Il 1980 è stato un anno di svolta nella mia vita. All’inizio, avevo avuto quasi la sensazione di una rinascita dopo una lunga crisi depressiva. Il fallimento del matrimonio e la conseguente separazione non solo mi avevano precipitato in una condizione imprevista e difficile da gestire, per chi aveva sempre vissuto in una famiglia e che di colpo si trovava a dover affrontare il menage da single (anche se l’espressione non era ancora così diffusa); ma mi aveva anche costretto ad trasferimento volontario, ma inevitabile per le condizioni di vita nella piccola città di provincia dove viveva la mia ex moglie. L’incontro con Erika fu fondamentale per riprendere contatto con l’entusiasmo della vita e, di più, per aprire orizzonti nuovi che erano sollecitati sia dalla cultura da cui lei veniva e che favorivano la mia naturale tensione alla libertà ( o al libertinaggio, come aveva sostenuto la mia ex moglie); sia anche dalla destinazione del trasferimento, il nord industriale e ricco che consentiva a tutti di lasciare sbrigliare la fantasia. Tra tutte le novità che il nuovo status mi propose, principale fu certamente il recupero di certe intenzioni giovanili (o addirittura fanciullesche) che il territorio di vita precedente relegava nella sfera intoccabile dei sogni se non delle utopie: sopra tutte, il mito del campeggio in un campo di nudisti sulle spiagge di quella che era ancora, a quel tempo, Jugoslavia.
Si era tanto fantasticato, nelle lunghe meditazioni da basilischi lungo il corso della cittadina di origine, che l’idea solo di poter toccare il mito con le dita mi mise le ali ai piedi e, in men che non si dica, avevo realizzato, da un vecchio furgone comprato a pochi soldi, una sorta di piede a terre viaggiante intorno al quale costruivo arditissime ipotesi di amore libero a go go. Venne, finalmente, il battesimo del fuoco, quando ormai stavo per esplodere dall’ansia; percorremmo sullo sbuffante camioncino tutta la Padana in una sola tirata, ma alla frontiera ci bloccò una coda infinita e le lungaggini burocratiche di frontiera che, al tempo, erano ancora fastidiose e lente. Ne approfittammo per sperimentare, sulla piazzola di un distributore, l’efficacia del camper fatto in casa. Il giorno dopo, altra tirata alla morte lungo le strade appena percorribili (e comunque classificate europee) dell’Istria, finché leggemmo con sollievo “Natur Kamp” e prendemmo coscienza che davvero c’eravamo e che l’avventura poteva cominciare. Dopo un giro lentissimo per una minuziosa perlustrazione, scegliemmo il margine di una radura stranamente libera e abbastanza vicina ai servizi (primordiali, per la verità, ma per noi indispensabili, non essendoci dotati del water chimico apposito per i camper). Non passò la mattinata che, al ritorno dal mare, trovammo piantata nel centro dell’area libera una tenda di stile piuttosto antico, con accanto una Skoda con targa ungherese, che ci pose qualche dubbio sulla felicità della scelta.
Quando però i nuovi vicini tornarono dall’aver fatto il bagno, i dubbi dileguarono di fronte ad una bionda di straordinaria bellezza in compagnia di un maschio tarchiato ma ben messo, ambedue eleganti e cordiali; con loro, un bimbo di pochi anni, dolce e bello come un amorino biondo con gli occhi azzurri. Come era imposto dal luogo, eravamo tutti completamente nudi e non faceva molto effetto ammirare bellezze ed intimità che in condizioni normali avrebbero fatto stravedere e scatenato pulsioni ed istinti superlativi. Comunque, anche Erika convenne che Linda - come avremmo saputo che si chiamava - era una vera bellezza per il viso perfettamente disegnato e stupendamente incorniciato dai fluenti capelli biondi, per il corpo armonioso ed asciutto, frutto - come avremmo dedotto poi - della scuola di ballo e dell’attività che esercitava nello spettacolo. Per parte mia, dovetti riconoscere che Milos, il marito, era decisamente un bell’uomo (molto più bello di me, senza dubbio) assai ben fatto e, particolare non marginale, molto ben dotato. Come avviene in questi casi, per l’intero pomeriggio ci scambiammo sorrisi e cenni, non essendo noi in grado di formulare la benché minima espressione in ungherese e non parlando correntemente neppure una lingua straniera che potesse essere comune.
La mattina seguente li trovammo sugli scogli che giocavano con il bambino; nell’entrare in acqua, Erika calpestò involontariamente un riccio, lanciò un urlo e si sedette su uno scoglio tenendosi il piede dolorante e cercando di individuare gli spini che erano entrati. Di fronte ad un fatto per me assolutamente nuovo, non sapevo che pesci pigliare. Mentre cercavamo inutilmente un qualche rimedio, ci trovammo a fianco Milos che, con un pezzo di aglio in mano, ci indicava di strofinarlo sulla parte: Erika ricordò di aver udito qualcosa del genere, lo fece e ne ebbe qualche sollievo; anche Linda si era avvicinata ed io mi sorpresi a sprofondare nei suoi occhi celeste, quasi incurante del resto che mi era offerto allo sguardo senza limiti. Cominciò così un’amicizia estiva che attraversò tutti le fasi sperimentate, dallo scambio di esperienze culinarie alla cena in comune fino alle serate passate a cantare con accompagnamento di chitarra: i due, infatti, erano cantanti professionisti ed avevano girato il mondo (quello ad essi consentito a quel tempo, naturalmente) facendosi apprezzare per la limpidissima voce di Linda - perfetta showgirl in grado di cantare, recitare e ballare - e per la maestria di Milos nel suonare la chitarra.
Per la comunicazione, ci avvalemmo delle poche conoscenze di Linda che stava studiando l’italiano e parlava abbastanza correttamente l’inglese, della buona volontà di Milos ad esprimersi in un approssimato tedesco e soprattutto della mia improntitudine che mi metteva in condizione di dialogare rapinando vocaboli (in inglese e in tedesco) a qualche vaga reminiscenza scolastica, alle frasi d’uso (specialmente delle canzoni in voga) e soprattutto all’universale linguaggio della gestualità. Nei giorni che seguirono familiarizzammo molto, con la complicità di Dàniel, il loro bambino che era veramente straordinario per entusiasmo, autonomia e disponibilità; poiché disponevamo anche di un piccolo canotto, mi trovai anche a girare per la baia con la madre e il bambino, mentre Milos andava a sperimentare la sua capacità di comunicatore con altri gruppi ed Erika continuava a crogiolarsi al sole sugli scogli: fu proprio in quella occasione che Linda, osservando l’attenzione con cui perlustravo con lo sguardo il suo corpo, mi chiese in inglese se avevo voglia di fare l’amore con lei; con il mio improbabile inglese, le risposi che lo avrei voluto solo se e quando lei lo avesse voluto: e la cosa finì là.
Durante le cene comuni e le serate di canto, avevamo avuto modo di renderci conto che a Milos piaceva molto bere e che, quando era sbronzo, non controllava i suoi entusiasmi: quasi sempre, quando noi decidevamo di dormire perché eravamo troppo stanchi, lui andava in altre tende a tirar tardi sino al mattino. Una sera venne giù dal cielo una vera tormenta d’acqua, che rivelò il motivo per cui la radura da noi scelta era vuota: incassata com’era, divenne un piccolo lago che sommerse la tenda e i suoi abitanti; ci precipitammo a soccorrerli e portammo nel furgone Linda e il bambino zuppi d’acqua; Milos arrivò da una delle sue scorribande solo qualche tempo dopo, si fece una sonora risata, scolò l’ultimo quarto di una bottiglia di vino e cominciò a palpare Erika che dovette allontanarlo con una certa energia. Linda aveva uno sguardo di fuoco. Il giorno seguente tutto era tornato alla normalità e il sole splendette nel cielo e nei nostri rapporti. Raccolsi delle cozze dagli scogli e mi diedi da fare per preparare una salsa per gli spaghetti: di fronte alla meraviglia di Linda, mi sentii in dovere di invitarli a cena per assaggiare il mio capolavoro.
Non avevamo neanche finito di cenare, che già Milos era totalmente ubriaco e aveva ripreso i suoi tentativi con Erika che si difendeva egregiamente; Linda mi disse, in inglese naturalmente, “ora io voglio!”; non colsi subito, per la mia scarsa dimestichezza con la lingua; lei sorrise e a gesti mi chiese di portare nella sua tenda il piccolo Dàniel addormentato; finalmente realizzai. Tutto quello che succedeva in quei giorni era, per la mia cultura di piccolo provinciale al limite del perbenismo, quanto meno stravolgente: entrai nella tenda col bambino in braccio e, mentre Linda lo sistemava, la cinsi da dietro prendendole in mano i seni sodi e pieni. Non disse una parola; si girò verso di me e incollò alla mia bocca la sua, in un bacio che mi lasciò stordito per intensità ed abilità di manovra della lingua: era veramente un’artista del bacio e a me non restò che lasciarmi andare alla sua passione e alla sua abilità, che non si limitava solo alla tecnica del baciare. Spingendomi dolcemente, mi stese supino sulle coperte che coprivano il terreno e cominciò a possedermi, letteralmente: mi montò sopra, tenendomi le mani imprigionate al di sopra della testa, e cominciò a percorrere il mio corpo con baci brevi e stuzzicanti che mi colpivano all’improvviso in ogni dove, sul collo e sui capezzoli, sul ventre e sotto le ascelle; ero eccitato come non mai e il mio membro ritto e duro come l’acciaio le carezzava la parte bassa della schiena.
Senza spostarsi ma solo sollevando il bacino, impugnò tra le cosce la mia asta e la diresse verso la vulva; di colpo, si abbassò e mi fece sprofondare fino all'utero con un leggero gemito di dolore. Intanto, dondolava la testa facendomi accarezzare il ventre dai suoi lunghi capelli con l’effetto di un titillamento estremamente eccitante. Non mi muovevo di un millimetro, affidato completamente a lei ed alla sua voglia. Ma più volte mi parve di vedere le stelle tanto era intenso il piacere che mi procurava: una lunga abitudine all’interruzione mi mise in condizione di frenare l’orgasmo all’ultimo momento bloccando anche i suoi movimenti, specialmente perché non sapevo se usava contraccettivi e, da quella posizione, non ero certo di poter ritrarmi al momento opportuno. Glielo dissi, con termini approssimati e impropri; capì, senza dubbio, perché mi disse solo “Attenzione, per favore”.
Stanco allora di essere totalmente nelle sue mani, le dissi che non avevo bisogno di una professoressa di sesso ma che volevo amore: si fermò interdetta, smontò e si stese a fianco a me. Cominciai a baciarla anch’io su tutto il corpo, soffermandomi a lungo sui capezzoli che mi affascinavano, maturi e duri com’erano; sentii più di una volta piccoli orgasmi che la scuotevano. Quando arrivai all’inguine, evitai volutamente la vulva e le baciai le gambe e le cosce fin quasi ai piedi, per risalire di colpo e tuffare il viso nella peluria folta dell’inguine; catturai il clitoride e mi diedi a succhiarlo e mordicchiarlo finché non sentii che, quasi urlando di piacere, mi scaricava in bocca una lunghissima sborrata. Quasi svuotata, si abbandonò sotto di me e andò rilassandosi con fremiti sempre più lenti e dolci che le agitavano il ventre. Mi sdraiai a fianco a lei; e Linda poco dopo riprese l’iniziativa, stavolta evidentemente con meno attenzione alla tecnica e con più passione: scosse a lungo i capelli solleticandomi tutto il corpo, poi cominciò a leccarmi e baciarmi dal collo all’inguine, finché prese in bocca l’asta e cominciò a leccarla e succhiarla con passione e tecnica raffinata.
Mentre godevo come non mi era mai capitato e ricorrevo a tutta la mia forza mentale per non sborrare (non volevo che il piacere si concludesse e avesse fine) sentimmo all’esterno uno scalpiccio, rumori volgari ed il vociare di Milos: divenni di ghiaccio, preso da autentico terrore, e mi preparai ad uno scontro che non si sarebbe mai potuto prevedere a mio favore. Ma Linda mi mise una mano sul viso per rassicurarmi e la spostò subito dopo sulla cerniera che chiudeva l’accesso alla tenda: non capivo niente e non sapevo neppure cosa pensare. L’uomo, all’esterno, tentò una, due volte di aprire la cerniera, poi rinunciò e, borbottando evidentemente bestemmie e improperi, si allontanò: io ero ancora in pieno incubo; e forse si vedeva anche al buio il mio aspetto terrorizzato. Linda mi disse solo: “Tu non sai niente del socialismo nel mio paese” ed era vero. Tentai di riprendere il mio vigore sessuale, anche se mi pareva piuttosto difficile; e Linda cominciò a darsi da fare per rianimare il mio sesso abbacchiato. Ma non era aveva molto successo. Quando sembrava che il mio terrore si fosse acquietato e stessi per riprender vigore, dall’esterno giunse la voce dura e violenta di Erika che chiedeva: ”E allora?!?! Non vi bastano due ore?!?!? Avete proprio bisogno di tutta la notte?”.
Mi gelai … irrimediabilmente; Linda se ne accorse, si staccò, mi baciò lievemente sulla bocca e mi sussurrò: “Cattiva sorte”. Il giorno dopo partirono in fretta: Milos era scuro come un cielo in tempesta, Linda sorniona e giuliva, scherzò con me durante tutti i preparativi e, aperto il cofano della macchina, mi fece cenno di accomodarmi; Erika rise e, indicando la mia conformazione minuta, fece capire a gesti che ci sarei entrato, fisicamente e mentalmente; e forse veramente mi dispiaceva che la storia fosse finita così in fretta.
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