Erano gli anni in cui la pulsione ormonale era più violenta e noi passavamo ore ed ore a ipotizzare accoppiamenti strani e fantasiosi, a tentare di immaginare “come si facesse” e a limitarci, alla fine, a misurarci pisellini flaccidi invidiando quelli che avevano i primi peluzzi o le primissime eiaculazioni. In certi casi, si andava un poco oltre; e ci si toccava i culi o si strusciavano i cazzetti lungo l’ano fantasticando di scopare. Personalmente, provavo più piacere a sentirmi strusciare i pisellini tra le chiappe che essere io a strusciarmi. Un pomeriggio la scuola ci fece partecipare ad uno spettacolo che si dava al teatro cittadino; noi fummo destinati al loggione dove ci accalcammo senz’ordine lungo la balaustrata. Come normalmente avveniva anche nei bagni della scuola, immediatamente il gruppo dei più aggressivi (che erano anche i più grandi) si accalcarono dietro i più fragili, che vennero spinti contro la balconata, mentre alle loro spalle qualcuno si preoccupava immediatamente di abbassare i pantaloni delle tute e le mutandine, per strofinare su culetti magri e asciutti un pisello appena accennato che forzavano inutilmente verso i buchetti vergini.
Nicola si piantò immediatamente alle mie spalle, respingendo ogni altro tentativo. Era così da sempre, in pratica, ed io in fondo ci provavo anche molto piacere a sentirlo affannarsi sul mio culetto morbido e dolce con il suo cazzetto che mostrava già qualche accenno di funzionalità. Lo strusciamento durò in pratica pochi secondi perché all’improvviso qualcuno avvertì che c’erano i sorveglianti e ciascuno assunse l’aria più innocente che poteva. Io non mi preoccupai neanche di tirare su il pantalone, perché ero certo che (come succedeva a scuola con i bidelli) appena il pericolo fosse passato, Alessandro sarebbe tornato a cercare di infilarmi il suo pisello nel culo. Ma le cose non andarono come a scuola, dove i bidelli non potevano presidiare per sempre i bagni; i sorveglianti, qui, si piantarono in piccionaia e non si mossero. Mentre me ne stavo chino appoggiato al parapetto, avvertii alle mie spalle una presenza che non era quella di Nicola (a me ormai familiare) e che anzi non conoscevo affatto: mani grosse e sicure mi afferrarono le chiappe nude e le strinsero in una morsa affettuosa; in risposta, spinsi indietro il bacino ed esposi con maggiore evidenza il culo. Quello dietro di me lasciò una natica e sentii che spostava la mano ad aprire la bottoniera del pantalone; in un attimo sentii un cazzo vivo e palpitante poggiarsi sul mio palmo.
Poiché indossavo solo la tuta, manovrai per abbassarla per fare accostare il cazzo alla pelle del culo: per un poco riuscii a strusciare l’enorme bastone di carne sulla schiena fino al coccige; l’intento era quello di accostare la cappella al buco per farmi penetrare. Ma il mio interlocutore era di altro avviso: mi prese la mano che gli teneva il cazzo e la mosse su e giù a fare una sega. Ma io insistetti a strofinarlo sul culo cercando ancora di orientarlo verso l’ano. Era assai più forte di me e mi obbligò a continuare a manipolarlo mentre con una mano mi accarezzava le natiche e mi titillava l’ano. Non provavo un particolare piacere, perché le funzioni sessuali non erano ancora attive, ma la stimolazione mi incuriosiva e mi stuzzicava: spingevo indietro il culo quanto potevo per il gusto di sentire lo sfintere forzato e sollecitato. La battaglia non andò per le lunghe; d’un tratto, si irrigidì contro la mia schiena, emise un respiro grave e profondo (quasi un grugnito) e sentii il muscolo che avevo in mano vibrare e irrigidirsi più volte finché lo spruzzo di sborra si andò a schiantare contro il muro della colonna che avevo a fianco. Mentre ancora cercavo di capire cosa fosse successo, si accesero le luci e lo sconosciuto scomparve nel corridoio. Tornai a casa con una vaga sensazione di insoddisfazione che mi agitò per qualche giorno. Poi dimenticai. La vicenda mi tornò in mente qualche tempo dopo.
Quando non avevamo niente da fare (vale a dire per quasi tutta la giornata) uno dei divertimenti era andarcene in un prato incolto dietro la stazione ferroviaria dove sopravviveva a stento un edifico cadente che doveva essere stato un deposito o un’officina: di solito, un gruppetto di quattro – cinque ragazzi di diversa età si avventurava tra le siepi di more e l’erba alta (in genere ci si muoveva fuori a fine primavera o in estate) e andava a caccia di qualunque cosa destasse un’idea di “avventura”, dalla raccolta di rottami di metallo da rivendere alla caccia ai primi frutti maturi fino alla classica pisciata collettiva “a chi spruzza più lontano” con inevitabile scorno per i più piccoli e i meno dotati. L’edificio in rovina era il punto privilegiato per fantasticare scene cinematografiche inverosimili. Ed era lì che ci ritrovavamo assai spesso. Naturalmente, la riservatezza del posto offriva anche spunto per fanciullesche avances sessuali, dal classico “vediamo come ce l’hai” a qualche palpata più o meno innocente fino agli strusciamenti più “arditi”. Saverio era il più “vecchio” e il più cattivo: per questo non risparmiava imposizioni energiche a nessuno, soprattutto ai più piccoli.
In più occasioni aveva strabiliato tutti mostrando il suo cazzo già notevolmente sviluppato, scappellandolo energicamente e disinvoltamente, menandoselo con gusto sotto i nostri occhi sbarrati dalla meraviglia; qualche volta l’aveva anche strofinato sul culetto dei piccoli – io per primo - e aveva accennato a farselo manipolare da uno di noi, ma senza successo. Quella mattina però sembrava particolarmente deciso e cattivo. Arrivati che fummo alla “casaccia”, mi prese per mano e mi guidò sul retro del rudere, dove sopravviveva una sorta di sgabuzzino con pochi resti di pareti su tre lati; si sedette sull’erba, tirò fuori il cazzo e mi invitò a prenderlo in mano. Non ero pronto all’incombenza e cercai di schernirmi, ma con voce quasi cattiva mi ordinò di prenderlo in mano e di sedermi in posizione opposta alla sua. Non potei che obbedire: mi sedetti per terra col viso rivolto al suo e allungai timidamente la mano sul suo cazzo che intanto era diventato ancora più grosso e vibrava come un elastico teso. La prima sensazione, al contatto con la pelle morbida del cazzo, fu di una giocosa novità: non vedevo nessuna differenza tra carezzargli, che so?, un piede e stringere invece il cazzo. Anzi, le vibrazioni che avvertivo sotto la pelle mentre la facevo scivolare sull’asta mi trasmettevano una certa elettricità.
Mi guidò per qualche minuto e indicò alla mano il movimento giusto: lo sentivo sospirare con forza ed emettere piccoli suoni, quasi dei gemiti, quando la mia mano arrivava al fondo, quasi sulle palle, e risaliva poi stringendo l’asta fino a incappucciare e scappellare continuamente il glande. Ogni tanto mi bloccava il polso e mi faceva fermare, emetteva suoni quasi affettuosi (qualche volta sussurrava anche un bravo o un mi piace) e mi faceva riprendere ogni volta con un ritmo diverso. Dopo una decina di minuti di quella “ginnastica”, fece una sosta più lunga anche perché lo avevo avvertito che il polso mi doleva per il continuo movimento. Mi suggerì di riprendere con l’altra mano e di utilizzare, fino alla fine, tutte e due le mani per masturbarlo (il termine mi suonava nuovo ma ci voleva poco a capire che era lo smanettare che stavo facendo). In parte anche per paura, feci come mi aveva ordinato e per una mezzoretta andai avanti a massaggiargli l’asta su e giù ammirando meravigliato l’aria estatica che assumeva mentre gli menavo il cazzo ed ascoltandone il respiro che si faceva spesso ansimante. Ad un certo punto, mi afferrò la mano che teneva il cazzo e impose un ritmo più intenso e veloce; mi diedi da fare per soddisfarlo e sentii il cazzo vibrare sempre più evidentemente nella mia mano mentre il suo respiro si faceva assai affannoso e il corpo si torceva e si spingeva in alto ritmicamente.
Ad un tratto emise un urlo gutturale e animalesco che in parte mi spaventò, vibrò due o tre volte con tutto il ventre ed esplose quasi dal buchetto in cima alla cappella un liquido denso e lattiginoso che disegnò nell’aria una parabola alta e andò a spiaccicarsi sul pavimento ai suoi piedi; altri schizzi seguirono, più lenti e più vicini, finché il liquido prese a depositarsi sulla mia mano. Saverio mi accarezzò il viso quasi con affetto; “bella sborrata!” disse “sei stato bravo”. Mi sentii quasi orgoglioso. Gli altri ragazzi che quel giorno erano con noi si erano intanto accostati ed ammiravano – forse con un poco di invidia – i miei armeggiamenti sul cazzo di Saverio che adesso era veramente “l’oggetto misterioso rivelato” che procurava tanta invidia a ragazzini ancora impuberi come noi. Pasquale si avvicinò all’altro lato, rispetto a me, ed allungò una mano a toccare il cazzo, lo prese tra pollice e indice e lo mosse un poco, poi si ritirò spaventato; Nicola, che era più grandicello (ma non come Saverio), si avvicinò a me, mi fece sollevare, abbassò il pantalone della tuta (non portavo mutande) e strusciò il suo pisellino sulle mie natiche, fino a sfiorare l’ano; spinsi la mano dietro la schiena e gli presi il cazzetto ma la sperequazione col cazzo di Saverio mi indusse a lasciare stare.
Mi dedicai di nuovo tutto a Saverio che aveva assistito imperterrito alle manovre: ripresi il cazzo in mano e ricominciai la sega che ormai mi riusciva facile, agevole e gradita. Saverio mi chiese di mettermi in ginocchio con le spalle rivolte al suo viso; lo feci e sentii che la sua grande mano mi abbassava il pantalone della tuta e mi accarezzava a palmo pieno una natica; improvvisamente me la strinse con forza e decisione. Mi piacque molto. Mi incitò a continuare a segarlo ed io lo feci con più entusiasmo. Sentii le sue mani che mi afferravano le natiche, strizzandole e separandole per mettere a nudo l’ano; mi sporsi in avanti per offrire meglio il culo alle sue voglie. In fondo, mi sarebbe piaciuto sentirlo dentro, sentirmi “femmina” e “chiavata”. Ma Saverio non credo fosse disposto a rischiare ancora di più: dopo avermi praticamente sverginato e abituato al sesso, non se la sentiva di rischiare anche di “sfondarmi” col rischio di conseguenze gravi se il suo cazzo mi avesse provocato lesioni. Mi prese per i fianchi e mi sollevò in alto mentre io rimanevo attaccato per la mano al suo cazzo; mi trasportò su di sé, infilò il cazzo tra le mie cosce, assai vicino al buco del culo ma senza penetrarlo, e mi abbracciò quasi con dolcezza mentre mi spingeva su e giù a segargli il cazzo con le cosce nude.
Mi piacevano le sensazioni che il cazzo mi provocava strusciando sull’ano; mi portai indietro la mano destra e andai ad accarezzare il solco tra le natiche dove il cazzo era adagiato; premendo con la punta del dito sul grande, cercai di farlo entrare almeno parzialmente nel buchetto del culo: in parte ci riuscii, e gioii molto a sentire come la punta del cazzo forzava il buchetto e lo solleticava dolcemente; ma la posizione in cui mi trovavo – steso di ventre sulla pancia di Saverio – non consentiva di infilare di più. Mi accontentai allora di accarezzare il cazzo per quasi tutta la lunghezza e di spinger la punta un poco più dentro al buchetto: contemporaneamente, spingevo per aprire il culo come se dovessi espellere qualcosa di grosso; e sentii che un poco più di cappella entrava e mi faceva godere. Nicola non si era arreso al primo tentativo; mi accarezzò voluttuosamente le natiche ormai completamente scoperte e mi infilò un dito nel culo; dovendo però accarezzare anche il cazzo di Saverio, decise subito di smettere. Saverio intanto mi incitava a leccargli i capezzoli; la richiesta mi parve strana, ma mi adeguai: aprii la camicia e cominciai a passargli la lingua sul torace; il gioco mi intrigava e mi eccitava, tanto che sentii quasi indurirsi lievemente, per quel che poteva, il mio cazzetto; arrivato al capezzolo, lo stuzzicai un poco con la lingua e sentii che il cazzo di Saverio vibrava più intensamente: ne approfittai per spingere la punta un poco più dentro il buchetto.
Saverio cominciò a ordinarmi (anzi, ad implorarmi, mi pareva) di succhiarglielo e di mordicchiarglielo. Quando lo facevo, mi accorsi che l’eccitazione cresceva ed io potevo giocare a spingere con le dita la cappella dentro il buchetto. Saverio era ormai infoiato come una bestia: mi sollevò di colpo e mi fece alzare in piedi, mi fece girare e piantò di nuovo il cazzo fra le mie natiche: infilandomi una mano fra le cosce, riuscivo a toccare il cazzo e a masturbarlo dalle palle fino al glande, ma non mi riusciva di fare altro. Saverio allora mi fece girare di nuovo e mi piantò ancora il cazzo fra le cosce, subito sotto le mie piccole palle: ne approfittai immediatamente per infilarmi una mano dietro e andare a prendere il glande che mi sfiorava l’ano per portarlo verso il buco del culo; ma non entrava per molto anche se a me piaceva molto. Intanto, mi ero aggrappato ai capezzoli e glieli succhiavo, li mordevo, li titillavo, li tormentavo facendolo fremere come una foglia. “Te lo devo mettere nel culo!!!!!” esclamava Saverio fuori di sé. “Anch’io voglio che me lo metti!” gli rispondevo sinceramente perché ormai l’idea di essere suo mi eccitava. “Ma non posso rischiare di sfondarti e di farti male” ammetteva lui quasi rassegnato.
Nicola a quel punto propose che prima potevano aprire la strada lui e Pasquale e che, se mi aprivano il culo abbastanza, lui poi poteva infilarci il suo cazzo con minori problemi. L’idea era buona e Saverio sembrava avere proprio una grande voglia di entrare nel mio culetto vergine. Si sedette sull’erba appoggiato al muro e “Fammi un pompino” disse. L’ordine così perentorio mi stordì anche perché gli unici pompini erano quelli fatti nei cessi della scuola a ragazzini piccoli come me e solo una volta a un bidello: ma fu questione di pochi momenti. Qui si trattava di fare sul serio e con il cazzo di quello che era ormai il mio padrone. Mi inginocchiai quindi davanti a lui e mi abbassai a prendere il cazzo in bocca: Pasquale, intanto, mi accarezzava il culo e cercava di introdurre un dito nel buco senza riuscirci; “sputagli sul culo” ordinò Saverio e Pasquale lo fece: il dito entrò abbastanza agevolmente ed io aprii la bocca per farci entrare il “mio” cazzo; “lecca” ed io passai la lingua su tutta la cappella insistendo sul frenulo e sul buchetto dell’uretra; “succhia” ed io chiusi le labbra sulla verga succhiandola come un gelato mentre lui muoveva il bacino chiavandomi in bocca; “attento ai denti” ed io spalancai la bocca perché lui potesse andare avanti e indietro a chiavare la mia bocca come una figa. Mi sentivo esaltato e protagonista, quasi eccitato e forse il mio cazzetto qualche reazione l’aveva pure; ma io ero occupato in altro.
Pasquale dietro di me strusciava il suo cazzetto – stranamente molto più duro di come lo ricordavo – e cercava di infilare almeno la punta nel buco del culo; non ci riusciva. “Leccagli il buco” sentii Pasquale che si accovacciava dietro di me e cominciava a passarmi la lingua sul buchetto; spinsi come per andare di corpo e sentii che la lingua entrava fino allo sfintere; Pasquale intanto mi allargava le natiche inumidiva in bocca le dita e giocava con esse nel buco, inserendone prima una sola che faceva andare avanti e indietro, roteava e spingeva a fondo; poi con due facendole girare per allentare la stretta: improvvisando autonomamente, quasi senza nessuna conoscenza, ognuno di noi faceva il meglio della sua parte. Quando l’andirivieni dal culo fu libero e rapido, Pasquale accostò il suo uccellino all’ano, spinse con decisione e il cazzetto entrò: lo avvertii nettamente e con gioia; quando il suo osso pubico fu a diretto contatto con il mio osso sacro, mi strinse nervosamente sulle anche e mi spinse verso il suo ventre; sentii un intenso calore su tutta la schiena. Intanto, io succhiavo con sempre maggiore intensità e sapienza il bellissimo cazzo che avevo in bocca e mettevo in atto tutte le variazioni che mi venivano per caso, seguendo anche le vibrazioni che registravo nel sesso di Saverio ogni volta che toccavo un particolare punto o effettuavo una speciale movenza. Ma lui era intensamente concentrato sulla mia deflorazione e reagiva benissimo agli stimoli del pompino.
Dopo una lunga serie di colpi ben assestati, Pasquale “smontò” anche se non aveva sborrato perché quella funzione ancora mancava al suo cazzo. Immediatamente entrò in azione Nicola che per prima cosa mi fece prendere in mano il suo arnese non piccolissimo (una decina di centimetri, in piena erezione); mentre succhiavo con amore il cazzo di Saverio, smanettai per qualche minuto anche il cazzo di Nicola che mi accarezzò a piene mani le natiche, le strinse tra le mani, le divaricò per far apparire in piena luce il buco del culo, sputò su di esso, si abbassò e cominciò a leccare e ad infilare la lingua nel buchetto che già reagiva più positivamente alla penetrazione: quando ricorsi al solito stratagemma di spingere come per andare di corpo, l’ano si aprì come l’ingresso di una caverna e Nicola ci infilò la lingua per lungo tratto. Ormai ero fuori di me da piacere di essere posseduto, violentato, umiliato; e mi accanii nel mio pompino come fosse un atto di devozione; Saverio più volte dovette interrompermi per non sborrare. Nicola completò coscienziosamente la preparazione a cui era chiamato; prima un dito inumidito entrò fin dentro le viscere e si aggirò gioiosamente all’interno, poi le dita furono due e poi tre, ogni volta ruotando, spingendo, muovendosi avanti e indietro per abituare lo sfintere alla violazione ed alla penetrazione.
Quando fu soddisfatto della “preparazione”, sputò ancora sull’ano, si accostò al culo, mi prese sui fianchi e sentii la punta del suo cazzo forzare il buco del culo: inizialmente, ci fu una certa resistenza e reagii con uno strizzone del ventre, ma immediatamente mi rilassai, attuai la solita spinta e il buco si aprì proprio mentre i dieci centimetri del cazzo di Nicola spingevano per entrare. Una lunga fitta, l’impressione che il pacco intestinale si spostasse verso lo stomaco … poi la dolce sensazione del cazzo che, superato lo sfintere, scivolava nelle viscere con eleganza e dolcezza. Cominciò ad andare avanti e indietro tenendomi per le anche; io, per parte mia, ripresi a leccare dolcemente il cazzo che era il mio vero obiettivo e lasciai che Nicola si godesse le vibrazioni elettriche che da ogni elemento del cazzo si trasmettevano al suo cervello e gli procuravano godimento. Anche dentro il mio culo, l’elettricità scatenava tempeste di ormoni che mi davano intense e continue scariche di piacere: a quel tempo non ancora avevo eiaculazioni; ma la stessa situazione negli anni successivi mi avrebbe fatto sborrare come una fontana rotta.
A quel punto, Saverio era persino stanco di pazientare: mi sfilò il cazzo dalla bocca, si alzò, allontanò Nicola e prese possesso delle mie natiche. Le manipolò a lungo, stringendole e allargandole, pizzicandole e strizzandole; mi stimolò più volte il buco del culo. Io mi lasciavo fare, anzi godevo a lasciarmi fare e speravo che insistesse sempre di più. Sentii un dito farsi spazio nel culo provocandomi bruciore e fastidio, che si attenuò dopo che passò il dito in bocca, prima di infilarlo ancora, e soprattutto quando mi sputò sull’ano prima di infilarmi il cazzo e mandarlo avanti e indietro fino a far adattare il buco allo spessore del membro.
Poi sentii le mani che mi afferravano le anche e mi tiravano indietro, verso il suo ventre: cedetti volentieri e sentii una bestia premermi sul buchetto con forza; “soffia” mi urlò quando cominciò a premere sullo sfintere; lo feci ma non potei fare a meno di urlare come un agnello sgozzato, quando la cappella varcò la stretta dello sfintere; le lacrime mi scesero incontrollabili. Saverio ordinò a Nicola e a Pasquale - che ai lati osservano appassionati la penetrazione – di sputare sul cazzo e sul buco del culo; i due prontamente eseguirono; Pasquale spalmò anche la saliva tutt’intorno al cazzo nel punto dove si era arrestato davanti allo sfintere.
Il dolore si addolcì e spinsi il culo indietro; Saverio diede un paio di spinte più forti e il cazzo scivolò nel mio ventre. Tutto il mio essere restò sconvolto: sentivo il buco del culo aprirsi fino a spaccarsi in due, il pacco intestinale fu pressato e spinto in alto fino allo stomaco; il dolore rimase intenso e le lacrime continuarono a sgorgare naturalmente. A mano a mano, però, che il vai e vieni del cazzo dal culo si faceva più regolare, tutte le sensazioni si affievolivano e il dolore sparì quasi; anzi, cominciavo a sentirmi padrone della situazione, come se fosse il mio intestino a risucchiare in sé il bastone di carne ed a carezzarlo, quasi lo succhiasse come la bocca, piuttosto che sentirmi invece, come avrebbe dovuto essere, violentato e posseduto. Saverio mi prese per le braccia e mi sollevò davanti a se, sempre rimanendo saldamente piantato col cazzo dentro al mio culo. Mi accarezzò lungamente, da dietro, su tutto il corpo fino a solleticarmi anche il cazzetto che rivelava qualche durezza. Poi mi spinse con il collo in avanti, mi fece appoggiare le mani alla parete e cominciò a montarmi con una forza quasi sovrumana; un paio di volte sentii che faceva quasi uscire del tutto il cazzo dal culo e altrettante volte, subito dopo, spinse con forza il ventre contro la mia schiena e fece sprofondare il cazzo fino alla radice, fino a che le sue palle battevano sulle mie.
Poi, con un urlo bestiale che si sciolse in un lunghissimo grugnito; “sborrooooooooo” gridò e mi strinse a sé ancora più forte con tutto il corpo. Io sentii le viscere inondate da un fiotto caldo che presto avrei capito essere la sborra che mi stava scaricando nel culo. La pratica per tirare fuori il cazzo dal culo risultò per me più difficile e laboriosa forse anche della stessa inculata. Fortunatamente, Saverio cercò di essere assai delicato: aspettò che il cazzo gli si sgonfiasse fino ad una dimensione accettabile, poi lentamente cominciò a sfilarlo, “soffia” mi urlò ad un certo punto; io soffiai ed urlai mentre il cazzo, ormai barzotto, mi scivolava dall’ano con una strano “plof” e le natiche si allagavano del liquido che mi sgorgava dal culo rotto. Temevo fosse sangue e chiesi a Pasquale di verificare se mi aveva squartato il culo; mi aprì delicatamente le natiche, passò un dito sul buco e “tranquillo”, mi disse, “è tutto a posto; non si vede che hai il culo rotto”. “E sarà bene che non si sappia” commentai, sperando che avrebbero taciuto a scuola e con gli altri compagni. Ma certe notizie non si possono tenere segrete a lungo e, da vari piccoli segnali, capii che la vicenda era a conoscenza dei compagni di classe e, forse, di tutta la scuola.
Specialmente negli intervalli e nei bagni erano infiniti i tentativi dei più grandicelli di approcciarmi per “fare qualcosa” ma complessivamente me la cavavo facilmente specialmente minacciando l’intervento dei bidelli. I bidelli sono una razza particolare nelle scuole: guardiani e custodi, addetti alle pulizie e garanti dell’ordine, complici e mercanti, insomma ne fanno veramente di tutti i colori. Francesco era il più autorevole (non so se anche il più anziano) e godeva di molti privilegi, tra i quali quello di starsene perennemente in una sorta di guardiola da dove osservava e dirigeva tutto. Non erano poche le volte che mi rifugiavo nel suo ”loculo” e restavo ad ascoltare le storie infinite che spesso inventava. Quella mattina mi accolse con particolare entusiasmo e mi fece sedere accanto a lui, su uno gabellino pieghevole. Mi chiese se era vero quel che si raccontava ed io non gli nascosi niente: mi fidavo molto di lui. Cominciò allora un autentico interrogatorio nel corso del quale non solo confessai moltissime cose, ma anche ne appresi infinite altre. Francesco infatti mi fece capire che un cazzo è un oggetto particolare e mobile: va dal cosino che hanno i bambini sin dalla nascita al piccolo uccello che gli adolescenti si trovano a manipolarsi quando gli ormoni cominciano a farsi sentire fino al cazzo vero, protetto da peli e scappellabile alla bisogna, che può arrivare a dimensioni molto notevoli, di lunghezza e di circonferenza se viene stimolato e sollecitato opportunamente, con le mani, con la bocca o con altri mezzo (figa e culo).
Gli feci osservare che alcune cose le vivevo direttamente su me o sui compagni (Pasquale e Nicola, per esempio) e che già avevo visto funzionare un cazzo più grande, quello di Saverio. Francesco mi chiese se era vero che lo avevo assaggiato anche nel culo ed io lo ammisi serenamente; mi chiese ancora se lo avevo eccitato con le mani e con la bocca ed io riconobbi che l’avevo fatto. A quel punto Francesco mi prese una mano e la portò sull’inguine; mi fece tastare la sua verga da sopra il pantalone e mi chiese come la giudicavo, a confronto con quella di Saverio; non potevo esprimermi, così alla cieca e glielo dissi; si aprì la patta, tirò fuori l’uccello e me lo appoggiò sulla mano. “E allora?” mi chiese. Non era ancora duro, quel cazzo; ma anche così si avvertiva che era maggiore di quello di Saverio in erezione; glielo dissi e Francesco accompagnò la mia mano a segare il cazzo: lo sentii gonfiarsi tra le dita e, in breve, raggiunse una dimensione ben maggiore dell’altro che ricordavo. Di colpo, Francesco me lo sfilò dalla mano e lo rimise nel pantalone; per un attimo mi sentii come privato del giocattolo che avevo appena accarezzato. Ma lui era veramente compenetrato nel desiderio di farmi capire e riprese la sua analisi chiedendomi se sapevo come fare un bella sega; gli risposi che ne avevo appena accennato una; “Infatti” mi disse, “quello era solo un accenno; una bella sega è tutt’altra cosa”. Cominciò allora la sua “lezione magistrale” sul cazzo e sulla maniera migliore per fare una sega: fu per me l’atto ufficiale di iscrizione all “università del cazzo” da cui sarei uscito in tempi brevi laureato con il massimo dei voti.
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Categorie: Gay e Bisex