Come era prassi ogni anno, le quattro fresche spose fummo convocate dal medico condotto che ci inviò all’ospedale della vicina città per verificare la nostra capacità di procreare: in una civiltà strutturalmente contadina ed arcaica, risultava pregiudiziale a tutto e fondamentale per il matrimonio. La noia cominciò la mattina assai presto, con l’unica corsa dell’autobus che aveva luogo in ora antelucana. Continuò poi in città con le enormi difficoltà a orientarci; e peggiorò in ospedale dove gli infermieri ci facevano spogliare continuamente e completamente per le visite, per le radiografie, per i controlli (ma di più, secondo me, per ammirare integralmente delle belle ragazzotte montanare bene in carne); i medici infilavano le mani dappertutto e qualcuno pareva godesse a tenerle dentro l’intimo fin oltre il lecito: insomma, il nostro profondo senso del pudore ne risultò logorato e offeso. Infine, il versamento di urina in contenitori microscopici e la raccolta delle feci che mi fece alquanto schifo. La parte più dolorosa, per ragazze come noi poco avvezze all’ago della siringa, fu il prelievo del sangue. Poi il tormento si concluse con il viaggio di ritorno, in pomeriggio avanzato.
Qualche giorno dopo, il medico condotto mi convocò all’ambulatorio: considerata la particolarità della richiesta, mia madre si precipitò ad accompagnarmi. Il referto ci gelò: il mio utero, per una conformazione particolare, non era in grado di procreare. Per mia madre fu una vera mazzata che la stordì. Inutile dire che in breve tutto il parentado entrò in lutto per la novità e tutto il paese commentò la notizia nella maniera più varia: il commento più acido fu “Così potrà scopare senza problemi” che, nella interpretazione del posto valeva un esplicito “puttana”. Antonio sembrava non essersi reso conto del significato della notizia: continuò imperterrito a montarmi tre volte a notte e ad addormentarsi dopo ogni sborrata, quasi che il problema non esistesse. Solo col tempo ne avrebbe preso coscienza e avrebbe deciso di non tornare più a San Rocco dimenticando la moglie. Io presi la notizia con rabbia incontenibile: più di ogni altra cosa, mi faceva incazzare l’idea di essermi costretta ad accettare la violenza di un marito - animale solo in nome della continuità della famiglia e di trovarmi ora a sopportarlo senza neanche quella prospettiva. L’unica consolazione veniva proprio da quella considerazione di “puttana” libera di scopare che apriva un nuovo paesaggio di corna al marito - animale.
Dopo lo “svezzamento” di Genny, dopo la sperimentazione di libertà con il forestale e dopo la progettazione di scopate con Nicola, il fatto di non dovermi più preoccupare di dove finisse la sborra mi metteva in condizione di sperimentare il sesso in tutte le sue forme e possibilità. Rispondevo con uno sberleffo alle paesane che mi esibivano i figli come ipotesi non prevista per me e cominciai a sculettare con aria provocatoria di fronte a qualunque maschio, quasi a sottolineare “Io posso e voi no”. Un’altra novità di quella settimana fu rappresentata dall’arrivo di una macchina dalla Svizzera con quattro paesani che avevano dovuto ritardare la partenza. Con loro c’era anche un quinto passeggero, un tale Mario, che in Svizzera condivideva con Antonio il lavoro, la camera e, in qualche modo, l’esistenza. Mario era però l’opposto esatto di mio marito. Fine nei modi, elegante nell’abbigliamento, bello di aspetto e senza i limiti di struttura che caratterizzavano i paesani, montanari tozzi, muscolari e sgraziati.
Lui e mio marito mi piombarono in casa a mezza mattinata, mentre ancora rassettavo; e solo allora Antonio mi comunicò che il suo “caro amico Mario” sarebbe stato nostro ospite per tutto il giorno, avrebbe dormito nel divano del soggiorno e sarebbe ripartito l’indomani mattina per la città dove avrebbe ripreso il viaggio che lo portava a casa sua, qualche centinaio di chilometri più a sud, in un’altra regione. Capii che anche lui aveva ritardato la partenza dalla Svizzera e aveva approfittato, per risparmiare, del passaggio in macchina per il percorso maggiore. Dissi che non c’erano problemi e che avrei preparato il letto sul divano; Mario si presentò con molto garbo, addirittura abbozzò un baciamano e “Felicissimo di conoscere una donna incantevole come lei, signora Cristina” disse con molto sussiego. Antonio reagì a modo suo: ”Ma che le dai del lei e la chiami “signora”: Cristina è solo mia moglie, niente altro!” “Si vede che non sei in grado di apprezzare il bello anche se ce l’hai sotto il naso tutto il giorno!”; Mario insisteva ad essere galante; “Forse è meglio se mi chiami Cristina e ci diamo del tu” intervenni cercando di essere conciliante “Se me lo permetti tu, ne sarò felicissimo” concluse Mario e si apprestò a seguire Antonio che non vedeva l’ora di tornare al bar a giocare e bere con gli amici.
Mario, su mia indicazione, poggiò in un angolo la sua valigia e lo seguì senza entusiasmo: “Se tu vai al bar, io faccio una passeggiata nel paese: non mi va di rinnovare anche qui la noia delle solite facce nel solito bar; già in Svizzera è troppo” “Se lo preferisci, puoi anche riposarti un poco prima del pranzo; io ho lasciato in sospeso una partita e non voglio perderla”. Mario mi chiese se poteva starsene sdraiato un poco per riprendersi dal viaggio; gli proposi di preparare un caffè e accettò. Vivevo con un certo imbarazzo la situazione di un estraneo che restava solo con me in casa: ma era stato mio marito a volerlo e quindi non avevo nessuna responsabilità; il pizzico di vanità che ormai mi agitava dentro però si era espanso oltre ogni limite di fronte al garbo ed al velato corteggiamento di Mario: una volta preparata la macchinetta e messa sul fuoco, mi precipitai in camera, tolsi il camicione che avevo per la cucina e indossai una gonna fresca, leggera ed ampia, con sopra una camicetta alquanto trasparente. Non indossai reggiseno e neanche mutande.
Sull’uso delle mutande, c’era una vivace discussione tra le ragazze del paese: le generazioni più giovani avevano imparato ad usare mutande di tela, spesso confezionate in casa, semplicemente per arginare eventuali fuoruscite involontarie; le giovanissime si sbizzarrivano sulle riviste di moda con i modelli più recenti di mutandine e slip, ma difficilmente potevano permettersene. Girare per casa senza intimo, con una gonna “ti vedo - non ti vedo” e una camicetta semitrasparente diventava quindi un modo civettuolo di attizzare i presenti; ma anche una soluzione per essere elegante senza strafare. Sicché, quando tornai nella sala e mi dedicai al caffè, desideravo molto che gli occhi di Mario si fissassero sulle mie nudità e che facesse qualcosa per sollecitare il mio desiderio di attenzione e, perché no, la mia voglia di vendicarmi della grettezza di Antonio, piantandogli un paio di corna inequivocabili e meritate.
Cominciai a sculettare con civetteria mentre mi muovevo; in più occasioni, mi piegai eccessivamente in avanti per fargli ammirare la linea perfetta del mio culo e delle mie tette; ogni tanto lanciavo occhiate assassine sul suo pacco che vidi crescere molto e rapidamente; quando mi chinavo in avanti con le scuse più banali (raccogliere un oggetto, spolverare un angolo e così via) di sottecchi osservavo se il suo sguardo si posava sul mio culo; in alcuni momenti, sentii lo sguardo attraversare gli abito e posarsi sulle natiche o sulle tette. Avrei voluto scopare immediatamente: sapevo che Antonio non sarebbe rientrato prima di un paio d’ore, giusto col pranzo in tavola; e non mi dispiaceva l’idea di “fare qualcosa” in quel lasso di tempo. Ma avevo anche la sensazione che Mario fosse troppo “perbenino” per fare le corna ad un amico mentre era ospite in casa sua; e non trovavo un modo per spingerlo.
Avevo appena spento il fuoco sotto la macchinetta del caffè, quando Mario mi chiese di andare in bagno e glielo indicai: all’ultimo momento, rendendomi conto che non c’era un asciugamano “di cortesia”, mi precipitai davanti a lui verso il bagno; sulla porta, mi trovai stretta fra lo stipite e lui che, inevitabilmente, si trovò col ventre appiccicato al mio culo; sentii nettamente il volume del cazzo che mi premeva sulle natiche e mi resi conto che era bello grosso; mi soffermai a gustarmelo e mi ci strofinai un poco con la conseguenza di sentirmelo crescere dietro. Scusandomi per non aver pensato prima agli asciugamani per lui, lo precedetti in bagno, ma lui entrò immediatamente dopo e chiuse la porta alle sue spalle. Mentre io fingevo di trafficare con i teli da bagno, mi venne alle spalle e fu lui a piantarmi con decisione il cazzo nel canale tra le natiche; mi afferrò da dietro le tette con le mani e cominciò a strusciarmi il cazzo tra le cosce e le natiche, in maniera confusa e occasionale, provocandomi fitte di piacere; cominciai a bagnarmi e allungai la mano dietro al culo per catturare il cazzo: lo trovai e lo afferrai da sopra al pantalone.
Sentii che si irrigidiva e capii che era titubante per l’arrivo di mio marito. “Prima che sia in tavola non viene; abbiamo un po’ di tempo” sussurrai; Mario aprì deciso il pantalone e mi appoggiò il cazzo in mano. Era bello grosso, come avevo intuito; e trovai il piacere previsto a menarlo per tutta la lunghezza fino alla cappella che giganteggiava in cima: il cerchio formato da pollice e indice non riusciva a chiudersi intorno alla grossezza dell’asta; e la mia mano lo conteneva solo per un terzo circa. Sentii che mi sollevava la gonna fin sulla vita e appoggiai immediatamente l’asta bollente fra le cosce, tra ano, perineo e vulva; mi mossi un poco avanti e indietro per sentire il bastone di carne sollecitarmi tutte le parti sensibili del sesso; guidai dolcemente la cappella verso le grandi labbra: quando ve lo appoggiai, mi resi conto che era una bella sberla da far entrare; ma la voglia determinata, gli umori colati e una figa ormai non più stretta fecero sì che la mazza mi piombasse dentro senza problemi. Lasciai l’asta e portai la mano fra le cosce, afferrai la figa e cominciai a sfregarla; presi fra due dita il clitoride e lo masturbai a lungo, amorevolmente; quando Mario mi sussurrò in un orecchio “Sto per sborrare: cosa faccio?” io non ebbi esitazioni “Va’ fino in fondo” dissi e accentuai il movimento sul clitoride sicché sborrammo insieme con urla soffocate.
Quando ci fummo un poco calmati, Mario andò sul water ad orinare ed io mi sedetti sul bidet, scaricai orina e sborra insieme; poi mi lavai la figa, mi asciugai e tornai in sala. Mario era in evidente imbarazzo “Mi dispiace … non volevo … è stato più forte di me” continuava a balbettare. “Calmati” lo rimproverai “non crederai di essere stato solo tu. Anch’io l’ho voluto. E se hai capito chi è mio marito, non ti deve essere difficile dedurre perché l’ho fatto. E, per spiegarti che non sono pentita, ti aggiungo pure che il tuo garbo, la tua educazione, il modo stesso con cui mi hai scopato sono l’esatto opposto di lui; sei stato la compensazione di tante violazioni che lui mi fa a letto.” “Cosa fa?” “Mi monta, si sbatte una decina di volte e si mette a dormire.” “E a te?” “A me? Niente! Io per lui non esisto, sono solo una figa da riempire di sborra!” La rivelazione sembrava veramente colpirlo: “E questo tutte le notti?” “Tre volte a notte!” “Come provvedi?” “Quando mi riesce, mi masturbo. Se poi mi capita un bell’uomo con un bel cazzo, con modi gentili, che mi scopa con amore e con raffinatezza, allora non ti meravigliare se me lo faccio. E’ solo una piccola rivincita, ma me la faccio bastare.”
Finalmente ci sedemmo a bere il caffè che fu solo l’occasione per riprendere ad accarezzarci e a ricoprire di baci e le mani e le braccia. Finché mi alzai, gli andai vicino, lo feci alzare in piedi e lo baciai con grande trasporto: la mia lingua saettò immediatamente nella sua bocca che prontamente si aprì a riceverla; si avviò un intreccio fra le due lingue che caricava di desiderio l’abbraccio, col cazzo che si strusciava sulla figa attraverso gli abiti e le mani che tormentavano i capezzoli e le aureole provocando incontenibile eccitazione. Presa dalla smania di sesso, gli aprii di nuovo la patta e tirai fuori il cazzo, di nuovo in tiro e ritto come un dardo: lo segai per qualche momento godendomi le pulsazioni delle vene che correvano lungo tutta l’asta; poi accennai a piegarmi sulle ginocchia; Mario capì e accompagnò il movimento con le mani sulle spalle; mi accosciai sui talloni e baciai in punta la cappella che venne a trovarsi giusto all’altezza della bocca; passai la lingua sulla cappella e, inumiditala, la lasciai entrare in bocca, dove continuai a titillare il forellino con le punta della lingua, leccai un poco anche l’asta, disegnando ghirigori di saliva; spostai il cazzo verso la guancia e continuai a solleticarlo con la lingua; lo spostai di nuovo verso il palato e, coi movimenti della testa, me lo feci entrare dentro, verso la gola fino all’ugola.
Mario mi lasciava fare e godeva del mio trattamento; i suoi mugolii erano il segno inconfondibile che si stava godendo il pompino. Ad un tratto cominciò a muovere il bacino spingendomi il cazzo in gola; lo assecondai per un tratto prendendone quanto più potevo in gola; poi un conato di vomito mi impose di smettere e tirai indietro la testa; si fermò per qualche tempo, poi riprese a scoparmi in bocca con più cautela e più lentamente. La mia mano destra era intanto scivolata verso la figa spalancata e tre dita entrarono a stimolarla; muovendola avanti e indietro, con il palmo schiacciato sul monte di Venere riuscivo anche a titillare il clitoride e ad avere intensi momenti di goduria. Con la testa cominciai un movimento di vai e vieni, mentre con le labbra tenevo l’asta che masturbavo con la bocca e con la mano; a tratti, mi fermavo a succhiare la cappella fino in fondo alla gola.
Quando sentii che il cazzo vibrava più intensamente e, oltre a gonfiarsi al di là di ogni limite, pulsava quasi a pompare fuori l’anima, capii che stava per sborrare; scatenai la mia masturbazione del clitoride ed esplosi insieme a lui; gli schizzi di sborra che sbattevano sul palato mi provocavano altrettanti orgasmi; furono almeno cinque, incluso l’ultimo che mi fece sentire come squartata a metà a partire dalla figa per culminare al cervello; ingoiai quasi con devozione la sborra e, quando la sentii scorrere in gola, ancora l’orgasmo si prolungò. Mario si lamentava sommessamente e mormorava frasi incomprensibili, quasi addirittura delle preghiere; la cosa che più frequentemente ripeteva era “bello … meraviglioso … mai visto” o altre cose del genere. Mi ripresi per prima e cominciai a preoccuparmi della tavola da apparecchiare e del pranzo da allestire. Mario si andò a sdraiare sul divano a lui destinato per la notte e, per effetto forse anche delle due recenti abbondanti sborrate, si appisolò ronfando delicatamente. Mario ancora dormiva quando Antonio tornò a casa. “Si vede che era stanco” fu il suo commento; poi lo svegliò senza molto garbo.
Il pranzo passò veloce coi due che si comportavano come se fossero soli e parlavano di conoscenze di lavoro e dalle vita in Svizzera. Per interrompere l’isolamento, allungai un piede sotto il tavolo e intercettai la gamba di Mario che guardò con aria preoccupata prima Antonio e poi me: effettivamente il gesto era gravido di grossi rischi; sorridendo, ritirai il piede. Consumato il pasto, Antonio mi comunicò che quella sera avremmo cenato molto presto, perché Mario l’indomani avrebbe dovuto partire con la corriera, quindi prima dell’alba, e doveva riposare. Fissai per le sette e i due se ne andarono al bar. Io rimasi a lungo incerta se andare a riposare: anche per me le due scopate del mattino erano state pesanti; ma poi preferii inventarmi qualcos’altro.
L’oratorio era un posto dove era possibile incontrare fermenti di vita. D’inverno vi si ritrovavano quasi tutti gli abitanti, intorno a mille progetti che si facevano col solo scopo di riempire giorni monotoni. D’estate, invece, con la infinite occasioni che il rientro degli emigrati obbligava a concentrare in pochi giorni, l’oratorio diventava una fucina perenne di attività dove tutti potevano trovare un modo di rendersi utili. Ci andai sapendo che stavano preparando diverse cose intorno alla festa del patrono. Come era prevedibile, ci trovai tutti i ragazzi del paese, compreso Nicola e i suoi amichetti; ma osservai anche qualche presenza “foresta” e, in particolare, un giovane esile e dall’aria delicata - sembrava quasi ammalato - che voci sicure mi indicarono come il nipote del parroco venuto da una città lontana a stare per qualche settimana con lo zio prete, mentre i suoi erano in viaggio (per alcuni, di lavoro; per altri, di piacere). Ad ogni buon conto, l’unica cosa notevole era l’apparente età (17/18 anni) che per i paesani era già l’età dei veterani dell’emigrazione. Lo osservai con curiosità ma non mi suscitò nessun interesse. Più interessante, invece, fu l’atteggiamento di Nicola, che sembrava guardarmi con cupidigia mentre, come era abituato a fare, teneva concione con i suoi fans su chissà quale verità assoluta.
Alcune signore stavano preparando delle decorazioni di carta per la festa e mi proposero di partecipare. Accettai e mi intrattenni con loro un paio d’ore; poi decisi di rientrare per preparare la cena. Alle sette e un quarto i due compari erano a casa e la cena era sul tavolo. Mangiammo quasi velocemente; il motivo della partenza all’alba era sufficiente ad accelerare tutti gli adempimenti. Andammo a letto poco prima delle nove. Come previsto, appena fui nel letto completamente nuda, Antonio mi montò addosso, mi allargò le gambe, entrò in figa, si mosse una trentina di volte e sborrò; subito dopo già ronfava al mio fianco. Nuda come ero, mi mossi per andare a lavarmi in bagno. Inevitabilmente, dovetti passare per la sala e vidi Mario seduto sul suo divano - letto. “Sai che quasi non ci credo?!” esordì “In meno di un minuto ti monta, ti sborra dentro e si addormenta!!!!” “Io te l’avevo detto. Ma tu come lo sai?” “Diamine, la porta era aperta, i muri sono di cartone, potrei quasi dire che c’ero anch’io!” “Sarebbe stato veramente grave se fossi stato tu!!! Aspetta che vado a lavarmi.”
Andai in bagno, svuotai la figa dall’orina e dalla sborra, mi sedetti sul bidet, mi sciacquai la figa e mi asciugai. Quando mi rialzai, lo trovai di fronte a me, col cazzo già ritto; “Posso essere la compensazione?” “Molto volentieri; per almeno un paio d’ore il caprone non si sveglia.” Mi sedetti sul water, dopo aver abbassato la tavoletta, e mi sistemai con le tette al’altezza del cazzo: non solo volevo fare le corna al caprone che umiliava la mia femminilità, ma volevo anche esibirmi al meglio nel sesso e godermi tutte le varianti possibili. Le mie tette di misura extra e di forma perfetta erano da sempre il mio vanto, l’invidia delle donne e il desiderio proibito degli uomini; le presi tra le mani e le accostai tra di loro riducendo al minimo il solco tra le due sfere; accostandomi a Mario, feci entrare in quel varco il suo cazzo e ve lo strinsi forte, fino a farlo scomparire; “Una spagnola!” sussurrò lui con voluttà, e prese a far andare il cazzo su e giù nel solco con evidente goduria per lui e con una certa eccitazione per me, che in casa non venivo mai molto stimolata; quando però il cazzo, diventato ancora più grosso, cominciò a sfiorarmi il mento con la punta, abbassai di più la testa e feci in modo che, nel movimento di risalita, la punta della cappella incontrasse la punta della mia lingua tirata fuori al massimo.
Sforzandosi di alzarsi al massimo sulla punta dei piedi, Mario fece in modo che almeno l’intera cappella mi entrasse in bocca; in tal modo, lui veniva stimolato più accentuatamente, ed io sentivo finalmente la figa agitata da scosse di piacere. Ma non volevo che sborrasse così, tra le tette o in bocca. Lo volevo in figa … e non da dietro, come la mattina. Lo presi per mano e andammo sul suo divano, mi stesi supina e allargai le gambe; anzi, le spalancai portandone una a terra e l’altra sullo schienale: in quella posizione, ero completamente scosciata con la figa esposta al massimo ed aperta che più non si poteva. Mario si adagiò su di me, puntò il cazzo e mi penetrò fino alla radice: sentivo i coglioni battermi sull’ano e i peli pubici mescolarsi e intrecciarsi coi miei. Mi scopò lentamente e quasi cautamente; il cazzo entrava fino in fondo con un percorso lento e usciva fino ad essere del tutto estratto, ma sempre con esasperante lentezza; poi, di colpo, affondava con violenza, si tratteneva nella vagina e muoveva il pube a stimolare il mio; poi di nuovo usciva del tutto. Il gioco durò alcuni secondi: non potevamo stare molto tempo col rischio che Antonio si svegliasse.
Con lo sguardo feci capire a Mario che volevo la sua sborra. Affondò una lunga e intensa serie di colpi, spinse fino alla radice, fino al dolore all’inguine, il cazzo nelle profondità più remote dell’utero ed esplose in una sborrata piena, intensa, appassionata. Come avevo già sperimentato in mattinata, il primo spruzzo del suo orgasmo mi scatenò un orgasmo parallelo che si andò a congiungere con quelli che mi provocavano gli spruzzi successivi; e fu un orgasmo unico, lungo, infinito, meraviglioso. A malapena riuscii a trattenere un urlo che avrebbe scatenato una guerra. Mario si staccò da me ed io potei riprendere la posizione eretta a gambe strette per non colare per terra e per non perdere niente di quella sborrata che volevo tenermi dentro. Ci salutammo con un bacio affettuoso, sicuramente leggero rispetto a quelli che ci eravamo scambiati; ed io tornai a infilarmi nel mio letto, camminando con difficoltà per tenermi dentro la sborra. Sapevo che di lì a poco Antonio si sarebbe svegliato per la seconda monta della notte: era quasi un ragioniere, in questo; e stavolta lo avrei accolto con la figa piena e l’avrei costretto a scoparmi, senza saperlo, nella sborra del suo amico e mio amante per una giornata.
Mentre cercavo di addormentarmi, una ridda di immagini mi attraversavano la mente e in tutto io ero alle prese con un cazzo; il primo era quello di Mario che avevo appena sperimentato, ma si affacciava prepotente spesso quello di Nicola che rappresentava la promessa da mantenere; oppure il forestale, oppure Genny che aveva dato la stura alle mie voglie insane. Tutti me lo mettevano nel culo: mi piaceva molto il cazzo in culo, ma l’avevo sperimentato fisicamente una sola volta, nello “svezzamento” con Genny; e volevo provare ancora il piacere dell’intestino che si riempie di sborra dopo che è stato forzato da un bastone di carne. Su una scena assurda del mio culo nel quale entravano liberamente e in successione tutti i cazzi di cui avevo conoscenza, caddi in deliquio e forse mi addormentai un poco. Mi svegliò inevitabilmente Antonio che mi montava addosso per la seconda scopata della notte: avevo ancora la vagina piena della sborra di Mario e non sapevo se temere o augurarmi che se ne accorgesse: ma non ci fece neppure caso: mi divaricò le cosce, entrò dentro e cominciò a sbattermi; io sentivo lo sciaguattare che faceva il cazzo picchiando nella pozza di liquido al mio interno; ma lo “sciaff, sciaff” della mia figa suonava come musica di sottofondo a mio marito che, forse, fece durare un poco più a lungo la scopata; poi sborrò come sempre e come sempre si girò sul fianco a dormire.
Ero rabbiosa; adesso volevo davvero scopare, ma tanto; e scopare soprattutto nel culo: avrei chiesto a Mario di incularmi con violenza e di farmi sborrare anche dal culo, benché non sapessi se e come si potesse fare. Scesi dal letto ed andai direttamente in bagno a svuotarmi della doppia razione di sborra; ne approfittai per svuotare la vescica e, in previsione dell’inculata, anche l’intestino; sul bidet completai l’opera usando una peretta per liberare del tutto l’intestino. Finiti i lavacri, andai verso il divano dove Mario dormiva con un sorriso beato sulle labbra, nudo, completamente scoperto e col cazzo leggermente duro. Presi in mano la mazza e la segai per qualche momento, osservandola diventare dura e ritta; poi abbassai la testa e presi a succhiarlo. Quest’ultima iniziativa lo fece svegliare, con un sospiro di piacere: mi accarezzò la testa e mi tirò dolcemente su di sé accarezzandomi i fianchi e baciandomi con intensità. “Voglio regalarti la verginità del mio culo” dissi in un fiato, mentendo clamorosamente visto che Genny aveva sapientemente aperto la strada. Si alzò di colpo a sedere sul suo giaciglio, guardandomi come stralunato “Cosa hai detto?!?!”
“Ho detto che voglio che mi rompi il culo. So che non ci vedremo mai più; ma sei stato così dolce che ho voglia di conservare di te il ricordo più bello e vario che possa costruire. Quindi ho deciso che sarai tu a sverginarmi dietro. Ti va?” “E me lo chiedi?” “Però dovrai essere molto delicato e farmi il meno male possibile. Andiamo in bagno!” Mi seguì arrendevole e quasi imbambolato. In bagno, ci sistemammo in piedi davanti al water, sul quale appoggiai le mani piegandomi a pecorina; presi la boccetta di vasellina che il medico mi aveva prescritto per altri usi e gliela consegnai perché me la spalmasse bene. Amorosamente mi unse con due dita l’ano e lo sfintere; entrò poi dentro con due dita che ruotava per allargare il foro e lubrificare il condotto; alla fine, passò la vasellina anche sul cazzo, appoggiò la cappella all’ano e mi sussurrò “Adesso te lo spingo dentro; tu aiutami spingendo come per andare di corpo; vedrai che sarà meno doloroso di quanto dicono.” Feci cenno di si con la testa e mi rilassai tutta; quando sentii la cappella spingere sul muscolo, spinsi a mia volta e la cappella passò rapidamente oltre l’ostacolo dello sfintere.
Dovetti reprimere con tutte le mie forze l’urlo di dolore che si scatenò, ma dopo un attimo c’era solo il piacere del cazzo che sfregava il condotto verso l’intestino, nel quale la mazza, passata la cappella - che era la più impegnativa -, scivolava facilmente stimolando tutte le mie terminazioni nervose e trasmettendo al cervello inattese vertigini di piacere. Godevo, godevo, godevo, e, dentro di me, silenziosamente, gridavo al mondo il mio piacere di chiavare e di farmi inculare da un uomo che mi trattava da donna e mi scopava con gioia e piacere reciproco. Mario andò avanti e indietro per un po’ di tempo: aveva sborrato già tre volte nel mio corpo, quel giorno; e questo quarto assalto, benché di eccezionale valore emotivo per la particolare penetrazione, comunque sembrava pesargli un poco: anche per questo ero felice di averglielo proposto. “Se non riesci, non importa; hai fatto già troppo per me, oggi.” “Sei matta? Non rinuncerei per niente al mondo a sborrare adesso nel tuo culo, anche se dovessi morire sul colpo. Non solo hai un fisico eccezionale in tutti i punti, non solo il tuo culo è un monumento alla bellezza dei culi; ma tu sei veramente una donna meravigliosa, nel fare l’amore; e non perderò nemmeno un istante del piacere di questa giornata. Quindi, non preoccuparti per me e preparati a sborrare col culo, se ci riesci.”
“Col tuo cazzo nel culo, sono certa che riuscirò ad avere un orgasmo anale, anche se non so se esiste e, nel caso, che cosa sia.” “Neanche io lo so; ma sono certo che stai provando tanto, tanto piacere. Ed io sto per venire .. ecco … ci sono … tu ce la fai???” “Siiiiii!!!! Sto sborrando dal culo … è pazzesco …. È indicibile … sborro dal culo, dalla figa, dalla testa, dalle tette, da tutto il corpo. Che sborrata!!!!!!” Se Mario non mi avesse sorretto, credo che sarei caduta direttamente sul water; ma anche lui non aveva più forze; si sfilò con cura dal culo, cercando di attenuare al massimo l’effetto di strappo quando la cappella uscì dall’ano; mi fece sedere sul bidet, mi baciò con dolcezza sulla fronte “Vado a dormire un’oretta. Non so se riusciremo a salutarci, prima che io parta. E non so neppure se ci vedremo mai più. Forse in futuro crederò che sei stata un sogno meraviglioso. Ma adesso so per certo che sei una realtà incredibile. Ti auguro di avere ancora momenti e occasioni di godimento come quella di oggi. Ciao.” E sparì oltre la porta. Io svuotai quanto potevo il retto dalla sborra che Mario vi aveva scaricato abbondante, mi sciacquai con acqua fredda per attenuare il bruciore che cominciava a farsi sentire, mi asciugai e tornai a letto, cosciente che solo tra qualche ora Antonio sarebbe tornato ad assalirmi per la terza monta della notte. Ma col culo in fiamme che mi ritrovavo, la cosa non mi toccava più per niente.
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