San Rocco è una località introvabile persino su guide turistiche, anche quelle più specialistiche del’Appennino interno. Ancora meno conosciuta era al tempo a cui si riferiscono i fatti qui raccontati, quando era abitata da forse cinquecento residenti e un paio di centinaia che vi sostavano solo per il mese di agosto passando il resto dell’anno, da emigrati, in Svizzera o in Germania. Questa condizione era fondamentale all’esistenza: tutto si svolgeva in funzione dell’emigrazione e la vita in paese era scandita dal “prima” o dal “dopo” la festa patronale che era l’unico momento in cui tutti gli abitanti, o quasi, erano presenti. Agosto era il mese per gli affari, per le compravendite, per i battesimi, le comunioni e i matrimoni. Tutti si sposavano ad agosto, alla festa del patrono, e quasi sempre molto giovani. A me toccò che non ancora avevo diciannove anni; il marito, concordato tra le famiglie, era ovviamente uno che viveva undici mesi all’anno in Svizzera ed io l’avevo si e no intravisto un paio di volte. Di mettere in discussione una decisione così importante non se ne parlava neanche e, per la verità, quando mi dissero che avrei sposato Antonio, non feci ne “ah” né “bah” e accettai la decisione comune.
I preparativi furono un evento pubblico (come del resto avveniva ogni anno in quella stagione) considerato che non ero la sola a fare il “grande passo”. Il centro nevralgico dell’animazione era la casa di Donatella che, tra le altre cose, possedendo una macchina per cucire ed una certa abilità di sarta, si occupava degli abiti delle spose. Le necessità di prova e di sistemazione dei particolari ci inducevano ad essere spesso a casa di Donatella, singolarmente o in gruppo le quattro candidate, e naturalmente i commenti e i pettegolezzi si sprecavano. “Benvenuta al club delle vedove bianche in caccia” mi salutò Donatella la prima volta che parlammo del mio abito da sposa. La guardai perplessa: non riuscivo a dare un senso alla frase. Mi venne incontro lei, quando si rese conto del mio stupore. “Se non lo sai già, è giusto che tu sappia che le spose che restano per undici mesi all’anno separate dal marito si dicono normalmente vedove bianche. Tu dal mese prossimo sarai una vedova bianca.” “Perché in caccia?” “Questo è meno facile da spiegare; ma forse già tra qualche settimana te ne renderai conto da sola”. L’arrivo delle altre promesse spose impedì ulteriori commenti. Ma l’interrogativo era rimasto e chiesi a mia madre. “Non ci fare caso; stupidaggini” commentò; e la mia curiosità si accese più viva.
Fu una delle comari a illuminarmi un poco, una volta che ci trovammo a spettegolare sul ballatoio “Pare che l’insoddisfazione delle spose abbandonate per gran parte dell’anno venga coperta dai ragazzi rimasti in paese, da quelli piccoli - dodici/tredici anni - a quelli ormai grandi e in grado di surrogare gli adulti, vale a dire dai quattordici ai sedici anni e non oltre perché poi si parte emigranti”. La spiegazione aveva una sua logica ma a me appariva ancora nebulosa e, per non fare la figura dell’imbecille, me ne stetti zitta. Arrivò il giorno della cerimonia e tutto si svolse nella maniera più semplice e lineare possibile. Al termine del pranzo, al momento di ritirarci nella casa che avevamo arredato, mia madre mi prese in disparte e mi disse quasi accorata: “Non avere paura e lasciati andare; abbi un poco di pazienza se avrai male ma poi tutto passerà; cerca solo di essere paziente e condiscendente.” Ero perplessa e stralunata; per la prima volta dormivo in un letto matrimoniale con un’altra persona e non sapevo proprio come comportarmi. Andai in bagno, mi cambiai, indossai il camicione da notte che mia madre mi aveva preparato e mi infilai nel letto nel buio quasi assoluto della camera. Antonio non mi fu di nessun aiuto.
Si spogliò dall’altra parte del letto, senza che osassi dare neppure un’occhiata, si infilò sotto la coperta e dopo poco lo sentii che mi montava sopra con tutto il corpo. Facendo leva coi piedi mi fece allargare le gambe, armeggiò con le mani sul basso ventre e dopo un poco sentii qualcosa di duro e grosso entrarmi nel ventre provocandomi una fitta dolorosa alla quale reagii secondo gli insegnamenti di mia madre con pazienza e condiscendenza. Facendo leva sulle ginocchia, si mosse su e giù una decina di volte mentre io sentivo quell’affare grosso e duro scorrermi dolorosamente nel ventre; ad un tratto, un urlo soffocato si accompagnò ad una spinta più forte e lunga; sentii l’affare perdere consistenza e scivolare lentamente fuori dal ventre. Antonio si sollevò, si spostò di lato e ripiombò bocconi sul letto; dopo qualche istante lo sentii ronfare. Andai in bagno, mi sedetti sul water e orinai; alzandomi, notai tracce di sangue nell’acqua del water e sulle cosce; mi sedetti sul bidet, mi lavai, mi asciugai e tornai a letto. Nel corso della notte, ancora due volte Antonio mi montò sopra, mi allargò le cosce e mi penetrò nel ventre con il suo affare duro e grosso; ma stavolta non provai dolore e, quando andai in bagno a farmi il bidet, non vidi più tracce di sangue.
Come era giusto in un ambiente da paesello dell’Appennino interno, avevo poche e confuse nozioni di sesso. Ma capii almeno che il rito della deflorazione era stato celebrato a norma di tradizione e che nessuno si sarebbe potuto lamentare né della mia verginità né della mia totale disponibilità al maschio. La mattina seguente però mi feci quasi un dovere di andare a trovare Donatella per chiedere approfondimenti. La trovai che lavorava ad un complesso modello che stava studiando; mi sedetti sulla sedia a fianco alla sua e aspettai. “Allora!?! Com’è andata?” “Per lui e per loro, bene. Per me, non so.” “Cos’è che non sai?” Le raccontai per sommi capi come si era svolta la cerimonia della prima notte e la vidi sorridere quasi compassionevole: “Non credi che avresti fatto meglio a darmi qualche informazione sul sesso?” chiesi. “Primo: queste cose non competono a me che non sono neppure tanto amica tua. Secondo: nessuno potrebbe mai pensare che una ragazza oggi arriva al matrimonio così a digiuno di sesso come te. Terzo: non avrei avuto tempo neanche per fare qualche accenno, visto che eravate alla vigilia del matrimonio.” “Però sapevi chi era l’uomo che ho sposato”
“Certo; so che è ingenuo, quasi animalesco. E prevedevo anche che non avrebbe avuto tanti riguardi. Ma non potevo entrare negli affari vostri più di quanto ho fatto” “E credi ancora di non potermi dare delle dritte?” “Non ancora. Certamente parleremo più a lungo e più chiaramente. Ma a certe conclusioni è meglio che ci arrivi da sola.” “Ancora non ho capito il senso di quella “caccia” delle vedove bianche” “Perché ancora non sai quanto piacere può dare il sesso e come lo può dare. Quando l’avrai capito, torna da me e ne riparleremo” Non era possibile cavarne di più. Decisi che era meglio per il momento lasciare le cose in sospeso ed accettare la situazione per quello che era, in attesa di chiarirmi le idee e di chiedere ulteriori spiegazioni. Quella sera - e per altre sere ancora - Antonio mi montò addosso per tre volte nella notte e io ancora non capivo il senso del piacere sessuale. Lo spazio per stendere i panni era sistemato in cima all’edificio, in una sorta di ampio solaio che comprendeva anche piccoli gabbiotti di deposito e spazi liberi a disposizione degli inquilini. Ero andata su per predisporre i cavi per la biancheria ed andai nel nostro gabbiotto di deposito per cercare dei paletti. Il gabbiotto era fornito di una finestrella chiusa con un vetro che si apriva sugli spazi degli altri inquilini. Sentii un vocio confuso arrivare dall’esterno; aprii il finestrino per vedere e sentire meglio.
Proprio a ridosso del muro c’erano quattro ragazzi diversi per struttura fisica ed età che si erano appartati forse a fumare o a raccontarsi cose private. Teneva banco il più adulto, uno che conoscevo di vista e mi pare che si chiamasse Nicola; avrà avuto due o tre anni meno di me ma si distingueva già nella scuola per il suo fare imperioso e arrogante. In quel momento sembrava tener lezione agli altri; quando mi accostai al finestrino, sentii che diceva rivolto ad uno più piccolo: “Vuoi sapere come si fa a metterlo in mano a una signora?!? … Peppino!!!!!” il più piccolo del gruppo alzò la testa “prendi in mano il mio cazzo e fammi una sega!!!!” Il piccolo non se lo fece ripetere: aprì la cerniera del pantalone, infilò la mano ed estrasse un cazzo barzotto, di poco più di una quindicina di centimetri, e cominciò a massaggiarlo mandando su e giù la pelle e scoprendo ad ogni passata una cappella rossa e grossa, quasi il doppio del tronco del cazzo. Nicola spinse il busto in avanti mentre il cazzo si ingrossava ed irrigidiva, fece un’espressione beata e, di colpo, fermò la mano di Peppino: “Fermo che mi fai venire e non voglio sborrare solo con una sega!” In quel momento realizzai che il cazzo era l’”affare grosso e duro” che Antonio ogni sera mi infilava dolorosamente in figa e che faceva scivolare avanti e indietro fino a che non “sborrava” come Antonio aveva detto a Peppino.
Ma il gesto non mi provocava nessuna reazione, anche se ero affascinata dal modo in cui il bastone di carne si era rizzato e gonfiato per effetto della manipolazione. “Cos’altro si può fare a questo punto?” A parlare era stato uno degli altri due ragazzi (credo si chiamasse Carmine). “Intanto si devono accarezzare e leccare le tette e succhiare i capezzoli. …. Ma con Peppino non si può fare!!!!” concluse Nicola ridendo sguaiatamente. Antonio non aveva preso assolutamente in considerazione le mie tette, anche se un leggero prurito ai capezzoli lo avvertivo, mentre mi montava; ed ora i commenti di Nicola mi provocavano una tensione inaudita delle tette e del ventre. “E poi …????” L’altro ragazzino (Checco, mi pare) sembrava ancora più ansioso. “Prima di ogni altra cosa, bisogna baciare alla francese, con la lingua in bocca” Nel dirlo, prese Peppino per il collo e lo baciò a lungo sula bocca facendogli entrare a più riprese la lingua in bocca; l’altro non solo accettò ma ricambiò con entusiasmo. L’idea di sentire una lingua che mi esplorasse la bocca e mi stimolasse mi eccitava, ma non avevo nessun elemento di riferimento per capirne il senso.
Eppure, cominciavo a sentire quasi il bisogno di sentirmi la bocca occupata e perlustrata da Nicola che sembrava capace di provocare grandi stimoli anche al ragazzino che stava baciando e che si abbandonava languidamente al suo bacio. “E poi …????” Checco sembrava sempre più ansioso. “E poi …. Non si possono indicare molte cose avendo a disposizione solo Peppino, perché si può accarezzare la figa e sditalinarla, si può leccarla e farla sbrodolare …. E alla fine si può infilare il cazzo in figa, in bocca e in culo.” “Cosa?!?!?!” la faccia stralunata dei due ragazzi era un poema. Ma la mia faccia era ancora più stralunata. Sembrava quasi che tutto il discorso fosse una lezione riservata solo a me, per farmi capire di quante cose mi stavo privando con il matrimonio; quanto avrei preferito avere assaggiato tutte le possibilità del sesso, prima di farmi convincere ad accettare di essere paziente e disponibile! “Si, il cazzo si può infilare in bocca, in culo e in figa. Tranne l’ultima che non può perché non ce l’ha, per gli alti due buchi Peppino può fare vedere come si fa”. “Ma cosa provano le donne quando le fai queste cose?” “Forse ce lo può spiegare Peppino quando fa la femmina. Comunque sono certo che anche alle femmine facendo sesso viene un prurito, un solletichìo qualcosa insomma che stimola la figa dall’interno e le porta a godere”.
“Si. È verissimo!!!” avrei voluto gridare; e lo sentivo il prurito alla figa … e alle tette … e al culo … e alla bocca … insomma a tutto il corpo; mille punture mi percorrevano il corpo e mille spasimi mi agitavano. “Ma sborrano pure le donne?” “Non come gli uomini: d’altronde, il bambino deve nascere nella loro pancia e se sborrassero fuori non potrebbe succedere. Quindi, sborrano ma dentro e fanno maturare l’ovulo che, fecondato, dà origine al figlio” Tutta la vicenda era ormai una lezione per me. Mi rendevo conto in quel momento di quanto avessi perduto del significato e del piacere del sesso; un leggero formicolio mi prese all’inguine e fui quasi costretta a portarmi la mano sulla figa. E’ vero che non sborravo, ma godevo come una pazza solo a sentirli parlare; e la mia mano insistette sulla figa e cominciai a pastrugnarmela senza sapere cosa fare esattamente; la strofinavo e la titillavo con un piacere ancora più intenso quando infilavo le dita dentro e soprattutto quando solleticavo il bottoncino che c’era in cima, finché dal ventre mi partì una contrazione violenta che solo col tempo avrei imparato a riconoscere come un leggero orgasmo.
Intanto, Nicola prendeva Peppino per la testa e lo spingeva verso il basso; il ragazzo si accovacciò sui talloni, portò la bocca all’altezza del cazzo che non aveva mai mollato, e cominciò a baciarlo e a leccare la cappella tutto intera. Mentre Peppino continuava la sua opera di stimolazione del cazzo con la bocca, io mi trovavo senza volerlo ad agitare la lingua come se fossi io a passarla sull’asta vibrante; quando Peppino spalancò la bocca e si fece entrare dentro la cappella, provai una sensazione violenta di pienezza e ne avvertii quasi il sapore senza sapere neppure di che si trattasse. Nicola spinse ritmicamente il ventre contro il viso del ragazzo facendo entrare la sua asta quasi completamente nella bocca; Peppino accennò un paio di volte a conati di vomito ma resistette a quella violenta chiavata in bocca e continuò imperterrito a leccare con gusto e succhiare il cazzo nella sua bocca. Il due ragazzi intanto avevano tirato fuori i loro cazzetti infantili e se li smanettavano quasi con ferocia: in breve divennero abbastanza duri e lunghi una decina di centimetri: certamente non avrebbero potuto sborrare, perché i ragazzi erano ancora troppo piccoli; ma la goduria era intensa e valeva lo sforzo della pugnetta.
Ero invidiosa di Peppino, che poteva godersi in bocca un cazzo meraviglioso che io avrei voluto poter assaporare e gustare fino a farmi sborrare in bocca; e invidiavo persino gli altri due ragazzi, ma solo perché non potevo prenderli e spupazzarmeli come volevo con i loro cazzetti piccoli ma duri. Nicola voleva passare alla fase successiva e interruppe di colpo la scopata nella bocca di Peppino; lo allontanò delicatamente dal cazzo e gli disse di cavarsi pantaloni e mutande e di accucciarsi gattoni; il ragazzo eseguì e Nicola si inginocchiò dietro di lui, abbassò la testa e andò a lambire con la lingua il buco del culo di Peppino. “Vedete, in figa si entra liberamente perché è la figa stessa che produce liquidi lubrificanti che consentono ad un cazzo anche grosso di entrare nel canale vaginale e riempirlo fino all’utero; ma il culo in genere è asciutto e non secerne abbastanza liquidi per fare entrare un cazzo, specialmente se di dimensioni notevoli. Allora per inculare qualcuno, bisogna lubrificare bene l’ano e abituarlo alla penetrazione. Naturalmente, Peppino è da tempo abituato a essere inculato da me e il mio cazzo ormai gli entra facile. Ma una donna, specialmente se non l’ha mai fatto, deve essere ben preparata all’inculata.”
Istintivamente presi ad accarezzarmi le natiche e, una mano per una, le separai fino a portare alla luce il buchetto dell’ano; ci passai sopra il polpastrello del medio e sentii che vibrava e si contraeva di piacere; misi in bocca il dito e lo infilai nell’ano; entrò facilmente fino alla prima nocca e, dopo una leggera spinta, fino in fondo; dal ventre mi partì ancora una contrazione violenta che divenne leggero orgasmo e quasi sentii la mazza di Nicola che premeva sull’ano e mi violentava lo sfintere allargando i tessuti dell’intestino e occupandomi tutto il ventre. Ma era solo la mia fantasia. “Chi ti vorresti scopare quest’inverno?”Fu Checco a fare la domanda – chiave. “Non ho dubbi! Voglio chiavarmi Cristina!” La rivelazione mi colpì come una frustata anche se, in qualche modo, era da prevedere. “Perché proprio lei?” “Innanzitutto, perché è da sempre che mi piace, che me la sogno e che mi sparo le più belle seghe su lei, sulle sue tettine delicate, sul suo culo scultoreo e sulla sua bocca da pompini; secondo, perché ha quasi la mia stessa età, la conosco da sempre e sono convinto che meriti di essere chiavata alla grande; terzo, perché Antonio è un caprone bestiale incapace di fare altro che infilarlo in figa montare per qualche secondo, sborrare e addormentarsi.”
“E tu che ne sai?” “Credimi, ci vuole poco a capire: un bestione come lui non può comportarsi altrimenti.” “Ma tu sei innamorato di Cristina?” “No, non parliamo d’amore; le voglio bene come a una cara amica e mi dispiace vederla trattata male. Insomma, anche di un bell’oggetto, di una pietanza pregiata, di qualcosa di prezioso, ti fa male vederla sciupata. E per Cristina è proprio così. Mi piacerebbe tanto essere io a farla avvicinare al sesso come cosa bella e desiderabile.” Ero fuori di me; Nicola diceva esattamente le cose che avrei voluto sentirmi dire e si proponeva per farmi provare esattamente le emozioni che io avrei voluto provare, in bocca, sulle tette, in figa, nel culo. Mi appariva chiaro adesso il discorso di Donatella sulle “vedove bianche in caccia”: passata la fase del matrimonio con le violente scopate bestiali degli arrapatissimi emigranti disponibili solo per un mese, per le mogli in paese cominciava ad aprirsi la fase di soddisfare il bisogno di sesso e di piacere con quello che restava disponibile in paese, vale a dire i ragazzi più o meno cresciuti che rendevano un personaggio come Nicola il primo tra i favoriti per età,per esperienza e per dotazione fisica. Cominciai a desiderare quel cazzo e a volermelo ad ogni costo scopare.
Peppino, intanto, aveva preso a muoversi sulla cappella di Nicola che stuzzicava il suo ano; a quel punto voleva essere inculato e reclamava che il suo amico facesse il suo dovere fino in fondo. Nicola lo afferrò per i fianchi e, in parte tirandolo, in parte spingendo il ventre, fece entrare il cazzo tutto intero nel culo del ragazzo che ebbe un flebile lamento quando la cappella passò lo sfintere, poi si adagiò con le natiche al ventre di Nicola e si lasciò sbattere dai colpi di bacino ritmici, prima più lenti e carezzevoli poi sempre più violenti ed aggressivi finché, con un urlo, Nicola strinse le natiche contro il suo ventre e sembrò scosso dall’elettricità mentre, evidentemente, scaricava la sua sborrata nel retto del ragazzino. Durante tutta l’inculata, sentii il ventre squassato da violente contrazioni, il buco del culo palpitò continuamente quasi a cercare qualcosa di cui riempirsi e, quando avvertii la conclusione di Nicola, anche io ebbi un lancinante orgasmo che mi stordì per un momento. Quando mi ripresi, il terrazzino era vuoto: i quattro erano come spariti nel nulla. Raccolsi le mie cose, predisposi i cavi per la biancheria e tornai nel mio appartamento. Ma molte cose richiedevano riflessione urgente e chiarezza che solo Donatella mi poteva fornire.
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