Sentivo il mio desiderio montare irresistibilmente, gonfiandomi il cazzo che ormai soffriva nelle briglie del vestito; ma sentivo montare anche il suo desiderio, che si manifestava in gemiti sempre più forti e lunghi, in una diversa salivazione che faceva la sua bocca calda e umida più della figa, in una stretta quasi frenetica del mio corpo. Decisi che almeno lei poteva godere e infilai la mano sotto il groviglio degli abiti cercando il reggicalze e gli slip: provai una contrazione quasi dolorosa allo stomaco quando incontrai sotto le dita il calore della pelle, nell’interno delle cosce, vicino ai peli del pube; le presi l’inguine a mano aperta e lo strinsi fino a farle male; poi allentai la stretta e scavai col medio a cercare la vulva che incontrai rapidamente, calda e già bagnata: mi insinuai, raggiunsi il clitoride e cominciai a masturbarla. Esplose dopo solo pochi colpi, diede qualche piccolo urlo e affondò la testa sulla mia spalla mentre serrava le cosce e tratteneva la mia mano sulla quale si agitava scompostamente prolungando il piacere dell’orgasmo. Quando si fu alquanto calmata, si sollevò un poco sul suo sedile e sentii la mano che andava alla mia patta e cominciava ad aprirla; per un attimo mi gelai, al pensiero dei danni che potevamo arrecare ai nostri elegantissimi vestiti, con una sborrata che si preannunciava copiosa.
“Se vuoi, posso baciartelo”, mi sussurrò in un soffio; ed io rimasi stralunato. Nei nostri lunghi ed inutili “discorsi della notte” su e giù per il corso, tra noi “maschietti della provincia periferica” il tema più frequentato era ovviamente il sesso e le sue possibili pratiche; ma, nell’ignoranza diffusa (oggi forse assurda; allora, più che normale) alcuni luoghi comuni erano patrimonio generalizzato e considerati quasi dogmi indiscutibili; tra questi, il pompino era il tabù più radicato che lo classificava come pratica riservata ad omosessuali e prostitute, gente che non si sarebbe baciata sulla bocca neanche per tutto l’oro del mondo perché sarebbe stato immorale ed antigienico baciare una bocca dove fosse entrato un cazzo, fosse anche quello proprio. Questo aveva costruito il mito del pompino come forma di rapporto sessuale decisamente “fuori”, da provare almeno una volta nella vita, per le grandi emozioni che poteva dare (“ti succhiano dal cazzo il midollo spinale” era la banalità più diffusa); ma da fare solo con una prostituta ed anche di igiene garantita. Sentirmelo chiedere da una donna che amavo ed ammiravo mi lasciò sbigottito: le chiesi se era proprio convinta di farlo e lei mi spiegò che era una prassi normale tra le ragazze, prima del matrimonio, per mantenersi vergini, prenderlo in bocca o nel culo.
Ebbi un nuovo straordinario sobbalzo: il cazzo nel culo era, come il pompino, pratica da omosessuali e, tutt’al più - ma con molto minore frequenza - da prostitute: la rivelazione che ragazze borghesi potessero normalmente prenderlo nel culo dava un violento scossone a tutta la mia educazione e a tutta la mia cultura. Ancora una volta fraintendendo il mio disagio, Annamaria si affretto a rassicurarmi che il suo culo era ancora totalmente vergine e che un giorno, forse, l’avrebbe dato ad un uomo, ma solo come segno di un grande amore. Non mi raccapezzavo più e, affidandomi completamente, le dissi solo: “Visto che sono tuo, fai quello che ti piace”. Cominciò così un’avventura mentale che non ho mai più dimenticato. Quando si abbassò su di me e accostò le labbra alla cappella gonfia fino a scoppiare, avvertii contemporaneamente e tutte insieme un’infinità di sensazioni: quelle che avevo provato quando mi aveva infilato la lingua in gola e mi aveva baciato come mai prima avevano fatto; quando il mio cazzo aveva varcato la vulva quasi verginale che avevo forzato con gioia nuova e diversa e che, subito dopo, mi aveva avvolto con le vampate di calore che emanavano dal ventre e i guizzi dei muscoli della vagina che circondavano l’asta e l’accarezzavano nel vai e vieni; ma anche l’odore del suo seno misto al raffinato profumo che mi stordiva; insomma, cominciai a galleggiare fuori di me con la sensazione che tutto il mio ventre si protendesse per entrare nella sua bocca.
Il rapporto non durò che pochi secondi: eccitato com’ero e fuori di me per la nuova emozione, non ebbi neppure la forza di pensare per un attimo a frenarmi e sborrai al primo empito; quasi non me ne accorsi, tanto ero perduto in quel piacere straordinario e per me nuovo. Quando mi ripresi, lei stava già appoggiata a me, con la testa tra il petto e la spalla, e mi sussurrava che non l’aveva fatto spesso ma che con me era stato straordinario; quasi a farmi perdonare pensieri che lei non avrebbe mai potuto conoscere, le afferrai il viso e la baciai con entusiasmo, per la prima volta nella nostra storia imponendole silenziosamente di lasciarsi possedere dalla mia lingua che tentava - inutilmente, immagino - di riproporre nella sua bocca le emozioni che il mio cazzo aveva ricevuto nella sua. In seguito, l’avremmo fatto ancora, sempre con moltissimo gusto, ed io avrei chiarito una stupida confusione che un certo tipo di educazione mi aveva creato: ma quella volta, forse per le particolari condizioni in cui avvenne, fu veramente per me una “prima volta”. La fin troppo breve storia d’amore vissuta con Annamaria ebbe un effetto addirittura dirompente sullo sviluppo della mia personalità e della mia cultura, specialmente per quello che riguardava il sesso e le sue infinite possibilità di espressione.
Il nostro incontro avvenne in un quadro di comportamenti caratterizzati strutturalmente dal perbenismo piccolo – borghese, rispetto al quale si avviò esattamente come una trasgressione occasionale e violenta che aveva vari effetti, primari e secondari. Innanzitutto, rappresentava una potente valvola di scarico per due persone che, per effetto dell’ambiente di vita, si erano trovate a decidere troppo in fretta del loro futuro, legandosi con un vincolo a quel tempo indissolubile e comunque estremamente pesante come può essere il matrimonio e la nascita dei figli (due io e uno lei). In questa direzione, la scelta fu quasi immediatamente quella di vivere l’avventura dell’amore con giovanile entusiasmo, quasi per recuperare, almeno in parte, quello che era stato lasciato indietro, messo troppo presto da parte o addirittura evitato per un senso atavico di timore del peccato o quanto meno di pudore ingiustificato. Per la mia parte, mi riprendevo quell’educazione alla libera esplosione del sesso che si era risolta troppo rapidamente – nel matrimonio – con una pratica quotidiana del tipo “così deve essere e nessuno può farci niente”: con Annamaria, invece, la voglia di scopare era un’esigenza mentale, prima che fisiologica, e montava in ogni momento, anche subito dopo un rapporto particolarmente vivo e soddisfacente; per di più, mi si aprivano orizzonti di conoscenza e di pratica che fino a quel momento erano stati serrati come da antichi stregoni indigeni.
Per la sua parte, sicuramente era determinante la possibilità di essere, in qualche modo, “ruspante”, di dover cercare cioè tutti i momenti, i luoghi e le occasioni per fare del sesso una straordinaria avventura mentale per evadere in una nuvola di piacere, di eccitazione, di entusiasmo e, forse, anche di amore. Conseguentemente, anche i nostri comportamenti sociali presero altre direzioni: io presi decisamente coscienza di me e cominciai ad impormi con grande maturità; inoltre, affinai i miei gusti e le mie scelte fino a diventare quasi irriconoscibile a me stesso. Sul versante opposto, Annamaria perse gran parte della “puzza al naso” che ne aveva sempre caratterizzato i rapporti con gli altri e, specialmente quando alcune illazioni sul nostro rapporto presero corpo nell’ambiente di lavoro, imparò ad essere molto “proletaria” anche nel linguaggio e ad imporre la sua libertà con maggiore virulenza. Il teatro principale di tutto era e restava sempre lo stretto abitacolo della sua utilitaria, che si trasformava in una sorta di luogo magico: durante i trasferimenti da un punto all’altro o nelle lunghe soste di fronte a paesaggi che – per quanto soliti e consumati – ci apparivano sempre meravigliosi e nuovi, ci scambiavamo commenti, convinzioni e pareri su tutto lo scibile umano, in una sorta di complicità cameratesca che, specialmente nelle periferie della provincia, è un autentico collante tra gli amici.
Ma, subito dopo, diventava il “buon ritiro”, l’alcova dove scatenavamo i nostri istinti primordiali e ci abbandonavamo al piacere delle pratiche sessuali con la fame degli adolescenti insaziabili. Il posto non era affatto comodo, anche se sui sedili con lo schienale ribaltato il corpo minuto di lei si offriva con una certa comodità di azione, sicché per i primi tempi fu quasi giocoforza praticare il sesso in posizioni canoniche, lei supina e io bocconi, cercando gli spazi del godimento tra le lamiere troppo vicine e la leva del cambio che si ficcava dappertutto. In breve, imparammo ad usare lo spazio con maggiore raziocinio e il tempo con più oculata attenzione al desiderio ed alle possibilità: il rapporto vero e proprio veniva preceduto da lunghe fasi di petting, evitando di denudarci completamente per timore di possibili improvvise sorprese dall’esterno. Cominciai così ad apprezzare sempre più da vicino e sempre più a lungo i suoi seni piccoli e delicati con i capezzoli stranamente grossi e duri che, nelle ultime fasi della nostra storia, diventavano oggetto di palpate lunghe e stimolanti, sempre più sapienti e provocanti, al punto che talvolta le producevano orgasmi violenti ancor prima che la penetrassi.
Non mi riusciva, però, di leccarle la figa, come desideravo da morire, dopo il primo pompino, quasi per ricambiare alla pari; in compenso, lei cominciò a succhiarmelo quasi metodicamente, prima di farsi penetrare: talvolta, specialmente quando aveva le mestruazioni, si dedicava al pompino come pratica unica e mi strappava orgasmi generosi che mi riportavano alla memoria il pregiudizio assurdo diffuso tra i miei coetanei nell’età adolescenziale che, col pompino, la donna ti succhiasse il midollo dalle ossa; in realtà, quando lo prendeva in bocca, Annamaria riusciva a strapparmi solo visioni paradisiache, momenti di estasi totale ed orgasmi lunghi e intensi come mai ne avevo provato. Una sera mi propose di metterci sul sedile posteriore, dove ci si poteva stringere e accarezzare senza l’ostacolo dei sedili separati e della strumentazione tra di noi; lo feci senza convinzione, perché ritenevo che questo avrebbe favorito i preliminari ma avrebbe impedito il contatto “cazzo in figa” che per me rimaneva comunque essenziale e conclusivo. Ma mi ero sbagliato.
Una volta sedutici e ribaltati in avanti i sedili anteriori, si creò un varco sufficiente perché lei potesse parzialmente sdraiarsi sul sedile e io, inginocchiato, non saprei dire come, nel varco tra i sedili riuscissi a raggiungere con la bocca il suo inguine e cercassi goffamente di arrivare al clitoride; mi fermò, si sollevò e si appoggiò agli schienali ribaltati dei sedili anteriori, in maniera da avere il culo sollevato a mezz'aria: insinuandomi con qualche difficoltà dietro di lei, mi trovai il culetto proprio davanti al naso; non pensai neanche per un attimo di sfilarle gli slip, visto che bastava spostarli per mettere a nudo la vulva ben individuata dal triangolo che il reggicalze disegnava a quell’altezza. Era la prima volta che leccavo una figa, ricacciando dentro di me atavici dubbi e pregiudizi sull’igiene e sulla moralità del gesto: ma il contatto con il sesso caldo e fremente, già notevolmente bagnato per effetto delle precedenti manipolazioni, mi offrì sensazioni che si sarebbero annotate nella mente in maniera quasi indelebile.
L’odore della sua pelle, misto ed armonizzato con quello del profumo sapientemente adottato – che già conoscevo bene e riconoscevo immediatamente, soprattutto quando penetravo con le mani e con la bocca nel reggiseno per carezzarle e succhiarle le tette – mi aggredì con un misto di ferino, che nasceva dai piccoli orgasmi che aveva già avuto e che si andò intensificando a mano a mano che la mia lingua, dardeggiandole il clitoride che avevo immediatamente catturato, le procurò nuove e rapide frustate di piacere. Probabilmente fu appunto in quel momento che presi coscienza del suo culetto e cominciai a desiderarlo: in armonia con il resto del corpo, era minuto e tondo, come disegnato con un compasso, e si appuntiva leggermente, nella posizione in cui si trovava, alla punta delle natiche; lo accarezzai con dolce passione cercando di trasmetterle quasi telepaticamente il desiderio che si affacciava; ma Annamaria era troppo presa dal desiderio e dalla ricerca di piacere, per rendersene conto; e continuava a gemere dolcemente segnalandomi i punti di maggiore intensità del godimento con urletti più accentuati, quando le prendevo il clitoride tra le labbra e lo succhiavo oppure lo prendevo tra i denti e lo mordicchiavo dolcemente come di solito facevo con i capezzoli.
Fu ancora lei che mi spinse indietro la testa, quando il desiderio di sentire il cazzo nella figa si fece irresistibile: spazzando via tutti i miei dubbi in un solo colpo, cominciò ad abbassarsi lentamente su di me che stavo seduto alle sue spalle; passandosi la mano tra le cosce, si impossessò della mia asta che torreggiava fuori dalla patta eretta quanto più non avrebbe potuto: con sapiente lentezza, pilotò la cappella verso la vulva e cominciò a calare lentamente su di me facendosi penetrare a piccoli tratti. Non mi restò che chiudere gli occhi, lasciarla fare e abbandonarmi al piacere che mi invadeva ad ondate successive, dall’inguine al cervello, ogni volta che un movimento portava il cazzo più in profondità; poi cominciò a danzare su di me abbassandosi e sollevandosi alternativamente nella più lunga scopata che io ricordi nella mia vita: quando era tutta su di me e il cazzo urtava chiaramente l’utero – forse le faceva anche un po’ male, ma non mollava – cominciava un lento lavorio dei muscoli vaginali che accarezzavano l’asta e la stimolavano in ogni punto; quando si sollevava, invece, arrivava quasi a sfilarselo dalla figa per riprendere pericolosamente – nella condizione in cui eravamo – una penetrazione a fondo, fino a che le palle le battevano sull’osso pubico e il suo ano mi catturava i peli dell’inguine talvolta strappandomeli.
Non potevo resistere a lungo ad un lavorio così intenso e stimolante; glielo dissi e mi chiese solo di resistere ancora un momento, accelerò il movimento di vai e vieni e, quando sentì l’orgasmo arrivare, mi urlo “Ora…ora…”: fu il segnale, venimmo quasi contemporaneamente e Annamaria, muovendosi scompostamente sul mio inguine, cominciò una serie di sborrate che sembravano non voler finire mai; troppo a lungo stimolato ed esploso con una memorabile violenza, il mio cazzo resse solo per un poco e cominciò a perdere consistenza tra le proteste di lei che mi implorava di non uscire subito. Ma proprio non potevo farci niente e mi ritirai sollevandola bruscamente per non veder precipitare sul pantalone il mio stesso sperma; per fortuna riuscii a tamponare con un fazzoletto appena in tempo. Dopo quella volta, l’utilitaria perse quasi completamente i limiti di spazio che avevo sempre lamentato e divenne il luogo ideale per giochi impensati fino a quel momento. Altre volte, però, cercavamo soluzioni meno disagiate, specialmente quando il tempo lo consentiva, e la vicinanza del mare ci suggerì talvolta di farlo sulla spiaggia, con la semplice precauzione di un plaid steso sulla sabbia; successe però che, una volta, tornata a casa e recatasi in bagno a cambiarsi gli slip fradici di sborra, Annamaria non si accorse di lasciare sul pavimento una scia di granelli di sabbia sfuggiti forse proprio dalle mutandine; rientrato a sera, fu suo marito a calpestarli e a domandare chi avesse sparso zucchero nel bagno: fu un autentico colpo di fortuna che, almeno per il momento, evitò che la storia esplodesse con grave scandalo.
Per prudenza, decidemmo di non uscire più dall’auto e di alternare il ribaltamento degli schienali dei sedili anteriori ai rotolamenti sui sedili posteriori: soprattutto in quella posizione, quando la prendevo da dietro, il suo culetto mi tornava addirittura ossessionante davanti allo sguardo, sotto le mani, a portata di cazzo e nella memoria. Annamaria mi aveva detto di averlo ancora vergine ed io ne ero profondamente convinto, in parte perché le credevo sulla parola ma anche perché, per quanto non avessi abbastanza esperienza per giudicare con convinzione, comunque la costituzione del forellino, le pieghette che non accennavano ad aprirsi sotto la pressione delle mie dita e un po’ tutta la struttura generale mi davano l’impressione netta di un’intimità non violata. Ma Annamaria aveva anche aggiunto che un giorno l’avrebbe dato ad un uomo di cui fosse effettivamente innamorata; e l’idea di poter essere io il fortunato solleticava notevolmente non solo il mio orgoglio di maschio ma anche il mio desiderio di essere amato almeno quanto io la amavo: non feci mai cenno al problema, ma in qualche modo era nell’aria ogni volta che facevamo l’amore, specialmente quando le leccavo la figa da dietro e mi spostavo - per naturale esigenza ma anche per determinata volontà di segnalarle il mio desiderio - dalla vulva all’ano che solleticavo con la punta della lingua accennando quasi a penetrarla con quella; addirittura, talvolta, quando dovevo infilare il cazzo nella figa standole dietro, lo facevo prima scivolare per un po’ lungo le fessure, perlustrando con la cappella le grandi labbra, fino ad andare a solleticare il clitoride, e tornando poi indietro fino a strofinare la punta sull’ano, senza mai nemmeno accennare ad entrare: il desiderio era decisamente forte, ma mi ero imposto di aspettare che, se lo voleva, fosse lei a proporlo.
Ripensandoci dopo tanti anni, mi rendo conto che doveva davvero aver perso la testa, non solo per le “follie” che accettò di fare in quei mesi esponendosi al rischio di uno scandalo enorme e letale per il suo futuro; ma anche e soprattutto perché venne il giorno in cui cominciò a parlare di rapporti anali e mi disse senza mezzi termini, come era sua abitudine, che stava seriamente meditando di offrire a me quella seconda verginità che fin lì aveva protetto e la cui perdita un poco la preoccupava perché anche lei aveva informazioni non rasserenanti sulla dolorosità dell’evento e su possibili conseguenze. Non dissi nulla, perché non avrei saputo cosa dire; ma da lì cominciò per me un’attesa lunga e per certi aspetti difficile. Successe una sera in cui il tempo bizzarro ci scatenò addosso un temporale così violento che quasi ci bloccò sulla piazzola a strapiombo sul mare obbligandoci a chiuderci ermeticamente nell’auto. Con mille acrobazie, passammo sui sedili posteriori e cominciammo a carezzarci come sempre: prima io le leccai e le succhiai a lungo le tette e i capezzoli, cercando si stimolare al limite estremo la sua eccitazione: ma mi rendevo conto che non si lasciava andare come le altre volte e partecipava quasi con rabbiosa passione alle mie carezze; poi fu lei a piegarsi sul mio ventre e cominciò con il mio cazzo un rapporto di autentica adorazione: lo leccava dolcemente e minuziosamente lungo tutta l’asta e si soffermava sulla cappella senza accennare a prenderla nella bocca; il movimento mi scatenava violente fitte di piacere ma mi lasciava anche un desiderio spasmodico di sentire le sue labbra prima avvolgermi la cappella e poi lasciarla entrare a cogliere l’umido calore della bocca e della lingua.
Quando si decise a farlo entrare in bocca, tenne le labbra decisamente strette, costringendomi a spingere, come non facevo di solito, per farle penetrare dentro l’asta, che cominciò ad ostacolare con i denti quasi provocandomi dolore; quando poi l’ebbe dentro, la avvolse con la lingua e cominciò a succhiare con foga portandomi fino al limite dell’orgasmo che, come avevo notato, riusciva ad intuire da particolari pulsazioni della verga ed a prevenire interrompendo di colpo il pompaggio e stringendomi con una certa forza i coglioni. Dopo che per un paio di volte mi ebbe portato sull’orlo della sborrata, tirò sù la testa e mi montò a cavalcioni, con le spalle rivolte a me, e si sollevò per permettermi di leccarle la figa. Cominciai a farlo con appassionata intensità, come se fossi entrato nell’atmosfera particolare che stava costruendo intorno a quella serata: le sfilai con qualche difficoltà gli slip e cominciai a carezzarle le natiche, di tanto in tanto stringendole, una per mano, ed accostando i pollici alla figa; poi cominciai a coprire di piccoli baci tutta la pelle del culetto accostandomi con lento movimento circolare alle fessure: quando le raggiunsi, spostai delicatamente i peli e feci guizzare la punta della lingua sulle grandi labbra, prima, e su quelle piccole, poi, penetrando come con un piccolo cazzo fino all’imbocco della vagina; ebbe un fremito lungo e sentii una prima ondata di orgasmo che si scaricava nella mia bocca scatenandomi flussi di adrenalina.
Proseguendo la perlustrazione, ritornai verso l’esterno e salii verso l’ano che cominciai a percorrere con delicata insistenza, di tanto in tanto spingendo dentro la lingua fin dove mi riusciva: gemendo affannosamente mi pregò di insistere un poco lì: il sospetto di essere vicini ad un grande momento mi diede brividi inusitati. Mi diedi allora da fare a leccarla con entusiasmo, facendole entrare la lingua fino allo sfintere che trovai duro e impenetrabile; ritornai sulla figa che tormentai con le mani, con la lingua e coi denti: resistette ancora un poco, poi cominciò a lasciarsi andare alla serie di piccoli orgasmi che conoscevo come anticipatori di quello travolgente, finale, che chiudeva le nostre scopate. Quando il sapore dei suoi orgasmi mi aveva ormai del tutto riempito la bocca, come sempre si staccò da me, si piegò per sedersi, si impossessò della mia asta e la guidò nella vagina raccomandandomi di non cedere troppo presto: con pochi colpi, stavolta molto rapidi, raggiunse l’orgasmo solito, ma senza comunicarmelo ed anzi tenendomi , con la mano infilata tra le cosce, i coglioni stretti per impedirmi di sborrare.
Stravolto da quanto succedeva e di cui non capivo i meccanismi, mi limitai ad assecondare i suoi movimenti e a sentire le pulsioni della sua figa che esplodeva; quando si fu un poco placata, si allungò sul sedile anteriore, con la mano libera prelevò qualcosa dalla borsetta e me lo passò dietro le sue spalle; mi trovai in mano un tubetto, di quelli da crema, di cui non potevo assolutamente vedere niente , nella posizione in cui eravamo e con la scarsa luce a disposizione; mi disse che era arrivato il momento di darmi “la prova d’amore” (non c’era né retorica né enfasi, nella frase; era solo il modo con cui Annamaria evitava i termini per lei troppo crudi per definire le cose) e che quel gel avrebbe facilitato - stando ai bene informati - la penetrazione; mi chiese di spalmarne sopra e dentro l’ano; non fu facile eseguire, visto che non si staccò di un centimetro dalla posizione in cui si trovava, seduta su di me col cazzo profondamente immerso nella figa; non so come, ma riuscii a passarglielo abbondantemente e, visto che c’ero, ne spalmai anche sulla base dell’asta che tirai fuori per qualche centimetro dal suo corpo. Quando le passai il tubetto ormai vuoto a metà, mi chiese quasi sussurrando di essere paziente e delicato, di non insistere se non lo avesse sopportato e comunque di farlo con tanto amore: non credo che potesse rendersi conto che ero più emozionato e spaventato di lei; non le dissi niente e lasciai che facesse tutto da sola.
Sollevandosi con il corpo, lasciò sfilare il cazzo dalla figa, ma lo tenne ben saldo nella mano e, quando fu tutto fuori, cominciò a spostare la punta verso il buco posteriore; quando lo incontrò, cominciò ad abbassarsi lentamente sul cazzo: sentivo la pelle del glande tesa e forzata dalla carne che resisteva, la tensione era così forte da provocarmi fitte di dolore che mi facevano temere che il glande si stesse lacerando in più punti; ed intanto sentivo le forti contrazioni dell’addome di lei ad ogni millimetro che l’asta avanzava. Quando la cappella raggiunse lo sfintere e cominciò a forzarlo, ebbi quasi la sensazione che Annamaria stesse per urlare di dolore; subito dopo, temetti invece che i suoi mugolii fossero singhiozzi e fui quasi sul punto di urlarle di fermarsi e rinunciare; ma non mi sentii in diritto di dire niente; tenacemente, lei continuò ad abbassarsi sedendosi su di me: si fermò a lungo e sentii le contrazioni dei muscoli dello sfintere che si opponevano e palpitavano mentre si rilassavano un poco. All’improvviso, precipitò di colpo, con un urlo, e il cazzo sprofondò letteralmente nel suo culo fino alla radice. A quel tempo, l’unica esperienza che avevo di verginità violata, era quella della deflorazione di mia moglie, molti anni prima; ma ricordavo un evento che si era svolto con estrema naturalezza, con un solo attimo di difficoltà, quando era saltato l’imene, ed un certo impaccio dopo, di fronte al sangue che aveva imbrattato l’inguine a lei e a me.
Questa, invece, era la più straordinaria avventura dello spirito che mi fosse mai capitata: tanta determinazione, tanta appassionata ricerca di momenti indimenticabili rendevano quella violazione una sorta di mito che si costruiva: addirittura non pensavo neppure a muovermi per cercare di raggiungere l’orgasmo; piuttosto, mi godevo quel momento, da un lato, come possesso pieno del corpo di lei e, da un altro lato, come presa di coscienza del suo amore. Fortunatamente, Annamaria era sempre più rapida di me, a riprendersi dall’emozione, e cominciò a muoversi sul mio cazzo con entusiasmo; le chiesi di fermarsi e di lasciare fare un poco a me, anche se la posizione era decisamente infelice; si placò ed io cominciai a muovermi dentro di lei lentamente e a piccoli tratti, soffermandomi a cogliere con intensa partecipazione le nuove emozioni che mi produceva la stretta dell’ano intorno all’asta e la sensazione di calore totale che a vampate si sprigionava dal suo ventre e andava a inondare il mio. Non ebbi bisogno di muovermi troppo a lungo: dopo cinque o sei colpi, sentii l’orgasmo che montava e non feci niente per fermarlo; esplosi con un urlo e sentii che al mio faceva seguito il suo urlo di liberazione per un orgasmo altrettanto vigoroso quanto quello che le avevo scaricato nel ventre.
Poi restammo immobili ed ansanti, a tentare di recuperare il fiato e il contatto della realtà; mentre cominciavo a calmarmi e sentivo che il cazzo perdeva consistenza nel suo culo, mi accorsi che Annamaria si stava sollevando per sfilarsi: quando la cappella ripassò lo sfintere in senso inverso, lanciò un urlo assai più chiaro e forte di quello che avevo intuito quando il cazzo aveva violato la strettoia. Mi diede alcuni fazzoletti ed io provvidi a tamponare alla meglio, e alla cieca. Spostando il corpo di lato, si sedette vicino a me; la presi per le spalle e cercai con la bocca le sue labbra: mentre le accarezzavo il viso, mi resi conto che aveva il trucco disfatto e il rimmel colato sulle guance; come avevo intuito, la penetrazione l’aveva fatta soffrire fino alle lacrime; la strinsi con molto affetto: “Ti amo” mi sussurrò in un soffio; “Anch’io” fu l’unica cosa che riuscii a mormorare; ma sicuramente non c’era bisogno di altro. Dopo quell’evento, non passò molto tempo prima che Annamaria decidesse di rompere ogni rapporto con me: le voci sul nostro conto cominciavano a diventare insistenti e il rischio di schianti familiari si faceva sempre più pressante; cambiò lavoro e si trasferì non ho mai saputo dove; tentai di telefonare, ma non ci fu verso di parlarle.
Scomparve nel nulla, come dal nulla era apparsa; ma non ho mai avuto dubbi, dopo - quando le mie esperienze umane, amorose e sessuali sono diventate più ampie, consistenti e convinte - che quella scuola d’amore e di sesso sia stata per me fondamentale e decisiva.
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