Nel nostro condominio, l’arrivo, della vedova Cappelli aveva rappresentato il fatto più rimarchevole da quando l’edificio era stato costruito e ci eravamo andati ad abitare. Bella, elegante, discreta e cordiale, la signora si acquistò rapidamente la simpatia, se non l’amicizia, di quasi tutti i condomini, benché non mancassero, sulle sue abitudini private, inevitabili allusioni e pettegolezzi dettati forse solo da invidia e comunque senza molti elementi a sostegno. Il sentimento dominante tra i maschietti del condominio era naturalmente quello, neppure tanto celato, di poter entrare nelle grazie della bella vedovella e di riempirne in qualche modo i vuoti; a frenare gli entusiasmi, c’era però la presenza della bella figlia della signora, poco più che diciottenne, che assorbiva totalmente la vita di Francesca - così si chiamava la vedova - e che già, in qualche modo, suscitava interessi e attenzioni di tutti i maschi del quartiere.
Personalmente, non ero molto disposto a lasciarmi impelagare in storie più o meno strane, anche se indubbiamente affascinanti: reduce da una recente battaglia di separazione dopo anni di vita serenamente borghese, stentavo molto a ritrovare un equilibrio nella nuova e difficile condizione di single costretto dalla realtà dei fatti a vivere la maggior parte delle ore fuori casa, tra ufficio, tavole calde e ristoranti. Dopo lunghi e dolorosi esperimenti, ero riuscito alla fine ad organizzarmi con una collaboratrice domestica assolutamente innocua dal punto di vista emotivo ed erotico; cercavo tutte le occasioni per stare fuori casa e soprattutto mi lasciavo travolgere da avventure sessuali solo di tanto in tanto, proprio quando non riuscivo più a reggere, accettando inviti senza prospettiva o, qualche volta, incontri a pagamento per scaricare tensioni e coglioni.
Il momento peggiore della settimana, quello che più di qualunque altra cosa temevo nel mio andirivieni dal centro alla periferia residenziale dove aveva sede il nostro condominio, era l’attraversamento, nelle sere di fine settimana, del “chilometro maledetto”, quello che passava davanti alle discoteche stranamente raggruppate in una stessa area, dove tra motociclette, automobilisti più o meno allegri e pedoni vestiti nelle fogge più impensate si creavano code e ingorghi che qualche volta facevano perdere delle ore per percorrere poco più di ottocento metri. In compenso, lo spettacolo che si offriva - di gioventù allegra e, almeno all’apparenza, molto disponibile - era di quelli che avrebbero risuscitato, se non un morto, quanto meno un apatico rinunciatario come me. Molto spesso venivo fermato con la richiesta di un passaggio; e qualche volta accettavo a bordo passeggeri sconosciuti - contro il mio abituale costume - specialmente se la richiesta mi veniva da belle ragazze succintamente vestite.
Quel venerdì sera mi ero intrattenuto a cena con alcuni vecchi amici ed avevo passato praticamente la serata a raccontare per l’ennesima volta la crisi tra me e la mia ex moglie, puntualmente costretto a difendermi dalle accuse di stupidità rivoltemi dagli amici o da quella di violenza rivoltami dalle loro gentili consorti: a riempire la misura della mia pazienza, erano stati i poco velati accenni alle mie presunte difficoltà in fatto di prestazioni sessuali rivoltimi dalla più spudorata delle signore presenti che, per colmo di perversione, non lesinò nessun tentativo di provocare le mie reazioni esibendo le sue grazie abbondanti e ben disposte e strusciandosi spesso quasi per eccitarmi. Uscii dal ristorante decisamente scocciato e quasi non mi resi conto che avevo imprudentemente preso la strada che passava dal chilometro maledetto in un’ora in cui non c’era la minima speranza di filare senza intoppi: quando mi resi conto dell’errore, era ormai troppo tardi e dovetti rassegnarmi alla sarabanda di auto che compivano le evoluzioni più strane ed imprevedibili, di motorette che guizzavano da ogni parte e di pedoni addobbati in fogge impensate che trasformavano la sede stradale in un’improbabile pedana da ballo o tavolato da palcoscenico.
La ragazza che bloccò la mia auto ponendosi in mezzo alla strada aveva qualcosa di familiare, sotto il trucco troppo pesante e gli orpelli di metallo sul vestito assai succinto: solo quando ebbe aperto la portiera e mi ebbe salutato con voce cinguettante, mi resi conto che si trattava di Monica, la bella figlia della vedova Cappelli, assolutamente irriconoscibile nella “divisa da discoteca”. La feci salire volentieri e con maggiore entusiasmo appoggiai per un attimo lo sguardo sulle cosce slanciate, totalmente scoperte fino agli slip, e sul seno acerbo solido e ben costruito che l’abbondante scollatura faceva apertamente ammirare. Si sedette con disinvolta spudoratezza e cominciò a cicalare ininterrottamente della difficoltà di trovare un mezzo per tornare a casa dalla discoteca, dei compagni di avventura che ricorrevano ai più vili ricatti per concedere un passaggio in auto o in moto, sulle difficoltà insomma che incontrava a fare la vita del sabato sera.
La lasciavo parlare senza quasi rendermi conto delle cose che diceva e mi dedicavo con intenzione alla strada, per non lasciarmi calamitare dalla vista del suo corpo eccitante che già mi provocava una notevole sollecitazione dell’inguine con evidente rigonfiamento della patta. Quasi avesse colto i miei pensieri, con una disinvoltura che mi lasciò di sasso, allungò la mano e andò ad appoggiarla proprio sul mio sesso gonfio fino a dolermi: provai una lieve vertigine e per poco non andai a sbattere contro un paracarro: con dolce violenza, spostai la sua mano facendole osservare che rischiavamo grosso se insisteva nella sua manovra. Per tutta risposta, mi aprì la cerniera dei pantaloni, infilò una mano che si rivelò immediatamente abile ed esperta e cominciò a massaggiarmi l’uccello dentro gli slip; non potei fare altro che impormi la massima concentrazione sulla guida, per evitare guai, e tentare di resistere agli stimoli che le sue manipolazioni mi davano.
Fortunatamente, il punto peggiore della strada era superato e in breve raggiunsi il cortile del condominio; mi diressi al mio posto-macchina e parcheggiai. Non avevo neanche spento il motore che Monica aveva già estratto dal pantalone il mio cazzo e cominciava a manipolarlo con più libertà e decisione; il suo modo di masturbare indicava un’esperienza lunga e matura a certe pratiche “automobilistiche”: non solo mi provocava lunghi e sconosciuti brividi col tocco leggero delle dita, ma sapeva anche accelerare o rallentare il ritmo, stringere o rilassare la presa secondo le emozioni che mi provocava e le reazioni del mio cazzo decisamente supereccitato. Più di una volta fui sul punto di esplodere in una violenta sborrata; ed altrettante Monica, intuendo istintivamente l'orgasmo, frenava il movimento, mi stringeva i coglioni e mi ricacciava indietro la sborrata.
Mentre ero all’apice del piacere, con un movimento imprevisto e repentino, si abbassò sul mio ventre e ingoiò di colpo l’asta fino alla radice, strappandomi un urlo di piacere che nella notte mi sembrò risuonare fino all’ultimo piano, anche se eravamo chiusi in macchina. Quasi soddisfatta di sé, cominciò un lungo ed elaborato pompino che mi provocò violente sensazioni di piacere e mi strappò, mio malgrado, altri notevoli urli a malapena soffocati; come già aveva fatto mentre mi masturbava, alternò sapientemente i movimenti, leccando e succhiando, stringendo tra le labbra e affondando in gola l’asta, ogni volta prevenendo di un niente il mio orgasmo e stringendomi i coglioni fino a farmeli dolere per impedirmi di sborrare.
Avevo perso qualsiasi capacità di reazione e mi abbandonai alla dolce violenza della ragazza che non concedeva nessuno spazio nella sua iniziativa che non ammetteva altro che una supina accettazione di tutto quanto avesse deciso: in un angolo della mia mente, mi spaventava l’idea di una donna così giovane che, nonostante la mia esperienza, mi sconvolgeva completamente e mi riduceva ad oggetto di una sua interpretazione del piacere. Ma, d’altro canto, le fortissime sensazioni che mi procurava non solo mi facevano scegliere di abbandonarmi alla sua volontà ma addirittura mi inducevano a lasciarmi andare senza pudore.
All’improvviso, il fascio di luce dei fari di una macchina che sopravveniva ci precipitarono nella realtà di un cortile interno ad un edificio: istintivamente, mi ritrassi e Monica, sollevando la testa, semplicemente disse: ”Ecco mamma!”; contemporaneamente, aprì la portiera e si avviò all’auto di Francesca che per l’appunto aveva parcheggiato poco oltre. Ero certo che aveva intuito e visto tutto, ma mi sforzai di ricompormi ed uscii dall’auto coi pantaloni richiusi, anche se il mio aspetto sicuramente denunciava lo stato di sconvolgimento in cui Monica mi aveva lasciato.
Dopo i convenevoli (saluti e ringraziamenti per il passaggio a Monica) stavo per allontanarmi quando la ragazza, con la determinazione e la repentinità che in pochi minuti avevo già più volte sperimentato, mi impose con il solito dolce cinguettio violento “Vieni a bere qualcosa da noi” e, senza darmi il tempo di connettere, mentre la madre si avviava quasi estranea alla vicenda, aggiunse in un sussurro “vedrai che ti piacerà”, mi prese sottobraccio e mi trascinò all’ascensore della loro scala. Per quel poco che riuscii a focalizzare, nello stato semiconfusionale in cui mi trovavo, l’appartamento era decisamente carino ed arredato con gusto: come era presumibile, Monica si andò a sdraiare immediatamente sul grande divano bianco che occupava tutta una parete del salone e, con cenni affettuosi ma decisi, mi impose di sedere al suo fianco, anche se era evidente che la quasi totale esposizione delle sue forme giovani e belle mi provocava un’eccitazione irresistibile ed un rigonfiamento inequivocabile del pantalone.
Sua madre, con altrettanta disinvoltura, si diresse verso la porta che presumibilmente dava nel bagno: dopo un poco, lo scroscio dell’acqua indicò che era sotto la doccia, mentre Monica, dopo aver versato del succo di frutta in due bicchieri, mi si avvicinava e ricominciava le manipolazioni che avevo già sperimentato sulla patta dei miei pantaloni. Terrorizzato dalla situazione, tentai di fermarla; ma, forse anche perché la mia volontà di reagire era decisamente scarsa, non riuscii ad impedirle di infilare la mano nella cerniera, estrarre il cazzo gonfiatosi quanto non mi era mai capitato e cominciare a masturbarmi con la sapienza che avevo già sperimentato; e, forse perché lo desideravo, feci molto poco per impedirle di prenderlo in bocca e riprendere il pompino che aveva interrotto così bruscamente in macchina.
Ma, anche se travolto dalla dolce violenza di Monica, non potevo fare a meno di tendere l’orecchio ai suoni che venivano dalla doccia e, quando il getto d’acqua si fermò, mi ritrassi con violenza, sperimentando con una fitta violenta i denti aguzzi della ragazza, e mi ricomposi appena in tempo, prima che Francesca uscisse dal bagno avvolta da un accappatoio e con un asciugamano posto a turbante sui capelli. Quasi senza curarsi di noi, si diresse ad un’altra porta, la aprì ed entrò senza richiuderla completamente, sicché mi trovai a sbirciare nella sua camera da letto. Ma la mia visuale fu chiusa improvvisamente da Monica che si era alzata in piedi sul divano e mi aveva posto davanti al viso il suo inguine ricoperto solo da un succinto tanga; quasi istintivamente, le abbracciai le anche e accostai il viso al suo inguine, prendendo a baciarle con intensità il monte di Venere.
Avevo appena cominciato a manovrare con le labbra e con la lingua per arrivare a leccarle direttamente la figa, quando la ragazza, con una delle sue decisioni imprevedibili, si staccò con violenza e scese dal divano sussurrandomi: “Adesso viene il bello” Quando si sposto dalla mia visuale, mi apparve lo spettacolo della camera di Francesca, riflesso nello specchio enorme di un armadio che occupava tutta la parete di fronte alla porta semiaperta e che consentiva una visione generale attraverso il largo spiraglio. La donna era completamente nuda, ritta ai piedi del letto, si asciugava il corpo bagnato con gesti naturali e intimi e per questo estremamente eccitanti. Monica, accortasi che stavo osservando e che lo spettacolo mi eccitava, si accoccolò al mio fianco e sussurrò: “Adesso vedrai che si masturba” Quasi avesse avvertito l’invito, Francesca cominciò a massaggiarsi con maggiore lentezza ma con intensità l’interno delle cosce, prima con un lembo dell’accappatoio gettato sul letto, poi decisamente con la mano nuda, dimostrando con la sensualità delle movenze del corpo il piacere intenso che riceveva dal massaggio.
La situazione era straordinaria: da un lato, lo spettacolo decisamente eccitante della bella Francesca che - forse sapendo di essere osservata da un maschio - si accarezzava con estrema voluttà, andando a cercare il piacere fin nelle fibre più recondite e muovendo il corpo in maniera che potessi osservare nitidamente non solo le forme esterne - dalle natiche sode e tonde, ben piantate per una donna non più giovanissima, ai seni maturi e pieni, evidentemente non maltrattati dal tempo e dalla maternità - ma anche i recessi intimi, dall’ano alla vulva che si massaggiava alternativamente e contemporaneamente accompagnando il percorso delle dita con fremiti e mugolii che arrivavano fino al divano.
Dall’altro lato, Monica non aveva perso tempo: aveva aperto la patta dei pantaloni e si era impossessata del cazzo che manipolava con la solita sapienza impedendomi l’orgasmo ma portandomi continuamente fino al punto estremo per frenare di colpo. Improvvisamente, ad un ennesimo limite estremo prima dell’orgasmo, abbandonò la presa, si alzò dal divano e si fiondò nella camera della madre che andò ad abbracciare con evidente voluttà; Francesca non ebbe nessuna reazione: si appoggiò a Monica languidamente e si lasciò manovrare, secondo un rito che forse era abituale, tra le due. Infatti Monica costrinse sua madre a sdraiarsi supina sul letto, di accoccolò tra le sue cosce aperte stando bene attenta ad offrirmi intero e continuamente lo spettacolo di loro due, sia nella “presa diretta” che nell’immagine riflessa dallo specchio che raddoppiava la mia eccitazione.
Nell’arco di pochi minuti, Monica riuscì a strappare a Francesca almeno tre orgasmi piuttosto violenti, percorrendo con la lingua (la cui abilità avevo già sperimentato) tutti i punti erotici che probabilmente aveva sperimentato, dal momento che diligentemente la costrinse a sollevare le ginocchia fino al petto e poté così leccarle lungamente e profondamente tanto la figa, che, anche dalla distanza a cui ero, si rivelava straordinariamente stretta e turgida, quanto l’ano che appariva poco ricettivo e forse non troppo abituato a disposto ad essere penetrato. Di tanto in tanto, quasi per prendere fiato, si distendeva sinuosamente sul corpo della madre e andava a succhiarle i capezzoli turgidi e grossi, con un atteggiamento che rendeva ancora più surreale la situazione.
Mi sorpresi sconvolto dal quadro che mi si offriva e per un attimo provai anche un senso di fastidio di fronte alla cinica capacità della ragazza di gestire come una regista di pornofilm il bisogno di sesso di sua madre; ma riflettei subito dopo che non eravamo in seduta psicoanalitica e che, in definitiva, ognuno aveva il diritto di gestirsi i suoi problemi. L’attimo dopo il pensiero di distrazione, scoprii che Monica era montata sul letto, ancora vestita, e che si era rotolata sotto il corpo di Francesca, di cui mi appariva adesso in totale pienezza il culo tondo e sodo con l’ano aperto e violentato dalle dita della fanciulla, la cui testa sbucava tra le cosce della madre alla quale stava voracemente succhiando il clitoride. Senza rendermene conto, mi ero alzato in piedi e mi ero accostato alla porta aperta, da dove, impalato e affascinato, seguivo i movimenti delle due in tutti i particolari: istintivamente, la mano mi andò sul cazzo che era rimasto fuori dai pantaloni ed era duro fino a dolermi; cominciai a masturbarmi lentamente, incapace di prendere una decisione.
Come al solito, Monica risolse l’empasse invitandomi, con la mano che usava solo per allargare le natiche, a farmi più vicino; lo feci quasi automaticamente. Quando fui a tiro, Monica mi abbrancò per le palle e mi costrinse a portarmi accosto ai piedi del letto finché il mio glande fu a contatto con la pelle di Francesca che reagì soltanto sollevando un poco il bacino e spostandolo indietro, sotto la guida della fanciulla sotto di lei. Sentii, come se avvenisse in un’altra dimensione, la mia verga che penetrava senza difficoltà una vagina stretta ma ben lubrificata, mille sensazioni di piccole scosse elettriche che mi partivano dai coglioni e arrivavano al cervello; e di colpo una sorta di feroce animalità mi indusse a spingere il cazzo con un solo violento colpo fino a sbattere rumorosamente con il pube contro le chiappe di Francesca che si rivelarono dure e compatte come immaginavo.
Ma Monica non ci diede tempo di fare a meno di lei: con una feroce strizzata ai coglioni mi impose la calma e cominciò a guidare un movimento di vai e vieni della mia asta nella vagina che mi provocò scosse elettriche al cervello fino al tilt più totale, mentre sentivo la donna davanti a me urlare mugugnare scompostamente con la voce soffocata dalle cosce della figlia che la teneva imprigionata la testa. Con un colpo deciso, Monica mi spinse ad uscire dalla figa, liberò Francesca e la scaraventò sul letto, poi cominciò a dirigere perentoriamente: “Non ti sognare di sborrare finché non te lo dico io!” fu la sua prima imposizione a me; poi si spogliò in un lampo e fece altrettanto con me, liberandomi quasi con malagrazia di ogni vestito.
Mi lasciai condurre come un bambino nel suo gioco; Francesca, che forse vi era abituata, fece altrettanto: e cominciò una sarabanda assolutamente unica. Dimostrando una grandissima competenza, una fantasia imprevedibile ed una perversione irrefrenabile, la ragazza ci fece ruotare in un circuito di movimenti, di sensazioni e di emozioni che, almeno io, non avrei poi dimenticato più.
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Categorie: Incesti