Atto I
Non si poteva dire che la presenza di Nicola nel gruppo fosse un elemento di armonia e di equilibrio.
Tutte le donne, più o meno dichiaratamente, sbavavano dietro di lui che aveva però il buon senso di corteggiarle e di lusingarle tutte senza mai arrivare al di là di una garbata affettuosità e questo faceva sì che non sorgessero gelosie di sorta.
Sull’altro fronte, però tutti i maschi lo guardavano più o meno apertamente in cagnesco in parte perché gelosi del suo successo con le donne, anche se non sembrava approfittarne, e in parte perché avvertivano in lui qualcosa di indefinito che lo rendeva differente: troppo raffinato nei modi, troppo elegante sempre, mai una parola di troppo, mai un tono più alto.
Io gli ero molto affezionato, sin dai tempi dell’università; e da un po’ di tempo avvertivo sempre più intenso un certo inconfessabile desiderio di stabilire con lui un rapporto più forte.
Ma il tipo di educazione a cui ci avevano abituati mi impediva assolutamente di fare anche solo un larvato accenno a certe esigenze sessuali che sentivo emergere in me e che non cercavo assolutamente di frenare, ma solo di fare in modo che non risultassero chiare nella cerchia delle conoscenze per evitare possibili scandali.
Qualche esperienza l’avevo fatta, con uomini incontrati qua e là fuori dalla nostra zona di vita: ma la mia illusione era quella di costruire una storia grande e bella con lui, Nicola, che tornava in tutti i miei sogni e turbamenti, che stimolava le mie frequentissime eccitazioni e che si sovrapponeva nella fantasia anche a coloro che, qualche volta, avevo incontrato per praticare dei lunghi pompini in macchina, per masturbarli sulle poltrone dei cinema di periferia, senza mai arrivare a farmi rompere il culo, quasi che avessi proposto a me stesso di riservare a lui la mia verginità.
Ma Nicola appariva troppo lontano, assolutamente irraggiungibile, quando svolazzava col suo dialogo elegante tra i tavolini del bar dove d’abitudine ci trovavamo o quando si poneva al centro dell’attenzione nelle discoteche con le sue movenze sensuali a ammiccanti.
Mi limitavo ad ammirarlo da lontano, quasi in adorazione, ed a fantasticare su quello che avrei potuto fare se avessi avuto a disposizione il suo corpo snello e scattante, tutto muscoli e potenza, se avessi potuto accarezzare la sua pelle bruna che mi dava eccitazione al solo sguardo, se avessi potuto mettere la mano sulla sua patta continuamente rigonfia, segno di un cazzo di dimensioni notevoli o in perenne erezione.
Molte volte avevo fantasticato di trovare il coraggio di dirgli – o almeno di lasciargli intendere – che cosa desideravo; ma pudore e convenzioni mi frenavano continuamente.
C’era però qualcosa in certi sguardi, che spesso mi lanciava quasi a tradimento, che mi mettevano in agitazione e mi inducevano a credere che … forse chissà…
Quando Mirella ci avvertì che ci sarebbe stata “festa grande” per il suo venticinquesimo compleanno, tutti intuimmo dove si poteva andare a parare, visto che le feste organizzate da lei erano sempre le più straordinarie che potessimo mettere insieme e che, quasi sempre, finivano in trasgressioni senza limiti, di qualsiasi natura.
Ci andai di malavoglia, in un certo senso, perché ero ben poco interessato alla piccola orgia che, in una camera, le tre coppie più o meno fisse mettevano insieme; oppure alla sbronza colossale che coinvolgeva i più soli e insoddisfatti; o, peggio ancora, alle corse pazze in auto nella notte per sfidare dio sa che.
Ma non potevo tradire un gruppo di coetanei che da anni divideva tutto; e ci andai.
Tutto procedette quasi come in un rituale e, verso fine serata, decisi di inventarmi un malessere qualsiasi per scappare via senza farmi coinvolgere dalle folli proposte che cominciavano a dibattersi.
Andai ai piani superiori della casa dove c’erano i bagni ed entrai deciso, senza neanche accorgermi che da sotto la porta filtrava luce, segno che c’era qualcuno dentro; aprii la porta, che non era chiusa, ed entrai quasi distratto.
Rimasi sulla soglia semichiusa folgorato dalla visione di Nicola che, ritto davanti al water, pisciava con evidente soddisfazione.
Il cazzo era esattamente come me l’ero immaginato, decisamente notevole, anche in stato di riposo; ma in quel momento mi apparve enorme, meraviglioso, irraggiungibile.
Rimasi senza fiato e senza parole, con gli occhi fissi su quello spettacolo meraviglioso, mentre Nicola sorridendo si scusava per non aver chiuso.
Poi, continuando a chiudere la patta, si avviò ad uscire: ma io non mi mossi di un millimetro – e non solo perché ero stralunato, anche e soprattutto perché, a questo punto, volevo almeno sfiorarlo – e mi sembrò di capire che lui non facesse niente per evitarmi ma che anzi mi strusciasse con intenzione il rigonfiamento del suo cazzo meraviglioso contro l’anca, mentre apriva del tutto la porta per uscire.
Mi dovetti appoggiare ad un mobile, per assorbire la botta: il sangue mi pulsava nelle tempie fino a farmele dolere, il fiato s’era fermato in gola e sembravo sul punto di soffocare, le ginocchia si piegarono e le gambe cominciarono ad andare per conto loro in un tremito irrefrenabile fino ad allora sconosciuto.
Non so quanto mi ci volle per riprendermi; e ci mancò poco che mi pisciassi addosso nella frenesia dei movimenti inconsulti, mentre facevo quello per cui ero andato lì.
Scendendo le scale per ritornare nel salone della festa sentii ruzzolarmi nella testa un milione di domande dalla risposta impossibile, tra le quali dominava quale sarebbe stato l’atteggiamento di Nicola.
Ma lui era semplicemente lì, elegante e raffinato come sempre, intento a corteggiare per la milionesima volta l’amica del cuore di Mirella senza alimentarne però in nessun modo le speranze.
Non so per quale motivo lo feci; ma mi avvicinai a lui per comunicargli la mia decisione di abbandonare la comitiva per non farmi travolgere dai finali “al limite”.
“Fai proprio bene: vengo via con te.”
La risposta mi colpì come una scudisciata e sentii di nuovo il sangue che affluiva di colpo alla testa con vampate da malaria.
E dovevo davvero essere diventato rosso fino alla radice dei capelli, se Mirella non si meravigliò della mia comunicazione ed anzi mi sollecitò a riguardarmi perché non avevo una bella cera.
Fra le tante caratteristiche di Nicola c’era quella di rifiutarsi di guidare e di non aver mai voluto prendere la patente, sicché dovevamo essere noi amici a fargli da autista – anzi, da “automobilisti” come amava correggere -.
Montammo quindi sulla mia macchina e ci avviammo verso il centro.
Non avevamo fatto che pochi metri quando sentii la mano di Nicola appoggiarsi sulla mia coscia: mi girai un attimo a guardarlo e lessi nel suo volto un sorriso complice che aprì all’improvviso tutte le porte che avevo ritenuto chiuse per i miei sogni.
Eravamo in pieno centro, sicché non era pensabile fare manovre di qualsiasi tipo.
“Facciamo un giro” suggerì lui ed io presi la strada verso la tangenziale che raggiungemmo in breve.
Alla prima piazzola, mi fece fermare e spense lui stesso il motore.
Non era in grado di fare o di dire niente; galleggiavo in un cielo di ovatta; mi sembrava di sognare; non era possibile che tutto quello che avevo desiderato, inseguito, bramato fino al dolore fisico per tanti anni adesso fosse proprio lì, a portata di mano.
Perché l’oggetto di un desiderio acuto fino alla sofferenza, il mio idolo, la fonte di tutte le mie eccitazioni sessuali negli ultimi cinque anni, lui, Nicola insomma, non solo era lì ma mi prendeva la mano e la portava sulla patta dei suoi pantaloni.
Da quel momento, il sogno prese una dimensione ed una direzione che neanche nelle più spericolate e libere fantasie avevo o avrei mai potuto prefigurarmi.
Abbassai la zip e affondai la mano negli slip confusamente palpando il cazzo che tanto desideravo e, brancicando alla cieca, ne percorsi tutto quello che intuitivamente riuscivo a toccare.
Doveva essere fastidioso, per lui, sicché mi spostò un poco la mano e tirò fuori l’asta in tutto il suo splendore: l’afrore intenso della sua virilità mi inondò le narici e mi provocò una vertigine di eccitazione.
Presi il randello di carne nella destra e con la sinistra entrai negli slip a cercare le palle, grosse come nespole e compatte, che cominciai a strusciare accarezzandole; intanto feci scivolare la destra lungo la pelle dell’asta, che aveva una consistenza serica e mi provocava scariche elettriche al cervello già al limite del tilt.
Mentre brividi caldi mi percorrevano la spina dorsale, abbassai lo scroto e feci emergere il glande che mi sembrò meraviglioso nel suo colorito molto più rosa dell’asta.
Mentre ancora cercavo di rendere coscienti le sensazioni di quella pelle che finalmente potevo toccare, Nicola mi appoggiò una mano dietro la nuca e abbassò la mia testa fino a che la mia bocca toccò la punta del suo cazzo.
Riprendendomi un poco dalla mia trance, temetti che tutto potesse avvenire troppo in fretta e, in qualche modo, cercai di calmare la sua eccitazione che a quel punto appariva superiore alla mia: invece di prenderlo direttamente in bocca, cominciai a leccare l’asta dalla punta del glande alla radice fin laggiù ai coglioni, anche se gli abiti apparivano una grossa difficoltà.
Discesi e risalii più volte, inumidendo, leccando, assaporando, soffermandomi più a lungo sull’attacco delle palle e sulla corona alla base del glande provocando stimoli quasi feroci che lo facevano mugolare e lo inducevano a premermi la nuca per farmi ingoiare il cazzo; per un po’ resistetti, poi mi decisi a farlo entrare socchiudendo appena le labbra e atteggiandole in maniera che sembrasse quasi la violazione di un buco vergine.
Stava proprio aspettando quel momento: distendendosi al massimo sul sedile e spingendomi la testa in basso, fece in modo che il cazzo forzasse dolcemente le labbra e affondasse lentamente nella bocca, fino alla gola, impossessandosene.
Cominciai a roteare la lingua intorno alla cappella, mentre davo inizio ad un movimento della testa che portava il cazzo quasi fino ad uscire dalle labbra e poi lo affondavo di nuovo fino a darmi una sensazione di dolce soffocamento.
Ancora non era chiara in me la coscienza che fossimo proprio noi a vivere quel momento di entusiasmo e di eccitazione; ma soprattutto non volevo finire in fretta.
Con dolce decisione, mi staccai dal suo cazzo e gli proposi di trasferirci nel mio ufficio, per stare in libertà. Si richiuse i pantaloni e mi disse di andare.
Non è un piede a terre il mio ufficio, ma molte volte era servito egregiamente a coppie di amici per scopare in libertà, pur con le scomodità di un divano invece di un letto o di un bugigattolo con servizi essenziali invece di un bagno.
Appena arrivati, cominciammo a spogliarci reciprocamente; ed io finalmente potetti soddisfare il mio desiderio di sempre, vale a dire di percorrere la pelle del suo corpo millimetro per millimetro, sentendo sotto le mani l’epidermide calda, intuendo i muscoli e le vene che vi palpitavano sotto, passando la lingua dappertutto, sul petto scarsamente peloso fin sotto le ascelle, sulle gambe tornite fino all’incavo dietro le ginocchia: se non me lo avesse impedito, gli avrei succhiato le dita dei piedi e delle mani una ad una.
Ma lui aveva forse anche più voglia di me; e ancora una volta accelerò i tempi guidando la mia testa verso gli slip che ancora indossava.
Li presi con i denti e li spinsi verso il basso, tentando di spogliarlo così; ma l’operazione era toppo lunga e laboriosa per uno eccitato come lui, che spinse subito l’indumento fino ai piedi e se ne liberò con un calcio; ancora una volta mi trovai di fronte al suo cazzo, effettivamente enorme, che mi appariva in tutto il suo splendore, libero da impedimenti e veli.
Ripresi il pompino avviato in auto e cominciai a leccare l’asta dalla base alla cima, stavolta passando la lingua intorno ai coglioni, anzi accennando – per quel ch’era possibile – a prenderli in bocca; ma Nicola preferiva che gli leccassi la cappella e me lo fece capire guidandomi la testa; poi, come già in auto, mi indusse a prenderlo in bocca ed io ancora una volta lo assecondai facendomi forzare le labbra dal cazzo che ora era duro come l’acciaio.
Si distese lungo sul divano, mentre io in ginocchio sul pavimento e piegato sul suo inguine cominciai il pompino più bello della mia vita.
Superata la grande emozione, ricercavo il piacere massimo possibile per me e tirai fuori tutte le mie capacità per intuire quello che più piaceva a lui per proporglielo spesso, come il gesto di tirarlo fuori quasi del tutto e poi farlo affondare di nuovo nella bocca stretta perché il passaggio fra le mie labbra grosse lo eccitava enormemente; oppure per gustare quello che a me piaceva di più, come titillargli i capezzoli mentre mi affondava il cazzo fino all’ugola.
Andammo avanti non so per quanto tempo: quando da alcuni umori sulla cappella mi accorgevo che si avvicinava l’orgasmo, mi ritiravo e per un po’ mi limitavo a tenerlo in mano, finché non avvertivo segni di rilassamento e riprendevo il pompino.
Ad un certo punto, in un breve intervallo, si sollevò in piedi e mi fece sedere sul divano: stando in piedi davanti a me, mi prese la testa tra le mani e accostò la mia bocca all’asta che prepotente si inalberava dall’inguine per più di venti centimetri; glielo presi con la destra mentre con la sinistra continuavo il mio gioco preferito di accarezzargli le palle e cominciai a muovere la testa vanti e indietro ogni volta facendo passare la punta del cazzo tra le mie labbra.
Lo sentii che si inarcava sulla punta dei piedi mentre spingeva avanti l’inguine per penetrarmi, poi davvero mi strinse la testa tra le mani e cominciò a chiavarmi nella bocca affondando ferocemente nella gola rischiando di farmi soffocare o vomitare.
Persi del tutto il senso delle cose e del tempo, mi sentii preso in un vortice di libidine mai provato e cominciai a stringerlo per le natiche ed a spingerlo io stesso sempre più a fondo.
Sentii i coglioni che si gonfiavano nella sacca tesa dello scroto e quasi avvertii il flusso di sborra che percorreva l’asta: sicché non mi sorprese il fiotto caldo e denso che all’improvviso mi esplose in bocca e feci appena in tempo a fermarlo con la lingua nella cavità orale, prima che esplodesse in gola pericolosamente.
Appoggiò al suolo i talloni che in tutto quel tempo erano stati sollevati, si piegò leggermente e ansimò a lungo, prima di riprendere a respirare regolarmente; intanto, io continuavo a tenere nella bocca piena di sborra il suo cazzo ancora turgido e gonfio di libidine fino a che non si ammosciò e lui lo tirò via per sedersi accanto a me.
Andammo in bagno l’uno dopo l’altro – lo spazio non consentiva diverse soluzioni – e poi ci sedemmo rilassati a fumare.
Mi chiese da quanto tempo lo prendevo nel culo ed io candidamente gli confessai che mi ero tenuto vergine perché volevo che fosse lui il primo a violare il mio sfintere.
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Aggiunto: 5 anni fa
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Gay e Bisex
«beato nicola»