Le sue insistenze si facevano ancora più pressanti e ardite quando uscivo per fare la spesa al supermercato: a suo avviso, quello era il posto ideale dove una “tardona” avrebbe potuto “acchiappare” un maschietto solitario (meglio ancora se in difficoltà) e sedurlo per una grande scopata. Puntualmente, ogni volta gli ripetevo che poteva essere davvero il momento buono e che, comunque, l’avrei portato a casa e che lui avrebbe fatto bene, durante la “tornata”, a rendersi praticamente invisibile. Su queste battute in genere ci salutavamo ed io andavo in giro per spese. Per la verità, anche da alcune amiche avevo sentito parlare spesso di incontri occasionali al supermercato che si erano conclusi con una stupenda mattinata di sesso sfrenato; ma per mia stessa natura ero portata a considerare quelle voci delle semplici leggende metropolitane. Sicché, inizialmente, non diedi molto peso al sobbalzo improvviso che mi prese quando, girando tra gli scaffali, mi “scontrai” con lo spettacolo di un bell’uomo - maturo, ma solido; elegante, dall’aria raffinata - che si muoveva impacciato nel reparto scatolame evidentemente sommerso da colori forme ed etichette del tutto sconosciute.
Istintivamente, mi accostai da buona samaritana e feci scontrare i carrelli per attaccare bottone: non si era ancora affacciata alla mente la “leggenda” degli incontri casuali al supermercato e cominciammo a chiacchierare di tutto e di niente. Come capita in certe occasioni, in due minuti mi aveva rivelato che era un ex alto dirigente d’azienda da poco pre-pensionato (circa sessant’anni, quindi, esattamente come avevo intuito) che era rimasto vedovo da poco e che da qualche giorno l’aveva abbandonato anche la donna che si era presa cura della moglie e poi di lui, una straniera chiamata all’improvviso in patria da una grave vicenda familiare. Questo spiegava largamente il suo imbarazzo e le difficoltà a giostrare in mezzo al mare di offerte. Sorrisi, anzi risi apertamente alla rivelazione che un uomo che per decenni aveva dominato dalla sua scrivania un’intera fabbrica si trovasse alla fine alle corde con barattoli e confezioni. Finimmo per riderne e continuammo a scegliere insieme quello che gli confaceva. Mentre parlavamo, l’occhio mi era caduto quasi per caso sulla patta; e, benché il perfetto taglio dell’abito mascherasse benissimo i particolari, avevo osservato benissimo la bazza che i pantaloni celavano. Il primo sobbalzo allora si ripeté e qualche fantasia si affacciò alla mente.
C’è da dire che proprio quella mattina, mentre mi lavavo la figa, mi era esplosa all’improvviso e assolutamente imprevedibile un’irrefrenabile voglia di cazzo. Mi ero trovata di colpo a martoriarmi il clitoride in cerca di un orgasmo liberatorio che era alla fine arrivato, ma solo dopo un lungo e laborioso trattamento di vulva vagina e clitoride, al punto che Peppe mi aveva sollecitato a fare presto a uscire dal bagno. Quella sensazione mi aggredì adesso, mentre osservavo la patta rigonfia e mi correvano alla mente immagini di un cazzo notevole che mi stimolasse tutti i precordi del sesso. Continuai con lui il tour degli scaffali, per i miei acquisti e anche per i suoi (ben poca cosa, in realtà); lo guidai anche alla cassa spiegandogli i meccanismi per sveltire il passaggio. Usciti all’aperto, gli chiesi dove avesse la macchina; mi rispose che era venuto a piedi, visto che abitava a breve distanza; premurosamente, a sua volta, mi chiese della mia e gli dissi che era nel parcheggio sotterraneo; insistette per accompagnarmi e una volta arrivati, mi chiese se avevo bisogno di aiuto per il notevole carico che portavo. Pensai che fosse un segno del destino e gli comunicai che saremmo andati insieme a casa mia a scaricare la spesa e successivamente lo avrei accompagnato a casa sua. Accettò e prendemmo posto.
Ormai ero completamente presa dal senso dell’avventura e decisi di rompere gli indugi: al primo semaforo, in coda per il rosso, feci scivolare delicatamente la mano sulla coscia e la portai sulla patta dei pantaloni dove incontrai quello che avevo intuito, un cazzo di notevole stazza, appena compresso nell’intimo, che al contatto delle dita ebbe uno scatto violento e si rizzò verso il ventre; lui appoggiò una mano sulla mia e la strinse più forte sulla patta. Non c’era bisogno di dirsi altro. Guidai come in trance fino a casa - pochi metri, in fondo, meno di un chilometro - e non entrai nel garage ma parcheggiai davanti all’uscio. Premurosamente mi aiutò a portare in casa le buste della spesa e le sistemammo sul pavimento di cucina; gli indicai il sofà in fondo al salone e mi diressi allo studio di Peppe; lo trovai, come sempre, profondamente immerso nel suo computer. “Per le prossime ore non azzardarti a dare il benché segno di vita!” lo ammonii; fece cenno di “ok” con le dita e mi strizzò l’occhio; uscii. Trovai Franco (così aveva detto di chiamarsi) sdraiato sul sofà che gli avevo indicato; mi accostai in faccia a lui, sollevai la gonna fino alla vita, montai con le ginocchia sul mobile e mi incollai alle sue labbra mentre adagiavo l’inguine sul suo per assaporare la consistenza della mazza che reagì premendo con forza sul mio basso ventre.
Era bravo a baciare; ma lo era ancor più ad accarezzarmi. La sua lingua mi frullava nella bocca esplorandola tutta mentre le mani si muovevano abilmente sulle tette alla ricerca dei capezzoli; sentii la sua lingua penetrare profondamente verso l’ugola e cominciai a succhiarla come fosse un piccolo cazzo; la mia figa cominciava ad inumidirsi per i primi accenni di preorgasmo; intanto, le mani esploravano tutto il mio petto soffermandosi sulle mammelle piene e sui capezzoli ritti e gonfi; poi si spostavano verso la vita e la cingevano per accarezzare la schiena; in un solo gesto mi sfilai la leggera maglietta e il minuscolo reggiseno offrendo le tette in tutta la loro esplosiva bellezza (sono sempre state un mio vanto personale!); poi le sue mani si mossero verso la schiena e presero a perlustrarla tutta, dal collo alle reni; sganciò il fermaglio della gonna, fece scorrere la zip e mi perlustrò le natiche a palme larghe. Intanto, continuavamo a divorarci le bocche in un bacio infinito in cui, alternativamente, lui mi offriva la lingua da succhiare come un piccolo cazzo ed io infilavo la mia nella sua per perlustrarla tutta e ricevere lo stesso trattamento di risucchio.
Le sue mani percorsero le natiche in tutta la larghezza, poi si infilarono con decisione nel minuscolo slip e percorsero, dall’alto in basso, con i due indici affiancati, la larga fessura che separa le natiche, finché incontrarono il forellino posteriore. Cominciò a ruotare le dita intorno all’ano, quasi perlustrandone le singole pieghe, e spinse gli indici verso l’interno, tirando dai due lati per allargare il foro: mi sentivo già profondamente penetrata ed ero assai vogliosa di esserlo fino in fondo. Intanto, gli avevo sfilato con un po’ di equilibrismi la giacca estiva e gli avevo aperto la camicia di seta; mi fermai un attimo a considerare la leggera peluria bionda che gli copriva il petto e cominciai a vellicarlo passandoci il viso con sensualità; scoprii, al contatto con le labbra, che i suoi capezzoli erano grossi e duri: glieli succhiai golosamente come lui aveva fatto coi miei. Sentivo che la posizione gli procurava molto fastidio, perché il cazzo aveva raggiunto una dimensione più che notevole e premeva contro slip e pantaloni fino a dolergli; spostai le sue mani dal mio culo, mi scavallai e scesi dal divano per permettergli di alzarsi in piedi e spogliarsi. Buttò via in un solo colpo pantaloni, slip e mocassini, si liberò della camicia, mentre io facevo altrettanto con la gonna e gli slip: restammo nudi in piedi e ci abbracciammo di nuovo con foga; stavolta sentivo nettamente - e con gioia - la grande consistenza del cazzo che mi schiacciava sul ventre fin più su dell’ombelico; abbassai una mano tra i due corpi finché riuscii a stringerlo tra le dita; il primo di una serie infinita di orgasmi mi esplose in figa solo a questo primo contatto.
Non fu facile staccarsi dal bacio intenso che ci stavamo scambiando; ma avevo voglia di altro e feci in modo da ruotare insieme per essere io di spalle al divano, mi staccai, mi sedetti in punta sul mobile e portai il cazzo all’altezza del mio viso. Cominciai a leccargli le palle, mentre con la destra tenevo l’asta puntata in alto, e ne assaporai la consistenza, la pienezza, il vigore; poi passai a leccare l’asta, dalla radice alla punta, disegnando ghirigori con la lingua su tutta la superficie; insistetti a lungo sulla base della cappella, sul frenulo e sul buchetto: ogni volta, gli strappavo lunghi gemiti di piacere. Non avevamo detto una parola, in tutto il tempo; e i suoni del nostro piacere erano solo singulti e mormorii: ero certa che Peppe non avesse udito niente fino a quel momento; ma conoscevo la perversione del suo piacere ed ero certa che in qualche modo ci stesse osservando. Lo vidi mentre portavo alla bocca la cappella di quel cazzo enorme e meraviglioso: per un breve attimo lo scoprii nello spiraglio della porta che osservava con appassionata partecipazione; inoltre, sembrava avesse in mano un oggetto, forse la microcamera che spesso usava per spiare.
Quasi per solidarietà, accentuai la sensualità di quella penetrazione orale: feci scivolare lentamente e dolcemente il cazzo fra le labbra e mi soffermai più volte a lambirlo con la lingua dentro la stessa bocca, a succhiare dolcemente la parte di mazza che avevo ingoiato; ci misi quella che mi sembrò un’eternità a farlo scivolare fino in fondo e, testardamente ma voluttuosamente, non mi fermai finché il sacchetto delle palle non toccò il mio labbro inferiore: adesso l’avevo tutto in bocca e lo succhiavo come un neonato fa con la tetta di mamma. Mario mi fermò e, con delicatezza, spinse la mia testa indietro “Non resisterei a lungo e non ho intenzione di venire subito!” Abbandonai la presa e accennai di si con testa. Mario mi spinse leggermente verso lo schienale e mi trovai sdraiata di traverso sul divano; mi prese le gambe dietro le ginocchia e le alzò oltre il livello della seduta; si inginocchiò davanti e, sempre tenendomi le cosce alzate e divaricate, accostò il viso all’inguine: appoggiai i talloni sulle sue spalle e mi spalancai al massimo.
Cominciò accarezzandomi l’interno delle cosce: partì dalla piega delle ginocchia, su tutti e due i lati, ed avanzò lentamente verso la figa perlustrando sensualmente ogni millimetro di pelle; arrivato alle grandi labbra, le solleticò con gli indici, contemporaneamente; ogni tocco mi provocava contrazioni violente della vagina e scatenava umori che sentivo scorrere a fiotti lungo la figa giù verso l’ano. Entrò con due dita, una per mano, e stimolò dolcemente e lentamente le piccole labbra provocandomi ancor più frequenti contrazioni; lo sentii penetrare nella vagina con quattro dita, due per mano, e mi sentii aprire come mi squartassero: godetti intensamente e sbrodolai a lungo. Trovò il clitoride e lo strinse tra due dita; lo masturbò a lungo. Ero fuori di me dalla goduria. Poi si accostò con la bocca e prese a lambirmi l’interno delle cosce: in testa mi esplodevano fuochi d’artificio di tutti i colori; quando la sua lingua penetrò nella vagina come un piccolo cazzo, ebbi una serie di sussulti e gli sborrai in bocca; bevve devotamente tutto. Quando la sua bocca si impadronì del clitoride e cominciò a succhiarlo come un autentico piccolo cazzo, non riuscii a trattenere un piccolo urlo.
Mi ricordai di Peppe e mi girai a guardare se fosse là: approfittando della posizione di schiena di Mario, si era affacciato ancora più esposto e apertamente riprendeva tutto con la microcamera. Allargai ancora di più le cosce e spinsi la figa contro la testa di Mario, per fargli capire che avevo visto; sorrise e strizzò un occhio. Mario intanto aveva ritirato le dita dalla figa e le sue mani avevano artigliato le mie natiche, afferrando con forza ciascuna una chiappa; mi sentii sollevare leggermente dal divano in una posizione difficile per la mia cervicale: ma il piacere era tanto che neppure ci badavo. Avvertii invece che i suoi pollici si univano sull’ano e lo forzavano con delicata decisione; sentivo le pieghe del buco distendersi ed aprirsi mentre le due dita spingevano in direzione opposta a mi abbandonai al piacere della piccola violenza di un ano dilatato all’inverosimile.
Di colpo, mi sollevò un poco più in alto, staccò la bocca dal clitoride e, dopo un attimo, avvertii la dolce freschezza della lingua che percorreva l’ano martoriato. Quasi istintivamente, cominciai ad attivare i muscoli interni del culo contraendoli e rilassandoli così da risucchiare dentro la lingua che leccava l’ano; avvertito il movimento, spinse con più foga la lingua che sembrava penetrarmi meglio di un cazzo di piccole dimensioni; i pollici, intanto, continuavano a premere verso l’interno e a strappare verso l’esterno favorendo la penetrazione. Mi prese un’ansia violenta di stupro: sentivo tutti i muscoli dell’intestino convergere su quell’unico punto e risucchiare quanto fosse possibile, fui avvolta da una nebbia di piacere che mi sconvolse “Voglio il cazzo dentro!!!!!!” pensavo con intensità, ma mi limitai a gemere dolcemente. Sentii che mi chiavava a lungo con questo piccolo cazzo tanto dolce, tanto delicato e tanto violento: sborrai più di una volta e sentii i miei umori scorrere dalla vulva verso l’ano e nella sua bocca. Continuò imperterrito a lappare, a penetrare a farmi godere. Ma io non resistevo più nell’attesa: volevo il cazzo dentro, ad ogni costo. Sembrò leggermi nel pensiero e, di colpo, si staccò, mi prese per la vita e mi spostò sul divano fino a farmi assumere una posizione più comoda, supina sulla seduta e oscenamente scosciata; salì in ginocchio sul divano, si sistemò in ginocchio fra le mie cosce e potei vederlo tutto.
Mentre tentavo di dare un ritmo regolare alla respirazione e lasciavo per un poco rilassare i muscoli del ventre e dell’inguine, mi sorpresi a pensare che, cazzo, era proprio un bell’uomo, uno che mi sarei scopato in qualunque momento della vita e in qualunque condizione. A sorprendermi, però, fu il suo cazzo che vedevo solo adesso da una posizione e da una distanza favorevoli: dimensione tendente al grande più che al medio, conformazione regolare con piccola curvatura al centro, cappella grande completamente scoperta, insomma un cazzo di tutto rispetto anche per me che ne avevo divorati moltissimi, in ogni buco. Ma non incuteva timore, specie dopo averlo visto in azione; anzi, solleticava il desiderio di prenderlo tutto dentro, da tutte le parti. Si abbassò un poco a succhiarmi un capezzolo e sentii nettamente la cappella accostarsi alle grandi labbra. Dopo quanto aveva fatto al mio culo, ero certa che volesse entrare direttamente lì e mi preparavo ad accoglierlo a dovere. Invece, usò la mano sinistra per guidarlo e lo accostò alle piccole labbra; ebbi immediatamente un primo fremito di voglia ancora insoddisfatta; si appoggiò con le mani alle mie spalle e cominciò a far avanzare la sua mazza lentamente nella vagina. Lo sentivo entrare centimetro per centimetro e avvertivo nettamente tutte le contrazioni che l’ingresso provocava alle pareti della vagina che pulsavano, sussultavano, lo abbracciavano, lo stringevano e si stimolavano alla nuova intrusione; ogni movimento era fonte di goduria e, di tanto in tanto, di piccoli orgasmi.
Finalmente avvertii l’urto della cappella contro il collo dell’utero, la durezza del suo osso pubico contro il mio e la potenza delle palle che picchiavano contro il mio ano martoriato: non so se la sensazione fosse di un girone infernale o di un cerchio angelico, ma so per certo che godevo come una pazza e che sborravo come una fontana rotta. Pensavo che mi volesse montare alla grande e, in qualche modo, mi preparavo ad essere sbattuta con forza; invece, cominciò a scivolare delicatamente su tutto il mio corpo, in maniera che il cazzo a sua volta entrasse ed uscisse delicatamente dalla vagina. Spesso, addirittura uscì quasi del tutto per rientrare con la stessa delicatezza. Solo un paio di volte entrò con forza e picchiò con violenza la cappella contro il collo dell’utero: ed anche in quelle occasioni fuochi di artificio di tutti i colori mi esplosero negli occhi e nella testa. Ormai ero in un vortice di piacere che mi faceva perdere il senso di tutto. Non arrivò a sborrare: nonostante le manipolazioni, nonostante la lunghezza della scopata, benché mi avesse fatto letteralmente allagare il divano con gli umori dei miei orgasmi, nonostante tutto, non concluse ancora. Di colpo, si fermò e delicatamente sfilò la sua mazza dalla mia figa.
Si staccò un poco e mi fece cenno di girarmi, accompagnando il gesto con le mani che mi ruotavano. Approfittai del movimento per verificare se Peppe fosse ancora nella sua postazione: c’era e, per la posizione che avevamo assunto, poteva continuare a riprenderci senza problemi. Sorrisi felice, conoscendo bene il suo gusto per il voyerismo (ora più che mai obbligatorio) e la sua tendenza cockhold che nello specifico diventava provvidenziale; se e accorse e mi incitò, con un sorriso, a continuare. Mi sistemai carponi, convinta che - come avevo sospettato - il buco del culo fosse il suo obiettivo finale; ma lui mi premette delicatamente sulle natiche e mi obbligò a stendermi bocconi sul divano. Ero un po’ perplessa: tutte le volte che lo avevo preso nel culo, nella mia lunga esperienza, la pecorina era risultata la posizione più naturale, più congeniale, insomma più giusta. Ma lui non era dello stesso avviso. Si distese su di me, come aveva fatto per scoparmi in figa, manipolò il cazzo tra le mie natiche finché avvertii la punta della cappella sull’ano; mi artigliò le chiappe e, come aveva già fatto prima per penetrarmi con la lingua, accostò i pollici al centro, premette con forza progressiva per farli penetrare nel culo, aprì al limite del possibile l’ano stendendo tutte le pieghe, accostò di nuovo la cappella e cominciò a premere per farla entrare.
Anche stavolta si mosse con delicatezza e lentezza quasi esasperante. Scivolando su di me con tutto il corpo, faceva avanzare il cazzo di pochi centimetri (spesso, solo millimetri) e si ritraeva un poco per rientrare un poco più a fondo. Cominciai a provare un piacere indicibile alle sue manovre e, quasi autonomamente, i muscoli interni cominciarono l’opera di risucchio e di assorbimento dell’asta in sintonia con le sue spinte: in altre parole, adesso erano i muscoli del mio intestino (lo sfintere primo tra tutti) a dettare tempi e modi della penetrazione. Assorbivano letteralmente il cazzo con infinita lentezza e con sussulti continui che provocarono orgasmi in successione che si sarebbero conclusi (come sapevo bene) con una esplosione stellare. Non volli calcolare (e forse non si sarebbe potuto) quanto tempo impiegò a penetrarmi e quanti orgasmi questo procedimento mi stimolò: ormai ero nella dimensione di un’altra galassia. Mi accorsi che era tutto dentro quando sentii i suoi peli pubici solleticarmi l’ano; infilai una mano tra le cosce e trovai, all’altezza della vulva, le sue palle gonfie che premevano contro: in un raptus di lussuria ne infilai una direttamente in figa, a contatto col clitoride. Naturalmente, questo mi provocò un ulteriore feroce orgasmo che mi squassò le visceri sia verso l’utero che verso l’intestino. Ormai non sapevo più da dove sborravo, se dalla figa o dal culo.
Temevo che, da un momento all’altro, il “giro in giostra” avesse termine: aveva resistito fin troppo a lungo ed era naturale pensare che stesse per concludere. Ma Mario non era della stessa opinione. Cominciò un lungo processo di vai e vieni, anche se - almeno stavolta - più rapido e determinato: sfilava l’asta dal culo fin quasi a farla uscire e si godeva lo spettacolo del mio foro spalancato con il cazzo dentro per metà; mi accarezzava le chiappe, le natiche, persino la schiena e si dilettava a solleticarmi lussuriosamente su tutta la pelle provocandomi brividi di piacere; riaffondava fino in fondo e premeva per stimolarmi altro piacere; ritirava ancora l’asta per metà e si metteva ad accarezzarmi i capelli, a strizzarmi le tette schiacciate sul divano, a titillarmi la figa. Furono minuti di piacere più che intenso, spesso delicato, spesso quasi violento, che accompagnavano il mio ormai infinito sbrodolamento di umori dalla figa. Aspettavo solo che arrivasse alla conclusione: il mio obiettivo era la sua sborrata che, ormai ne ero certa, sarebbe arrivata direttamente nell’intestino. Anche per lui il momento di concludere sembrava arrivato. Dopo un’ultima lunga carezza sulle natiche e dolci ghirigori disegnati con le dita sul mio ano dilatato, intorno al suo cazzo, si sistemò in ginocchio dietro di me, mi prese per le anche e, senza tirare il cazzo, mi fece alzare fino a portare il mio culo all’altezza del suo inguine.
Spinse con un solo colpo ed io sentii lo schiocco delle mie chiappe contro la sua pancia, mentre con improvviso stupore il mio ventre esplodeva in una girandola di sorpresa, di dolore e di orgasmo. Non so da dove sborrassi perché in quel momento culo e figa facevano un tutt’uno; e non fu che il primo: per quattro volte mi spinse in avanti e quasi uscì del tutto, poi mi tirò indietro quasi con violenza contro la sua pancia; ed io ogni volta sborravo in maniera diversa. Non avevo mai goduto tanto, in vita mia. E dire che ne avevo fatte di tutti i colori. In quella indicibile girandola di emozioni, tutte enormi, tutte diverse, tutte stratosferiche, mi colpì che, d’un tratto, avvertissi nell’intestino il getto del suo sperma. In quelle condizioni temevo proprio di perdere l’attimo che per me è stato sempre il più importante nel fare sesso, quello cioè in cui il cazzo esplode la sua sborrata nel mio culo. Non che mi dispiacciano le sborrate in figa, in bocca o sul corpo; ma quella nel culo ha avuto per me sempre un misterioso fascino superiore, una sorta di frustata che conclude tutta l’esperienza della scopata e ti dà il senso e la gioia di averlo fatto. La sborrata di Mario fu proprio questo: nonostante il tourbillon di emozioni, l’avvertii con chiarezza e me ne lasciai prendere con entusiasmo; per la prima volta in tutta la “giostra” mi lasciai andare ad un urlo che non aveva niente di umano e che sintetizzata tutta la lussuria che avevo accumulato in quella scopata.
Anche Mario non riuscì a trattenersi e accompagnò i getti di sborra con altrettante urla (non ricordo e non voglio ricordare quante!). Per un attimo pensai che Peppe potesse essersi spaventato, ma fu solo un attimo per me che sapevo quello che era stato capace di fare nella nostra vita comune. Ci accasciammo sfiniti sul divano, l’uno sull’altra; poi, rapidamente Mario si scavallò dal mio corpo ed io mi precipitai in bagno per funzioni fisiologiche urgenti; quando tornai in sala, fece un cenno con la testa per chiedere il permesso e, al mio assenso, si avviò al bagno. Al suo ritorno, ci rivestimmo con calma e restammo seduti per un po’ in silenzio, quasi per riprenderci; poi lui sussurrò “Avevo sperato di non concludere subito, ma non sono più in grado di reggere molto.”. Lo guardai sorridendo ironica “Non stare a preoccuparti; non sono neanche io una ragazzina: se mi avessi chiesto di continuare ti avrei risposto - No grazie non ce la faccio più -“. “Comunque è stato meraviglioso. Pensi che potremmo rifarlo?” “Non posso darti una risposta: devo prima parlarne con il mio compagno” Vidi che sgranava gli occhi per le sorpresa come se gli avessi presentato un fantasma; mantenne a lungo quell’aria interrogativa. Mi vidi allora costretta a spiegare almeno in parte. “Adesso non posso spiegarti e forse nemmeno capiresti. Se ci dovesse essere un’altra occasione, vorrebbe dire che la situazione è cambiata e, in questo caso, sarebbe giusto e necessario spiegarti tutto. Per ora, andiamo che ti riaccompagno a casa. Così, conoscendo i nostri recapiti, se si presentasse l’opportunità di un’altra occasione sapremmo come ritrovarci”.
Uscendo, incrociai lo sguardo di Peppe ancora appostato; gli feci “ciao” con la mano e uscimmo. Lo accompagnai a casa sua e rientrai in fretta per parlare con Peppe; lo trovai entusiasta che già si guardava il filmino girato. “Niente male.” Commentai. “A cosa ti riferisci?” Chiese sornione. “Al film, naturalmente.” Risposi ironica. “Anche lui non è male; penso che sia quasi ideale per te e che meriti anche una come te.” Stavolta era serio. “Pensi che ci sarà un’altra volta?” Sapevo che aveva ascoltato il colloquio. “Intanto, godiamoci il film; poi vedremo.” In fondo, era il suo modo per dire si senza esporsi.
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Aggiunto: 5 anni fa
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Tradimenti