Nicola - Atto II
Dopo il nostro primo incontro, quello in cui, in qualche modo, ci eravamo riconosciuti e avevamo avuto il nostro primo rapporto, tra me e Nicola cominciò una lunga storia di passione che a stento riuscivamo a contenere al di qua dello scandalo. Non è vero che una grande città consente facilmente la mimetizzazione: nelle sue strutture rionali finisce per essere peggiore della provincia e costringe ad accettare regole dure e spesso anguste. Coi nostri amici – e quindi, praticamente, per tutto il tempo libero – dovevamo contenere qualunque forma di affettuosità, al punto che – esagerando in direzione opposta – arrivavamo spesso a urtarci scatenando assurdi interventi pacificatori delle amiche, che soffrivano a vedere due persone sensibili e delicate, amici di lunghissima data, beccarsi per sciocchezze. Le uniche occasioni che avevamo per incontrarci erano quelle in cui ci potevamo rifugiare nel mio ufficio vuoto, dopo il lavoro o nei giorni di festa, e potevamo dare sfogo al nostro desiderio. Benché da tempo non più adolescenti, continuavamo infatti ambedue a vivere in famiglia; e di finire nel letto di uno dei due nemmeno se ne parlava, specialmente a casa mia dove eravamo una tribù.
Reprimendo la rabbia, non ci restava che inventare mille sotterfugi per uscire qualche volta la sera di casa e non per partecipare ai riti collettivi del gruppo, ma per rifugiarci nello studio. Anche dopo tre mesi dalla prima volta, però, i nostri rapporti si limitavano a succulenti pompini. Nella nostra vicenda, un poco mi colpiva che Nicola assumesse un ruolo dominante molto evidente e spesso quasi violento. Da sempre, in fondo, lui era stato più autorevole di me e mi si era imposto col fascino e con l’autorità: sicché, non mi aveva mai fatto nessun effetto l’abitudine per cui ero io ad essere pronto ai suoi desideri, quali che fossero, a dipendere dal suo giudizio, insomma ad essere individuo omega davanti ad un individuo alfa. Da quando però gli succhiavo il cazzo, questa condizione – nel privato dello studio - alcova – diventava sempre più evidente e spesso oppressiva. Il fatto che lo studio fosse mio mi aveva obbligato ad attrezzarlo in qualche modo per i nostri incontri; ma Nicola aveva imposto piccole cose (profumo del sapone, marca degli asciugamani ecc.) che lo ponevano un poco più in alto nelle capacità decisionali. Sin dal nostro primo incontro, poi, il pompino si era concluso con lui che mi chiavava letteralmente nella bocca, addirittura trattenendomi la testa per spingermi il cazzo più a fondo nella gola, per sentire la cappella picchiare contro l’ugola fino a provocarmi senso di soffocamento e conati di vomito.
Da quella volta, i nostri incontri avevano avuto un ritmo simile: ci si incontrava nello studio dopo cena e appena arrivati Nicola mi imponeva di spogliarlo lentamente e quasi sacralmente, accarezzandogli il corpo a mano a mano che lo scoprivo. Non che la cosa mi dispiacesse, beninteso, dal momento che il mio maggiore piacere si concentrava soprattutto sulla sensualità di accarezzare la pelle del suo viso, del petto coperto da una leggera peluria e poi via via giù verso l’inguine, lasciando sempre gli slip per ultimi e infilandovi le mani per accarezzare le palle e sentirle tutte dentro le mani; oppure accarezzargli - con le mani, col viso, col petto - la schiena asciutta sulla quale i muscoli guizzavano ad ogni leccata provocandomi forti afflussi di sangue alle tempie. Ma un pizzico di rammarico affiorava quando mi vedevo imporre autoritariamente quello che per me era un piacere infinito e desiderato: avrei preferito farlo autonomamente e glielo dissi; si mise semplicemente a ridere e mi rassicurò che erano solo impressioni mie. Inoltre, in tutti i nostri incontri, Nicola non prese mai in considerazione l’ipotesi di toccare il mio cazzo, che pure si gonfiava e si ergeva abbastanza possente quando succhiavo il suo; alla fine, dovevo manipolarmi da solo per sfogare con una sborrata la mia libidine. Quando cercai di dirglielo, sorrise ancora ed osservò solo che “ad ognuno il suo”.
Temendo di provocare reazioni che mi privassero del piacere di farmi scopare da lui, rinunciai ad approfondire e cominciai anzi ad accettare e a stimolare manifestazioni sempre più evidenti del dominio che su di me esercitava, soprattutto col cazzo ritto fuori dai pantaloni. Di rompermi il culo non si parlava: ed io avevo anche provveduto a comprare un gel che dicevano miracoloso per affrontare, alla prima esperienza, una mazza così notevole; ed ogni volta lo preparavo sul tavolino accanto al divano dove scopavamo; ma ogni volta che glielo chiedevo mi rispondeva sornione che “c’è un tempo per ogni cosa”. I nostri rapporti continuarono allora sul percorso da lui tracciato che prevedeva - ora lo so con certezza – il progressivo possesso totale del mio corpo, in un’escalation che doveva vedere nella violazione dello sfintere quasi un rito tribale di perdita della verginità. Al nostro secondo incontro, mi chiese di spogliarlo lentamente e con libidinosa cura e si fece leccare accuratamente dappertutto, dalle cavità delle orecchie al buco del culo, quanto più profondamente mi riuscì, dalle ascelle allo scroto, nel punto di raccordo tra i coglioni e l’ano, dalle spalle al petto, dalle braccia ai piedi, indicandomi di passare la lingua negli interstizi tra le dita.
Mi fece poi penetrare il suo enorme cazzo nella bocca socchiusa per accentuare la sensazione di penetrazione e, quando fu dentro, mi sollecitò a muovere la lingua intorno alla cappella, specialmente alla base del glande. Dopo che lo ebbi succhiato a lungo, mi prese la testa fra le mani e cominciò a chiavare senza frenarsi e senza preoccuparsi della capacità della mia bocca di ingoiare il suo randello; ritto davanti a me, quasi sollevato sulle punte dei piedi, picchiò con violenza avanti e indietro finché, con un lungo gemito e stringendomi la testa contro l’inguine, mi scaricò nella gola un fiotto di sperma che a stento riuscii a mandare giù. Non ancora soddisfatto, continuò a tenermi la testa bloccata sul suo cazzo mentre questo si rilassava e riprendeva dimensioni accettabili; sfilandolo lentamente dalla mia bocca, mi impose però di leccarlo e di pulirlo bene, prima di lasciarlo, e di non sprecare neppure una goccia: non c’era bisogno che me lo imponesse, perché piaceva più a me che a lui; e glielo dissi. Negli incontri successivi i cambiamenti furono lenti e progressivi, come quando mi fece salire a sessantanove su di lui e, mentre io mi dedicavo ad un intenso pompaggio del suo cazzo al massimo dell’erezione, cominciò a leccarmi il buco del culo ed a passarci delicatamente il dito intorno.
In fondo questo mi sconvolgeva di Nicola, la capacità di essere aggressivo e dolce, sensuale e violento, lasciandomi ogni volta disorientato e con la testa in fiamme dal piacere. Sentivo il suo dito titillarmi le pieghette dell’ano e desideravo con tutte le mie forze che almeno il dito me lo infilasse fino in fondo per farmi assaporare il piacere di essere penetrato da lui, sia pure solo con le mani, di sentire la sua carne nella mia e di perdermi nel piacere di appartenergli. Ma perversamente impiegò un tempo interminabile a fare solo una leggera pressione dentro il buco, facendomi pregustare in parte il piacere e ritirandosi subito dopo per ricomporsi. Un volta in piedi, in un gioco satanico di attese, mi fece girare e inginocchiare sul divano con le spalle rivolte a lui e la testa appoggiata allo schienale, del tutto impotente a reagire. Sentii che armeggiava e dopo un poco avvertii sull’ano il fresco di un liquido: intuii che fosse il gel e il sangue mi balzò in tutte le terminazioni estreme lasciandomi totalmente stordito; avvertivo già la sensazione del suo cazzo che mi sprofondava nell’intestino e tutte le pieghe dell’ano si dilatavano per affrontare l’impatto, che temevo – o, chissà, desideravo – molto doloroso.
Sentii qualcosa che mi forzava l’ano e mi violentava lo sfintere, ma non aveva la consistenza che prevedevo; mi girai quanto la posizione mi consentiva e lo intravidi ritto dietro di me col cazzo eretto; capii allora che mi stava penetrando col dito e non sapevo giudicare se per tormentarmi ancora o per abituarmi alla penetrazione. Sprofondò dentro le mie viscere per tutta la lunghezza del medio – come deducevo facilmente dal contatto delle altre dita sulle natiche – ma subito dopo lo sfilò quasi del tutto e gli affiancò l’indice – credo – e tornò ad infilarli tutti e due nel culo che mi si squassava di vibrazioni mai sperimentate provocandomi intensi capogiri; una volta dentro, cominciò a muovere le dita e a ruotarle fino a farmele sentire fin nello stomaco, con fitte di piacere che mi toglievano il respiro. Mi girai verso di lui e quasi lo implorai di togliere il dito e di mettere il cazzo nel mio culo ormai infuocato; la risposta fu la solita: “ogni cosa a suo tempo”; e contemporaneamente mi obbligava a sedermi sul divano per infilarmi in bocca il suo cazzo decisamente al limite della resistenza: difatti, con solo due colpi mi liberò in gola una delle sue sborrate più lunghe.
Il desiderio di ricevere il suo cazzo nel culo diventò da quel momento quasi ossessivo ed ogni volta glielo chiedevo quasi in lacrime; ma ogni volta Nicola mi ammoniva che ogni cosa ha il suo tempo e continuava imperterrito a motivare i nostri incontri con invenzioni nuove e piccole perversioni che potevano andare dal satanico masturbarsi lentamente di fronte a me che non avevo il diritto neppure di avvicinarmi mentre lo faceva al paradosso estremo di manovrare con le dita nel mio culo, esplorandolo e percorrendolo lungamente fin dove poteva arrivare. In compenso, però, ogni pompino alla fine era più fantasmagorico di quello precedente e culminava con succosissime sborrate che avevo imparato a ricevere volentieri direttamente in gola. Il grande giorno venne il luglio successivo, quando la famiglia di Nicola si trasferì al mare per villeggiare e lui, accampando non so che scusa, rimase qualche giorno in più in città. “Preparati al grande evento” mi avvertì con aria da cospiratore senza darmi spiegazioni; e la prima domenica di luglio mi diede appuntamento non più al pomeriggio, come d’abitudine, ma nella tarda mattinata, precisando che saremmo stati insieme tutto il giorno.
Andai come al solito al bar sotto casa sua ma non lo trovai; gli citofonai e mi rispose di salire. Ignaro dell’avvenuta partenza dei suoi, eseguii titubante e formulando le ipotesi più strane: la porta era aperta e Nicola era in salotto, completamente nudo, che mi aspettava sorridente. Travolgendo i miei esterrefatti interrogativi con un abbraccio appassionato che mi inondò di calore, mi comunicò allegramente che eravamo padroni assoluti del campo e che quello era finalmente il gran giorno; e, per farmi capire meglio, mi agitò sotto il naso il tubetto del gel. Ancora incapace di realizzare, lo segui verso la sua camera da letto in silenzio quasi religioso e lasciai che mi spogliasse velocemente, quasi voracemente, accarezzandomi dappertutto, sul petto e sulle spalle, sulla schiena e soprattutto sulle natiche; quando mi spinse supino sul letto stavo ancora riprendendomi dalla sorpresa e me lo trovai inginocchiato a cavallo del mio petto col suo cazzo - che quasi esplodeva in una stupenda erezione – ad un centimetro dalla mia bocca. Cominciai a leccarlo con la solita passione, facilitato dalla nuova situazione di un letto ampio sul quale ci si poteva muove disinvoltamente: per circa venti minuti alternai lunghe succhiate con continue penetrazioni nella bocca socchiusa – come ci piaceva tanto – a meticolose leccate dell’asta e delle palle, a carezze estenuanti su tutto il corpo, a slinguazzamenti ossessivi.
Lui non fu da meno e mi chiavò nella bocca senza sborrare ma ritraendosi all’ultimo momento almeno una dozzina di volte; mi accarezzò dolcemente su tutto il corpo, mi cavalcò le natiche spingendo il cazzo nel solco sempre più aperto e rilassato e mi infilò uno, due, addirittura tre dita nel profondo del culo fino farmi gemere di dolore (non urlavo ma solo per timore di essere udito). Alla fine di un preliminare che mi apparve infinito, assunse un’aria ancora più decisa di sempre, mi fece inginocchiare al centro del letto e si collocò alle mie spalle: sentii che con le dita mi spalmava il gel sull’ano, nello sfintere e dentro fin dove poteva; effettivamente il gel non solo favoriva la penetrazione ma sembrava darmi sensazioni di piacere ancora più acuto, sicché cominciai a pensare che non mi avrebbe fatto poi tanto male essere sverginato. Quando accostò la cappella al mio ano me lo disse quasi con enfasi, per sottolineare il momento che assumeva toni da rito religioso ed io cominciai a tendere tutti i sensi verso il buco che mi sembrava dilatarsi fino allo spasimo. La penetrazione cominciò così con la lentezza di un rituale; ed io avvertii la passione del buco che si dilatava a ricevere il suo immenso bastone di carne, la tensione dello sfintere che oppose una piccola resistenza mentre veniva forzato a cedere per dare spazio al randello che mi entrava nel corpo, il languore profondo che dalle viscere mi arrivava al cervello a mano a mano che il cazzo penetrava sempre più profondamente nel mio retto cedevole e dilatato, oltre la strettoia dello sfintere.
Soprattutto, però, venivo travolto dalla dolcezza della sensazione che mi davano le sue mani artigliate sui miei fianchi, per bloccare il mio corpo mentre procedeva lentamente, quasi gustandone ogni momento ed ogni millimetro, alla penetrazione nel mio corpo: Non ero in grado di dire niente, tutto teso com’ero a vivere questa sensazione per anni inseguita; e lui neppure era in grado di proferire parola ma si limitava ad ansimare con piccoli rantoli ogni volta che si ritraeva un poco ma solo per favorire un’altra spinta che gli avrebbe fatto conquistare un altro poco di spazio nelle mie viscere. Quando la cappella – enorme rispetto all’asta – ebbe superato lo sfintere, sentii che entrava nel mio retto come nel burro fuso e ad ogni colpo la penetrazione sempre più profonda cominciava a darmi qualche fastidio non tanto alle pareti dell’intestino violato ma al pacco addominale che ne veniva sconvolto: quasi farfugliando, lo pregai di fare più piano; e per un po’ ci riuscì, guidando il suo cazzo in una penetrazione continua ma controllata; evidentemente, però, la voglia aveva il sopravvento e cominciò a dare colpi all’impazzata che mi spingevano il cazzo profondamente nel ventre e mi squassavano tutto l’addome, tanto che ad un certo punto, ebbi quasi la sensazione di avere il suo cazzo addirittura nello stomaco.
Facendosi evidentemente molta forza, si fermò di colpo, il corpo madido di sudore e l’asta piantata decisamente nel mio culo; mi dispiacqui di non avere davanti uno specchio dove ammirare la scena; glielo dissi e lui quasi si scusò di non averci pensato, ma promise che avrebbe provveduto la prossima volta; in compenso, mi disse, potevo allungarmi una mano tra le gambe e sentire il suo cazzo profondamente innestato nel mio culo; lo feci e nuove vampate di piacere mi presero quando, scivolando tra le mie cosce a fianco al mio cazzo anch’esso duro allo spasimo, incontrai con le dita le sue palle enormi, che tanto volentieri accarezzavo e leccavo, e solo la radice di quell’enorme cazzo che ben conoscevo, perché l’asta – tutta, ma proprio tutta – era tenacemente tenuta stretta dal mio culo. Ancor più sovreccitato dalla constatazione, cominciai a muovere i fianchi per fare sì che il cazzo uscisse dal culo quasi del tutto e poi vi rientrasse delicatamente; Nicola mi aiutò perfezionando il movimento che evidentemente lo faceva godere molto. Poi, però, giunse evidentemente il momento di lasciarsi andare anche per lui, perché cominciò a spingere senza controllo squassandomi i fianchi con colpi violenti; per un momento il dolore mi bloccò il respiro, poi cominciai a godere anch’io della profonda penetrazione che sembrava sempre meno dolorosa: contemporaneamente, gli accarezzavo con la mano le palle e la radice del cazzo accompagnandone il movimento di entrata e di uscita dal culo.
Lo sentii che si inarcava sempre più rigido dietro di me e che la presa sui miei fianchi diventava più aggressiva e dolorosa; avvertii sulle mani il palpito delle palle tese nell’orgasmo e quasi percepii lo correre dello sperma che percorreva l’asta per andare a sboccare con un fiotto quasi bruciante nelle mie viscere. La mia testa in fiamme a quel punto sembrò scoppiare e vidi bagliori di fuochi d’artificio esplodermi negli occhi, mentre avvertivo che anche il mio cazzo si liberava in una lunga, imprevista sborrata. Non so quanto fu il tempo che rimanemmo così, io inginocchiato sul letto e Nicola dietro di me che mi teneva stretto per i fianchi contro il suo ventre e continuava a tenermi il cazzo ben piantato nel culo, finché lui, quasi estenuato, si appoggiò su un fianco e mi costrinse a fare altrettanto per non staccarsi, anzi tenendomi avvinto in quella posizione strana per cui io continuavo a stare davanti a lui – anche da sdraiati - piegato ad angolo retto e con il cazzo ancora duro ben piantato tra le natiche.
Ci volle un bel po’, prima che il cazzo si rilassasse e riprendesse una condizione di riposo che consentì a Nicola di sfilarmelo dal culo che a questo punto – esaurito l’effetto della libidine – cominciava a dolermi sul serio. Ne approfittai per andare in bagno a lavarmi – era la prima volta che potevo farlo con tutti i crismi, da quando scopavamo – e al ritorno scoprii che il mio amante era già in cucina ad armeggiare, perché – mi disse – la giornata sarebbe stata lunga e bisognava anche pensare a mangiare, oltre che a chiavarci.
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