Naturalmente, dopo l’esperienza con Genny, la mia vita matrimoniale non fu più la stessa. Intanto, passavo molto tempo in bagno a titillarmi la figa come avevo imparato; e mi procuravo orgasmi violenti che a volte rischiavano di essere chiari a tutto il condominio per le urla che lanciavo sborrando. Di più, avevo appreso - indirettamente e casualmente - che tutta una serie di ortaggi potevano essere utili a sostituire un cazzo in certe funzioni. Il godimento maggiore allora era masturbarmi con una carota, o con uno zucchino o con un cetriolo e poi servirlo in insalata ad Antonio, in maniera che almeno assaggiasse un vago sapore della figa che maltrattava senza farla godere. Perché, in realtà, lui non aveva mosso di un millimetro le sue abitudini: ogni notte mi montava addosso due o tre volte, infilava il cazzo nella figa, sborrava e si addormentava; inutilmente avevo tentato di infilare in mezzo una mano per tentare di stimolarmi il clitoride mentre mi scopava; anche pensare al cazzo di Genny, mentre prendevo dentro il suo, non valeva. Con pochi colpi veloci, arrivava all’orgasmo e se ne andava. Ormai il desiderio di un rapporto convincente diventava quasi necessità fisica.
Purtroppo, Genny non era disponibile. Per scelta categorica e prudenziale, non tornava mai ad incontrare le ragazze che aveva “svezzato” col rischio di creare situazioni pericolose; Donatella fu chiara ed esplicita: se volevo ancora un cazzo, dovevo procuramelo altrove. L’idea di sedurre Nicola non era molto peregrina, ma troppe indicazioni - implicite ed esplicite - segnalavano che era un giovanotto non molto affidabile e, se non c’erano tutte le garanzie di segretezza, era meglio rinunciare. Dalle “voci di piazza” avevo saputo che qualche paesana aveva trovato sfogo con i “forestali”, agenti inviati periodicamente sul territorio con funzioni di controllo; ma le stese voci aggiungevano anche che per qualcuna era finita assai male, quando i paesani se n’erano accorti, soprattutto per l’odio che tutti provavano per i “controllori” che impedivano di andare nel bosco per legna, per frutti o per piccola caccia. L’idea di sedurre un “forestiero” però mi allettava parecchio, pur rendendomi conto dell’enorme pericolo che rappresentava. E, comunque, meglio non pensarci perché non era ancora stagione di controlli e quindi di forestali neanche l’ombra.
Ma, come è noto, spesso il diavolo ci mette la coda; e, una mattina che ero andata per frutti nel bosco intorno al paese, il forestale apparve lì, con la sua bella divisa, mentre pisciava allegramente dietro a un albero. Ero troppo lontana, quando apparve; e non riuscii neppure a capire cosa stesse facendo; ma l’apparizione mi sembrò quasi un segno del destino e, istintivamente, presi ad ancheggiare mentre mi avvicinavo. “Ciao, bella, dove vai?”“In giro …“ “Scommetto che cerchi frutti vietati” “Frutti?! Che frutti?” Intanto eravamo arrivati ormai a contatto “Quelli che ti fanno così bella e soda” nel dirlo, il forestale aveva allungato una mano sul culo che aveva palpato voglioso. Sentii una vampa montarmi dalla figa al cervello. Allungai a mia volta una mano verso la patta e palpai il cazzo da sopra i pantaloni “Si vede che ne fai uso anche tu”; l’altro non ebbe esitazioni: aprì la lampo e tirò fuori un cazzo assolutamente fuori misura.
Lo guardai ad occhi sbarrati: ancora barzotto, il cazzo raggiungeva una misura ragguardevole, ma soprattutto era enorme la circonferenza che raggiungeva la dimensione di una lattina; con molta esitazione lo presi alla radice e lo sentii gonfiarsi nella mano; istintivamente, presi a masturbarlo e in un attimo me lo trovai immenso nella destra, totalmente scappellato e sormontato da una cappella di diametro surreale. Il forestale non aveva perso tempo e, sollevata la gonna, si era infilato nelle mutande andando ad artigliarmi la figa in cui aveva inserito due dita tozze e nodose che presero a titillare grandi labbra, vagina e clitoride insieme: ebbi un primo leggero orgasmo e, d’istinto, cominciai a menare il cazzo in una sapiente sega. Andammo avanti qualche minuto, lui a stimolare la figa con due dita dentro, mentre il pollice accarezzava l’ano e lo forzava delicatamente e io a mandare su e giù la pelle del cazzo in una sega magistrale; a un certo punto lui sussurrò “Attenta, sto per venire” “Aspetta” raccomandai “dammi tempo di venire anche io”; l’altro accelerò il movimento della mano nella figa “Ecco … ecco … vengo” sussurrai e ci lasciammo andare insieme all’orgasmo.
Guardai ammirata l’asta che la mia mano sosteneva ma che copriva solo per una piccola parte e rimasi incantata ad osservare il primo spruzzo di sborra che andava a schiantarsi ad almeno tre metri da noi, seguito da altri cinque /sei spruzzi di pari intensità. Quando ci ricomponemmo, “E’ stato bello, ma io qui non ti ho mai vista” ammonì il forestale; “E io non ci sono mai stata” ribadii, conscia solo adesso del pericolo corso. Scappai via leggera ed allegra: vedere e toccare un cazzo così grosso mi era piaciuto e anche molto; e me ne tornavo contenta di avere finalmente fatto qualcosa per la mia figa, per me stessa. Ma la gioia durò solo per poco. Quando, a sera, Antonio mi salì addosso per la prima montata della notte, non potei sottrarmi ad un senso di fastidio; istintivamente, mi rifugiai nel ricordo di quel cazzo meraviglioso che avevo stretto per pochi minuti nella mano; mi tornò la visione dello schizzo di sborra “sparato” a tre metri da noi e mi prese la nostalgia di sentirne almeno il sapore: “non tanto, ma almeno una leccata potevo darla” riflettevo fra me e me; e decisi che la prossima volta non sarei stata così stupida; se necessario, mi sarei anche fatta sfondare il culo da quella lattina!.
L’occasione non arriva se non te la vai a cercare; ed io l’occasione per quel cazzo volevo cercarla. Per questo tornai ancora nel bosco, per frutti, nei giorni seguenti; purtroppo, sempre senza incontrare nessuno. Intanto, cercavo di capire come avrei potuto “incastrare” Nicola senza correre rischi o creare problemi. Sapevo che aveva voglia di scoparmi (e anche alla grande) ed ora ero anche certa che “io” volevo scoparmelo alla grande. Il problema era trovare il modo, il tempo e il luogo, soprattutto il luogo perché era quello che poteva creare problemi di essere visti, di destare sospetti e insomma, di creare casini. C’era una casa, poco fuori del paese, la cui proprietà era molto controversa e che, per molti versi, apparteneva anche alla mia famiglia; degli ultimi proprietari si erano perse le tracce nel secolare flusso di emigrazioni; da piccoli la usavamo per giocarci; ma, dopo che si ebbe notizia di un caso di pedofilia avvenuto in una paese relativamente vicino, avevamo avuto l’ordine tassativo di non avvicinarci mai a quel posto stregato e maledetto.
Con questa fama, era quasi l’ideale - adattandolo un poco - per riceverci una amante clandestino. In una veloce ricognizione, mi era resa conto che una saletta giusta c’era, con un pagliericcio con delle coperte, un bagno non molto schifoso e perfino qualche sedia. Individuato il “dove” si trattava di stabilire il “come” per poi decidere il “quando”. Non trovavo percorsi semplici per contattare Nicola e proporgli di scopare. Immersa nei miei pensieri, tornai per l’ennesima volta a passeggiare nel bosco, ufficialmente alla ricerca di frutti e funghi, in realtà con la speranza di incontrare ancora il forestale col cazzo meraviglioso. Solo adesso mi rendevo conto che non ci eravamo detti neppure il nome, presi com’eravamo dalla libidine della doppia masturbazione. Comunque, il sentiero pareva deserto e non era molto prudente avventurarmi troppo verso l’interno. Stavo per tornare indietro delusa, quando vidi un certo movimento in fondo al sentiero; mi acquattai nel fitto degli alberi e vidi avanzarsi i due forestali, uno Cazzobello che avevo masturbato e l’altro assolutamente sconosciuto. Giunti a qualche metro da me, si fermarono un poco a discutere, poi si separarono: lo sconosciuto si addentrò nel fitto del bosco in direzione opposta e Cazzobello venne dalla mia parte.
Quando mi fu vicino, “Ciao” mi disse semplicemente, appoggiò ad un albero il fucile e il tascapane, mi prese per le braccia, mi fece ruotare e mi abbrancò da dietro prendendomi per le tette mentre mi piantava il ventre sul culo dove avvertii immediatamente lo spessore del suo cazzo che si sistemò nella piega tra le natiche. I bottoni della camicetta si slacciarono immediatamente e, poiché non portavo reggiseno, le mie tette furono preda delle sue mani che delicatamente carezzarono i capezzoli e massaggiarono le mammelle: le sue manovre mi fecero immediatamente bagnare fino a sentirmi correre tra le cosce la prima broda. Non capivo cosa stesse facendo alle spalle e mi preparavo a sentire il suo enorme cazzo sfondarmi dolorosamente il culo; ancor più me ne convinsi quando avvertii che mi sollevava la gonna fino sui fianchi e mi abbassava le mutande. Mi appoggiai ad un albero e piegai leggermente il busto in avanti quasi per dargli un migliore accesso al mio culo. Sentii che abbassava la cerniera del pantalone e poco dopo avvertii la frescura del cazzo che si apriva la strada tra le mie natiche, sfiorava il culo e scivolava più giù alla ricerca della vulva.
Capii che intendeva chiavarmi da dietro; infilai una mano tra cosce, raggiunsi la sua mazza e la guidai verso le grandi labbra. Pur avendo già fatto esperienza della sega, mi esaltai ancora stringendo in mano la sua mazza terribile e affascinante: era dura come l’acciaio e, al tatto, morbida come un piumino da cipria, e le vene pulsavano per tutta la lunghezza. Mi strofinò un poco la cappella prima sull’ano poi sulle grandi labbra e infine, guidato da me che non lo mollavo un attimo, si appoggiò all’ingresso della vulva; tutti gli umori che avevo già versato facevano un percorso lubrificato e aperto sicché, nonostante la mole decisamente eccezione del bastone di carne, il cazzo scivolò lentamente e decisamente nella vagina. Lui spingeva poco e a tratti; anzi, sembrava godere a tiralo indietro e tornare a spingerlo dentro, sempre un poco più a fondo, finché, di colpo, la cappella andò a sbattere contro la cervice dell’utero scatenandomi un gemito appena soffocato. Quando il cazzo fu tutto dentro, le sue mani si spostarono dai seni - che aveva continuato a stringere e carezzare - e mi artigliarono le anche: mentre lui spingeva con forza l’inguine contro il mio culo, io spingevo il culo contro il suo ventre per ricevere quanto più cazzo possibile, quanto più godimento possibile.
Andammo avanti per un bel po’ ed io mi godetti con tutta l’anima la penetrazione del cazzo in zone ancora vergini della mia figa: ogni millimetro che il cazzo conquistava della sua penetrazione era un fiume di orgasmi che mi faceva sbrodolare come una sorgente incontrollata. Due o tre volte si fermò, col cazzo rigidamente piantato nella mia figa, e sembrò che ritardasse l’orgasmo o che si concedesse di godere fino in fondo il piacere di chiavarmi. Poi ad un tratto mi sussurrò all’orecchio “Voglio sborrarti dentro: posso?” Gli feci cenno di si con la testa. Con tutte le volte che Antonio mi aveva montato in quei giorni rimanere incinta non era un problema. Si lanciò in un ultimo assalto di inaudita violenza; il cazzo usciva quasi del tutto dalla mia figa e vi rientrava poi con inaudita violenza; ed io lo accompagnavo col culo che si ritraeva e si accostava in sintonia per accoglierlo fino in fondo. “Sborro!!!!” mi urlò ad un certo punto ed io massaggiai con violenza il clitoride che esplose nell’orgasmo più intenso, più bello, più lungo e più sazio che avessi mai avuto: per qualche minuto si trattenne nella figa provata dalla scopata; mi accarezzò con dolcezza le natiche, il seno e il ventre arrivando fino alla figa che titillò lievemente e brevemente mentre il suo cazzo lentamente perdeva un poco di consistenza, pur rimanendo molto grosso; poi, di colpo, lo sfilò ed io sentii un fiotto di sborra esplodere dalla figa e riversarsi per terra.
Mi passò dei fazzolettini che io usai per tamponarmi; dopo aver tirato su le mutande, sistemai altri fazzolettini a mo’ di assorbente, richiusi i bottoni della camicetta e diedi qualche colpo alla gonna per rimediare a qualche piega. Poi gli feci “Ciao” con aria civettuola e mi allontanai sul sentiero verso il paese. Poco più avanti, sul sentiero, vidi venirmi incontro proprio Nicola e, per un momento, temetti che mi avesse seguito e scoperto tutto. Ma quando fummo ad un passo di distanza, dal rossore del viso e dall’aria impacciata capii che semplicemente mi aveva incontrata per caso e non sapeva che pesci pigliare. In preda a un’improvvisa voglia di maltrattarlo “Ciao” gli feci con aria spavalda “è vero che vai dicendo in giro che vuoi scoparmi in tutti i modi?” Si bloccò come colpito in pieno petto e cominciò a balbettare “No … non so .. non è vero …” “So che è vero e che lo hai detto. Ma so anche - e tu non lo sai - che io voglio effettivamente farmi scopare da te, anzi voglio scoparti io in tutti i modi; ma che lo farò solo se avrò la certezza che sai tenere la bocca cucita e che accetti di farlo quando, come e dove dico io e, se capiterà, sarò io a scegliere cosa fare e cosa non fare senza lasciarti nessuna iniziativa.”
Sentivo che quasi barcollava fisicamente, investito da tante verità sparate in faccia in un solo colpo. Non gli lasciai il tempo di riprendersi. “Conosci la casa degli spiriti?” accennò di si con la testa senza avere la forza neppure di parlare “Bene, oggi pomeriggio alle quattro ci andrai e mi troverai là. Ma se vieni meno anche a uno solo degli impegni che ti ho detto, giuro che ti strappo le palle e le do da mangiare ai porci.” Lo lasciai inebetito sul posto e me ne andai sculettando provocatoriamente. Corsi finalmente a casa e dopo aver pisciato, mi sedetti sul bidet per lavarmi la figa ancora gocciolante di sborra e ne approfittai per tirarmi un lungo ed appassionato ditalino in cui il ricordo del cazzone che mi aveva riempito la figa poco prima si alternava all’ipotesi di quello che avrei fatto poco dopo con il cazzo di Nicola che già conoscevo di vista ma che desideravo molto assaggiare fisicamente in ogni buco.
Come ormai per prassi quotidiana, preparai un pranzo veloce; la salsa, non a caso, era una che, si dice, prende nome dal fatto che sembra molto elaborata ma è veloce e semplice ed è quella in voga tra le prostitute o tra le fedifraghe (per questo in qualche zona è conosciuta anche come “salsa del cornuto”); di lì a poco Antonio rientrò dal giro di carte, birre e amici emigrati che frequentava per giornate intere, quasi non volesse interrompere le abitudini del paese dove lavoravano da emigrati; si sedette a tavola e divorò tutto senza neanche rendersi conto di quel che mangiava. Subito dopo scappò via per tornare al bar, al giro di birre ed agli amici di sempre. Io mi preparai a quella che poteva essere la prima occasione per farmi un amante fisso, giovane, ben dotato e disponibile alle mie voglie anche perverse. Verso le tre e mezza, uscii e mi incamminai verso l’esterno del paese: quando da piccoli andavamo a giocare alla casa degli spiriti, avevamo costruito una serie di percorsi per entrare ed uscire senza farci notare; ed io scelsi per l’appunto il percorso esterno, quello che dai campi portava sul retro della casa senza vedere o essere visto da anima viva. Entrai nella stanza che avevo predisposto e mi accinsi ad attendere. Non ci volle molto.
Ancor prima delle quattro, sentii la voce di Nicola che chiamava dal portone; come una furia mi precipitai fuori e lo aggredii: “Che cazzo urli?!?! Vuoi fari sentire da tutto il paese. Arrossì e abbassò gli occhi contrito; lo presi per un braccio e lo tirai nella camera con me. Una volta chiusa la porta, ripresi volutamente a maltrattarlo “E allora? Cosa aspetti? Un invito scritto?”. Reagì con violenza e mi abbrancò le tette; mi toccò fermarlo, prenderlo tra le braccia e stampargli le mie labbra sulle sue, infilandogli immediatamente la lingua in bocca. Mi pareva assai strano, dopo averlo visto dominare con convinzione il piccolo Peppino ed aver visto come usava con lui la lingua, le mani e il cazzo, che invece fosse così imbarazzato con me, che pure aveva dichiarato di voler possedere in ogni modo; ma poi pensai che forse i miei modi aggressivi lo avevano in qualche modo inibito. Però non intendevo in nessun modo lasciargli lo spazio per sentirsi padrone di me e del nostro rapporto. Più dolcemente, comunque, lo strinsi a me tirandolo per le natiche sul mio ventre finché sentii il turgore del suo cazzo che mi solleticava la vulva da sopra la gonna e le mutande.
Nonostante il baluardo della stoffa, quel cazzo mi vibrava sul corpo in totale pienezza, quasi fossimo già completamente nudi e, favorita anche dal fatto che tutti e due ci strusciavamo con forza gli ossi pubici, cominciai a bagnarmi e a rilasciare umori che mi impregnarono immediatamente le mutande. Nicola si riprese rapidamente e le sue mani si spostarono immediatamente sul mio seno; in un attimo i bottoni della camicetta si aprirono e, poiché non portavo reggiseno, le mie tette furono immediatamente a portata delle sue mani che presero a massaggiarle, a stringerle, a carezzarle titillando dolcemente i capezzoli. Le nostre bocche erano rimaste incollate in un bacio lungo e intenso e le lingue avevano cominciato un gioco di intrecci che alimentavano il piacere in figa e procuravano continue scosse di godimento, quasi piccoli orgasmi in rapida successione. Poi Nicola staccò la bocca dalla mia e si abbassò a prendere tra le labbra un capezzolo; il contatto con le sue labbra mi diede un brivido intenso e nuovo: quando cominciò a succhiarlo, poi, mi sembrò quasi che mi succhiasse il piacere direttamente dalla vulva e me lo scaricasse nel seno.
Feci scivolare una mano tra i nostri corpi e andai a prendere la cerniera del pantalone, la abbassai fino in fondo e infilai la mano nel’apertura: non portava mutande e mi trovai immediatamente a contatto con il suo cazzo. Lo avevo già visto, quel cazzo, quando Peppino lo aveva manipolato per fargli un sega e poi lo aveva preso in bocca per fargli un pompino; e soprattutto quando lui lo aveva infilato nel culo di Peppino e glielo aveva piantato fino in fondo, fino a sborrare. Lo avevo desiderato quella volta, solo a vederlo, e lo desideravo ancora di più adesso che lo sentivo palpitare nella mia mano e ne raccoglievo il calore, la forza, il senso di possesso. Manovrando come potevo con il pantalone, lo tirai fuori e lo accarezzai per tutta la sua lunghezza: niente a che vedere con la “lattina” del forestale, naturalmente: quello era di una categoria extra, un cazzo come se ne vedono pochi ed io lo avevo già non solo visto ma anche assaggiato in mano e in figa. Ma era comunque un gran bel cazzo, con una circonferenza che la mia mano poteva appena stringere e con una lunghezza per la quale due volte la mia mano sarebbe stata insufficiente. Insomma, avevo tra le mani una mazza di tutto rispetto che segavo con voluttà e da cui ricavavo infinite scosse di elettricità che mi facevano palpitare tutti i recessi del ventre.
Preso dal piacere della sega che gli stavo praticando, Nicola allentò per un attimo il suo impegno, sollevò la testa in atteggiamento di lussuriosa estasi e trascurò per un attimo i miei seni; poi si riprese immediatamente e, spostandosi un poco indietro col corpo, allungò una mano dietro la mia schiena, si infilò sotto la gonna ed andò ad artigliarmi una natica che strinse goduriosamente per poi far scivolare la mano su tutto il culo in una carezza lussuriosa che continuò dentro le mutande, semplicemente spostandole; quando le dita scivolarono sull’ano, Nicola raccolse col medio gli umori che scorrevano e infilò il dito umido nel culo; spinsi il bacino indietro per accoglierlo meglio e il dito scivolò più dentro fino ad entrare nel tutto. Subito dopo, la mano si spostò verso la figa: da dietro, risultò quasi più facile far entrare due dita nella vulva e cominciare a titillare il clitoride che era finito tra le dita. Per alcuni minuti rimanemmo con il fiato sospeso: io mandavo su e giù la pelle del cazzo nella sega più bella che avessi mai immaginato; lui ravanava nella mia figa martoriandomi il clitoride e cercando i tessuti più interni della vagina fin quasi all’utero.
L’orgasmo era nell’aria: da un momento all’altro sarebbe esploso inevitabile; e Nicola non era, evidentemente, in grado di controllare troppo a lungo la sua sborrata. “Sto per venire” mi disse quasi preoccupato; “Non azzardarti a farlo se prima non mi fai sborrare!” intimai quasi con ferocia. Lasciata la mia tetta, portò l’altra mano sulla figa e riprese a titillarmi vagina e clitoride; spostò intento l’altra mano un po’ più indietro e infilò di nuovo il dito nel culo provocandomi una fitta di piacere che partì dallo sfintere, passò per il clitoride e si scatenò nell’utero. Fu un orgasmo violento che accompagnai con un urlo a malapena soffocato da me e da Nicola che mi infilò la lingua in bocca per non svegliare il paese. Appena ebbi sborrato, Nicola sembrò liberare il suo mostro e uno spruzzo di sborra contro la parete opposta ad almeno un metro e mezzo di distanza; gli altri quattro spruzzi caddero per terra un po’ più vicino. Ci sedemmo sul letto quasi disfatti dall’orgasmo; continuai a giocare col cazzo che aveva perso consistenza ma non era meno piacevole da accarezzare “Tra poco si riprende e possiamo ricominciare” mi propose Nicola; ma non era questa la mia intenzione.
“No”, gli dissi ”questo era l’aperitivo che avevo pensato da farti assaggiare; se ti comporti bene e non parli con nessuno, se stai attento a non farci scoprire: insomma, se ti comporti a modo, dopo che Antonio sarà tornato in Svizzera, sarai il mio amante e scoperemo in tutti i modi. Per ora, però, è bene interrompere e attendere la partenza degli emigranti che non è poi tanto lontana”. Cominciava per me il primo anno da “vedova bianca” ma per la “caccia” non avevo problemi, almeno per quest’anno.
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