Tutti quelli che mi conoscono si divertono a ricordare il mio assurdo attaccamento a mia madre che mi rendeva geloso anche delle sue effusioni con mio padre. Per parte mia, ricordo solo, a malapena, le sensazioni di violenta eccitazione - quando, a scuola, i compagni mi avviarono ai misteri del sesso ed ai siti porno dove appresi più di quanto dovessi - quando guardavo mia madre. Le sue tette, il culo perfettamente disegnato, il ventre piatto ed elegante furono il mio mito sin dai primi accenni di risposta del mio sesso. Imparai a spiarla dovunque e, soprattutto, in bagno dove per abitudine la porta non veniva mai chiusa; quando una sera, insospettito da strani rumori, andai a guardare nella camera e la vidi sdraiata sotto mio padre che la scopava, cominciai a scegliere i momenti per guardare di nascosto e andarmi poi a sparare enormi seghe immaginandomi di essere io il maschio che la possedeva. Coglievo tutte le occasioni per guardarle sotto i vestiti, per accarezzarla nei punti “giusti”. Poi, chiuso in bagno, mi sparavo enormi seghe di grande soddisfazione: quando mi capitava, avvolgevo il cazzo in un suo indumento - meglio se uno slip - e non riuscivo ad impedire che le mie sborrate vi si scaricassero dentro. Insomma, l’idea che mia madre fosse l’unica donna con la quale avrei voluto e potuto scopare era diventata una sorta di magnifica ossessione in cui mi cullavo come in un dolce sogno erotico.
Ma le cose, tra i miei, non andavano nella maniera idilliaca che io sognavo; in poco tempo, precipitarono fino ai litigi più aspri, alle accuse più torbide. Mia madre rimproverava a lui una freddezza eccessiva che non dava spazio al suo desiderio di vita, di piacere; mio padre ribatteva che lei era una puttana capace di scoparsi anche ragazzini dell’età di suo figlio e di portarne le tracce nelle mutande, fino a casa. Mi folgorò il terrore che fosse stato lui a sorprendere le conseguenze delle mie seghe in bagno. Mia madre non gli diede neppure risposta: non era un segreto per nessuno che amasse fare sesso e forse anche con amanti molto giovani, sicché non reputò impossibile che da qualche sveltina (per esempio, in ascensore col ragazzo del quinto piano) fosse derivato qualche residuo di sperma colatole negli slip. La verità più profonda era l’enorme divario di personalità tra lui, pacato e sedentario, convinto che suo compito fosse solo portare lo stipendio a casa e sbrigare la formalità di una scopatina il sabato sera; e lei che invece era una donna piena di vita e di interessi, con una situazione sociale e un reddito superiore a lui, desiderosa di amicizie, di vita e soprattutto di sesso.
La storia giunse alla sua inevitabile conclusione: si separarono in un diluvio di accuse e di scartoffie; poiché avevo ormai raggiunto la maggiore età, scelsi di stare con mia madre (che, tra l’altro, offriva maggiori garanzie di vita) e fui accolto da lei con gioia, nonostante le difficoltà che sicuramente la mia presenza in casa poteva procurare alla sua “gioia di vita”. In breve, però, seppe rimediare anche a questo e mi assicurò una sistemazione ottima nella città vicina, dove andavo all’Università; tornavo una volta alla settimana, con la macchina appositamente regalatami, e per il week end eravamo tutta gioia e piacere di stare insieme. Ma io non avevo affatto smesso di masturbarmi pensando alla sua figa, al suo culo, alle sue tette; ed anche le frequenti occasioni di uscita erano spesso un delirio di confronti ideali tra quella di turno e la mia “divina” inarrivabile.
L’occasione fa l’uomo ladro; e l’occasione fu un brutto incidente automobilistico - peraltro, senza mia colpa - che mi obbligò a dieci giorni d’ospedale con la clavicola molto mal ridotta. Passata l’emergenza, fui dimesso e invitato a tornare a casa: vale a dire, a casa di mia madre. Lei non ebbe un attimo di esitazione: solo in quel momento mi resi conto che ero e restavo il “suo bambino” che non aveva niente in comune coi giovanotti della stessa età che lei frequentava come amanti; io ero solo quello al quale lei dedicava tutte le sue coccole, tutte le sue moine; e per il quale non esitava a sacrificare la libertà tanto duramente conquistata. Naturalmente, decise che avrei trascorso le giornate e le nottate nella sua camera, con lei, che avrebbe potuto tenermi d’occhio e assicurarmi tutta l’assistenza di cui avrei potuto aver bisogno. La situazione surreale mi metteva in grave difficoltà: da una parte, la mammina autenticamente preoccupata, affettuosa e premurosa, pronta a soddisfare (anzi, a prevenire) qualunque desiderio od esigenza del suo “bambino”; dall’altro, un maschio innamoratissimo di quella femmina, incapace di provare interesse per chiunque altra, costretto a viverne l’intimità mentre lei si muoveva e si comportava con la disinvoltura della “mammina” con il suo “bambino”. Il primo impaccio si determinò al momento di andare a dormire nel “lettone grande” tutti e due. Valeria - come voleva che la chiamassi, forse per non far pesare i suoi anni - si spogliò nuda e infilò una camiciola di seta lievissima e trasparente: il mio cazzo reagì con naturalezza, con un’erezione sovrumana che si schiacciò con forza contro i pantaloni.
Visto che non mi muovevo, Valeria mi incitò a spogliami; le feci notare che l’imbracatura della spalla me lo impediva, le spiegai che in ospedale provvedevano a tutto gli infermieri e, naturalmente, si offrì immediatamente di farmi lei da infermiera. Finché si trattò della camicia e della maglietta, il commento si limitò all’armonia della mia muscolatura; quando però sganciò il pantalone e lo abbassò, le lessi in viso una sorpresa anche superiore alle mie aspettative: per la prima volta, in vita sua, si rendeva conto di avere a che fare con un maschio e non con il “suo bambino”; l’unico commento, per superare l’imbarazzo, fu “Però! … abbiamo un bel soldatino, qui … ed è già sull’attenti!...”; non seppi proprio cosa rispondere. Ma la cosa si complicò immediatamente perché avevo bisogno di pisciare e dovetti dirglielo: non fu facile convincerla che in ospedale usavano il pappagallo e che normalmente era l’infermiere a provvedere. In mancanza del pappagallo, decise di guidare lei l’operazione e mi accompagnò in bagno, mi sistemò davanti al water e mi invitò ad espletare; il primo schizzo sbatté diritto sulle piastrelle: quasi urlando, mi fermò, lo prese in mano e guidò il getto: ma la sua mano sul mio cazzo era quasi il coronamento di un sogno e in un attimo mi perdetti nelle mie fantasie. Probabilmente, anche lei fu sconvolta dal contatto; non si limitò a guidare il getto, ma accarezzò l’asta, per tutta la sua lunghezza, per qualche attimo; poi si riscosse, farfugliò un qualche rimprovero e rimise tutto dentro.
Ci stendemmo per dormire, ognuno dalla sua parte: il mio braccio ingessato era rivolto dal lato suo e non potevo neanche pensare di toccare se non con movimenti difficili e rumorosi; mi limitai a sollevare il lenzuolo per ammirare la linea del suo corpo, appena visibile nel buio della camera. Ebbi la netta sensazione che non stesse dormendo né che fosse immobile: impercettibilmente, il corpo fremeva; capii che si stava masturbando e che lo faceva sperando di non essere vista né sentita. Mi finsi addormentato mentre appassionatamente partecipavo al climax della sua manipolazione. Progressivamente, uscì allo scoperto, divaricò leggermente le gambe e vidi nettamente il movimento della mano destra che strofinava l’inguine; il mio cazzo era sul punto di scoppiare; quando raggiunse l’orgasmo, riuscì a trattenere l’urlo che le sgorgava spontaneo e lo ridusse ad una serie di gemiti e di sospiri, finché si accasciò tenendo la mano ben stretta sull’inguine, quasi per non lasciare scappar via il piacere dalla figa. Strinsi la mano sinistra - quella che non sapevo usare per niente - intorno alla mia asta e cercai di mandarla su e giù per una sega consolatoria; ma ottenni solo l’effetto di agitare tutto il letto. Accese l’abatjour dalla sua parte e mi guardò con aria interrogativa “non ci riesco con la sinistra” mi limitai a dire stupidamente. “Lascia fare a me” fu la stupefacente risposta.
Si girò verso di me, spinse via il lenzuolo e mi guardò con occhi di desiderio; cominciò ad accarezzarmi da viso, lungo il petto giù verso il ventre “Ti rendi conto che stai concupendo tua madre?” Era una domanda, non un rimprovero. Le raccontai tutto, del mio amore viscerale fin dall’infanzia, del mio desiderio sempre più smodato per il suo corpo, delle infinite seghe nel cesso: le dissi anche che la sborra che suo marito aveva trovato e che era stato un elemento d’accusa forse era mia; insomma, non le nascosi niente. Sembrò quasi gratificata della mia confessione; sicuramente ne fu intenerita. Scese lentamente sul cazzo e lo leccò delicatamente sulla cappella, poi scese a lambire l’asta per tutta la lunghezza: lo teneva con la destra e sembrava ammirarlo come un oggetto prezioso. Le chiesi innanzitutto di farmi succhiare - finalmente! - le sue tette. Mi montò a cavalcioni fino a far appoggiare il cazzo contro la vulva, si abbassò su di me e guidò le tette alla mia bocca, una per volta: le succhiai con la passione di un poppante, mentre le strizzava (visto che io non potevo), mordicchiai e leccai tutte le mammelle con la foga di un affamato; sentii che godeva e mi scaricava sul cazzo ondate di umori. Gemendo come un animale in calore, si portò una mano dietro la schiena, prese il cazzo ne appoggiò delicatamente la punta alle piccole labbra, spinse con il busto verso il basso e si penetrò fino in fondo. La stanza si mise a girare ed io entrai in un’estasi mai provata. La sensazione di quella figa tanto attesa che finalmente mi avvolgeva il cazzo e lo succhiava, mi fece andare in brodo di giuggiole.
Non volevo venire, non subito e mi imposi di frenare l’orgasmo che montava naturalmente. Valeria non si mosse, limitandosi a stringere con i muscoli della vagina, si stese sopra di me facendomi sentire la dolce pienezza dei seni e per un po’ si gustò il piacere della pelle contro la mia. Poi si mosse lentamente, su e giù, strusciando sul mio corpo; sentivo gli umori della sua figa scaricarsi sul cazzo e lubrificarlo. Al colmo del piacere, si sollevò sulle mani, si sedette sul mio ventre e cominciò a cavalcare con foga sempre maggiore; urlava, quasi, mentre sborrava e mi spremeva dalle palle la più lunga sborrata della mia vita. Gongolavo, ero perduto nel mio piacere, la testa mi roteava e il cervello era in tilt. Valeria scavallò una gamba, si chinò sul cazzo ancora grondante di umori, miei e suoi, e lo infilò tutto nella bocca; sentii un guizzo, quasi una scossa, che mi attraversò la spina dorsale; e il mio cazzo si riprese quasi immediatamente, ma solo per un attimo. Valeria leccò il cazzo a lungo, coscienziosamente, e lo accompagnò delicatamente ad adagiarsi, svuotato, sul mio ventre. Poi scese di colpo dal letto e sparì: credetti che fosse andata in bagno a ripulirsi; tornò poco dopo mentre ancora si asciugava il ventre. Seduta sul letto, mentre mi accarezzava il petto e il ventre, senza avvicinarsi al cazzo, mi chiese ancora della mia passione smodata per lei in tutti quegli anni; io non le nascosi niente e, a richiesta, le chiarii che il suo culo era stato sempre l’oggetto preferito delle mie fantasticherie sessuali.
“Lo sai che quello non l’ha mai avuto nessuno?” conoscendola, sapevo che la domanda mirava a uno scopo preciso “vista la specialità della situazione e l’eccezionalità del tuo amore, penso che tu sia quello giusto per cogliere questa, diciamo, verginità”; ero intontito; era troppo, anche per le mie fantasie. Usai l’unica mano di cui potevo disporre per accarezzarle dolcemente il viso; le accarezzai anche una tetta e le strinsi il capezzolo; Valeria si protese verso di me e si avvicinò finche riuscii a prendere il capezzolo in bocca; intanto, la sua mano era scivolata sull’inguine e si era impossessata del cazzo che rapidamente riprese vigore finché tornò ad essere duro come il marmo.
Valeria si staccò, prese un vasetto che aveva portato dal bagno, prelevò con un dito della crema e se la spalmò tra le natiche: intuii che si trattava di vaselina o di qualcosa di simile; prese ancora un batuffolo di crema e me ne spalmò il cazzo, accarezzandolo lievemente dalla cappella alla radice; la guardavo fare compiaciuto limitandomi ad assaporare il godimento del contatto e l’emozione della situazione. Richiuse il barattolo, lo mise vie e salì a cavalcioni sul mio ventre. Con le mani appoggiate al materasso, si calò lentamente su di me, finché il culo entrò in contatto col cazzo; allora, staccò una mano e afferrò il cazzo per guidarlo all’ano; avvertii la grinzosità del buchetto sulla pelle liscia del glande, vidi Valeria appoggiarsi con forza mentre il foro si apriva e lasciava passare la punta. Tenendo l’asta ben stretta in una mano, spinse le reni in giù e si fece penetrare finché lo sfintere reagì; si fermò un attimo, sentii che faceva pressione dall’interno, poi si abbassò di colpo e urlò perché il cazzo era entrato fino alla radice; stette ferma per qualche secondo, respirando affannata; ed intanto i muscoli del ventre si contraevano intorno all’asta che li aveva violati. Qualche attimo, poi il respiro tornò normale, il ventre si allentò e il cazzo scivolò un poco avanti e indietro, per il movimento che lei aveva imposto alle reni.
Non so dire quanto durò, né mi interessa: so soltanto che ogni sobbalzo era una scossa di piacere che mi partiva dalla punta del cazzo e mi arrivava al cervello. Non so quanto piacere provasse Valeria; ma non doveva essere poco, visto il ritmo con cui mandava l’asta dentro e fuori; ad un certo punto, giunse a sfilarlo del tutto per riposizionarlo dentro senza sforzo; e ripeté l’operazione più e più volte. “Ce la fai a resistere un po’?” mi chiese con dolcezza col suo viso sul mio; accennai di si. Spostò la mano fra le cosce e cominciò a titillare il clitoride, prima dolcemente, poi con foga finché, vibrando con tutto il ventre, raggiunse l’orgasmo: quando godette, sentii l’ano dilatarsi quasi a far entrare anche le palle. Non so quante volte venne, forse una decina; ed ogni volta c’era lì quell’emozione violenta dell’ano che si dilata ed ingoia quel che resta fuori del cazzo. Sapevo che, sborrando, avrei messo fino alla più straordinaria avventura del mondo; ma non potevo resistere all’infinito e, prima o poi, la sborrata sarebbe esplosa. Glielo dissi. Mi sorrise complice. L’orgasmo mi raggiunse a mia insaputa; mi trovai ad eruttare sborra a getti continui e quasi infiniti: ogni spruzzo era per Valeria un orgasmo nuovo che si scaricava su quelli precedenti: eravamo letteralmente disfatti di piacere e di stanchezza, Sentii che il cazzo si svuotava lentamente e che Valeria ne accompagnava la riduzione assestando i muscoli ogni volta: uscire da quel buco appariva quasi più difficile e lento che entrarci. Con un gesto quasi violento, Valeria si staccò da me e corse in bagno, per scaricarsi. Poi tornò con una pezzuola umida e pulì adeguatamente il mio cazzo.
Quando tornò a sdraiarsi sul letto accanto a me, “E’ stato molto bello” mi disse “ed è meraviglioso sapere quanto mi hai amato e quanto ti amo io, ora che ti ho dato l’unica verginità cosciente che potevo. Ma non pensare che cambierò la mia vita e che sarò solo tua. Se vuoi, ci ameremo ancora; ma io non sono donna per un solo cazzo, sappilo ….” “In questi anni ti ho amato sapendo che scopavi, e con molti, talvolta ti ho visto anche scopare con tuo marito. Credi che mi faccia specie sapere che scopi, o magari vederti scopare, con un altro? Io ti voglio, ma non solo per me né per sempre. Non lasciamo niente e prendiamoci quel che possiamo”. Mi ha preso il viso tra le mani e mi ha baciato, sulla bocca, con la lingua. Era la prima volta.
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