Fra i tanti privilegi dell’essere figlia unica di una coppia agiata e aperta, c’è senz’altro quello di avere garantita una buona educazione di base ed una invidiabile formazione anche scolastica. Per converso, la condizione di figlia unica produce inevitabilmente capricci e volubilità, in genere favoriti da una certa condiscendenza spesso esagerata dei genitori. Non ho mai fatto niente di così grave e importante da meritarmi rimbrotti o punizioni; ma comunque è stato difficile per i miei convincermi ad avere una cameretta tutta mia invece del lettino nella loro camera, con inevitabili ostacoli soprattutto per la loro privacy e la loro vita sessuale. Comunque, riuscirono ad ottenere che me ne stessi in camera mia ma lasciando accesa almeno una luce ed aperte le porte nelle due camere: al minimo accenno di problemi (un tuono, la pioggia, il vento, una digestione difficile, qualunque cosa, insomma) scattavo via e mi rifugiavo nel lettone. Ma, poiché ero in fase di crescita, questo avveniva molto raramente.
Ero da poco “diventata signorina” (come si usava dire in casa, per indicare il menarca) e già questo aveva scatenato in me ingiustificate emozioni; una notte, poi, un temporale abbastanza violento mise alla prova la mia autonomia e mi alzai pronta a rifugiarmi nel lettone, nonostante fosse evidente l’inopportunità del gesto, alla mia età; per questo, mi fermai di colpo nel breve tratto tra i due usci e mi trovai a vedere ed ascoltare cose che avrebbero dato una svolta alla mia vita.
La prima cosa che mi colpì fu il rumore ritmico del letto (mi ricordava quando saltavo sul materasso, ma io non stavo giocando sul lettone); accostandomi prudentemente allo stipite (quasi dovessi improvvisamente entrare nel vivo di una scena di zombie) vidi alla luce soffusa della lampada, imposta quasi per contratto, i miei stesi sul letto, ma sovrapposti, nel senso che mio padre stava addosso a mia madre e si muoveva su e giù ritmicamente mentre lei lo stringeva con le braccia e con le gambe emettendo gemiti sottili che non sapevo definire se di dolore o di grande godimento; poi lei cominciò a sussurrare “Dai … spingilo in fondo … fammi godere … sfondami … non avere paura …”, poi urlò con forza “Vengo … sborro … godo aaaaahhhhiiiiii”; lui si fermò, puntò i pugni sul letto e, di colpo, si girò sul letto al suo fianco.
Ero sconvolta, assolutamente non sapevo cosa pensare; avevo per la testa un milione di interrogativi senza uno straccio di risposta; e non avrei neanche potuto parlarne con nessuno. Mi ritirai in silenzio nella mia camera e cercai di addormentarmi anche se, con l’agitazione che la scena mi aveva messo addosso, non era affatto facile. Dimenticai l’episodio; o forse lo nascosi assai bene in un recesso inaccessibile della memoria; e per molto tempo non ebbi occasione di riflettere su quanto avevo visto.
Frequentavo a quel tempo la scuola media e, per scelta dei miei, stavo in un istituto tenuto da suore con regole assai rigide, la prima delle quali era naturalmente la assoluta e nettissima separazione di generi, per cui il mio ambiente era solo di ragazze più o meno della mia età. Ma, come naturalmente avviene, proprio in quel clima prendevano corpo le forme più azzardate di “educazione di strada”, per cui quello che a casa si indicava con i termini più vezzosi possibili, nei bagni, tra ragazzi, assumeva il calore sanguigno del dialetto: il “pisello” diventava “cazzo”, la “patatina” diventava “figa” e comparivano termini strani come scopata, sborra, pompino, inculata e simili. La mia formazione si svolgeva così su due livelli, uno di decori barocchi e di formalismi anche linguistici ed un altro, quasi subliminale, di verità sparate direttamente senza veli.
Per percorsi imperscrutabili, arrivarono nei cessi delle ragazze alcuni giornaletti “spinti” (forse provenienti dagli ambienti dei ragazzi) e l’atrio del cesso divenne una sorta di aula universitaria per la conoscenza del sesso: dalle nozioni più elementari (pene, vagina, masturbazione, coito, pompino, inculata ecc.) arricchite anche da commenti e interrogativi spesso soddisfatti dalle più esperte, fino alle informazioni sull’opportunità di fare seghe e pompini ma di non farsi rompere l’imene se non dal principe azzurro; sulla necessità di far scaricare la sborra a terra, in un fazzoletto, in mano, in bocca, al limite in culo ma non in figa per non rischiare maternità non gradite. Il tutto era accompagnato (ma anche favorito) dalle immagini in cui prestanti modelle e modelli offrivano prova della merce disponibile e del modo di usarla.
Per la prima volta dopo mesi (forse anni) mi apparve chiara la scena della famosa notte. Per la prima volta ne parlai discretamente con Maria, la mia compagna di classe; e lei si limitò a dirmi che avevo semplicemente assistito a una parte di una scopata tra i miei genitori e che questo era più che normale nelle famiglie. Quasi a conferma, una ragazza, di fronte ad un modello con un cazzo abbastanza notevole, affermò pubblicamente che suo padre ce l’aveva uguale e che lei lo sapeva perché lo vedeva spesso nudo nella doccia e una volta l’aveva visto anche metterlo in bocca alla cameriera.
A parte i commenti che l’osservazione scatenò, in me scattò invece la considerazione che io non avevo mai visto nudi mio padre o mia madre, anche se in casa non esistevano porte che potessero chiudersi e tutti si muovessero nella massima libertà. Mi sembrava quasi inevitabile che decidessi di approfondire la conoscenza diretta e meditai una nuova sortita, stavolta non casuale, per assistere ad una vera scopata dei miei. Cominciai allora a studiarmeli per capire quando e come decidevano di scopare e di lasciarmi all’oscuro di tutto: frasi smozzicate, doppi sensi allusivi, accenni casuali con riferimenti evidenti divennero la mia materia di indagine per cogliere il momento in cui avrei potuto mettermi comoda a guardarli fare sesso alla grande.
In breve, mi resi conto che il sabato sera io puntualmente crollavo addormentata di sasso; questo mi portò a sospettare che mi propinassero la solita tisana soprattutto per togliermi dalle palle mentre loro si dedicavano all’esercizio più godurioso possibile. Un sabato, mi fu sufficiente “dribblare” la tisana, scaricandola nella pianta del ficus in un attimo in cui erano entrambi distratti, fare finta di appisolarmi sul divano come sempre avveniva e farmi trasportare a letto con bacetti di buonanotte. Aspettai qualche minuto per dargli il tempo di avviare il loro approccio, poi scesi a piedi nudi dal letto e mi affacciai con molta cautela all’ingresso del salone: erano seduti l’uno accanto all’altra sul divano e si stavano letteralmente divorando le bocche in un bacio che non avevo mai visto scambiarsi a nessuno: le lingue parevano giocare a rimpiattino ed entravano e uscivano da una o dall’altra bocca leccandosi, succhiandosi, martellandosi; contemporaneamente, le mani non stavano ferme e tutte le quattro esploravano il corpo dell’altra (o dell’altro) quasi cercassero non capivo cosa: ma dai gemiti che uscivano dalle loro gole (più che dalle bocche) capivo solo che erano in piena goduria.
Un pizzicore tra le cosce, all’altezza della patata (o, meglio, della figa) mi rese improvvisamente partecipe della loro violenta e tumultuosa sessualità. Maria (la compagna di classe) aveva cercato di spiegarmi bene la tecnica e i metodi della masturbazione; ma io ero stata distratta e non avevo colto bene la funzione del clitoride, della vagina e di tutto quello che ruotava intorno alla mia figa. Fortunatamente, la natura provvide e mi trovai a carezzarmi le grandi labbra, ad inserire e far scivolare avanti e indietro il medio nelle piccole labbra e, soprattutto, a catturare il clitoride tra le dita e manipolarlo come un piccolo cazzo. L’orgasmo mi sorprese come neanche immaginavo; e dovetti farmi forza per non gemere forte e rischiare di farmi scoprire.
Intanto, lo scenario davanti a me andava cambiando. Mio padre si era alzato in piedi, aveva slacciato la cintura e aveva fatto scivolare ai suoi piedi pantaloni e slip; dal suo ventre si innalzava un obelisco di carne che , se non era maggiore di quello del modello della rivista, per lo meno era dello stessa dimensione e spessore. A malapena riuscii a trattenere un urlo, tappandomi la bocca, e osservai spaventata il movimento di mio padre che prendeva a due mani il viso di mia madre e stringeva la distanza tra i due finché la cappella sfiorò la bocca di lei: trattenevo il respiro spaventata dall’idea che quella enorme mazza possa penetrare nella boccuccia della mia mammina e magari soffocarla: ma lo sguardo di lei sapeva di estasi e il cazzo penetrava delicatamente nella sua bocca (avevo persino la sensazione che lo guidasse e lo accarezzasse con la lingua) finché non fu decisamente immerso nella gola fino alla palle.
Mi ero molto impressionata; ma, in un momento di sana resipiscenza, ricordai a me stessa che da quel cazzo ero nata io e che, per generarmi, quella mazza aveva dovuto per forza compiere il suo naturale percorso nel ventre di mia madre; poi, ricordando il commento di una delle ragazze più mature della scuola, di fronte alle perplessità di più d’una sulla possibilità di prendere in figa cazzi di stazza enorme, riflettei anch’io che da quella vagina viene fuori un bambino di qualche chilo, per cui un cazzo di qualche etto può essere bene accetto, Di più, a sentire i mugugni di piacere di mia madre, scopare (in figa, in culo, in bocca, in mano) deve essere decisamente bello e godurioso. Su questa riflessione, accelerai i movimenti sulla mia figa e mi concessi un secondo orgasmo, mentre mia madre giocava col cazzo del marito, leccandolo su tutta la superficie, succhiandolo in punta come un saporito cono gelato, spingendolo dentro e fuori della bocca come in una figa. Mio padre, da parte sua, si limitava e mormorare fonemi senza senso con il viso al cielo e gli occhi spiritati di che sta in estasi.
Dovevano essere abituati a questi esercizi di sesso. Dopo poco, mio padre tirò il culo decisamente indietro e allontanò il cazzo dalla bocca di lei; in un attimo, si era tolto tutti gli abiti ed era nudo. Mia madre invece era ancora completamente vestita, finché lui non prese la maglietta per la falda e la sfilò dalla testa facendola ruotare; poi aprì la zip della gonna e la spinse verso il basso; lei lo aiutava sollevando il culo e il busto dal divano. In un attimo, lei restò con reggiseno, perizoma e autoreggenti; ed era uno spettacolo coi fianchi torniti, il ventre piatto, le tette abbondanti compresse in un reggiseno di pizzo molto elegante e combinato con il perizoma che a malapena copriva solo parzialmente la figa facendone strabordare le grandi labbra tumide e già roride di umori.
Mio padre la spinse contro lo schienale, le forzò le ginocchia per aprire al massimo le cosce, si inginocchiò ai piedi del divano e abbassò la testa sulla figa. Non riuscivo a vedere benissimo ma era chiaro che stava leccando la figa e probabilmente cercava di succhiare il clitoride: in fondo, era anche giusto che ricambiasse il piacere orale ricevuto. Lei si rese conto che il perizoma poteva essere di impedimento: sollevò il culo dal divano e lasciò che lui le sfilasse l’indumento e lo lanciasse via. Poi lui, aprendole le grandi labbra con i pollici, si chinò e riprese a leccare stavolta con grande intensità. Contrariamente a lui, mia madre però comunicava il suo godimento gemendo e mugolando in maniera prima più sommessa, per alzare il tono e urlare alla fine quando l’orgasmo la sopraffece. “Attenta che la bambina si sveglia!” raccomandò lui; ma lei fece cenno che no (non aveva ancora esaurito l’orgasmo e non riusciva ancora a parlare).
Intanto mio padre fece cenno a mia madre di girarsi; allora lei si mise in ginocchio sul divano, col petto appoggiato alla spalliera e il culo proteso in avanti, verso il suo maschio. Lui le accarezzò le natiche a mano piena; ed io mi passai una mano sul culetto asciutto ed ossuto:”chissà se un giorno lo avrò cosi bello pieno come la mamma” mi venne di pensare. Intanto mio padre aveva fatto scivolare i pollici verso il centro del culo, proprio sull’ano e sembrava stuzzicarlo con ambedue le dita che tiravano le due parti in direzione opposte; le gemette dolcemente; lui spostò le dita sulle grandi labbra e le separò come aveva fatto con l’ano. I gemiti erano più intensi e più chiari.
Ancora una volta mio padre si piegò sulle ginocchia e vidi la sua lingua proiettata verso l’ano e la figa: leccava il tutto, dall’alto in basso e viceversa, sollecitando culo e figa; mia madre gemeva continuamente e talvolta urlava, credo per piccoli orgasmi che le scoppiavano nel ventre; poi con una mano chiusa a cono (vale a dire, con tutte le punte delle dita convergenti) lui la penetrò nel culo e nella figa: in certi momenti la mano penetrava fino alla fine delle nocche ed io ero quasi spaventata all’idea che la potesse addirittura squartare: ma erano soltanto la mia ingenuità e la mia fantasia, perché mia madre gradiva, gemeva ed anzi cominciava ad urlare “Si … Così … spingi dentro … più forte … sfondami … ti amo … chiavami … per favore … chiavami”.
Cominciai a rendermi conto che era una dimensione che non conoscevo; forse mi sarei abituata, forse (anzi, senza il forse) avrei fatto anche di più e peggio. Ma quella prima impressione era enorme: riuscire ad accettare che si possa farsi lacerare il ventre per il piacere del sesso, questo non ancora mi apparteneva. Ma mi affascinava e mi catturava. Anzi, a quel punto volevo proprio imparare tutto quello che era possibile. La scena a cui avevo appena assistito, unita al ricordo di immagini già viste nei giornaletti, mi faceva pensare che forse un intenso piacere sessuale si può avere anche solo con la bocca ed anche con un’altra donna (amore saffico, era definito); ma, nel mio panorama di amicizie, solo Maria poteva essere messa a parte del mio desiderio; e, senza tener conto del fatto che poteva non essere d’accordo, era comunque difficile trovare un modo e un luogo dove farlo; nelle riviste che avevamo guardato, l’incontro avveniva in genere su un letto o su un divano, ma noi non avevamo niente del genere a disposizione. Forse ci si doveva inventare qualcosa.
Quasi per corrispondere alla richiesta di mia madre, mio padre sfilò la mano dal culo, prese alla radice il cazzo, lo accostò al basso ventre di mia madre e cominciò a spingere: dalla mia posizione non ero in grado di vedere se stava penetrandole nel culo o in figa; mia madre, quasi in risposta alla mia tacita domanda, gli urlò “Nel culo … ti prego … mettimelo nel culo … spingilo fino in fondo … rompimi … sfondami … chiavami …. Amami!!!!” Fui costretta ad interpretarla come una grande dichiarazione d’amore e ad accettare che presto anche io avrei gridato ad un uomo di rompermi il culo. E che lo avrei fatto con amore, per amore.
Vedevo che mio padre si apprestava con molta cura all’inculata: unse a lungo, con una crema che aveva preso dal tavolo, sia la cappella del cazzo che il buco del culo, appoggiò la punta e spinse quasi con prudenza; quando lei urlava, si ritraeva e ricominciava da capo finché, con un gemito più lungo di lei, vidi che schiacciava il ventre contro le chiappe sode ed accoglienti: evidentemente era tutto dentro, come lei aveva chiesto; si fermò un momento quasi a godersi la pienezza della penetrazione, poi cominciò a dondolarsi avanti e indietro e vedevo che il cazzo scivolava nel buco quasi con naturalezza. Ripresi a sditalinarmi con una mano mentre con l’altra saggiavo la consistenza e la resistenza del mio ano, nel quale infilai il dito medio, fino a sprofondarlo del tutto. Il mio orgasmo coincise con quello di mia madre che lo urlò dal salone a tutto il condominio.
Appena lei si calmò, mio padre (che non aveva sfilato di un millimetro il cazzo dal culo) prese mia madre, da dietro, per i seni e la fece scendere dal divano, senza staccarsi dal culo; quando fu in piedi davanti a lui, lei girò il viso dalla sua parte e lo baciò con occhi languidi, quasi ringraziandolo del piacere che le aveva dato; lui cominciò a pastrugnarle le tette e, presi fra pollici e indici i due capezzoloni, glieli tormentava stringendoli e tirandoli: dalle espressioni di mia madre capivo che il movimento era fortemente sensuale e che stimolava ancora la sua eccitazione: si abbandonava alla carezza e muoveva il culo quasi a stimolare il cazzo che vi stava ben piantato. “Ma non hai ancora sborrato!” esclamò; lui le sorrise con aria complice; “manca ancora qualcosa …” lei lo guardò con aria interrogativa “vuoi lasciare all’asciutto la tua bella figona?” “Pecorina o missionaria?” Speravo che le provassero tutte e due.
Quasi mi avesse sentito, mio padre la spinse dietro la testa e la fece piegare sul divano; sfilò delicatamente il cazzo dal culo accompagnandolo con una carezza da masturbazione, mentre lei sospirava quasi di nostalgia mentre il culo veniva liberato, ma anche privato, di quel meraviglioso ingombro. Poi, spostò leggermente la cappella verso il basso e cominciò a pennellare le grandi labbra, dall’alto in basso, stimolandole oltre ogni dire; mia madre, però, sembrava avere troppa voglia e, di colpo, spinse il culo indietro letteralmente impalandosi sul cazzo del marito che cominciò il suo andirivieni dalla figa spingendo con forza l’inguine contro le natiche con il rumore caratteristico che già avevo sentito mentre la inculava.
Dopo un poco, però, anche questo bel gioco si interruppe: mio padre sfilò il cazzo e invitò mia madre a sdraiarsi per terra sul tappeto: per mia fortuna, la fece collocare con i piedi rivolti dalla mia parte, per cui avevo una visione ampia e precisa del suo ventre e della figa; la visione mi venne oscurata quando lui si distese sopra di lei: a quel punto, la scena che avevo era quella del culo peloso di mio padre, sul quale mia madre stringeva le gambe fino ad intrecciare i piedi; dovevo affidarmi all’intuizione per capire che il cazzo era già profondamente immerso nella figa e che la stava pompando con energia e con amore.
I colpi si susseguirono forti fino alla violenza; i gemiti e gli urletti diventavano sempre più frequenti fino ad essere una colonna sonora; gli incitamenti e le parolacce non si contavano e mi sorprendevano, tanto erano lontani dal linguaggio abituale dei miei. Alla fine, di nuovo mamma sborrò con un urlo animalesco: non riuscii a contare (e neanche mi interessava farlo) quante volte avesse goduto in quella serata. La mia meraviglia era invece che mio padre resistesse così a lungo e non avesse mai sborrato, fino a quel momento. Maria poi mi avrebbe spiegato che una donna è in genere multiorgastica e può godere senza fine, mentre un maschio che sborra ha bisogno di tempo per ricaricarsi, specialmente dopo una certa età.
Ma la “seduta” non era ancora finita. Dopo aver accompagnato l’orgasmo di mia madre piantandole il cazzo profondamente nella figa e tenendolo ben premuto, quasi per solidarietà di orgasmo, mio padre si rotolò sul tappeto trascinandosi la compagna senza far uscire il cazzo dalla figa; mia madre si trovò così sopra di lui, di schiena, e, con qualche manovra quasi ginnica, riuscì a sedersi su di lui facendo perno sul cazzo ben impiantato nel suo corpo. Cominciò allora un’altra cavalcata, quella dell’amazzone che domina il suo purosangue: il cazzo entrava ed usciva dalla caverna della figa ormai spalancata, con sommo piacere mio che potevo guardare tutta la scena nei particolari, avendo di fronte a me il culo pieno, maturo e matronale di mia madre, con l’enorme voragine della figa che si apriva sotto e l’obelisco di carne del cazzo di mio padre che veniva coperto e scoperto dal movimento di lei sul corpo. Tra l’altro, mio padre aveva approfittato della posizione per prendere in bocca i capezzoli di mia madre e succhiarli e mordicchiarli con evidente lussuria anche di mia madre, che aveva un’espressione quasi ebete di felicità.
“E’ il momento di sborrare. Dove vuoi che lo faccio?” Mia madre ci pensò un momento, si fermò col cazzo piantato in figa e, alla fine “sulle tette … sborrami sulle tette” concluse e, contemporaneamente, rotolò sul tappeto sfilando il cazzo dalla figa e si stese a fianco a lui. Mio padre si inginocchiò al suo fianco e prese a masturbarsi, ma lei lo frenò; gli fece segno di inginocchiarsi sulla sua testa e, quando il cazzo le poggiava sulla fronte e sul naso, aprì la bocca e catturò la cappella; mio padre capì e prese a chiavarla nella bocca spingendo l’asta fino in gola.
La chiavò così, con amore, per qualche minuto, mentre i due corpi vibravano e fremevano per l’orgasmo che arrivava; quando lui si rese conto che la sborra stava per esplodere, sfilò di colpo il cazzo, lo prese con una mano e lo indirizzò verso il seno. La sborra esplose come da un vulcano, bianca, densa, impetuosa, con molti schizzi in rapida successione; ogni schizzo era accompagnato da un urlo gutturale di mio padre, che sembrava rapito in estasi, e da un gridolino stridulo di mia madre che accompagnava la sborra spalmandosela sulle tette, sul ventre, sulla figa. Poi ambedue sembrarono crollare soddisfatti, abbandonati l’uno sull’altro tra liquidi seminali, cazzo barzotto, figa e culo spanati. Ma avevano l’aria di una grande soddisfazione, quasi come me che mi ritirai in silenzio nella mia camera, dove mi sparai in successione due ditalini, prima di prendere sonno.
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