I primi approcci con la sessualità risalgono senz’altro alla prima adolescenza; e l’ambiente non fu quello della città dove vivevamo quanto piuttosto quello del paesello di campagna dove ogni anno, puntualmente, andavamo a passare un mese e più della stagione estiva. Nello sperduto paesello i nostri genitori conservavano quasi intatte le radici della loro vita e noi figli costruivamo, spesso senza volerlo e senza rendercene conto, la parte maggiore della conoscenza extrascolastica ed extrafamiliare. Per questo, trovavamo affascinante e quasi vitale tornare ogni volta ad immergerci nell’atmosfera del paese. Tra le altre cose, avevamo costruito lì rapporti di amicizia con ragazzi (tutti di un’età intorno alla mia o dei miei fratelli) con i quali andavamo puntualmente a scoprire un mondo quasi impensabile in città.
Tra gli altri posti, il più affascinante – soprattutto ad una certa età – era la riva del fiume in un punto dove faceva una grande vasca utile ad immersioni (vivamente sconsigliate dagli adulti e, forse per questo, molto più appetitose) con salti e tuffi spericolati. Poiché non potevamo dichiarare di andare a fare il bagno, non portavamo costumi (quelli che ne avessero avuto, naturalmente!) Inevitabilmente, si faceva il bagno nudi e il divertimento maggiore diventava l’osservazione, la misurazione e il confronto di piselli e pisellini (non era il caso di scomodare il termine cazzo, per quelle dimensioni) e della più o meno evidente peluria di inguini e natiche; senza considerare, poi, gli scherzi, spesso feroci, sui culi bianchi, rotondi e morbidi che condannavano alcuni, spesso i più piccoli, a sottostare alle prepotenze degli adulti che mimavano su loro scene di sesso.
La chiave di svolta della mia educazione fu un giorno in cui i ragazzi locali decisero, dopo ampia discussione, di accompagnare “quelli di città” nel loro posto segreto, dopo mille giuramenti sacri e inviolabili di non rivelare a nessuno quello che avremmo visto. Ovviamente, giurammo e li seguimmo nel folto del bosco fino ad una stalla isolata, dove ci dissero che alcuni allevatori del posto portavano le bestie che avevano pascolato nel bosco. In un ambiente povero e nudo, con alcune masserizie che avevano visto tempi migliori, abbondavano solo balle di paglia ed escrementi di vacca. Mentre ci inventavamo rincorse e nascondini in quell’ambiente per noi misterioso e affascinante, entrò Saverio il mandriano del posto che tornava dall’aver sistemato le bestie al pascolo.
I ragazzi si affollarono intorno a lui dimostrando una lunga conoscenza e Saverio fu con tutti affettuoso e simpatico; solo il più piccolino, Gigiotto, sembrava avere un’aria sospettosa e non partecipava con entusiasmo alle feste degli altri; ma presto lo coinvolsero e, nonostante qualche resistenza, lo fecero sedere sul pagliericcio che dominava una parete. Saverio a quel punto si adagiò sullo stesso pagliericcio con le mani sotto la testa. Tutti i ragazzi incitavano Gigiotto, ma noi “di città” non riuscivamo a capire cosa gli chiedessero; poi Eduardo, il più anziano dei ragazzini, gli prese decisamente la mano, la poggiò sull’inguine di Saverio e lo invitò a cominciare.
Gigiotto slacciò la cintura, aprì l’unico bottone, abbassò la cerniera, manipolò alquanto nel pantalone e tirò fuori dalla patta un cazzo che, barzotto, era quattro volte più grosso dei nostri. Mi trovai ad osservarlo a bocca aperta, con un’inconscia voglia di prenderlo io in mano per sentirne la forza e il calore; ma dovetti limitarmi a stare a guardare Gigiotto che con calma e sapienza cominciava a mandare su e giù la manina spostando verso il basso la pelle e rivelando una cappella che appariva addirittura enorme; a mano a mano che la manipolazione avanzava, il cazzo si ergeva sempre più duro e possente, finché non risultò un ramo giovane issato su una pianta forte: Saverio respirava quasi affannando e con la mano carezzava il culo di Gigiotto stringendo le natiche del ragazzo, che lo scostava con la mano libera e sembrava scocciato di quelle carezze: lo odiavo perché avrei tanto voluto sentire io quelle mani sulle mie natiche e, perché no, dentro il mio culetto.
La sega andò avanti per alcuni minuti, nel silenzio incantato di noi ragazzi, tutti affascinati e catturati dalla dimensione di quel cazzo, ciascuno interpretando a modo suo la scena; Saverio godeva molto del trattamento che Gigiotto riservava al suo cazzo e ogni tanto aveva espressioni di goduria; ad un punto, prese Gigiotto per la collottola e cercò di abbassargli la testa verso il cazzo; il ragazzo si oppose e reagì con forza, interrompendo la sega come per cessare definitivamente; Saverio rinunciò: lasciò la presa dietro la testa, l’altro riprese a masturbarlo e io ingoiai a malapena la delusione per non poter fiondarmi sul pagliericcio ed essere io a prendere in bocca quel bastone di carne.
Dopo una lunga manipolazione, finalmente Saverio cominciò a rantolare, a respirare quasi a fatica, a stringere le natiche di Gigiotto con forza e, ad un tratto, esplose dal cazzo un getto di sborra che quasi colpì uno dei ragazzi fermi a guardare; i fiotti successivi furono quattro, ogni volta meno potenti, finché le ultime gocce scivolarono sulla mano di Gigiotto che la ritrasse, se la pulì sulla paglia dello stesso pagliericcio e quasi scappò via. Invece Saverio lo complimentò, raccomandò a tutti di tacere l’episodio con chiunque, si riassettò i pantaloni e andò via.
Dopo quella volta, non ci furono più occasioni di particolare rilevanza; ma io non riuscivo a togliermi dalla mente l’immagine del cazzo di Saverio manipolato da Gigiotto e cominciai a sognarmelo di notte ed anche di giorno, scaricando sul ricordo le mie più belle seghe di quegli anni: anche se il mio cazzetto a malapena superava la soglia del “pisello” e riusciva a scaricare qualche goccia di liquido solo dopo estenuanti manipolazioni, in quell’estate se non lo consumai a furia di segarmelo in continuazione, ci mancò poco. E, comunque, nonostante le intense manovre, non mi riusciva di cancellare dalla mente le scene a cui avevo assistito e il desiderio di fare qualcosa di particolare e, in qualche modo, di definitivo.
Preso il coraggio a due mani, una mattina lasciai andare via la masnada dei ragazzi, diretta al fiume, e mi avviai da solo verso il bosco, alla stalla isolata dove speravo di trovare Saverio. C’era; e mi sorrise quasi beffardo appena mi vide comparire: “Ehi, mammoletta, dove vai tutta sola?” Per tutta risposta, mi soffermai con lo sguardo sul bozzo dei suoi pantaloni; non ebbe bisogno di altro; si accarezzò il cazzo da sopra il pantalone, mi prese per una mano e mi portò dentro; si stese supino sul pagliericcio e mi indicò con la mano di mettermi al suo fianco. Superata l’emozione iniziale, mi posi carponi accanto a lui e gli aprii la cintura dei pantaloni, aprii il bottone di chiusura e feci scorrere la lampo fino a fine corsa; infilai la destra nell’apertura e accarezzai dolcemente l’asta da sopra le mutande; Saverio si puntellò sui talloni, sollevò il culo e fece scorrere in giù pantaloni e mutande: il cazzo si innalzò prepotente sopra l’inguine ed io mi affrettai a catturarlo con la mano destra. “Ti piace il mio cazzo?” senza parlare accennai si con la testa; “Ti piace accarezzarlo?” Accenni ancora di si; “Allora lasciati guidare” e, presa la mia mano, accennò al movimento di su e giù stringendomi le dita per farmi capire dove e come dovevo stringere la presa; cominciai a fare una sega veramente professionale.
Saverio intanto mi apriva il pantalone e lo tirava giù decisamente, portandosi dietro anche le mutande; quando fui a culo nudo, prese ad accarezzarmi le natiche e a stringerle con passione; mentre io continuavo a menare il cazzo con diligente entusiasmo, lui succhiò un dito e poi lo portò sul mio ano cominciando a premere con forza; per reazione, strinsi le natiche e spinsi in avanti il ventre per allentare la presa “Ti fa male” accennai di si “Peccato; hai proprio un bel culetto e mi piacerebbe rompertelo; ma non voglio farti male”; poi mi prese la testa e la spinse verso il basso, verso il suo cazzo monumentale; non feci resistenza e vidi la cappella accostarsi progressivamente alle mie labbra: le socchiusi e sentii l’asta che le forzava delicatamente e mi entrava in bocca; non sapevo proprio cosa fare. “Usa la lingua per accarezzarla” mi suggerì ed io eseguii prontamente leccando la cappella tutt’intorno fin sul buchetto in cima; Saverio mi guidò ancora a passare la lingua su tutta l’asta; poi spinse decisamente il cazzo nella bocca ed io lo sentii opprimermi prima la lingua e il palato poi l’ugola e le tonsille fino alla gola: conati di vomito mi colsero irrefrenabili e tirai indietro la testa con violenza “Calma, fai più piano e vedrai che entra!” Progressivamente, sentii il cazzo che si impossessava della cavità orale e si muoveva tra le labbra come tra le mani quando lo segavo.
Quando presi dimestichezza col movimento, Saverio lasciò che fossi io a pomparlo o a chiavarmi in bocca, alternando i movimenti secondo le sensazioni di piacere che registravo; lui, intanto, si dedicava al mio culetto e riprendeva a solleticarlo e a forzarlo più delicatamente badando a far entrare solo la punta delle dita. “Prendi in bocca le palle, una per volta, e leccamele” fu l’imperioso comando; ed io, ubbidiente, con molta rapidità imparai a succhiargli le palle e a stimolarle con le mani e con la bocca “Sei una puttanella eccezionale; anzi, sei la mia puttanella ed io ti sverginerò in ogni posto, in mano, in bocca, nel culo; devi farmi godere come nessuna ha fatto mai e come non farai più godere mai nessuno. Succhia, troietta, che intanto io ti allargo per benino!” E, facendo seguito coi fatti alle parole, mi premette la testa sul cazzo che fece entrare fino al punto estremo dove minacciai di vomitargli addosso; con l’altra mano, intanto, mi accarezzava il culo afferrando a palmo intero tutto il perineo, fino alla radice del mio cazzetto, ed infilando il medio nel buchetto che non si rassegnava ad aprirsi come lui voleva.
“Il pompino può anche bastare; passiamo al culo” sentenzio con decisione; mi sollevò quasi a forza dal pagliericcio, mi portò su di se e, mentre io mi appigliavo al suo cazzo che imboccavo con ingordigia fino al limite estremo, lui mi sdraiava sul suo corpo a gambe spalancate con il culo tutto aperto sulla sua faccia; sentii che mi prendeva le natiche una per mano e che le tirava verso l’esterno; sentii che lo sfintere soffriva, sottoposto ad un’apertura innaturale; ma subito dopo la sua lingua che lo leccava e si inseriva fin dentro al buco mi procurava un piacere che sovrastava enormemente il fastidio del culo spalancato; quando due dita entrarono nel buco contemporaneamente per dilatarlo ciascuno in una direzione opposta, inizialmente mi dispiacque; ma quando la sua lingua penetrò più profondamente nel culo e leccò amorosamente le parti che emergevano intatte, il piacere fu tale che un poco di liquido seminale, quasi un principio di sborra, si riversò sul suo petto; Saverio, quasi indispettito della cosa, premette ambedue le dita e le tirò fino ad una dilatazione che mi strappò un urlo di dolore.
Quasi pentito, premette le natiche verso il centro, come per ripristinare la normalità, e mi accarezzò con affetto le natiche; poi mi sollevò di nuovo e mi indicò di cambiare posizione, stendendomi bocconi sul pagliericcio, mentre lui mi si poneva addosso premendo il cazzo fra le mie natiche. Portò la cappella sull’ano, sollevando il bacino, e cominciò a premere per fare entrare il cazzo nel mio culo; ma sin dalla prima pressione la fitta di dolore fu così intensa che urlai con tutto il fiato che avevo; lui si fermò perplesso e provò più volte e sputare sull’ano, a insalivarsi il cazzo, a premere con più delicatezza. Ma era evidente che la sua mazza non avrebbe mai potuto entrare nel mio forellino. “Eppure, prima o poi, debbo romperti questo culetto da mammola” fu il commento finale. Quasi per rifarsi dalla mancata violazione del mio culo, Saverio sistemò il cazzo fra le natiche e mi impose di stringere le cosce finché la sua mazza fu imprigionata subito sotto l’ano; muovendosi avanti e indietro sul mio corpo e strusciano il cazzo tra natiche e cosce “Beh, con un po’ di fantasia sembra la “spagnola” di una ragazzina” disse.
Dopo aver fatto scivolare un poco il cazzo fra le mie cosce, mi chiese ancora di cambiare posizione e di montargli sopra, collocandomi su di lui ma viso a viso “Succhiami i capezzoli!” mi ordinò; ed io obbedii e cominciai a leccargli il petto e a succhiargli i capezzoli che si indurivano e vibravano ad ogni leccata, ad ogni succhiata. Saverio intanto manovrava con una mano tra noi due e spostò il suo cazzo, schiacciato tra i due corpi, fino ad adagiarlo fra le mie cosce, che provvide a farmi stringere per avere la sensazione di una stretta da tetta o da figa; accarezzandomi poi la schiena, scivolò con la mano sul mio culo e, catturato il cazzo che emergeva tra le cosce, ne premeva la cappella sull’ano che cedeva volentieri, almeno fino a quel punto. “E adesso dove ti sborro?” Evidentemente, la domanda era per se stesso, più che per me.
Io gli avrei vietato di sborrare: era troppo bello tenere il suo meraviglioso cazzo stretto tra le mie cosce, addirittura con la punta della cappella premuta sull’ano; e godevo molto anche a tenermi stretto a lui, a sentire i suoi muscoli pettorali e a leccargli e succhiargli i capezzoli. Se non avesse sborrato, potevo ancora succhiarglielo e gustarmelo fino in fondo alla gola. Ma lui voleva sborrare e stava solo valutando dove. “In bocca” provai a suggerire; ma bastò il suo sguardo a dire no; “Sul buco del culo” aggiunsi; ma non sapevo come potevo portarlo a sborrare.
Saverio intanto mi aveva di nuovo ribaltato supino sul pagliericcio e mi era montato addosso; mi passava il cazzo su tutte le superfici del corpo: dopo aver a lungo giocato con le cosce, spostò il cazzo sul ventre e accarezzo tutta la pancia, si spostò sul torace e mi passò il cazzo sui capezzoli mentre con la mano si masturbava; inserendo la mia mano sotto la sua, gli proposi di essere io a masturbarlo mentre si impossessava del mio corpo nella sua interezza; mi passò il cazzo sulla gola, sul viso, sulle gote, sugli occhi fino a raggiungere le labbra; io le socchiusi maliziosamente e lui infilò il cazzo fino alla gola. Poi cominciò a chiavarmi in bocca, quasi senza pietà. Sentivo e vedevo la mazza entrare e uscire dolorosamente dalla bocca, avvertivo la gola oppressa e soffocata dalla cappella che scendeva fino in fondo, fin dove non si poteva più; e mi sentivo morire, dai conati di vomito, dal principio di soffocamento: ma lui insensibile continuava a picchiarmi in gola col suo cazzo enorme. Poi sentii che eruttava come un vulcano e mi riempiva la gola, oltre che la bocca; ebbi un violento rigurgito e sputai fuori con forza aria e sborra insieme. Si fermò per un attimo e mi trattenne per la testa mentre il cazzo vibrava tra le mie labbra e scaricava gli ultimi impulsi dell’orgasmo.
Quando ebbe finito di sborrare, si ricompose, si vestì ed uscì dalla stalla borbottando “Però quel culo da mammoletta te lo devo rompere, prima o poi!” Io usai la paglia che intorno abbondava per pulire con molta approssimazione i residui di sborra che mi colavano su tutto il corpo; ripresi i pochi straccetti che indossai e anche io mi ricomposi alla meno peggio. Poi, mentre uscivo dalla stalla, gli feci eco “Forse più poi che prima” e me ne andai. Infatti, come sapevo bene, dopo qualche giorno la nostra vacanza terminava e si rientrava in città. Dopo di allora, non saremmo più tornati al paesello, per i cambi imposti dalla vita. E di quell’episodio, in qualche modo, non conservai poi grande memoria.
Qualche sprazzo riappariva negli anni successivi, quando particolari situazioni mi ponevano di fronte ai problemi della mia sessualità; ma tra i giochetti ingenui e le scappatelle delle scuole superiori niente intervenne a turbare la mia serena aspettativa sessuale; e frequentai con buoni risultati ragazze della scuola e, qualche volta, anche puttane. L’unica volta che il problema emerse in tutta la sua virulenza fu quando frequentavo l’Università e, per ragioni logistiche, ero costretto a convivere nella metropoli vicina in un appartamento con altri tre ragazzi di cui uno con cui condividevo la camera da letto. Erano tutti più grandi di me, alla soglia della laurea, ed avevamo una certa buona armonia che ci consentiva non solo una convivenza quieta senza scosse, ma anche qualche “distrazione” senza molti impegni, specialmente quando al sabato sera avevamo abbastanza soldi per la discoteca.
Fu in una di quelle occasioni che le cose presero una strana direzione. Eravamo andati in discoteca tutti e quattro, con altri ragazzi in condizioni analoghe alle nostre; e ci eravamo anche abbastanza divertiti fino a notte fonda, quando, al momento di sciogliere la comitiva, ci si rese conto che tutte le ragazze avevano fatto altre scelte e a noi non restava che tornare a casa e fare la fila nel cesso per masturbarci (in camera era difficile, con un altro che dormiva lì a fianco). Mogi e con le pive nel sacco, riprendemmo la via di casa e, inevitabilmente, bevemmo qualche bicchiere in più. In breve, i nostri coinquilini crollarono dal sonno e si appartarono nei loro letti; invece Raimondo, il mio compagno di camera, proprio non si rassegnava ad addormentarsi senza almeno una sega.”Fattela anche davanti a me, se vuoi, e smettila di rompermi!” gli dissi mentre ci spogliavamo per andare a letto “Perché non me la fai tu?” fu l’inattesa risposta; lo guardai stupito, ma Raimondo mi disse che, pur essendo certissimo che eravamo due etero, non aveva potuto fare a meno di notare che in alcune occasioni avevo dato cenno di non sgradire l’idea di rapporti omosessuali.
La memoria di Saverio mi colpì come una frustata. Cercai di contestare le sue affermazioni ma sempre con minore vigore, finché, sopraffatto dalla sua smania, allungai la mano verso il cazzo notevole che mi sbandierava davanti al viso; mi illusi di stimolarlo in maniera che sborrasse rapidamente, ma sin dal primo tocco mi resi conto che sentirmi pulsare un cazzo tra le mani mi dava un’enorme eccitazione non solo mentale ma anche e soprattutto fisica, considerato il friccichio che avvertivo netto nel culo. In parte per l’eccitazione repressa tutta la serata, in parte per effetto dell’alcool ingerito, in parte ancora per l’eccitazione che mi montava dal contatto col cazzo, sta di fatto che in breve mi trovai a masturbarlo con perizia e con gusto. Raimondo, travolto dal vortice della sua smania di sesso, sconvolto dall’alcool che aveva trincato senza controllo, smanioso di sborrare ad ogni costo, non si rendeva conto delle mie emozioni e mugugnava incomprensibili versi: per non svegliare gli altri due fui costretto più volte a tappargli la bocca finché non capì e si tacitò. Ottenuta un po’ di calma, mi dedicai all’inattesa serata di sesso. Inizialmente, ero determinato a fargli solo una grande sega; e cominciai a menare il cazzo con grande abilità ed anche con immenso piacere, visto che il mio amico aveva una bella dotazione da proporre: scappellare l’asta e tirare fino all’estremo la pelle del cazzo era piacevole e dava modo di ammirare l’enorme cappella rossa; con l’altra mano, però, mi piaceva anche raccogliere le grosse e gonfie palle che tenevo raccolte nella mano e strizzavo e violentavo anche per bloccare le sue istanze di sborrata.
Dopo un poco di questi giochi meravigliosi, mi salì direttamente dal profondo (forse dall’ano) il desiderio di assaggiare quell’asta e, inevitabilmente e quasi involontariamente, mi trovai chino sul suo ventre a saggiare con la punta della lingua la cappella rossa. Di lì a leccare l’asta tutto intorno e gustarmela sulla lingua, il passo fu assai breve; e subito dopo, inesorabilmente, le labbra si schiusero sulla cappella e la lasciarono entrare dolcemente nella bocca, accolta dalla lingua che iniziò un massaggio sensualissimo a quanto stava nella cavità orale; succhiare l’insieme fu un momento di raro entusiasmo. Godevo molto, a succhiare il cazzo di Raimondo, e non sapevo fin dove avrei voluto spingermi. Tra le altre cose, mi era tornata in mente la minaccia – promessa di Saverio, di rompere prima o poi “quel culo da mammoletta”: il mio culo non era più da mammoletta ma ancora non era stato violato e non pareva facile farlo fare ad un amico mezzo ubriaco per di più senza aver mai dato indizio della mia omosessualità (peraltro, ancora tuta da valutare). Decisi allora che un pompino poteva soddisfare tutte le esigenze in gioco. Accompagnandolo con una sega sapiente, cominciai allora a succhiare il suo cazzo con la dichiarata intenzione di farlo sborrare il più presto possibile.
Non fu necessario molto tempo né molti sforzi; dopo una trentina di risucchi fatti con tutta l’anima, sentii la mazza vibrare sempre più forte e, d’improvviso, il primo schizzo esplose nella mia bocca; lo fermai con la lingua e così feci con gli altri che lo seguirono. Quando il cazzo cominciò ad afflosciarsi, presi un fazzolettino dal comodino e vi sputai dentro la sborra che Raimondo aveva scaricato. Visto che lui intanto si era addormentato (forse nemmeno s’era accorto di avere sborrato) indossai il pigiama e mi ficcai a letto.
La vicenda con Raimondo non ebbe nessun seguito: tranne un leggero disagio di lui che, il giorno dopo, non si rendeva conto di cosa fosse successo, niente intervenne più e dopo qualche mese i tre, esaurito il corso di studi, ritornarono al paese. Il loro posto fu occupato da altre tre giovani, tutti provenienti dalla provincia, con i quali assai lentamente si stabilì una certa confidenza. Dai discorsi sempre più spregiudicati che si tenevano in casa, scoprii che erano tutti e tre, se non gay, quanto meno bisessuali e che i loro discorsi preferiti riguardavo scopate e scopatori di qualità. Allo stesso modo scoprii che in una via vicina c’era un cinema a luci rosse dove bazzicavano personaggi particolari, tra i quali il privilegio maggiore era per i grossi cazzi che ogni tanto apparivano sulla scena e facevano impazzire i frequentatori abituali. Il personaggio più “gettonato” in quel periodo si chiamava Saverio e veniva da un paesino che io avevo conosciuto nella mia infanzia. Il trillo d’un campanello nel cervello, una fitta al cuore e un prurito strano al buco del culo mi diedero il segnale che, forse, un certo “poi” poteva essere arrivato.
Non fu difficile individuare il cinema e, un pomeriggio, andarci; meno facile fu difendersi dalle infinite proposte che venivano da molte parti e dagli audaci toccamenti che, in quel momento, mi davano solo fastidio. Infine lo vidi e lo riconobbi subito. Difficile capire come un mandriano di un paesello sperduto avesse potuto diventare un amatore ricercato; ma era senz’altro lui; gli passai davanti, a bella posta, e notai un guizzo nello sguardo che mi diede la sensazione di essere stato riconosciuto. Mi spostai un poco più avanti e mi sistemai in una fila centrale, lontano da chiunque altro. Non aspettai molto; dopo qualche minuto, si venne a sedere a fianco a me “Ciao mammoletta” “Ciao, come stai?” “Io bene; e tu? Sei pronto a mantenere una vecchia promessa?” “Te la ricordi ancora?” “Non l’ho mai dimenticata. Forse sono qui anche per questo. E tu?” “Anche io non ho dimenticato e sono venuto per questo.”
Mi prese per un braccio e, come molti anni prima, mi guidò verso una lucina che indicava i cessi; entrato, sgombrò uno dei bagni con porta, cacciandone via in malo modo due che stavano scopandosi, mi spinse dentro, entrò e chiuse la porta alle sue spalle. La prima cosa che avvertii e che, in qualche modo, riconobbi, fu la sua mano sul mio culo, forte, calda, piena, autorevole, sensuale; poi la sentii infilarsi nei pantaloni e negli slip, il medio andò a tastare il buco del culo e fece pressione per entrare. “Bada che è rimasto vergine come era allora!” Lo avvisai. “Davvero?!?! Ma allora sei rimasto fedele alla promessa e sei qui per rispettarla!” “Forse …” Mi passò le braccia intorno, mi costrinse a girare la testa e mi baciò: era la prima volta che mi accadeva e mi sorpresi a godere la lingua grossa e rugosa che mi perlustrava la cavità; risposi leccando anch’io tutto il palato e i denti ad uno ad uno “Ti va di succhiarmelo un poco, prima?”
Senza rispondere, mi girai, gli aprii il pantalone e lo abbassai fino alle ginocchia facendo esplodere fuori il suo cazzo ancora più bello e robusto di come ricordavo, mi abbassai fino ad inginocchiarmi ed accostai alle labbra la sua cappella grossa come una testa di fungo, liscia come la pelle di un bambino, leggermente acre di sborra e di piscio. Un attimo dopo, il suo cazzo mi violentava la gola e cominciava a chiavarmi in bocca quasi con violenza: non era cambiato, Saverio, e la sua violenza nella scopata era rimasta inalterata; forse, in quell’ambiente, era la qualità che più lo faceva apprezzare. Mi chiavò per qualche minuto ed io, fedele alla storia dei rapporti, mi feci sbattere l’inguine fino sul viso, con il cazzo che affondava profondamente nella mia gola; e cercai anche di stimolarlo con la lingua che lambiva la sua cappella, che, nei momenti di sosta, andava a carezzare l’asta tutta.
Finché mi concesse di fare a modo mio ed io gli passai le labbra e la lingua su tutto il cazzo e poi sulle palle tese e gonfie di sborra. Con una delicatezza che assolutamente non mi aspettavo, mi riportò in piedi, tirò fuori un preservativo e mi chiese di srotolarglielo sul cazzo; intanto, tirava fuori dalle tasche un tubetto di crema, mi fece girare, mi slacciò i pantaloni e li abbassò alle caviglie, mi passò sul buco del culo un dito coperto dalla crema che aveva estratto dal tubetto ed io sentii le nocche che attraversavano lo sfintere quasi senza nessun fastidio per me. Ripeté l’operazione più volte, finché non fu evidente anche a me che il mio sfintere era pronto a ricevere la sua mazza. Mi fece girare e ancora una volta mi baciò con passione; io risposi con altrettanto entusiasmo “Adesso ti romperò il culo; poi sarà quel che sarà!” Mi sembrava che non ci fosse proprio niente da aggiungere.
Mi fece girare e fece pressione sulle mie spalle per piegarmi a pecorina; mi appoggiai al muro e spinsi indietro il culo; sentii nitidamente la massa enorme del cazzo che premeva sull’ano e spingeva; avvertii la dilatazione delle pareti che si aprivano a lasciare entrare il cazzo sempre più dentro; ebbi la tentazione di lanciare un urlo quando la cappella violò lo sfintere, ma riuscii a dissolverlo in un profondo respiro; subito dopo, il cazzo invase il mio intestino con tutta la sua potenza. Sentii le viscere ribellarsi e spingere tutto il ventre verso lo stomaco. Ma poi tutto passò di colpo e fui inondato dal piacere del cazzo nel culo; cominciai a muovere i muscoli interni e a carezzare il giocattolone che mi stimolava; cominciai a risucchiarlo quasi lo spompinassi. Aspettai con ansia il momento della sborrata: la volevo lunga, calda, intensa, cremosa. E fu quella: arrivò a spruzzi, ad ondate successive, mobilitò tutte le papille sensoriali del ventre ed io esplosi in un orgasmo assolutamente imprevisto: mentre Saverio scaricava dentro di me anni di attesa e di desiderio, io scaricavo sul pavimento del cesso la voglia di riceverlo nel culo, di essere finalmente in pace con me stesso, di dichiarare la mia sessualità vera.
E poi? “Adesso il culo finalmente è rotto; poi sarà quel che sarà!” Mi sembra che non ci sia niente da aggiungere.
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