – la giovane sorella della sposa, “l’angelo del pompino per pegno” che però non rivelava, investita com’era del ruolo, assolutamente nessuna delle disinibizioni che aveva tanto largamente profuso al mare: addirittura, al momento delle presentazioni mi porse con degnazione (girando ostentatamente il viso dall’altra parte) una mano molliccia che mi diede la sensazione di stringere delle lumache.
Rassegnati a subire la cerimonia con tutti i corollari, ci rifugiammo nel comportamento “da branco” formando un’isola distante che solo per errore era finita in quell’arcipelago: evitando con estrema attenzione di andare comunque al di là della decenza, ci intrattenemmo con le amenità più stupide riservando agli altri ospiti solo rare e distratte occhiate di sfuggita. Arrivammo persino ad ignorare certi pezzi di figliola che svolazzavano da un gruppo all’altro cinguettando graziosamente e sdilinquendosi in mille cerimoniose mossettine tese soprattutto a far notare gli abiti firmati ultimo grido e i preziosissimi gioielli, segni inequivocabili di una ricchezza da vomito. In altri momenti, non c’è dubbio che ci sarebbero scappati i commenti più vari e più impensati: e certamente non avremmo ignorato tante grazie profuse a piene mani; ma, in quella occasione, sembrò che tutto perdesse i soliti connotati; e tutti, in cuor nostro, non aspettavamo che il momento del commiato. Quando finalmente arrivò, ci affrettammo a salutare il nostro amico – e solo lui – per scappare via da quello zoo a cui eravamo estranei anche come spettatori. Con un gesto a sorpresa – ormai tanto abituale che nemmeno mi sorprendeva più – al momento dell’abbraccio di commiato, Nicola mi sussurrò un “Mi dispiace” che non capii a che cosa si riferisse ma che accettai di buon grado, come sempre facevo con lui.
Il tragitto del ritorno fu fatto a suono di canti e urli a squarciagola, quasi per ripagarci della sofferenza di una mattinata di inamidatura totale. La proposta di andare da qualche parte a mangiare una pizza non trovò la gioiosa accoglienza che mi sarei aspettato, sicché mi trovai quasi subito da solo con un intero pomeriggio da riempire senza nemmeno la più vaga idea per la testa. Di tornare a casa, neppure se ne parlava: l’idea di passare da una ritualità artificiale e ipocrita ad un’altra rituale, più domestica e normale, non mi scendeva giù: anche se non lo ammettevo neppure con me stesso, la cerimonia di nozze era stata una brutta botta, che mi aveva lasciato un forte senso di amaro in bocca e sentivo in qualche modo il bisogno di riprendermi, di rilassarmi, di fare qualcosa per me, insomma. Scelsi la periferia, dove sconosciuto tra mille facce anonime avrei potuto più serenamente stare con me stesso; ed evitai anche il bar dove sapevo che avrei potuto imbarcare qualche baldo giovanotto disposto a rallegrare in qualche modo la mia solitudine: in quel momento, mi appariva perfino meschino rifugiarmi in un rapporto occasionale per lenire la perdita dell’uomo amato.
Mi fermai in un’osteria lungo la statale, della cui cucina avevo sentito dire un gran bene; scelsi un posto d’angolo e ordinai rapidamente le pietanze che avevo sentito decantare: stavo assaporando con gusto l’enorme razione di spaghetti che rendeva merito alle lodi celebrate per la cucina del posto, quando ebbi un sobbalzo, al vedere entrare una coppietta che sembrava la copia conforme di Nicola e della sua fresca sposina; mi stropicciai un poco gli occhi, quasi temendo di avere le allucinazioni; ma quando li riaprii bene, dovetti rendermi conto che, effettivamente, gli assomigliavano moltissimo anche se alcuni particolari, osservati con cura, indicavano differenze assai profonde. Si sedettero all’angolo opposto, esattamente dove, anche volendo, non avrei potuto evitare di guardarli, e cominciarono a scambiarsi effusioni carine e delicate che, pur nei limiti della correttezza che il luogo comunque imponeva, esprimevano una sensualità ed una sessualità esasperate. Senza rendermene conto, avevo cominciato a fissarli con accanimento, quasi con passione, dimenticando completamente il cibo nel piatto, al punto che il padrone, quasi preoccupato, si avvicinò per chiedermi se per caso qualcosa non andasse; alla sua improvvisa apparizione, trasalii uscendo dalla mia piccola e strana trance, lo rassicurai che tutto andava benissimo e ripresi a mangiare.
Ma il mio sguardo andava ai due senza che neppure lo volessi: anzi, più mi imponevo di ignorarli e di essere disinvolto, più lo sguardo rincorreva i loro visi, percorreva i loro corpi, si fermava incantato sulle mani che si accarezzavano sopra al tavolo, sulle gambe che si incrociavano sotto le sedie, sugli sguardi perduti negli occhi dell’altro. La mia insistenza nell’osservarli non poteva non colpirli: la ragazza per prima se ne accorse, ebbe un leggero moto di stizza e si girò a guardare più intensamente negli occhi il suo compagno; dovette però sussurrare qualcosa, perché lui si girò per un attimo, incrociò il mio sguardo ricambiandolo quasi in forma di sfida e si rivolse di nuovo alla ragazza accentuando le carezze, gli sguardi e la sensualità dei movimenti. Ebbi la netta impressione, ad un certo punto, che avessero addirittura deciso di mettere in scena la finzione di un rapporto d’amore, a beneficio dell’unico spettatore che ero io: gli sguardi si fecero più lunghi e intensi; i baci diventarono appassionati con un gioco di lingue che potevo vedere distintamente, per la poca distanza fra i tavoli e per le posizioni che assumevano per favorire la mia visuale; la mano di lui, che si era limitata a carezzare il braccio insinuandosi nella manica fino al gomito, si spinse un poco più su e cominciò a strofinare chiaramente un seno; sotto la sedia, la gambe si intrecciavano con un gioco di equilibri che mai avrei ritenuto possibile; alla fine, apertamente lei gli mise una mano sulla patta e lui la ricambiò andando a scavare, da sopra il vestito, tra le sue cosce verso l’inguine.
Avevo decisamente gli occhi fuori dalle orbite, non riuscivo a staccarmi dallo spettacolo e sentivo il mio cazzo gonfiarsi nelle mutande fino a premere dolorosamente contro i vestiti; lui se ne accorse e oscenamente prese la mano di lei e se la strofinò lungo la patta quasi per farsi masturbare da sopra i pantaloni. L’arrivo del cameriere con il pranzo li costrinse ad interrompere le manovre e riportò tutti, in un attimo, alla realtà: presi il mio secondo, lo divorai in fretta, pagai e uscii quasi di corsa, inseguito dall’immagine del giovane che sembrava Nicola e del suo cazzo manipolato dalla donna. Mentre guidavo senza meta, non riuscivo a staccarmi da un’altra immagine che si sovrapponeva, quella di Nicola e della sua prima notte da marito: nei miei vaneggiamenti di geloso, mi sembrava quasi di vedere il corpo che tanto bene conoscevo muoversi nel letto con lei e percorrere il repertorio delle cose che faceva così bene, dalle lunghe dolci carezze alle prepotenti penetrazioni, dai baci appassionati alla durezza con cui si faceva succhiare l’uccello.
Perso dietro le mie ansie assurde, rischiai più volte di perdere il controllo dell’auto e decisi di fermarmi per raccogliere le idee: era evidente che ero vittima di un attacco irrefrenabile di sconforto e di frustrazione, per gelosia o per abbandono o per chissà cosa: decisi che sarebbe stato meglio affogare la paranoia in un vortice di piacere, qualunque fosse; e mi diressi al bar dove speravo di trovare il biondino che, dei tre imbarcati un’altra volta, mi era parso il meno aggressivo e volgare; nelle mie condizioni, un rapporto che mescolasse eleganza e forza, sesso ed un pizzico di dolcezza era forse la medicina più opportuna. Per la verità, non avevo più rivisto il trio quando, nella fine estate e in autunno, ero andato talvolta a cercare compagnia nel bar. Ma, assurdamente, speravo proprio che in quel momento la fortuna mi aiutasse e me lo facesse trovare. Ebbi veramente il classico colpo di culo, perché lo vidi al bancone non appena entrai nel bar. Lui però non mi aveva riconosciuto, per cui fui costretto a farmi avanti io, offrendogli da bere; solo dopo aver quasi consumato la sua birra, mentre si chiacchierava di stupide amenità, feci cenno ai suoi compagni di avventura di quella sera e sembrò folgorato da un ricordo: mi riconobbe e, come speravo, mi chiese se e quando ero disposto a mantenere la promessa fatta allora, vale a dire di incontrarci una volta da soli; gli dissi che il momento era proprio quello e salimmo in auto diretti al mio studio.
Anche se era passato un po’ di tempo, riconobbe il posto e si mosse subito a proprio agio, mentre io preparavo un poco il campo per adattare lo spazio alla funzione alternativa di alcova. Seduto sul divano grande, lasciò a me tutta l’iniziativa ed io mi accostai inseguendo nella mente il fantasma di Nicola a cui quell’incontro pareva in qualche modo dedicato: pensare a lui mentre mi avvicinavo al biondino mi diede un’eccitazione strana e nuova, quasi come se andassi a farmi possedere contemporaneamente da due uomini ambedue forse amati in forme diverse. Mi avvicinai con estrema delicatezza, come se fossi al mio primo incontro con un uomo; cominciai a spogliarlo con molta lentezza e con molta passione: in un qualche recesso della mia mente, quello davanti a me diventava Nicola, il “mio” Nicola, ed io ero la sua affettuosa mogliettina che si accostava a lui con fare verginale – dimenticando per un attimo tutte le cose fatte, insieme e non – per celebrare un rito antichissimo e, per qualche verso, pur sempre misterioso. Gli tolsi la giacca e cominciai ad accarezzargli il petto da sopra i vestiti: individuati i capezzoli, li tormentai per un poco dolcemente con le dita, poi mi chinai a prenderli con la bocca mentre le mie mani cercavano i bottoni per slacciargli la camicia: mi assecondò aiutandomi a slacciare l’indumento e a sfilarselo dalla testa.
Passai allora le mani sotto la maglietta e cominciai a carezzare la pelle del petto; addirittura, chiusi gli occhi e, sospirando dentro di me “Nicola, Nicola!”, mi abbassai di nuovo a baciargli lo stomaco, il petto e i muscoli del torace fino ad andare a prendere fra le labbra i bottoncini dei capezzoli che aveva grossi e duri. Non era particolarmente peloso, ma il petto era coperto da una leggera peluria bionda, sottile e morbida che mi solleticava delicatamente le labbra e mi eccitava enormemente: sentivo il cazzo che mi si induriva e temevo che non se ne sarebbe assolutamente occupato; ma non mi interessava. In compenso sentivo sotto i pantaloni il suo cazzo - che ricordavo non eccezionale – farsi duro e picchiare contro i mio corpo quando mi accostavo per leccarlo e succhiarlo più a fondo. Percorsi tutto il suo torso e, nel farlo, sollevai progressivamente la maglietta che gli si attorcigliò al collo; se ne liberò di scatto rimanendo a torso nudo ed io ne approfittai per passare a leccarlo e succhiarlo sulle spalle, lungo la gola su verso l’orecchio. Come preso da un improvviso raptus, mi prese la testa e mi portò la bocca sulla sua, premendomi con forza le labbra che aprì con delicata violenza quasi penetrandomi con una lingua grossa e ruvida che mi spingeva nella gola e ritraeva poi come se stessi spompinando un vero cazzo.
La mossa mi colse di sorpresa ma mi riempì di gioia e di voglia: partecipai al suo bacio con entusiasmo abbracciandolo con forza e stringendomi a lui quanto potevo. Si alzò in piedi senza mollare la presa neppure per un momento e mi strinse a sé fino a farmi male: il suo petto aderì strettamente al mio, il suo cazzo duro cominciò a premermi sul ventre facendomene sentire tutto il turgore e la voglia, le sue mani mi artigliarono dolorosamente le natiche, stringendole, palpandole e allargandole quasi a farci entrare un cazzo inesistente. Preso dal turbine della situazione, cominciai a percorrergli con la lingua l’interno della bocca, a succhiare la sua lingua e ad infilare la mia in fondo alla sua gola; la mia mano si insinuò tra i nostri corpi e andò direttamente al cazzo che cominciò a stringere e a palpare, mentre mi montava la voglia di sentire la sua carne viva nella mia mano; cominciai a sbottonargli la patta e cercai di infilare la mano nelle mutande, ma l’operazione risultava decisamente difficile, finché non si decise ad allentare la presa e a scostarsi quel tanto che mi bastava a slacciargli la patta, a sfilargli la cintura e a cominciare a fare scivolare i pantaloni e gli slip verso le caviglie. Si liberò con un calcio degli indumenti e rimase nudo davanti a me: quasi rendendosi conto solo allora che io ero completamente vestito, mi spostò, con decisione ma dolcemente, e cominciò lui a spogliarmi lentamente, accompagnando il movimento delle mani con quello della lingua che cominciò a percorrermi tutto il corpo.
Mi fermai estasiato, quasi completamente immobile, e mi sprofondai nel piacere delicato che mi dava la sua lingua, ruvida ma mossa con grande abilità e dolcezza, che mi percorreva il petto le braccia le ascelle il collo le orecchie fino a sprofondare con forza nella mia bocca rinnovando le dolci emozioni già avvertite prima ma che ora si caricavano di sensualità per il contatto diretto della pelle del suo petto contro quella del mio. Abbandonata di colpo la bocca, si spostò un poco e si accovacciò davanti a me che restavo ritto e immobile e prese a slacciarmi i pantaloni che abbassò alle caviglie insieme agli slip: me le liberai a calci, mentre il biondino prendeva in mano il mio uccello, lo menava delicatamente scoprendo il glande e facendo scorrere più volte la pelle su e giù con un movimento sapiente e delicato; lo prese poi d’improvviso in bocca e prese a roteare intorno alla cappella la sua strana lingua: non mi apparve ruvida come in bocca, ma diligente e delicata, capace di estrarmi dal profondo delle viscere piccole scosse di intenso piacere. Gli presi la testa e lo indussi a sollevarsi: ci abbracciammo e ci baciammo con intensità, poi lo costrinsi sul divano, lo feci distendere e mi inginocchiai a terra per andare ad impossessarmi del suo cazzo non grande ma ben disegnato, ritto e duro come l’acciaio: cominciai a mia volta a masturbarlo con la massima sapienza che possedevo, scappellando più volte il glande che appariva livido per la tensione e facendomi scorrere con estrema sensualità lungo la mano l’asta tesa e vogliosa.
Quando mi chinai sopra di lui per prenderglielo in bocca, mi prese per i fianchi e mi spinse a montargli sopra con la testa fra le sue gambe e l’inguine sopra il suo viso: mentre io cominciavo a leccargli l’asta per tutta la superficie, dalle palle al glande, lui mi prese per le anche e fece affondare il mio cazzo nella sua bocca provocandomi fitte di eccitazioni che mi bruciavano il cervello.
Mentre ci scatenavamo in quel gioco meraviglioso che è il sessantanove, mi sorpresi ad esclamare tra me e me “Ecco, Nicola: vedi come si fa, stronzo?!” ma un attimo dopo quasi mi pentivo di aver evocato lui nel momento in cui prendevo dal biondino un piacere tutto nuovo. In un momento di stasi, mi staccai da lui e, quando cercò di riprendere la posizione, lo pregai di lasciare fare a me da solo, per un po’: il sessantanove è stupendo, ma ha il limite di impedirti la concentrazione del piacere, perché non sai mai se focalizzare sulle sensazioni che ricevi in bocca o su quelle che si scatenano sul cazzo. Mi lasciò fare ed io presi a leccarlo e a succhialo con tutta l’anima, facendomi chiavare in bocca molto profondamente, visto che la stazza del suo cazzo non mi impediva di prenderlo tutto in gola senza problemi; più volte, accorgendomi da certe reazioni dei coglioni che l’orgasmo si faceva troppo vicino, mi interruppi per non affrettare la conclusione di un incontro che mi eccitava fino all’entusiasmo.
In una mia pausa, il biondino si alzò e mi impose il rovesciamento delle posizioni, per essere lui a succhiarmi il cazzo: volle però che mi mettessi comunque con le gambe sul suo volto, anche se mi impose di non toccare il suo cazzo; e cominciò prima a leccarmi tutto , dall’interno delle cosce alle palle su su fino all’ano che percorse a lungo con la lingua e penetrò più volte delicatamente. Quasi seduto sul suo viso, col cazzo che mi scoppiava per la voglia, mi concentrai tutto sul piacere che mi dava quella lingua che stimolava tutti i recessi nervosi del culo e delle palle, provocandomi un’eccitazione diffusa e sottile, forse inadatta a farmi sborrare; ma quando cominciò a prendere in bocca la cappella, a farsela entrare fino in fondo alla gola e a passare sapientemente la lingua lungo la base del glande, più volte dovetti pregarlo di fermarsi per non farmi venire troppo presto; ogni volta mi dava ascolto e si fermava riprendendo con maggiore dolcezza e lontano dalla cappella. Ad un certo punto mi chiese se volevo che ci sborrassimo in bocca contemporaneamente: gli dissi che no, che volevo che me lo mettesse anche nel culo e che mi sborrasse dentro; mi disse che lui, però, non intendeva prenderlo nel culo ed io lo rassicurai che non pensavo di farlo.
Mi fece staccare e mi fece inginocchiare sul divano col viso alla spalliera e il culo nel vuoto; gli chiesi di usare il gel e glielo presi dal tavolino; dopo poco avvertii sull’ano la sensazione del freddo a cui ero ormai abituato e sentii il suo dito che mi penetrava nel culo e lo esplorava per un po’ con grande esperienza, provocandomi sensazioni di grande piacere: quando avvertì che l’ano era abbastanza dilatato, cominciò ad infilare il cazzo con molta dolcezza e quasi con precauzione; contemporaneamente, la sua mano si mosse lungo il mio fianco destro ed andò ad agguantarmi il cazzo che si sporgeva al massimo dell’erezione davanti al mio ventre e cominciò ad accompagnare il colpi della penetrazione con delicati movimenti della mano che trasferivano il piacere di prenderlo nel culo direttamente sul cazzo stimolato, raddoppiando l’intensità del godimento. A mia volta, passai la mia mano sinistra sotto il corpo, fra le gambe, ed andai ad incontrare la sua asta che mi penetrava, scivolai verso le palle e presi ad accarezzarle, tornai sull’asta e la manipolai leggermente con le dita cogliendone tutte le pulsazioni. Quando cominciò a pompare nel mio culo con movimento regolare, la posizione si fece impossibile da sostenere, per la complessa articolazione dei corpi e la difficoltà di coordinare i movimenti: ritirata la mia mano, spostai delicatamente la sua e cominciai a masturbarmi da solo incitandolo a preoccuparsi solo di godere e di lasciarmi godere.
Si staccò minimamente da me per assestare meglio i suoi colpi e diede il via alla fase finale dell’inculata accompagnando i movimenti con gemiti, frasi smozzicate ed urletti ogni volta che affondava più profondamente o quando i miei muscoli anali lo accarezzavano con maggiore efficacia; quando i colpi cominciarono a diventare più violenti e frenetici, mi avvertì che era sul punto di esplodere: accelerai anch’io il movimento di masturbazione sul mio cazzo e, per un evento assai raro, esplosi la mia sborrata sulla tovaglia che avevo steso sul divano proprio nello stesso momento in cui il biondino mi avvertiva che stava scaricandomi nel ventre la “più bella sborrata della sua vita”. Dopo che i coglioni di ambedue si furono completamente svuotati, restammo per un po’ abbrancati e sudati, quasi confusi in un solo corpo; poi il biondino si sfilò delicatamente dal mio ano e ci sedemmo di fianco sul divano: lui allungò la mano sul mio cazzo ancora mezzo duro e lo tenne con tenerezza, senza muovere la mano; io feci altrettanto e, quasi per significare la mia soddisfazione, lo baciai dolcemente sulla bocca. Quando avvertii che il suo cazzo si era completamente sgonfiato nella mia mano e che il mio si era appassito nella sua, mi alzai per andare a lavarmi; lui fece altrettanto e in un silenzio carico di dolcezza ci rivestimmo.
Mi chiese di riaccompagnarlo al bar e, quando ci salutammo, mi disse che quando avessi voluto sapevo dove trovarlo e che sarebbe stato sempre disponibile per me, visto come si era stati bene: lo ringraziai e gli dissi che anch’io ero stato bene e che certamente, ora, mi sarei fatto vivo presto e frequentemente.
Solo quando ripresi la strada di casa tornai a ricordarmi di Nicola; ma quasi solo con curiosità: per quello che mi riguardava, gli auguravo di essere felice nel nuovo ruolo di marito ma, soprattutto, auguravo a me di non dover elemosinare più l’affetto di un amante e di poter incontrare più spesso occasioni buone come quella del pomeriggio appena trascorso.
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Aggiunto: 5 anni fa
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Gay e Bisex