Di quegli anni, tra i dieci e i tredici, ricordo quasi con terrore l’ansia con cui si sentiva parlare di “quella cosa” (il menarca, in definitiva) e di quanti valori aggiunti si caricavano i giorni che passavano senza che succedesse niente; alla fine, fortunatamente, arrivava per tutte il giubilo, quando si poteva esibire la mutandina macchiata per dimostrare che “ … anch’io …”. Ma, prima di arrivarci, quante ansie, quanti timori, quanti stupidi interrogativi che portavano fino all’idea della morte prematura! Ma non era che l’inizio, perché poi cominciavano i confronti tra chi aveva i primi peli, “lì”, e chi invece aveva una patatina liscia come il culetto senza nessuna traccia di peluria, fino a che i primi accenni neri e ricci come i capelli dimostravano che “ … anche io … “ ma la gara si spostava poi sui brufoletti del torace che non accennavano a diventare capezzoli, fino a che qualche timido accenno a piccole dune dava l’illusione di tette pronte ad esplodere. Insomma, ogni mese, ogni settimana, ogni giorno era una vera lotta per affermare il proprio diritto all’esistenza e all’appartenenza al genere “femmina”, costasse quello che costasse.
Sicché, quando nei cessi si cominciò a vociferare di “seghe” da fare ai maschietti, decisi di non entrare in competizione e di giocare “sporco” seguendo percorsi più furbi. Girava da qualche giorno per i corridoi un nuovo bidello, poco più che un ragazzo, del quale si diceva che era un sostituto provvisorio, che presto sarebbe andato via e che aveva poco più di vent’anni. Lo bloccai a sorpresa sulla porta dei bagni delle ragazze e gli imposi di spiegarmi cose fossero queste seghe di cui tutti parlavano segretamente. Cercò di glisssare; ma lo tampinai con decisione, finché si arrese. “Te lo spiego, disse, e te lo dimostro pure; ma devi giurare su quanto hai di più sacro che non ne farai mai parola con nessuno.” Promisi; e con molta convinzione. Ci chiudemmo in uno dei bagni, si aprì la patta dei pantaloni e tirò fuori un aggeggio di una quindicina di centimetri, un cilindro di carne leggermente a punta che mi invitò a toccare: sentii che il tocco della mia mano lo faceva irrobustire sempre di più: un poco ne fui spaventata, poi cominciai a sentirmi urgere qualcosa fra le cosce, nella patatina, e capii che era sesso che si svegliava. Allora cominciai a muovere la mano sue giù, avanti e indietro, Mi spiegò che quello era il cazzo, che lo si usava per infilarlo nella fessura della figa (la patatina) e che produceva una cremina detta sperma (o sborra) che, se entrava nella pancia attraverso la figa, faceva nascere un bambino; la sega era il movimento di vai e vieni che io stavo goffamente avviando e che sarebbe culminato con l’espulsione della sborra dal suo cazzo
Per il momento, era tutto quello che volevo sapere; per sperimentarlo, cominciai a muovere la mano seguendo le indicazioni di lui che mi guidava. Mentre gli manipolavo il cazzo, lui mi accarezzava la patatina, da sopra le mutandine, e mi massaggiava il culetto, soffermandosi sul buchetto: all’inizio avevo vergogna, perché non ero sicura che fosse pulito, ma quando vidi che strabuzzava gli occhi mentre premeva un dito proprio sul buchetto, lasciai stare e mi abbandonai allo strano piacere che mi dava la mano mia sul suo cazzo e le mani sue sulla patatina e sul buchetto. Non so quanto tempo impiegai a manipolarlo: a me sembrò un’eternità. Ma forse si trattò solo di pochi minuti, finché lui, di colpo, si irrigidì, si sollevò sulle punte dei piedi e sparò lontano, fin dentro al water, un grande spruzzo di crema bianca; per un attimo mi fermai meravigliata, poi lui mi guidò a muovere la mano più lentamente, carezzandogli dolcemente il cazzo che versava ancora spruzzi di quella crema bianca. Quando si fu svuotato, prese della carta igienica, pulì le mie mani e la punta del suo cazzo, gettò tutto nello sciacquone e col dito sulle labbra mi fece segno “acqua in bocca.” Io neanche mi sognavo di raccontare chi e come mi aveva insegnato e fare la mia prima sega; ma mi ripromisi di mettere presto in pratica la lezione e di farlo con uno dei ragazzi più grandi della scuola, perché la mia amica mi aveva detto che erano quelli che ce l’avevano abbastanza grosso per “farci cose” mentre il pisellino dei piccoli non era ancora utile e. soprattutto, non sborrava (che, avevo capito, voleva significava che non emettevano la cremina bianca).
Puntai il più grande della classe, un ultraripetente che aveva perso già un paio d’anni per incompatibilità con la scuola e con la disciplina: passandogli a fianco nel corridoio, feci scorrere la mano sul suo pantalone, all’altezza del cazzo e sentii che reagiva rizzandosi; lo guardai negli occhi con aria furbetta e mi diressi verso il bagno. Mi raggiunse e mi prese per la mano. “Non qui.” Mi sussurrò; ed indicò il capobidello che si era posto di guardia forse a controllare proprio certe manovre. Mi dirottò verso un laboratorio, sistemò due sedie vicine, aprì un libro a caso sul tavolo di lavoro; ci sedemmo e portò la mia mano destra nella sua tasca sinistra: non capii subito, poi mi accorsi che la tasca, all’interno in alto, aveva un taglio nel quale entrava tutta la mia mano che arrivò facilmente al suo cazzo; cominciai a toccarlo con una certa sapienza e vidi che si ingrossava, senza raggiungere i livelli del giovane bidello ma abbastanza per riempirmi la manina. Cominciai la mia manipolazione di vai e vieni e di su e giù, strappandogli una lunga serie di gemiti e di lamenti, che parevano di dolore ed erano di godimento; mi infilò una mano fra le cosce e carezzò la mia patatina. Spinsi con foga la mia sega e lo sentii sborrare, in parte nel pantalone e in parte sulla mia mano. Avevo preparato un pacchetto di fazzolettini e mi pulii, gettando i residui nel cestino. Proprio mentre ci riassettavamo, il capo bidello aprì la porta, ci vide seduti col libro aperto davanti e commentò. “Brava, brava, aiutalo un poco, questo scapestrato.”
Dopo quell’episodio, la notizia della mia abilità come segaiola si sparse tra i maschietti della scuola e per tutto l’anno scolastico, che per me fu l’ultimo delle medie, fui impegnata a masturbarne almeno uno al giorno o nei bagni o in un laboratorio vuoto o anche in un’aula, all’ultimo banco, davanti a un libro aperto. Migliorai decisamene la mia tecnica e imparai anche a godere molto delle seghe che facevo e dei ditalini che appresi subito dopo a fare; anche il mio fisico beneficiò della particolare ginnastica, perché le tette cominciarono a crescere a vista d’occhio e divennero il sollazzo dei ragazzi che segavo, ai quali non pareva vero poter palparmi, leccarmi, tastarmi, succhiarmi le tette e provocarmi orgasmi di gran lunga superiori a quelli che io procuravo a loro con le mie seghe. Quando mi resi conto che il pube si era coperto di un vello nero e crespo, come erano anche i miei capelli, cominciai a favorire qualcuno che mi accarezzava la figa, mentre lo masturbavo; ed appresi anche i rudimenti della masturbazione reciproca e contemporanea con esplosione di orgasmi che qualche volta ci misero a rischio di essere scoperti in flagranza per la violenza degli urli che li accompagnavano. Il passaggio dalla pratica manuale a quella orale fu più laborioso ma anche affascinante. La prima che me ne parlò fu una mia compagna di classe che, molto vergognosa, mi raccontò che un nostro compagno più grande, a casa sua, con la scusa di ripassare una lezione, aveva cercato di farsi succhiare il cazzo, ma che lei si era rifiutata perché lo riteneva immorale e antigienico.
Ma dovette passare ancora parecchio tempo, prima che il tema ritornasse d’attualità; intanto, avevo concluso il triennio delle medie e mi ero iscritta ad un liceo scientifico, dove avevo stentato a trovare un mio spazio per l’eccesso di novità che mi assalirono all’improvviso e di fronte alle quali mi trovai alquanto impreparata. Soprattutto, mi faceva impazzire l’idea che le compagne di scuola - qualcuna addirittura di classe, anche se più anziana perché pluriripetente - ogni lunedì mattina si venissero a vantare nell’antibagno delle “cose” fatte con ragazzi più grandi, alcuni addirittura già diplomati o universitari. Di fronte a questo oltraggio, ero assolutamente disarmata e impotente; né conoscevo qualcuno che potesse darmi le giuste dritte per imparare rapidamente e mettermi in prima linea per la corsa alla più brava nel “fare cose”. Passando davanti alla mia vecchia scuola, incrociai per caso un mio vecchio professore di scienze che in diverse occasioni aveva dimostrato disponibilità con noi alunni a parlare anche apertamente di problemi relativi al sesso. Lo salutai affettuosamente e, di punto in bianco (come ero solita fare anche a scuola) gli chiesi se fosse disposto a fornirmi alcune spiegazioni, più o meno scientifiche, di cui avevo urgente bisogno. Inizialmente cercò di defilarsi, invitandomi a ricorrere ad internet dove si trovava di tutto oppure a qualche familiare o ai miei attuali insegnanti. Feci qualche smorfietta fingendomi nella più disperata desolazione e lo convinsi a darmi appuntamento a casa sua per il pomeriggio.
Era ancora abbastanza giovane (sicuramente sotto i trent’anni) ma ci era apparso sempre strano perché viveva quasi da eremita e non circolava sul suo conto nessun pettegolezzo, nessuna favola metropolitana, niente di niente. La sua casa mi apparve come me l’ero immaginata, confusionaria e trasandata ma con un suo ordine convinto in cui lui si muoveva ad agio: mi fece accomodare su un divano che aveva liberato da alcuni libri, si sedette su una sedia di fronte a me e si sottopose volentieri al mio interrogatorio. Non ebbi nessuna esitazione e gli parlai immediatamente dei disagi sofferti e di quelli che soffrivo per la mia ignoranza in tema di sesso e, in particolare, di pratiche sessuali. “Insomma, tu avresti bisogno non di consigli scientifici, ma di una vera e propria nave-scuola.” Lo guardai interrogativa. “Tu mi stai chiedendo di fare l’anziano che ti guida in un intrico di vicende facendoti conoscere certi passaggi, certi meccanismi e certi effetti … “ “Perfetto! Proprio quello che ti chiedevo … “ “ Ma ti rendi conto che hai solo quattordici anni, io ne ho più di venticinque e questo è reato di pedofilia?” “Una cosa diventa reato se va in tribunale; se resta qui tra me e te, diventa amicizia e insegnamento.” Lo vedevo in chiara difficoltà; poi sembrò quasi rassegnarsi e cominciò a parlare, ma soprattutto ad agire.
Partì dal bacio; e, dopo avermene schioccato qualcuno sulla fronte e sulle guance, si avventò sulla mia bocca, mi forzò le labbra con la lingua, penetrò nella cavità e mi fece percorrere tutti i sentieri del paradiso leccando, succhiando, sbavando, mordendo, massacrando. Sentii il sangue bollirmi nelle vene e scatenare un turbinio tra le cosce che mi fecero esplodere le figa in mille fuochi artificiali; si interruppe per spiegarmi che cos’era un orgasmo, come si poteva raggiungerlo e come lo si poteva coccolare perché durasse a lungo. Fui io ad avvinghiarmi a lui, stavolta, e me lo risucchiai nella bocca finché il secondo orgasmo lo sentii montarmi nella pancia, scivolare nella figa ed esplodermi nel cervello, prima che fra le cosce. “Vedo che capisci ed impari in fretta: d’altronde, proprio per questo sei stata sempre brava!” Passò a palparmi le tette e sentii le sue mani che mi entravano da sotto la maglietta fino a sollevare le coppe del reggiseno e a mettere a nudo tutto il seno sollevando la maglietta fino alla gola. Finché mi palpava le mammelle, avevo come termine di riferimento le palpate dei ragazzi nei bagni; quando però strinse tra le dita prima un capezzolo poi tutti e due, sentii il sangue sciogliersi come neve al sole e le ginocchia mi si piegarono; quando poi sugli stessi capezzoli si adagiò con le labbra e prese a succhiarli alternativamente, allora di nuovo nel ventre mi si scatenò uno strizzone che temevo di cagarmi addosso ed invece sborrai come fontana, per la terza volta, stavolta urlando come un animale macellato: per fortuna lui mi tappò la bocca con una mano (che io leccai per la gioia, prima, per la goduria immensa, poi) evitando che i vicini accorressero in mio soccorso.
“Vacci piano, ragazzina, non abbiamo neanche cominciato e già sbrodoli come un fontana rotta; se non riesci a controllare le tue reazioni, rimandiamo ad un altro momento il seguito.” “Col cazzo!!! Tu adesso mi insegni tutto lo scibile e mi fai tutto il fattibile o io ti stacco le palle a morsi!” “Vuoi anche che ti svergini?” “No, quello so che non devo lasciartelo fare. Poi mi spieghi come comportarmi col culo, perché ho sentito che alcune lo fanno ed io non voglio essere seconda a nessuno.” “Ma che stronza! Tu fai questo solo per una stupida gara a chi fa prima e di più?” “No, amico caro; io faccio tutto questo perché sono una femmina, voglio sentirmi femmina e voglio essere riconosciuta come femmina, non come ragazzina piscia sotto. Chiaro?!?!” “Chiaro! E forse posso anche capire questo tuo desiderio. Ma tu ti rendi conto che mi attribuisci la responsabilità di sverginarti totalmente, non nel senso che ti rompo l’imene (quello te lo sfioro, solo per fartelo conoscere) ma nel senso che apro la tua conoscenza a cose che dovresti apprendere da altre persone, per altri percorsi e in altri tempi.” “Io di tempo non ne ho e non voglio perderne con seghe stupide a mocciosi cocchi di mamma; io voglio imparare a conoscere il mio corpo, ad amarlo e a farmi dare tanto amore dagli uomini che conoscerò; e, come vedi, la porta l’hai già aperta. Adesso vai avanti e insegnami tutto, fammi tutto.”
Si arrende e mi abbraccia, lasciando scivolare la mano dentro la gonna finché, percorrendo il ventre tenero e il pelvi fragile, insinua un dito nella fessura tra le cosce. “Di ditalini sono già abbastanza esperta! … “ Gli suggerisco. Ironizza. “Ne sei sicura, Allora conosci anche questo?” Mi ha strizzato il clitoride ed io urlo. “Adesso non urlare ad ogni piccolo orgasmo, impara anche a controllare le tue reazioni o urlerai da adesso fino a domani all’alba, quanto potrebbe durare questo insegnamento … “ Mi Mordo le labbra e lo bacio, mentre le sue dita mi artigliano il clitoride e me lo masturbano con sapienza. “Hai troavato il punto G?” “Devi essere tu a dirmelo; se, quando ti tocco qui, ti senti svenire, allora l’ho trovato!” “…Ahhmmm siiiii …siiii …. L’haaaaiiii trovato …. E? queeeeeelllooooo … Siiii … è quello …” “Bene, fissatelo in mente e toccatelo quando vuoi un orgasmo intenso!” “Maledetto … ti odio … no …. Ti amo … No. Non lo so, Non so se amarti perché mi porti in paradiso o odiarti perché dopo dovrò fare a meno di te. Adesso so che sono molto più vera, molto più forte.” “Non so se sei più forte, più ricca o solo più pazza; quello che so è che io sono stato pazzo a seguirti su questo percorso. E non so se essere felice perché sto facendo l’amore con una femmina calda come non si può essere di più o spaventato perché ti insegno la strada per diventare una grande troia.” “Tra una grande troia e una stupida casalinga che preferisci?” “Assai meglio troia, se sei anche intelligente.” “Me ne ricorderò, sta’ certo; e sarò la troia più intelligente che avrai incontrato nella tua vita. Adesso, continua, per favore.”
“Lo senti questo tessuto di pelle che ti sto toccando nella figa? E’ il tuo imene. Lascialo in pace. Finché non avrai incontrato un uomo che ti farà vibrare diversamente da chiunque altro, non consentire a nessun cazzo di entrare da questa fessura e rompere questo diaframma. Quando succederà, dovrà significare che come donna ti senti completata da quel maschio che te lo rompe.” “E se intanto mi viene voglia di sentire il cazzo il più vicino possibile?” “Aspetta!” Mi sposta un poco, si apre la patta e tira fuori un cazzo di dimensioni notevoli, per me nuovissime. “Urca!” commento. Me lo mette in una mano e lascia che io lo masturbi un poco; lo sento vibrare in tutte le fibre e mi accorgo che si gonfia a dismisura. “Mi hai detto che le seghe le sai fare.” “Si, ma una mazza come la tua è la prima volta che la prendo in mano.” “Non mi meraviglio, visto che hai frequentato ragazzotti e giovanotti. Ma non è questo che voglio mostrarti.” Così dicendo, toglie la mia mano dal cazzo e accosta il mostro alla mia figa; per un attimo tremo, quando sento la cappella strusciare sulla fessura che si anima, vibra e si bagna tutta; lui sorride, spinge il busto e il cazzo mi scivola lungo la spacca della figa fino a sbucare da dietro, sotto l’ano; mi prende la mano, la porta dietro al culo. “Tocca il cazzo che sbuca dietro e accosta quanto puoi la punta al foro del culetto; avrai la sensazione che ti sono tutto dentro, ma resterai intatta. Se ti preoccupa che l’altro possa fare un gesto errato e romperti la figa, usa mutandine a culotte e il cazzo lo fai poggiare sotto le mutande: il piacere si attenua solo di poco e godi intensamente lo stesso.” “Si, ma intanto spingi un poco e fammi sborrare. E’ troppo bello, così.” “Fallo con cautela e ti farà godere molto!”
“Fase orale o fase anale? Cosa preferisci?” “Non so. La fase orale mi interessa più immediatamente, ma la fase anale mi intriga assai.” “Ok. Visto che è quasi più semplice e non comporta grandi conseguenze, cominciamo con la bocca.” Mi fa distendere sul divano, mi sfila gli slippini e mi fa spalancare le cosce: la mia figa è così davanti a lui completamente spalancata; si inginocchia e mi comincia a lappare la figa tutto intorno, dall’interno coscia su fino al monte di venere passando per le grandi labbra e stuzzicando le piccole e il clitoride: vedo aureole di mille colori ballarmi davanti agli occhi, fuochi d’artificio scoppiarmi da tutte le parti e sensazioni infinte di piacere esplodermi nel basso ventre. Mentre ancora non mi sono ripresa dall’emozione, mi fa alzare, mi mette in ginocchio sul divano, con le tette appoggiate alla spalliera, tira indietro il culo, si abbassa e comincia a leccarmi dall’ano alla figa, avanti e indietro attraversando tutte le fessure, stuzzicando tutte le fibre, succhiando il clitoride e le pareti tutte; ogni tanto infila la punta della lingua nel buchetto o nella vagina ed io esplodo e trattengo gli urli sempre più alti, sempre più frequenti. “Questo è un cunnilinguo, ovvero una leccata di figa. Te ne faranno molti, in futuro, ma non sempre volentieri o spontaneamente; tu impara da subito a pretenderli, non ti limitare a praticare la fellatio o pompino, come lo conosci meglio: con quello sborrano solo i maschi; con questa sborri prima tu, poi, nel caso, gli pratichi il pompino.”
Mentre lo dice, si allontana e mi fa sedere normalmente sul divano; si mette in piedi davanti a me e mi esibisce il cazzo davanti alla bocca: mi appare enorme, impossibile da infilare in bocca, penso; poi mi accorgo che mi sbaglio non appena, sollecitata dietro la testa, accosto la bocca, apro la mascella e comincio a far entrare il mostro nella mia caverna. Mi incita a leccarlo, prima, tutto intorno e specialmente sul frenulo e sotto la cappella; mi invita a succhiare in bocca la cappella per prendere dimestichezza con questa prima funzione e, poi, a ruotarci intorno con la lingua mentre è nella mia bocca. Eseguo ed imparo rapidamente e dopo un poco sono già in grado di leccarlo dalla radice alla punta, di succhiarlo in ogni dove, di massaggiarlo dal frenulo ai coglioni, palle comprese che lecco e succhio a parte. In breve, mi laurea “pompinara onoraria” perché, dice, sono in grado di far sborrare in bocca anche il più resistente dei maschi, per una grazia naturale che esprimo nel mio pompaggio. Per ringraziarlo, mi applico a fargli il pompino più bello che abbia ricevuto; ma se ne accorge subito e mi ferma immediatamente. “Se mi fai sborrare con la bocca, non so se sarò in grado in poco tempo di riprendere l’energia per l’ultimo capitolo, il coito anale, che secondo me è il passo più importante per te e che, egoisticamente, è la cosa che mi darà più piacere di ogni altra pratica. Vuoi che lo facciamo o chiudiamo col pompino?” “No, fammi il culo!”
Mi spiega allora che pompino e inculata sono le pratiche più diffuse tra chi vuole fare sesso senza preservativo e senza rischiare maternità improponibili; che vengono praticate assai diffuse in moltissime civiltà specialmente dove persiste il culto della verginità e che, comunque, la sborra versata nell’intestino non incide sulla funzione riproduttiva e viene espulsa con le feci, mentre quella versata in bocca può essere ingoiata, se a chi lo fa piace quel gusto, o sputata via e comunque non incide sulla funzione riproduttiva. Per questo, tra le giovanissime ambedue i metodi sono molto praticati. La penetrazione anale presenta però il problema che il rapporto tra lo spessore del cazzo e l’ampiezza del buchetto può provocare fastidio o addirittura dolore, specialmente le prime volte, se non c’è accurata preparazione e che comunque prendere nel culo un grosso cazzo può dare dei problemi. Mi spiega anche che non c’è alcun rischio, specialmente per i temuti (e millantati) danni all’apparato defecatorio, perché i muscoli coinvolti hanno grande elasticità e, anche dopo un’inculata con un grosso cazzo, riprendono la loro normale funzione e dimensione e addirittura, ogni volta può sembrare la prima. Raccomanda comunque una lunga e seria preparazione, con lubrificante ed eventuale anestetizzante insieme a una lunga manipolazione con le dita, prima della penetrazione; e molta cautela in uscita, quando comunque i rapporti di dimensione tra foro e cazzo sono alterati.
Gli dico di smettere di parlare e di cominciare; prende dal bagno un vasetto e lo appoggia per terra ai piedi del divano; mi fa sistemare come prima in ginocchio sulla seduta del divano le tette sulla testata, mi accarezza a lungo il culetto in tutta la sua ampiezza e mi invita a tenere una mano sulla figa per masturbarmi quando mi avvertirà, poi comincia a manipolare il buchetto del culo che, dopo una stretta di reazione iniziale, comincia a mano a mano a rilassare le pieghette e ad ammorbidirsi sotto la sua mano; lavorando a lungo con la mano, mi infila prima un dito nell’ano e lo muove in cerchio, in maniera che lo sfintere si addolcisca e si dilati; mi suggerisce di masturbarmi, lo faccio e mi accorgo che il piacere nella figa attenua il dolore nel culo; le dita diventano due e continuano a ruotare per dilatare lo sfintere; poi sento il buco vuotarsi di colpo e ci resto quasi male, ma subito dopo un senso di frescura sull’ano mi avverte che la pomata ha fatto la sua comparsa e le dita, tre questa volta, quando entrano nell’ano, si aprono la strada quasi senza dolore: il martellamento sul clitoride trasferisce le sensazioni alla figa ed anche il senso del dolore si trasforma in piacere. Ad un certo punto, ho la sensazione che nel culo mi sia entrata tutto il suo pugno a cuneo e che l’ano si sia dilatato in maniera spropositata; gli chiedo se prende lo specchietto dalla borsetta per farmi vedere; mi domanda se davvero voglio rendermi conto, io insisto e, quando, con qualche manovra, riesco a guardare il buco del mio culo riflesso nello specchietto, vedo la sua mano chiusa a cuneo infilata nettamente nel retto, con l’ano che si è dilatato fino ad un diametro di cinque o sei centimetri e le dita che quasi sguazzano nel mio intestino. Gli chiedo per favore di andare avanti, perchè lo spettacolo mi ha eccitato da morire.
Sento che si sposta dietro di me e che fa scivolare lentamente la cappella del suo cazzo, ancora più enorme, se possibile, lungo la natica sinistra, finché raggiunge le dita infilate nel culo: lentamente fa scivolare fuori le dita, con l’aiuto del lubrificante che aggiunge di volta in volta, e, quando il foro è libero, la cappella si insinua nell’ano; lo sfintere oppone comunque una certa resistenza; ma anche il cazzo è stato ben lubrificato e la cappella forza con decisione lo stretto muscolo e passa. Il mio urlo è bestiale e viene a stento soffocato dalla sua mano. “Ti fa male? Vuoi che mi fermo?” “Sta zitto e sta fermo!” Gli sibilo quasi con odio. “Ornai il grosso è fatto; aspetta che mi abituo un poco poi spingi fino in fondo e sverginami il culo; consideralo un gesto di grande amore.” “Non sono solo io a considerarlo. Anche se ci scherzi per fare l’adulta, io so che è un gesto di grandissimo amore. Se fai un’indagine, scommetto che la maggior parte delle donne che conosci, forse a cominciare da tua madre, questo dono non l’hanno fatto nemmeno al marito che amano da una vita. Lo so che stai dimostrandomi amore e mi dispiace solo che avverrà questa sola volta e poi mai più.” “Sta zitto, montami, sborrami in corpo e fammi sentire cosa si prova a scopare sul serio, almeno nel culo.”
Non se lo fece ripetere: mi martellò a lungo nel culo; ed io, dopo un primo momento di fastidio, cominciai a provare sempre più piacere, aiutandomi anche con la masturbazione. Dopo che mi ebbe trapanato tanto che il cazzo ormai scivolava allegramente nel mio retto come a casa sua e lui godeva a farlo uscire quasi del tutto per poi rinfilarlo di colpo, senza che mi desse più alcun fastidio, quando insomma fui all’apice della goduria col cazzo nel culo, si decise a scaricarmi nell’intestino un’alluvione di sborra bollente che aveva accumulato in un intero pomeriggio di eccitazione. Godetti con lui con tanta intensità e tanta partecipazione che mi vennero quasi lacrime di gioia a sentirmi così piena e completa. Me ne andai come ero venuta, salutandolo appena con un bacio sulla guancia, e mi portai a casa la conquista di una dimensione che, lo sapevo, mi avrebbe consentito di riaffermare ancora la mia esistenza come femmina e come amante. Da quel momento, e per tutto il corso liceale, io fui la più bella pompinara della storia, quella per la quale anche i re si sarebbero messi in fila per avere un pompino o il privilegio di leccare la figa con passione. L’onore del “culetto d’oro” fu riservato a pochi eletti, quelli che offrivano maggiori garanzie di auto di lusso, di locali alla moda, di regali impegnativi. A qualche innamorato molto romantico e spiantato concessi di farmi l’amore fra le cosce, a qualcuno persino senza le mutande. Furono anni d’oro. Ma non era affatto finita.
Quando il ciclo delle superiori si avviò a conclusione e si ponevamo già i quesiti per l’Università e per i locali da frequentare (i problemi per noi, si mescolavano e si confondevano) ripresero quasi più accese le lotte per la supremazia; ed a me restavano poche cartucce nuove da sparare, visto che avevo fatto uso di tute le batterie della seduzione. In realtà ero completamente fuori strada, perché l’interesse che suscitavo nel chiuso dell’edifico scolastico e nell’ambiente studentesco era in realtà poco cosa rispetto a quello che mi resi conto di suscitare invece nei vari bar, pub e ritrovi dove ci incontravamo tutti i pomeriggi, tutte le sere e spesso tutte le notti i ragazzi del quartiere, ben diversi da quelli della scuola. La lotta era senza dubbio più dura, a colpi di zeppe altissime, minigonne cortissime, tanga minuscoli e quanto altro servisse a scatenare gli istinti sessuali dei maschi. E comunque me la cavavo benissimo, in tutte le situazioni. Gli oggetti del desiderio più appetiti erano naturalmente i protagonisti della scena, i palestrati che presenziavano solo per esibire i muscoli rafforzati in ore di sacrifici in palestra, quello con lo scooter o l’auto alla moda o, al di sopra di tutti, quelli che suonavano in un complesso e addirittura ne erano i vocalist, come Luca. Di gran lunga il più appetito, corteggiato, desiderato ed ambito tra i maschi della regione. Mi ficcai in testa che mi sarei fatta sverginare da lui, noto anche per sbandierare le sue conquiste, con vantaggio per la notorietà.
Per mesi lo tampinai e fui in prima linea a tutte le sue esibizioni; conoscevo a menadito le sue canzoni e le cantavo insieme a lui, da sotto al palco, finché una volta se ne accorse, mi invitò a salire accanto a lui e cantammo insieme; da quando mi rivolse la parola, la mia figa cominciò a sbrodolare, inondò il perizoma che avevo indossato e mi allagò l’interno delle cosce quasi fino al ginocchio. Eravamo d’estate e non portavo calze, per fortuna. Quando l’ultima nota si esaurì e l’applauso ci sommerse, Luca mi sussurrò “Aspettami dopo lo spettacolo; beviamo qualcosa insieme.” Annuii e già nella mia mente si prefigurava che cosa avrei preso con lui, da lui. Passai il resto della serata folleggiando, galleggiando in una nuvola di piacere, lontana almeno anni luce dal resto e sollevata di almeno mezzo metro dal livello dei comuni mortali. Sentivo la mia figa pulsare in previsione del cazzo che l’avrebbe violata e, speravo, violentata, stando almeno alle leggende metropolitane che correvano sulla sua dotazione. Comunque, per me l’importante era che finalmente, a quasi diciannove anni, il grande sacrificio era vicino e il mio imene sarebbe caduto in omaggio all’amore. Anche se, a dire il vero, la realtà fu leggermente inferiore ai sogni.
Terminato lo spettacolo, Luca effettivamente mi raggiunse al bancone e mi baciò con passione sulla bocca; ricambiai con entusiasmo e gli frullai nella bocca la mia lingua esperta in una maniera che non avevo mai sperimentato: mi strinse con foga e mi piantò sull’inguine un cazzo di notevole stazza: niente, naturalmente, rispetto alle fantasie che circolavano; ma comunque un bel cazzo che non tardai a gustarmi muovendo il bacino per farmelo strusciare lungo la figa, sotto gli occhi di tutti e specialmente delle quattro smorfiose che erano convinte di lasciarmi al palo. “C’è un posto tranquillo, dietro il locale. Andiamo?” Non risposi; lo presi per un braccio e mi avviai all’uscita. Si fece dare da un buttafuori una chiave, con un gesto rapido che solo io riuscii a cogliere, data la vicinanza; con quella, due minuti dopo apriva una porticina sul retro dell’edificio e ci trovammo in un enorme deposito che era però interrotto da un piccolo edificio in vetro e plastica che probabilmente fungeva da ufficio. Entrammo e ci trovammo di fronte a pochi mobili: un divano abbastanza ampio, per fortuna; alcune sedie intorno ad una scrivania; per terra, un tappeto abbastanza logoro ma all’apparenza pulito. Non era certo l’ambiente che avevo sognato per il mio principe azzurro né quello che le mielose canzoni che lui eseguiva suggerivano alle stupidotte come me; ma era un posto per scopare, questo era certo: ed io ero lì per farmi rompere, finalmente, la figa da un idolo delle ragazze.
Non perse tempo, Luca; né credo che avesse molta dimestichezza con le parole; a guardare bene, era molto più rozzo di quanto mi era apparso o di quanto raccontavano le sue canzoni, scritte da altri, evidentemente; e i modi sbrigativi mi avrebbero quasi dato fastidio, se non fosse stato che per me “quella” era la sera per farmi sverginare. Mi prese quasi con violenza e mi coprì di baci su tutta la parte scoperta del corpo, dal viso alle braccia, alla gola, al seno, alle cosce ,ai piedi; mi scaraventò sul divano e si lanciò a strapparmi di dosso l’abitino e l’intimo (a malapena frenato per impedirgli di rovinarmi il vestito che mi era costato un occhio) e si gettò affamato sulla figa succhiandomela voracemente, mordendola con furore e leccandola con amore. Riuscii a suggerirgli. “Fai piano, sono ancora vergine!” Si bloccò per un attimo, poi riprese - ma con vera dolcezza e quasi con cautela - a leccarmi la figa fino all’ano e il ventre tutto, mentre si spogliava e tirava fuori un cazzo di dimensioni notevoli, ma non eccezionali, intono forse ai 17/18 centimetri. Quando fu tutto nudo, mi si stese addosso e cominciò a strusciarmi il cazzo su tutto il ventre; allungai una mano e glielo presi, cominciai a masturbarlo e sentii che si irrigidiva nel piacere. Quando glielo presi in bocca, fui tentata quasi per un attimo di mungergli una potente sborrata e risparmiare ancora una volta il mio paziente imene. Ma poi mi resi conto che si potevano complicare le cose, perché sicuramente aveva la ripresa rapida e avrei solo prolungato il rapporto. Lasciai stare e feci fare a lui.
Con una delicatezza che non gli avrei attribuito, mi divaricò leggermente le cosce, si sdraio in mezzo e appoggiò la cappella alla vulva; ebbi la sensazione di una frustata che mi colpisse la schiena fino al ventre, poi avvertii il cazzo che penetrava lentamente; ad un certo punto sembrò incontrare un ostacolo, un colpo di reni ed un fitta al ventre: il mio imene era partito, la verginità interrotta. Quando fu dentro, si scatenò e mi scopò con rapidità ed intensità. Dopo il breve dolore, non se se provai ancora molto piacere ma certamente ebbi un orgasmo quando la cappella mi urtò la cervice dell’utero ed una anche più intensa quando avvertii gli spruzzi che dal suo cazzo si scatenavano nel mio utero. Mi augurai di non essere troppo ricettiva quella sera. Di sicuro, sarei andata a chiedere la pillola del giorno dopo, al farmacista che mi conosceva e non se ne sarebbe scandalizzato. Quando si sollevò e cominciò a rivestirsi, mi apparve per quello che era: un omuncolo con un cazzetto dignitoso, che sapeva anche infilarlo in una figa ma che di dare amore e di fare l’amore non ne capiva niente. Decisi in quel momento che quella sola esperienza mi sarebbe bastata e che sarei diventata anche una troia, ma in maniera più intelligente e razionale, a cominciare dal giorno dopo, semmai.
(continua)
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Aggiunto: 5 anni fa
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Prime Esperienze