Paolo non era stato uno degli amici più apprezzati, perché molte convinzioni ci avevano tenuti sempre piuttosto lontani, specialmente per quello che riguardava i rapporti con gli altri, che Paolo guardava con troppo sussiego e con una presunzione di superiorità che ripugnava al mio carattere aperto e disponibile con tutti; manco a dirlo, lo scontro maggiore si registrava nei discorsi che riguardavano i marginali in genere e, soprattutto, le donne, rispetto alle quali Paolo si poneva in un atteggiamento di semidio al quale fosse tutto dovuto dalle “schiave”, deridendo spesso e con forza la mia disponibilità e il mio cameratismo. Quando mi arrivò la sua telefonata, addirittura stentai a inquadrarlo anche tra i ricordi: eppure ne avevamo passato di giornate e di serate a discutere, perché comunque non gli si poteva negare un enorme fascino personale, una grande comunicativa ed un’abilità dialettica che rendeva sempre accese le discussioni e interessanti le dimostrazioni, indipendentemente dagli argomenti e dalle posizioni. Evidentemente, qualcosa dentro mi aveva imposto di rimuoverlo dalla memoria per non farmi turbare dal ricordo di certi scontri e dalla coscienza, col senno della maturità, che anche certe mie posizioni erano state troppo radicali e forse non corrispondenti alla realtà; comunque, mi meravigliai del fatto stesso che avesse il mio numero di telefono e, quando mi spiegò, maledissi con tutta l’anima l’amico comune che lo aveva indirizzato da me.
Ad ogni buon conto, non potevo rifiutarmi neppure con lui: non sarebbe stato né giusto né umano né, soprattutto, plausibile: mi rassicurò che si trattava solo di due notti, per lui ed una sua amica, Irene, e che mi avrebbe disturbato il meno possibile, occupato com’era fuori casa per tutti e due i giorni. Feci buon viso a cattivo gioco e mi accordai per andarli a prendere alla stazione, il giorno dopo, all’arrivo del treno. Ci incontrammo così nel caos solito della stazione centrale e stentai non poco a riconoscerlo, diverso com’era da quello che ricordavo: il giovane supponente, sempre attentissimo alla sua immagine, elegante fino al gigionismo, presuntuoso e impeccabile nei modi, si era trasformato in un irriducibile ever green con codino e barba incolti – fino a sembrare sporco – e abbigliamento zingaresco: jeans sdrucito e strappato, camiciola di colore indefinibile, scarpe da ginnastica. La ragazza che era con lui, più giovane di almeno dieci anni, non era da meno: jeans consunti e strappati, camicia militare troppo abbondante, capelli neri lunghi trattenuti da una fascia e lasciati cadere sulle spalle; nonostante l’abbigliamento improbabile e una certa evidente trascuratezza, rivelava però una bellezza autentica, senza segno di trucco, ed un corpo esplosivo al quale neanche l’abbigliamento casual faceva perdere l’intensa femminilità.
Non avevano che uno zaino a testa, come bagaglio; e questo mi fece sperare che davvero si sarebbero trattenuti pochissimo. Dopo gli scambi di effusioni, all’inizio impacciate ma poi sempre più autentiche e spontanee, ci dirigemmo in auto fino alla mia casa che Paolo non mancò di lodare con ridondanza di aggettivi sottolineando la mia capacità di perseguire, nel corso degli anni, quegli obiettivi di affermazione sociale che avevamo formulato da adolescenti e che lì trovavano concreta realizzazione; per parte sua, si dichiarava felicissimo di aver inseguito la poesia, di essere rimasto nomade e provvisorio nella vita, ancora alla ricerca di un “centro di gravità permanente” per avere ancora la possibilità di cogliere la fortuna che, dietro l’angolo, stava ad aspettarlo. Mi accorsi che la ragazza ne seguiva le elucubrazioni con interesse ma anche con scetticismo e interveniva solo a monosillabi o con frasi brevissime per dire che non gliene fregava niente: “Bella coppia!!!”, pensavo fra me; ma, sotto sotto, molto in fondo alla mia coscienza, un pizzico di invidia non mancava.
Depositarono gli zaini in un angolo, prelevando solo i documenti e una pianta della città; gli consegnai una copia della chiave di casa, non sapendo quando sarei rientrato io e quando sarebbero tornati loro; gli indicai il divano – letto dove avrebbero dormito, gli fornii tutte le indicazioni sulla casa e sulla collocazione delle cose di cui avrebbero potuto avere bisogno; mi salutarono e uscirono per le loro incombenze; a mia volta, mi recai in ufficio e quasi mi dimenticai di loro per tutto il giorno. Me ne ricordai al momento di tornare a casa, quando un collega mi invitò a mangiare una pizza e dovetti rifiutare, perché avevo ospiti e non sapevo cosa avessero deciso per cena: e feci bene, perché a casa trovai che i due erano rientrati e che Irene, rivelando doti di casalinga che sotto l’abbigliamento non mi sarei mai azzardato ad immaginare, aveva messo su una serie di piatti tipici delle nostre parti di cui avevo quasi dimenticato il sapore. La cena fu veramente deliziosa, per il cibo preparato con sapienza e con gusto; per il vino che bevemmo al di là del buonsenso, pur senza sbronzarci; per le chiacchiere inevitabili in quelle occasioni, che ci permisero di aggiornare le informazioni non solo su noi ma su tutto il giro di amici comuni, scivolando inevitabilmente nei ricordi, specialmente quelli più divertenti o addirittura ridicoli che scatenarono una sana e cameratesca ilarità.
Ad un certo punto fui costretto a spiegare che “lo schiavo del sistema” (come ormai mi indicavano scherzosamente) era costretto ad andare a letto, per affrontare il lavoro del giorno dopo; li salutai e mi ritirai nella mia camera. Per un po’, sentii di là dall’uscio rumori vari, dai quali dedussi che stavano rigovernando la cucina (con mio sommo piacere, considerato il fastidio che mi dava questa incombenza) e che intanto trasformavano, come avevo indicato, il divano in letto; poi mi addormentai. Mi svegliai di soprassalto per una serie di rumori e di urli che, nel cuore della notte e in una casa dove il silenzio dominava incontrastato, risultavano estremamente amplificati; l’orologio luminoso sul comodino mi disse che era passata poco più di un’ora: preoccupato soprattutto dagli urli, mi levai a sedere incerto se farmi vivo, col rischio di invadere un’intimità, o tentare di riaddormentarmi; ma l’agitazione improvvisa e i suoni – che risultarono evidentemente non di dolore – mi impedivano di riprendere sonno; e d’altro canto mi turbava molto l’idea di aprire la porta e di apparire all’improvviso: da sotto l’uscio filtrava chiarore - segno che nella sala le luci erano accese – e non sapevo cosa potesse aspettarmi.
Ma i rumori inevitabilmente mi incuriosivano e, con un gesto di assurda debolezza, mi alzai in silenzio dal letto, mi accostai alla porta e misi l’occhio alla serratura, sapendo che il divano – letto, da quella posizione, mi sarebbe apparso in piena evidenza. La prima cosa che vidi fu il culo di Irene, tondo e pieno, bello come lo avevo immaginato: tra le cosce spuntava la testa di lui, steso sotto di lei in classico sessantanove, che con la bocca le solleticava la figa e con le mani le accarezzava le larghe natiche; per quanto non lo vedessi chiaramente, era facile dedurre che lei gli stesse succhiando golosamente il cazzo. Lo spettacolo risultava addirittura banale, ma non spiegava i rumori e gli urli che mi avevano svegliato. Lo capii subito dopo, quando Paolo cominciò ad infilare con decisione un dito nell’ano dilatato della donna, premendolo fino in fondo e muovendolo dentro e fuori con una certa violenza: allora cominciarono i gemiti leggeri di lei, soffocati dal cazzo che stava succhiando; e quando lui affiancò al dito un secondo, aprendole con forza l’ano, i gemiti si fecero più lunghi ed acuti, nonostante l’ostacolo del cazzo in bocca.
Ricordai in quel momento quel che Paolo pensava delle donne e del sesso e mi turbò un poco la visione della violenza gratuita che le portava; ma il mio stupore era ancora acuito dalla compiacenza di lei che agitava i fianchi per rendere più profonda la penetrazione e che, a un certo punto, per un attimo interruppe la succhiata per incitarlo: “Ancora!!!.. Ancora!!!… Di più!!!… Di più …” Evidentemente erano avvezzi a queste pratiche e c’era intesa, tra loro; infatti Paolo ritrasse le due dita e raccolse le cinque della mano destra per infilarle insieme nella vulva di lei, mentre intanto le passava la lingua intorno alle piccole labbra, quasi violacee, che apparivano dalla vulva spalancata. Lo spettacolo era per me assolutamente nuovo; ma non era per loro una novità, visto che Irene cominciò a muovere il bacino per accentuare la penetrazione fino a che – con mia indicibile sorpresa – la mano penetrò fino alle nocche; dovetti ritirarmi e distogliere lo sguardo, per la meraviglia, ma intanto sentivo il cazzo che picchiava dolorosamente contro il pigiama, tanto si era fatto duro. Riportai l’occhio alla serratura, ormai coinvolto fino in fondo dalla vicenda, e cercai di spostare lo sguardo alla ricerca della visuale migliore, finché mi ricordai del grande specchio sulla parete di lato, nel quale riuscii a vedere riflessa la coppia in tutta la sua completezza.
Mi colpì la stazza notevole del cazzo di Paolo, che Irene però faceva scomparire con molta disinvoltura nella sua bella bocca che già avevo immaginata calda e particolarmente adatta ai pompini; e, dalla passione con cui lei leccava l’asta e l’enorme glande e poi si infilava il tutto in bocca in un gioco straordinariamente erotico, mi resi conto che ero stato uno stupido a temere per la sua incolumità. Intanto, Paolo aveva cambiato direzione e la sua mano, sfilata dalla vagina, si diresse decisamente al buco piccolo, premendolo con continuità e forza: ancora una volta non riuscii a impedirmi un brivido di timore, ma di nuovo fui spiazzato dalla reazione di lei che continuava ad incitare e a dimenarsi per accentuare la penetrazione. Quando le dita sparirono nell’ano fino alla nocca, ebbi un sobbalzo: ritengo – ma non ne sarò mai certo – che avessero sentito qualcosa, perché per un attimo si fermarono e bisbigliarono qualcosa, non so se per raccomandarsi cautela o per incitarsi a vicenda a spettacolarizzare la scopata a beneficio dell’unico possibile spettatore.
Sta di fatto che si staccarono per un attimo e quasi si ricomposero, poi Irene si spostò dal corpo di lui e riprese a succhiargli l’uccello standosene carponi, ma di lato a lui, sicché io potevo ammirare in tutta la sua potenza il cazzo, le manovre di lei per mandarlo su e giù nella bocca e i fremiti di lui sotto l’effetto delle leccate; contemporaneamente, Paolo riprese le carezze e il titillamento della figa e del culo, ma solo con la mano e facendo penetrare solo un dito di cui io potevo ammirare i movimenti circolari sulle piccole labbra e poi sul clitoride, sulle pieghette dell’ano e, dentro, sullo sfintere. Quando furono sazi di questa prima parte, Paolo rovesciò la donna sulla schiena, le fece spalancare le gambe, si pose in mezzo ed infilò il cazzo nella figa: sollevando poi le ginocchia di lei fino al petto, mi offrì lo spettacolo totale della loro scopata, accompagnata da gemiti e urletti che individuai essere quelli che mi avevano destato. Come calamitato dallo spettacolo, mi ritrovai in ginocchio dietro la porta, con la faccia appiccicata alla serratura e il cazzo duro in mano, intento alla sega più intensa che ricordassi. Quando i gemiti di lei si fecero quasi urli disumani e vidi il corpo scosso come da improvvise scariche elettriche, non riuscii ad impedire che dal mio cazzo esplodesse una sborrata enorme: quasi vergognandomi di me stesso, mi ripresi e tornai precipitosamente a letto, dove stentai moltissimo a riprendere sonno.
La mattina seguente, quando la sveglia mi riportò ai miei doveri quotidiani, li trovai nudi sul divano – letto e mi resi immediatamente conto che erano troppo profondamente addormentati per essere disturbati; nel massimo silenzio, mi vestii e uscii, rinunciando anche al primo caffè, che di solito prendevo a casa. In ufficio, fui troppo impegnato per pensare a Paolo e ad Irene; ma ci pensò lui a ricordarmi la loro presenza, con una telefonata in cui mi avvertiva che avrebbero cenato fuori; ne fui quasi felice. A fine giornata, accettai l’invito del collega che, come quasi ogni giorno, mi propose la pizza nel solito locale; rientrai a casa piuttosto presto e, dopo una veloce doccia, mi misi a letto; presi sonno molto rapidamente: ma gli eventi della sera prima avevano avuto un effetto maggiore di quello che pensassi, perché mi trovai a galleggiare in una serie di immagini oniriche in cui lunghe schiere di bellissime ragazze copulavano in tutti i modi e in tutte le situazioni con maschi superdotati, lasciandomi metodicamente fuori dai loro giochi; mi agitavo nel sonno come un ossesso e più volte mi ritrovai seduto al centro del letto, stordito e del tutto scoperto: ogni volta mi imponevo la calma e cercavo di riaddormentarmi; finché ci riuscii ed il sogno prese una direzione meno angosciosa ed una forma più nitida.
Stavolta ero su una spiaggia, disteso completamente nudo sulla sabbia e guardavo da lontano una figura femminile che mi si avvicinava: non riuscivo a distinguerne le fattezze, ma la complessione fisica, soprattutto il culo e i lunghi capelli neri, era di Irene; nel sogno, la donna mi si avvicinò in silenzio, si inginocchiò accanto a me sulla sabbia e prese in bocca il mio uccello che era diventato improvvisamente molto più grosso della realtà. La sensazione che nel sonno provavo era straordinariamente vicina alla realtà ed io mi adagiai nelle immagini di fantasia assaporando il piacere di un autentico pompino: per gustarlo di più, allungavo le mani a prenderle la testa e accompagnare il movimento della bocca. Tutto questo avveniva nel sogno; ma, nella realtà, avevo effettivamente allungato le mani verso il mio inguine e, anziché toccare il mio corpo, incontrai una massa di capelli che mi copriva il ventre. Con un sussulto, sbarrai gli occhi e nella luce incerta che veniva dalla porta semiaperta, intravidi una donna inginocchiata sul mio letto, all’altezza del ventre, che mi stava succhiando golosamente il cazzo: sulle prime, ebbi un moto di reazione che spinse via la donna; ma lei afferrò il cazzo con la mano e, senza preoccuparsi di me, riprese a succhiare con maggiore foga.
Le spostai i lunghi capelli dal viso ed ebbi la conferma che proprio di Irene si trattava, che si era infilata nel mio letto mentre io dormivo e che mi aveva svegliato nella maniera più deliziosa che si possa immaginare. Superata rapidamente la sorpresa, decisi di stare al gioco e mi abbandonai alle sue manovre, limitandomi a carezzarle i capelli sopra la nuca e la schiena nuda fino alla curva delle anche; preso dal vortice del piacere, chiusi persino gli occhi e mi abbandonai alle pulsioni del cazzo sollecitato con grande perizia dalla lingua di lei che passava lungo l’asta fino alle palle, quando il cazzo era fuori dalla bocca, e stimolava insistentemente la base del glande quando la cappella veniva infilata fino alla gola. Piccoli rumori vicini mi fecero riaprire gli occhi ed inquadrai immediatamente Paolo che, completamente nudo, si accostava da dietro alla donna prendendo ad accarezzarla sulle spalle, sulla schiena e sulle natiche; mi fece segno di tacere e si avvicinò a lei infilandole una mano nella fessura tra le natiche: immaginai che si stesse aprendo con le dita la via alla penetrazione, stimolando contemporaneamente la figa di lei. Poco dopo, infatti, accostò il suo enorme cazzo al culo di lei, la sollevò per le anche e cominciò ad affondare nel suo corpo: dalla mia posizione, non era possibile decifrare come la stesse penetrando e, quasi preso da morbosa curiosità, allungai la mano sotto il corpo di lei fino a raggiungere l’inguine; grufolai tra i peli del pubi, e incontrai il clitoride fortemente emerso e duro come un piccolo cazzo; ma, dietro di esso, sentii immediatamente il turgore dell’asta di Paolo: timoroso di essere frainteso, ritirai la mano verso l’osso pubico e mi dedicai alla manipolazione del clitoride.
Il duplice trattamento doveva avere incontrato il pieno godimento di Irene, che accentuò la sensualità delle succhiate e cominciò a salivare intensamente, mentre qualche strano gemito le sfuggiva dalle labbra tappate dal cazzo. Quasi seguendo un itinerario che si era prefisso, Paolo interruppe la scopata che aveva avviato e condotto per pochi colpi lenti e saporosi, prese Irene per la testa e la obbligò a sfilarsi il mio cazzo dalla bocca, la sollevò amorevolmente, la pose in piedi su di me, con le spalle rivolte al mio viso, e la fece piegare lentamente, come per sedersi: la donna, evidentemente cosciente delle intenzioni, allungò una mano dietro la schiena, si lasciò sostenere nella caduta e intanto guidò la cappella del mio cazzo verso il buco posteriore. Per un attimo, la cosa mi tenne sospeso, perché le volte che avevo praticato il coito anale le mie partners mi avevano tempestato di mille raccomandazioni e costretto a infinite precauzioni e soste; ma poi mi ricordai della scena della sera precedente e mi resi conto che Irene non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad assorbire il mio randello, di stazza decisamente media, laddove sopportava ben altre penetrazioni.
Difatti si adagiò seduta sul mio inguine ed io ebbi solo la sensazione di penetrare una figa leggermente più stretta; quando l’asta fu tutta dentro di lei, allungò le gambe sulle mie e si riversò schienata sul mio petto: seguivo le sue (anzi, le loro) manovre quasi non rendendomi totalmente conto di quel che avveniva, come se fossi spettatore della vicenda di un altro o protagonista ancora del sogno che avevo iniziato da solo. Quando fu comodamente adagiata sul mio corpo, col cazzo saldamente trattenuto dallo sfintere manovrato con molta abilità, allargò al massimo le gambe offrendosi a Paolo che, ai piedi del letto, la sovrastava in ginocchio fra le sue cosce col cazzo eretto in tutta la sua potenza; lui si piegò in avanti e cominciò a penetrarla in figa: sentii la sua asta che riempiva la vagina strusciandosi sul mio cazzo e la sensazione fu tale da annebbiarmi il cervello; allungai le mani sul corpo di lei e le presi i seni, cercando immediatamente i capezzoli che cominciai a titillare con la massima delicatezza possibile. Paolo, intanto, si era completamente adagiato su di lei ed ambedue mi pesavano addosso: temevo di non farcela, a reggerli, ma almeno lui si teneva puntellato con le ginocchia sul letto; e in definitiva ressi il colpo.
Poi non dovetti fare più nulla, perché fu Paolo ad imporre ritmo e movimento: ogni sua stantuffata era fonte per me di un piacere infinito, che mi veniva direttamente dallo sfregamento del cazzo di lui sul mio, attraverso i leggeri tessuti di carne tra utero e intestino; e non fu neanche un procedimento lungo, perché a me la situazione dava emozioni irresistibili. Quasi senza rendermene conto, avvisai con voce rotta che stavo per sborrare e l’avviso fu come uno stimolo ulteriore per i due che dovevano essere eccitati almeno quanto me: urlando insieme, esplodemmo all’unisono in una sborrata paradisiaca che ci svuotò letteralmente tutti e tre, tanto e vero che quasi immediatamente Paolo, per non accasciarsi su di noi ed opprimerci col suo peso, si sfilò in fretta dalla figa e giacque al mio fianco, ansando; Irene invece si mise una mano fra le cosce e cominciò a masturbarsi per trattenere più a lungo l’orgasmo che sembrava inesauribile, mentre contemporaneamente stringeva lo sfintere per impedire al mio cazzo, che si andava afflosciando, di uscire naturalmente. Dopo un poco, però, dovette cedere e sentirlo venir fuori inevitabilmente; allora si spostò dal mio corpo e, per la posizione precaria, si andò ad adagiare direttamente sullo scendiletto. Riprendemmo una respirazione regolare solo dopo alcuni minuti: appena fui in grado di farlo, corsi in bagno a lavarmi; quando tornai in camera, i due non c’erano più; e non mi dispiacque riprendere possesso totale del mio letto.
Per qualche tempo, mentre scivolavo lentamente in un sonno più pacifico e soddisfatto, sentii che, nel salone, gli armeggiamenti dei due continuavano e invidiai la loro capacità di tenuta; ma alla fine mi addormentai e mentalmente gli augurai buon proseguimento. La mattina seguente, al suono della sveglia, sentii che erano già in piedi: mi ricordai che il loro treno partiva presto e che avevano già predisposto tutto. Li accompagnai alla stazione: non una parola fu detta su quanto era avvenuto la sera prima; solo, alla stazione, Paolo mi promise, tra il serio e l’ammiccante, “Presto o tardi ci rivedremo”; sorrisi senza dire nulla, ma una vocina dentro suggeriva “Presto, molto presto, speriamo!”
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Aggiunto: 5 anni fa
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Trio